giovedì 29 marzo 2012

Appalto pubblico. Contratto di disponibilità. Un nuovo modo di realizzare opere pubbliche.

L’art. 44, d. l. 24.1.2012, n. 1, conv. l. 24.3.2012, n. 27, che detta disposizioni urgenti per l a concorrenza lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, modifica l’art. 3, d.lg 163/2006, introducendo il comma 15 bis 1, e inserisce l’art. 160 ter al d.lg. 163/2006, che prevede il contratto di disponibilità (Centofanti N. e Centofanti P. , Il subappalto, 2012, 35).
Il contratto di disponibilità è il contratto mediante il quale sono affidate, a rischio e a spesa dell'affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell'amministrazione aggiudicatrice di un'opera di proprietà privata destinata all'esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo.
L’opera è messa a disposizione allorquando l'affidatario assuma l'onere a proprio rischio di assicurare all'amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell'opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti.
Il contratto di disponibilità è stato elaborato facendo soprattutto riferimento ai contenuti delle decisioni Eurostat per porre il valore dell’investimento fuori dal bilancio pubblico. L’affidatario del contratto non solo deve, a suo rischio, progettare, finanziare e realizzare l’opera destinata all’esercizio di un pubblico servizio, ma anche garantire alla PA committente la costante fruibilità, la perfetta manutenzione e la risoluzione degli eventuali vizi anche sopravvenuti, la c.d. gestione tecnica.
La convenienza di tale tipo di appalto è facilmente valutabile solo allorquando vi sia un istituto di Credito o assicurativo disposto a garantire il rispetto di tali impegni da parte dell’affidatario.
La figura contrattuale può riguardare la realizzazione di immobili per uffici pubblici, complessi direzionali, spazi espositivi, ed intereventi di edilizia economica e popolare da dare in locazione a canone moderato anche da parte di enti pubblici economici.
Si arricchisce così il numero delle figure contrattuali nell’ambito del codice dei contratti pubblici.
Il contratto è caratterizzato dal fatto che il committente pubblico versa un canone di disponibilità e , al fine di attenuare gli oneri finanziari un eventuale contributo in corso d’opera comunque non superiore al 50% del valore dell’opera. Se l’opera passa in proprietà del committente questi deve corrispondere un prezzo finale. (Ponte D., Contratto di disponibilità: nuovo Strumento negoziale, in G.D., 2012, 7, 97).
La disponibilità dell'opera è retribuibile con tre forme diverse che vanno dal semplice “canone di disponibilità” al riconoscimento di un contributo in corso d'opera, sino alla corresponsione di un prezzo di trasferimento.
In canone di disponibilità deve essere versato soltanto in corrispondenza alla effettiva disponibilità dell'opera; il canone è proporzionalmente ridotto o annullato nei periodi di ridotta o nulla disponibilità della stessa per manutenzione, vizi o qualsiasi motivo non rientrante tra i rischi a carico dell'amministrazione aggiudicatrice ai sensi del comma 3;
L'eventuale riconoscimento di un contributo in corso d'opera, comunque non superiore al cinquanta per cento del costo di costruzione dell'opera, ha come controprestazione il trasferimento della proprietà dell'opera all'amministrazione aggiudicatrice;
Il prezzo di trasferimento parametrato, in relazione ai canoni già versati e all'eventuale contributo in corso d'opera, al valore di mercato residuo dell'opera, da corrispondere, al termine del contratto, in caso di trasferimento della proprietà dell'opera all'amministrazione aggiudicatrice, ex art. 160 ter, d.lg. 163/2006, mod. art. 44, d. l. 24.1.2012.
La nuova disciplina pone in capo all'affidatario il rischio della costruzione e della gestione tecnica dell'opera per il periodo di messa a disposizione dell'amministrazione aggiudicatrice, nonché, anche la redazione del progetto definitivo, esecutivo e delle eventuali varianti in corso d'opera .
La varianti in corso d’opera possono essere introdotte dall'affidatario solo ai fini di una maggiore economicità di costruzione o gestione, nel rispetto del capitolato prestazionale e delle norme e provvedimenti di pubbliche autorità.
Le varianti non possono essere più un facile sistema per fare saltare i preventivi ed imporre alla amministrazione costi aggiuntivi non previsti in sede di appalto.
L’affidatario deve approvare il progetto definitivo, esecutivo e le varianti in corso d'opera, previa comunicazione all'amministrazione aggiudicatrice e, ove prescritto, a terze autorità competenti.

Sindaco. Potere di ordinanza. Limiti di legittimità.

Il potere di ordinanza è fortemente derogatorio rispetto ai principi che reggono l'esercizio della funzione amministrativa; nell'esercizio del potere di ordinanza, possono essere emanati dall'autorità amministrativa atti della più varia specie (ablatori, autorizzatori, di pianificazione, e così via) produttivi dei più diversi effetti.
Il provvedimento deve essere ritenuto necessario dalla situazione di emergenza alla quale occorre fare fronte, in deroga ai principi di tipicità e nominatività degli atti amministrativi, che sono emanazione del principio di legalità inteso in senso sostanziale; e, sempre al fine di fare fronte efficacemente alle situazioni straordinarie che si tratta di fronteggiare, possono essere derogate norme vigenti. Cerulli Irelli V., Sindaco legislatore? Nota a Corte Cost., 7.4.2011 n. 115, Giur. cost. 2011, 2, 1600.
Deve tuttavia trattarsi di una situazione, appunto, di emergenza, imprevedibile nel normale andamento dell'amministrazione, a fronte della quale perciò un potere amministrativo tipico in capo all'autorità amministrativa competente non può essere previsto. E deve trattarsi di una situazione caratterizzata dall'essere contingibile e urgente, alla quale cioè occorre provvedere con immediatezza e mediante provvedimenti destinati ad avere un'efficacia limitata nel tempo.
E’ stata dichiarata illegittima l'ordinanza contingibile ed urgente del sindaco di Cosenza, con la quale, al fine di tutelare la salubrità dell'ambiente ed il decoro della città, è stato disposto il divieto generalizzato di accesso ai cani, anche se tenuti al guinzaglio, nelle isole pedonali del centro cittadino
Il giudice ha ritenuto che le problematiche di igiene e sicurezza pubblica possono essere correttamente affrontate e risolte con gli ordinari strumenti a disposizione della pubblica amministrazione T.A.R. Calabria, 24 maggio 2011, n. 778.
E’ stata dichiarata illegittima una ordinanza sindacale nella parte in cui, al fine di tutelare la convivenza civile, la coesione sociale e la vivibilità del centro urbano ha disposto la chiusura serale di una attività artigianale, Kebab, per la presenza di avventori ubriachi. T.A.R. Lombardia, sez. I, 18 maggio 2011, n. 739.
E’ stato disposto l’annullamento dell'ordinanza del Sindaco con la quale, all'asserito fine di tutelare l'ordine pubblico, ha ingiunto ad un partito politico dell'opposizione, a ridosso delle elezioni, l'immediata rimozione di una bacheca di propaganda politica nella piazza della città. T.A.R. Calabria, 7 marzo 2011, n. 331
E’ stata dichiarata illegittima l'ordinanza sindacale che limitava la distribuzione di volantini e depliantes pubblicitari in tutto il territorio comunale, all'asserito fine di tutelare il decoro della città e l'igiene pubblica. T.A.R. Sicilia, sez. III, 15 febbraio 2011, n. 277.
E’ stata annullata l'ordinanza del sindaco che poneva divieti e limiti all'uso degli apparecchi di gioco che consentivano vincite di danaro, molto diffusi nel territorio comunale poiché il provvedimento non ha indicato alcuna situazione di grave pericolo potenziale o reale. T.A.R. Campania, 12 febbraio 2011, n. 952.

mercoledì 28 marzo 2012

Atto amministrativo. Revoca. Obbligo d’indennizzo. L’illegittimità comporta il risarcimento del danno.

L’art. 21 quinquies l. 241/1990, prevede che per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti.
Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo.
La giurisprudenza (Cos. Stato, Sez. V, n. 283/2011, n. 2244/2010) ha già avuto modo di affermare che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge, in via alternativa, o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
Tale provvedimento, assunto in esercizio di potere di autotutela, deve essere adeguatamente motivato, in particolare allorché incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell’atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate e all’affidamento ingenerato nel destinatario dell’atto da revocare.
L’obbligo di indennizzo, gravante sulla P.A., ex art. 21 quinquies l.241/1990, non presuppone elementi di responsabilità della stessa, ma si fonda su valori puramente equitativi considerati dal legislatore, onde consentire il giusto bilanciamento tra il perseguimento dell’interesse pubblico attuale da parte dell’amministrazione e la sfera patrimoniale del destinatario (incolpevole) dell’atto di revoca, di cui non possono essere addossati integralmente i conseguenti sacrifici.
Attualmente l’attribuzione dell’indennizzo a favore del soggetto che direttamente subisce il pregiudizio presuppone innanzitutto la legittimità del provvedimento di revoca, atteso che in caso di revoca illegittima subentra eventualmente, sussistendone gli ulteriori presupposti, la diversa ipotesi di risarcimento del danno (Cons.Stato, Sez.V, n.7334/2010 e Sez. VI n.5266/2009).
L’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento va circoscritto al “danno emergente”, sia perché ciò è espressamente stabilito dalla norma, sia perché esso risponde ai principi generali in tema di obbligo di indennizzo da parte della P.A. per pregiudizio derivante da sua attività legittima o lecita, sia perché esso costituisce applicazione particolare di una previsione in via generale introdotta per le conseguenze dell’esercizio del potere di autotutela. (Cons. Stato Sez. IV, n. 662/2012).
Diversamente, l’obbligazione della P.A. per responsabilità contrattuale o extracontrattuale ha natura risarcitoria e, nel caso della responsabilità precontrattuale si fonda ai sensi dell’art. 1337 c.c., sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede “nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto”.
Ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della P.A. non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c (Cons.Stato, Sez.V n.5245/2009).
Il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della P.A a seguito della mancata stipula del contratto deve intendersi limitato: a) al rimborso delle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente); b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del contratto (ex plurimis Cons. Stato. Sez. IV, n. 2680/2008, n. 1667/2008 e Cons. Giust. Sicilia n.63/2011).
La responsabilità precontrattuale comporta obbligo di risarcimento del danno nei limiti del cd. interesse negativo, e cioè dell’interesse del soggetto a non essere leso nell’esercizio della sua libertà negoziale (laddove l’interesse positivo è interesse all’esecuzione del contratto). Va pertanto fornita la prova dell’esistenza di ulteriori occasioni di stipulazione di altri contratti, impedite nel loro realizzarsi proprio dalle trattative indebitamente interrotte.

Diritto di accesso. Appalti pubblici. Limiti. Modalità a mezzo fax.

Il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è retto da ratio differenti la riservatezza e la necessità di trasparenza. N. Centofanti e P. Centofanti, Il subappalto, 2012, 303.
Nella materia degli appalti pubblici si scontrano due esigenze di segno opposto: da un lato la necessità di riservatezza dei contenuti dei documenti allo scopo di garantire una effettiva concorrenza fra le imprese; dall'altro l'esigenza di potere tutelare i propri interessi da parte dei partecipanti, che presuppone una adeguata informazione sugli atti del procedimento.
Il codice degli appalti adotta per alcuni degli atti della gara la tecnica del differimento, operando così un bilanciamento fra queste due opposte esigenze, ma per altre categorie di atti stabilisce un divieto o un differimento del diritto all’accesso.
Il diritto di accesso è differito in relazione alla particolari caratteristiche dell’appalto; ad esempio, nelle procedure aperte, non è possibile consultare l'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte fino alla scadenza del termine per la presentazione delle medesime.
Nelle procedure ristrette e negoziate, e in ogni ipotesi di gara informale, in relazione all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, e in relazione all'elenco dei soggetti che sono stati invitati a presentare offerte e all'elenco dei soggetti che hanno presentato offerte, il diritto di accesso è differito fino alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte medesime. ai soggetti la cui richiesta di invito sia stata respinta, è consentito l'accesso all'elenco dei soggetti che hanno fatto richiesta di invito o che hanno segnalato il loro interesse, dopo la comunicazione ufficiale, da parte delle stazioni appaltanti, dei nominativi dei candidati da invitare;
In relazione alle offerte, invece, il diritto di accesso è differito fino all'approvazione dell'aggiudicazione.
In relazione al procedimento di verifica della anomalia dell'offerta il diritto all’accesso è rinviato all'aggiudicazione definitiva, ex art. 13, d. lg. 163/2006. La giurisprudenza ha precisato che l’accesso agli atti di una gara pubblica, pur se detti atti sono stati presentati dallo stesso ricorrente, non può, fino al momento dell'aggiudicazione, estendersi al contenuto delle valutazioni della Commissione in ordine alla verifica delle anomalie (Cons. St., sez. V, 1.9.2011, n. 4905).
Sono soggetti all'esercizio del diritto di accesso anche i documenti attinenti alla fase di esecuzione del contratto di appalto pubblico.
L'impresa che ha partecipato ad una gara di appalto, nel richiedere l'accesso alla documentazione della gara stessa dopo il suo espletamento, non deve necessariamente indicare nell'istanza di accesso le ragioni giuridiche sottese alla sua richiesta, posto che in tale ipotesi l'accesso si giustifica ex se, con il diritto di chi ha partecipato alla gara di conoscere le modalità di svolgimento della procedura e le determinazioni adottate in proposito dalla pubblica amministrazione. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 15.7.2011, n. 6385).
La giurisprudenza ha precisato che la forma di comunicazione a mezzo fax, anche per atti aventi natura recettizia, deve ritenersi valida ed efficace ai sensi degli artt. 38, comma 1, e 43, comma 3, del T.U. 28 dicembre 2000 n. 445, in quanto gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema del fax garantiscono una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio.
Tale mezzo è idoneo a far decorrere i termini perentori per l'impugnazione, atteso che deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è pervenuta regolarmente senza che il soggetto che ha inviato il messaggio debba fornirne ulteriore prova, salva la prova contraria in ordine alla funzionalità dell'apparecchio ricevente, che deve essere fornita solo da chi afferma la mancata ricezione del messaggio" (Tar Sicilia, Catania, sez. III, 7 aprile 2011, n. 861).
Nel caso di specie, la amministrazione ha affermato la mancata ricezione del messaggio indicandone la ragione.
Il diniego dell'Azienda deve in ogni caso essere impugnato nel termine perentorio dei trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata, previsto dall'art. 116, comma 1, c.p.a. in materia di accesso ai documenti amministrativi.
In caso contrario il ricorso sarà dichiarato irricevibile T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 9.11.2011, n. 5202.

martedì 27 marzo 2012

Contratto di locazione. Tutela della proprietà garantita dall'Europa.

L’art. 1 dell’allegato 1 della CEDU consacra il diritto alla tutela della proprietà.
La Corte di giustizia si è pronunciata affermando che la legislazione deve tutelare la proprietà anche quando la espro-pria per fini di interesse generale assicurando una indennità di esproprio rapportata al valore del bene.
La forma più normale di godimento della proprietà oltre l’uso diretto è la locazione.
Nessuno si posto il problema se il legislatore garantisca un reddito alla proprietà se così non fosse sarebbe solo un costo non più nelle possibilità del cittadino normale, ma solo a coloro che la sanno gestire assicurandosi il massimo profitto.
Ora la locazione è soggetta a numerose regole.

Le certificazioni tecniche.

Il proprietario deve fornire certificazione dell’impianto elettrico, certificazione dell’impianto di riscaldamento, certificazione della funzionalità dell’ascensore.
Alcune sono state dichiarate illegittime come la redazione obbligatoria del libretto di fabbricato.
La certificazione energetica è obbligatoria per alcune regioni e pesantemente sanzionata, per altre no(sic!). Ci sono tante Italie.
Il ricorso a professionisti esperti in ciascun tipo di impianto è obbligatorio.

Tassazione.

La tassazione è un vero rompicapo il ricorso al commercialista è obbligatorio: come scegliere fra Cedolare secca tassazione progressiva la decisione è lasciata al contribuente che se adeguatamente assistito effettuerà la scelta che comporta la minore tassazione!
Naturalmente che ha un maggiore patrimonio immobiliare pagherà di meno con perfetta attuazione del principio della progressività dell’imposta.
L’ICI/IMU su cui naturalmente si paga anche l’IRPEF ( visto la non detraibilità) con palese violazione del principio che non è possibile pagare una tassa sulla tassa.
Il rapporto con il sistema tributario è fondamentale e richiede l’ausilio di un buon commercialista.
Una pratica eseguita correttamente porta sgravi fiscali.

Manutenzioni.

Il capitolo più dolente. Per un piccolo lavoro ci vuole il permesso di costruire, la d.i.a. o la s.c.i.a.
La scelta non è semplice ogni regione direi ogni regolamento edilizio può apportare modifiche sostanziali che se non si rispettano portano diretti davanti al magistrato penale.
Quindi il progettista è d’obbligo.

Amministratore di condominio

L’amministratore di condominio per i grandi condomini è obbligatorio.
Serve a pagare continue manutenzioni volute dalla maggioranza dei condomini.

La tutela giurisdizionale.

La proprietà può portare gravi inconvenienti. Se per caso il conduttore non paga e d il giudice incaricato per la firma del decreto di ingiunzione e sfratto è in maternità che succede?
Bisogna aspettare il parto? Ebbene sì perché di norma il sostituto non c’è.
La responsabilità penale per danni dovuti a cattiva manutenzione non è da trascurare.
Come non è da trascurare la responsabilità civile in vigilando.
Se per caso un vostro inquilino invita nell’appartamento a lui locato di 50 mq una quindicina di persone trovate in giro alle due di notte per bere qualcosa e queste salendo dalle scale gettano per scherzo dei mozziconi di sigarette ancora accese su dei sacchetti di immondizia e questi provocano un incendio? Cosa succede?
E se uno di questi simpatici ospiti si butta dal balcone perché i vigili del fuoco sono arrivati un quarto d’ora dopo la chiamata e lui non aveva voglia di aspettare? Sicuramente come minimo il proprietario dovrà resistere ad una citazione per danni costituendosi in giudizio e dovrà sperare in una sentenza di buon senso.

La domanda di rito.

C’è da chiedersi se detratti i costi che la proprietà comporta al locatore resterà qualcosa o ha già dato tutto il suo ricavo ad altri con buona pace della CEDU?
Sembra proprio che il principio fissato dalla CEDU non sia proprio rispettato e che fra un po’, se non lo ha già fatto, la piccola proprietà sia costretta a vendere per pagare le spese e a dirottare i suoi risparmi sui ben più sicuri prodotti finanziari (sic!).

lunedì 26 marzo 2012

Class action. La normale disorganizzazione diventa sistema.


I soggetti legittimati ad agire. I presupposti dell’azione.

Il d.l. 112/2008, art. 36 estende alla pubblica amministrazione la class action e, al fine di individuare specifici strumenti di tutela nei confronti della pubblica amministrazione, ne proroga di un anno l’entrata in vigore.
Solo con l’art.. 4, L. 4 marzo 2009, n. 15, viene data delega al Governo per prevedere mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici che si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati o che violano le norme preposte al loro operato.
La delega è stata attuata con D.L.vo 20 dicembre 2009 n.198. C.E: Gallo La class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urb App.,5,2010, 501
L’art. 1,afferma che sono legittimati ad agire i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio.
Si tratta di una legittimazione riconosciuta non soltanto al titolare di una interesse individuale in sé ma anche a colui vuole fare valere in giudizio l’interesse di una categoria alla quale appartiene nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici.
L’interesse pare essere limitato dalla dizione dello stesso articolo che ammette l’azione solo se , se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi: la dizione è diversa da quella contenuta dalla delega che riconosce l’azione per la lesione di interessi giuridicamente rilevanti.
La limitazione di tutela è evidente nell’interpretazione giurisprudenziale. Essa afferma, ad esempio, che i regolamenti possono formare oggetto di autonoma ed immediata impugnazione solo quando sono suscettibili di produrre, in via diretta ed immediata, una concreta ed attuale lesione dell'interesse di un determinato soggetto. Le disposizioni regolamentari possono essere impugnate soltanto congiuntamente al provvedimento applicativo, poiché è soltanto questo a rendere attuale e certa la lesione dell'interesse protetto. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 6 novembre 2009, n. 1586.


L’oggetto dell’azione.

L’oggetto dell’azione è dato dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni
La dottrina intravede una limitazione rispetto a quanto previsto dalla legge delega cha si limita a consentire l’azione in carenza di emanazione di atti generali.
Fissando l’azione solo nel caso di ai generali che devono essere emanati per legge entro termini prefissati la limitazione è evidente nei casi - e sono la maggioranza - in cui la legge lascia l’emanazione del’atto alla discrezionalità della amministrazione essendo così impossibile agire contro l’inerzia dell’amministrazione
C.E: GALLO La class action op. cit., in Urb App.,5,2010, 505.

La fase amministrativa.

Per esercitare la class action il ricorrente deve esperire un preventivo tentativo per costringere l’amministrazione ad intervenire autonomamente in via di autotutela
Il ricorrente, pertanto, deve notificare preventivamente una diffida all'amministrazione o al concessionario ad effettuare, entro il termine di novanta giorni, gli interventi utili alla soddisfazione degli interessati.
La diffida è notificata all'organo di vertice dell'amministrazione o del concessionario, che assume senza ritardo le iniziative ritenute opportune, individua il settore in cui si e' verificata la violazione, l'omissione o il mancato adempimento
L’amministrazione deve curare che il dirigente competente provveda a rimuoverne le cause.
Tutte le iniziative assunte sono comunicate all'autore della diffida.
Le pubbliche amministrazioni determinano, per ciascun settore di propria competenza, il procedimento da seguire a seguito della notifica della diffida.
L'amministrazione o il concessionario destinatari della diffida, se ritengono che la violazione, l'omissione o il mancato adempimento sono imputabili altresì ad altre amministrazioni o concessionari, invitano il privato a notificare la diffida anche a questi ultimi.
Il ricorso è proponibile se, decorso il termine di novanta giorni l'amministrazione o il concessionario non ha provveduto, o ha provveduto in modo parziale, ad eliminare la situazione denunciata.
Il ricorso può essere proposto entro il termine perentorio di un anno dalla scadenza del termine fissato dalla diffida .
Il ricorrente ha l'onere di comprovare la notifica della diffida e la scadenza del termine assegnato per provvedere, nonché di dichiarare nel ricorso la persistenza, totale o parziale, della situazione denunciata, ex art. 3, D.L.vo 20 dicembre 2009 n.198.
Il ricorrente non è, invece, soggetto all’esperimento del tentativo di conciliazione previsto come obbligatorio
dal 20 marzo 2011, ex art. 5 , D.L.vo 4 marzo 2010 , n.28.

La tutela sulla disorganizzazione degli uffici.

Esaurita la fase amministrativa l’istante può inoltrare il ricorso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Centofanti N. e Centofanti P. e Favagrossa M..Formulario del diritto amministrativo 2012, 245.
L'art. 1 d.lgs. 198/2009 - attuazione dell'art. 3 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici - dispone che, al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore e, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, coerentemente con le linee guida definite dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 del medesimo decreto e secondo le scadenze temporali definite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
Il comma 1-bis dell'art. 1 stabilisce che, nel giudizio di sussistenza della lesione, il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie e umane concretamente a disposizione delle parti intimate.
Nella fattispecie il T.A.R. - pur ritenendo che quanto prospettato dai ricorrenti circa la concreta esigenza di una celere implementazione del personale di magistratura ed amministrativo presso il Tribunale Amministrativo sia meritevole di adeguata considerazione in sede amministrativa - rileva nondimeno che, in presenza di altre sedi giudiziarie con scoperture pari o superiori a quella manifestata dalla sede giudiziaria in discorso, trova necessariamente applicazione il richiamato comma 1 bis dell'art. 1 d.lgs. 198/2009, secondo cui, nel giudizio di sussistenza della lesione, il giudice tiene conto delle risorse strumentali, finanziarie ed umane concretamente a disposizioni delle parti intimate.
Ne consegue che, tenendo conto delle risorse a disposizione sia del Ministero della Giustizia, per quanto attiene al personale amministrativo, sia del CSM, per quanto attiene al personale di magistratura, la lesione deve essere esclusa. T.A.R. Roma Lazio , sez. I, 13. 2. 2012, n. 1416.
D'altra parte, ove si dovesse ritenesse la lesione sussistente per ogni accertata situazione di scopertura di una sede giudiziaria rispetto alla pianta organica, si perverrebbe alla paradossale e non accettabile conclusione che tutte le azioni collettive, riferite ad ogni distretto, dovrebbero essere accolte, a prescindere dall'entità della scopertura, con conseguente obbligo di ripianamento della stessa anche in assenza delle relative risorse umane e strumentali, atteso che il numero complessivo di personale di magistratura e di personale amministrativo a livello nazionale costituisce una variabile indipendente nel giudizio.
In altri termini, in presenza di un dato esogeno, costituito dal numero complessivo di personale a livello nazionale inferiore a quello previsto dalla somma delle piante organiche relative ad ogni distretto, la mera sussistenza di una scopertura a livello locale non può di per sé sola determinare una lesione dell'interesse tale da determinare l'accoglimento del ricorso a ciò ostandovi la norma contenuta nel richiamato comma 1 bis dell'art. 1 d.lgs. 198/2009, evidentemente ispirato al principio di cui al brocardo ad impossibilia nemo tenetur.
In tal maniera la struttura legittima sé stessa poiché nessun altro può contestare lo schema organizzativo prescelto

Suolo agricolo. Tutela e trasformazione. l.r. Lombardia 28.12.2011, n. 25.


La legislazione regionale ha imposto una particolare tutela al territorio agricolo privilegiando gli interventi di recupero degli edifici esistenti e imponendo anche limitazioni di carattere soggettivo consentendo l’edificazione solo a chi coltiva il fondo.
La regione Lombardia con l'art. 1, 2° co., lett. b), della l. r. 7.6.1980, n. 93 introduce, nell'ambito dei criteri preordinati a limitare l'utilizzazione edilizia dei terreni coltivati, il divieto, in sede di formazione dei piani regolatori, di destinare ad usi extra agricoli i suoli a coltura specializzata ovvero dotati di infrastrutture ed impianti a supporto dell'attività agricola, salvo che manchino possibilità di localizzazioni alternative per gli interventi strettamente necessari alla realizzazione di servizi pubblici e di edilizia residenziale pubblica o per altre eccezionali esigenze, da motivarsi in modo circostanziato.
La Corte costituzionale ha ritenuto che la l. r. Lombardia 7.6.1980, n. 93, nella parte in cui prevede che la realizzazione di fabbricati rurali non destinati ad abitazioni sia subordinata al possesso di particolari requisiti soggettivi e al collegamento funzionale delle opere stesse con l'attività agricola, non contrasti col principio di uguaglianza data la sostanziale diversità delle posizioni giuridiche tutelate. (Corte cost., 16.5.1995, n. 167, DGA, 1996, 162).
La disciplina nella l. r. Lombardia 12/2005 sulle aree agricole è demandata al piano delle regole: rimane il principio di limitare gli interventi a quelli necessari alle esigenze agricole del fondo.
Nelle aree destinate all'agricoltura dal piano delle regole sono ammesse esclusivamente le opere realizzate in funzione della conduzione del fondo e destinate alle residenze dell'imprenditore agricolo e dei dipendenti dell'azienda, nonché alle attrezzature e infrastrutture produttive necessarie per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del codice civile quali stalle, silos, serre, magazzini, locali per la lavorazione e la conservazione e vendita dei prodotti agricoli secondo i criteri e le modalità previsti dall'art. 60.
2. La costruzione di nuovi edifici residenziali di cui al comma 1 è ammessa qualora le esigenze abitative non possano essere soddisfatte attraverso interventi sul patrimonio edilizio esistente.
3. I relativi indici di densità fondiaria per le abitazioni dell'imprenditore agricolo non possono superare i seguenti limiti:
a) 0,06 metri cubi per metro quadrato su terreni a coltura orto-floro-vivaistica specializzata;
b) 0,01 metri cubi per metro quadrato, per un massimo di cinquecento metri cubi per azienda, su terreni a bosco, a coltivazione industriale del legno, a pascolo o a prato-pascolo permanente;
c) 0,03 metri cubi per metro quadrato sugli altri terreni agricoli, ex art. 59, l.r. Lombardia, 12/2005.
Il legislatore lombardo ha con l’art. 4 quater, l. r. Lombardia 28.12.2011, n. 25, modificato la l.r.31/2008, provvedendo a riconoscere una più incisiva tutela del suolo agricolo.
La Regione riconosce il suolo quale bene comune.
LA norma afferma che il suolo agricolo costituisce la coltre, a varia fertilità, del territorio agricolo, per come esso si presenta allo stato di fatto.
Si intende suolo agricolo ogni superficie territoriale, libera da edifici e strutture permanenti non connesse alla attività agricola in essere, interessata in modo permanente dalla attività agricola, da attività connesse e dalla eventuale presenza di elementi che ne costituiscono il corredo paesaggistico-ambientale quali reticolo idraulico, fontanili, siepi, filari, fasce boscate, aree umide, infrastrutture rurali.
La funzione del suolo agricolo è vista non solo come funzionale all’espansione delle città ma come bene da tutelare proteggere e conservare per trasmettere alle future generazioni con la sua funzione primaria di garantire la stessa esistenza delle popolazioni che su di esso risiedono..
La Regione riconosce il suolo agricolo quale spazio dedicato alla produzione di alimenti, alla tutela della biodiversità, all’equilibrio del territorio e dell’ambiente, alla produzione di utilità pubbliche quali la qualità dell’aria e dell’acqua, la difesa idrogeologica, la qualità della vita di tutta la popolazione e quale elemento costitutivo del sistema rurale.
La conseguenza logica di questo mutamento di impostazione è il riconoscimento della esigenza di non consumare il suolo agricolo ma all’opposto di preservarlo da un urbanizzazione eccessiva.
La Regione considera il sistema rurale una componente fondamentale del suo sistema territoriale e ritiene che le criticità emergenti sul consumo di suolo agricolo devono essere affrontate con adeguate politiche finalizzate a salvaguardare le destinazioni di uso di suoli e territori agricoli indispensabili all’esercizio delle attività agricole, in una sempre crescente ottica di multifunzionalità.
La norma impone alla Regione di elaborare politiche per il contenimento del consumo di suolo agricolo finalizzate ad orientare la pianificazione territoriale regionale attraverso un percorso programmato attraverso:
a) l’individuazione di una metodologia condivisa di misurazione del consumo del suolo agricolo che abbia come criteri principali il valore agroalimentare e le funzioni del suolo stesso, nonché l’incidenza delle attività che vi insistono;
b) redige periodicamente, in collaborazione con l’Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste (ERSAF), un rapporto sulla consistenza del suolo agricolo e sulle sue variazioni;
c) stabilisce le forme e i criteri per l’inserimento negli strumenti di pianificazione previsti dalla normativa regionale di apposite previsioni di tutela del suolo agricolo.

Paesaggio. Convenzione europea. Tutela del territorio nel suo insieme.


Gli Stati membri del Consiglio d'Europa, allo scopo di salvaguardare e promuovere il loro patrimonio comune, hanno sottoscritto la Convenzione europea sul paesaggio, stipulata a Firenze il 20.10.2000 e ratificata dalla l. 9.1.2006 n. 14.
La convenzione prende atto che il paesaggio svolge importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e costituisce una risorsa favorevole all'attività economica.
La Convenzione qualifica il "paesaggio" come "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Tale definizione da un lato esprime una concezione di tipo dinamico, fondata sul pensiero che i paesaggi si evolvono e si trasformano nel tempo per l'effetto delle forze naturali e per l'azione dell'uomo; dall'altro accoglie un'idea unitaria di paesaggio, che forma un "unicum" inscindibile all'interno del quale interagiscono simultaneamente gli elementi naturali, culturali ed antropologici.
La salvaguardia del paesaggio e la relativa adeguata pianificazione sono considerate come elemento di sviluppo dell’intero territorio contribuendo alla creazione di posti di lavori;
La convenzione riconosce inoltre che il paesaggio concorre all'elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell'Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli essere umani e al consolidamento dell'identità europea.
Il paesaggio è in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati come in quelli di grande qualità e nelle zone considerate eccezionali come in quelle della vita quotidiana.
Le evoluzioni delle tecniche di produzione agricola, forestale, industriale e mineraria e delle prassi in materia di pianificazione territoriale, urbanistica, trasporti, reti, turismo e svago e, più generalmente, i cambiamenti economici mondiali continuano, in molti casi, ad accelerare le trasformazioni dei paesaggi.
In seguito a tali considerazioni la convenzione ritiene di sollecitare una politica di migliore conoscenza delle realtà paesaggistiche dei paesi dell’Unione al fine di migliorare le politiche di salvaguardia del paesaggio.
Ogni parte si impegna a: a). riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità; b) stabilire e attuare politiche paesaggistiche volte alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione dei paesaggi, tramite l'adozione di misure specifiche; c) avviare procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche; d) integrare il paesaggio nelle politiche di pianificazione del territorio, urbanistiche e in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, nonché nelle altre politiche che possono avere un'incidenza diretta o indiretta sul paesaggio, ex art. 5 all., l. 9.1.2006, n. 14.
Concretamente si ravvisano delle misure specifiche che vanno dalla sensibilizzazione al valore del paesaggio alla formazione ed educazione alla salvaguardia di detti valori che si devono attuare attraverso la fissazione di obiettivi di qualità paesaggistica.
Detti principi sono stati recepiti e sostenuti dall’interpretazione giurisprudenziale che vede la necessità di rafforzare ogni forma di tutela paesaggistica.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con d.lg. 22.1.2004, n. 42, ha introdotto e recepito principi fondamentali in materia di salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi, vincolanti per ogni amministrazione comunale in sede di governo del proprio territorio.
Il paesaggio non è da considerarsi un valore immateriale e non è frutto di una pura percezione soggettiva, priva di elementi oggettivi, ma rappresenta una concreta rappresentazione della struttura del territorio, che deve godere di una considerazione acquisita nel tempo, frutto di una maturazione culturale, e quello in base al quale la salvaguardia del paesaggio non si identifica con la ricerca del più alto grado di « naturalità », ma piuttosto nel mantenimento del rapporto uomo-ambiente, tipico dell'identità culturale che il paesaggio rappresenta. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 8.10.2007, n. 1807).
Questa rappresentazione complessiva del concetto di paesaggio ha comportato che la giurisprudenza ha ritenuto che non è ammissibile - in ossequio all'opposta visione statica del paesaggio - una selezione degli elementi che lo compongono finalizzata ad isolare quelli più significativi, rientranti nel fuoco della salvaguardia ambientale: una tale impostazione manifesta un'incongruenza, ossia quella di una lettura che non contempla il territorio nel suo insieme ma « ritaglia » soltanto alcune bellezze, che vengono singolarmente ed autonomamente valorizzate.
Fra l’altro i provvedimenti regionali - in particolare la deliberazione della Giunta Regionale 15/3/2006 n. 8/2121 - recante "Criteri e procedure per l'esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela dei beni paesaggistici in attuazione della legge regionale 11 marzo 2005, n. 12" - sottolineano che l'individuazione dei beni paesaggistici, ed in particolare le cosiddette «bellezze d'insieme», richiede una lettura territoriale che colga tra gli elementi percepiti una trama di relazioni strutturata sulla base di un codice culturale che conferisce «valore estetico e tradizionale» all'insieme in cui si «compongono».
Nel caso di specie il T.A.R. ha sostenutole dimensioni eccessive e la forma degli abbaini estranea al contesto delle facciate, in una situazione di particolare pregio ambientale e all'interno del Parco Regionale Alto Garda sono state dichiarate apertamente in contrasto con gli obiettivi di qualità e di tutela che il vincolo impone sul territorio e sul paesaggio inteso nella sua complessità ; la stessa ribadiva la visibilità degli abbaini da vedute pubbliche significative e sosteneva che il vincolo paesaggistico non va limitato a generiche vedute panoramiche dal lago ma esteso al territorio inteso come complessità articolata. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 24.4.2009, n. 875, Foro amm. TAR 2009, 4, 1004.

domenica 25 marzo 2012

Federalismo demaniale. Le modalità di utilizzazione del bene.

L’individuazione dei beni.

L’ art. 119, comma 6, cost. , così come sostituito dall'art. 5 L. cost. 18.10.2001, n. 3, afferma che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
Per l’attuazione di detto articolo l’art. 19, L. 5 maggio 2009, n.42, dà delega al Governo di predisporre le norme in materia di federalismo fiscale, stabilendo i princìpi generali per l'attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) attribuzione a titolo non oneroso ad ogni livello di governo di distinte tipologie di beni, commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali, fatta salva la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell'ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire;
b) attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità;
c) ricorso alla concertazione in sede di Conferenza unificata, ai fini dell'attribuzione dei beni a comuni, province, città metropolitane e regioni;
d) individuazione delle tipologie di beni di rilevanza nazionale che non possono essere trasferiti, ivi compresi i beni appartenenti al patrimonio culturale nazionale. Mezzocampo S. Federalismo demaniale. Dalla non onerosità alla valorizzazione ambientale, criteri imprescindibili per il processo di attribuzione, in G.D. , 2010, 28, 42.
La fase operativa è disposta dal D.L.vo 28.5.2010, n.85,con il quale una quota consistente del demanio e del patrimonio statale sta per essere trasferita ai comuni o meglio può essere trasferita ai comuni che ne chiedano l’attribuzione.
Si tratta comunque di un provvedimento inteso a far cassa ed il trasferimento avviene nel patrimonio disponibile dell’ente locale al fine di potere procedere ad una successiva alienazione.
La ratio legis non è dunque quella di procedere di un trasferimento di beni nel patrimonio degli enti locali ma quella di trasferire di beni agli enti locali perché procedano al meglio alla loro alienazione dopo aver proceduto alle modifiche degli strumenti urbanistici che ne consentano la massima valorizzazione economica.
Il percorso per l’attribuzione del ben si sviluppa in più fasi previste dall’art. 3 del D.L.vo 28.5.2010, n.85.
La prima fase prevede l’individuazione dei i beni ai fini dell’attribuzione ad uno o più enti appartenenti ad uno o più livelli di governo territoriale mediante l’inserimento in appositi elenchi contenuti in uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia. I beni possono essere individuati singolarmente o per gruppi.
Gli elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi, anche relativi allo stato giuridico, alla
consistenza, al valore del bene, alle entrate corrispondenti e ai relativi costi di gestione e acquistano efficacia dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri nella Gazzetta Ufficiale.
Si nota come in questa fase sia del tutto assente la partecipazione dell’ente locale che non ha alcun peso nella scelta dei beni da trasferire.
L’ente locale non può intervenire neppure rispetto agli elementi informativi che il decreto di individuazione deve fornire proprio per consentire all’ente locale di effettuare ponderatamente la sua scelta.


La domanda di attribuzione.

Il trasferimento dei beni demaniali agli enti locali non è automatico ma condizionato ad una espressa domanda di attribuzione dell’ente locale
Gli enti locali che intendono acquisire i beni contenuti negli elenchi devono presentare, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei citati decreti, un’apposita domanda di attribuzione all’Agenzia del demanio.
Nella relazione allegata alla domanda, sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente devono essere indicate le specifiche finalità e modalità di utilizzazione del bene, la relativa tempistica ed economicità nonché la destinazione del bene medesimo.
Di fatto tali indicazioni devono segnare un percorso obbligato per l’ente locale, il cui margine di discrezionalità appare del tutto limitato. Esso deve condurre alla successiva alienazione del bene attraverso un percorso che ne effettui la preventiva valorizzazione come precisa il successivo art. 4, D.L.vo 28.5.2010, n.85.
Il problema della destinazione futura del bene è un punto centrale del trasferimento perché può comportare anche mutamento della destinazione urbanistica del bene che non è come ben si sa nelle attribuzioni del rappresentante dell’ente locale ma che può richiedere anche pareri e tempi decisamente più lunghi di quelli assegnati dal decreto.
Per i beni che negli elenchi sono individuati in gruppi, la domanda di attribuzione deve riferirsi a tutti i beni compresi in ciascun gruppo e la relazione deve indicare le finalità e le modalità prevalenti di utilizzazione.

Il decreto di attribuzione.

Sulla base delle richieste di assegnazione pervenute è adottato, entro i successivi sessanta giorni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite le Regioni e gli enti locali interessati, un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, riguardante l’attribuzione dei beni, che produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun ente locale.
Il decreto è un provvedimento amministrativo ed in caso di mancata attribuzione esso può essere impugnato alla giustizia amministrativa, ex art. 7, D.L.vo 2.7.2010, n.104.

La vigilanza sull’attribuzione. Il potere sostitutivo.

L’attribuzione all’ente locale del bene demaniale non esaurisce le funzioni dell’amministrazione centrale che si riserva il controllo che il procedimento di attribuzione giunga agli effetti voluti ossia alla successiva cessione del bene opportunamente valorizzato.
Qualora l’ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalità e dei tempi indicati nella relazione, il Governo esercita il potere sostitutivo ai fini di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento al patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione.
L’art. 8, L. 131/2003 che definisce il procedimento per l’esercizio del potere sostitutivo dando attuazione all'art. 120 della Costituzione
Il potere sostitutivo deve necessariamente concretarsi in una preventiva diffida all’ente preposto perché eserciti le funzioni ad esso demandate.
Nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
La legge ha superato le eccezioni di incostituzionalità in quanto fissa dei principi generali che devono essere disciplinati con procedimenti speciali dal legislatore ordinario. Corte cost., 19.7.2004, n. 236, Foro Amm. CDS, 2004, 1936.

Le funzioni dell’Agenzia del demanio.

I beni per i quali non è stata presentata la domanda di attribuzione , confluiscono, in base ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in un patrimonio vincolato affidato all’Agenzia del demanio o all’amministrazione che ne cura la gestione, che provvede alla valorizzazione e alienazione degli stessi beni, d’intesa con le Regioni e gli Enti locali interessati, sulla base di appositi accordi di
programma o protocolli di intesa.
La valorizzazione in questo caso viene sollecitata agli enti locali interessati dall’Agenzia del demanio
Decorsi trentasei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di inserimento nel patrimonio vincolato, i beni per i quali non si è proceduto alla stipula degli accordi di programma ovvero dei protocolli d’intesa rientrano nella piena disponibilità dello Stato e possono essere
comunque attribuiti con i decreti di cui all’articolo 7.

giovedì 22 marzo 2012

Esproprio. Acquiescenza alla procedura. Impossibilità di impugnazione del decreto di esproprio su atti precedenti l’accettazione dell’indennità.


La determinazione provvisoria dell'indennità di espropriazione di cui all'art. 20 del d.p.r. nr. 327 del 2001 costituisce soltanto il prodromo di una possibile cessione volontaria del bene espropriato, la quale deve però pur sempre perfezionarsi successivamente con l'accordo sulla misura definitiva dell'indennità di espropriazione
l'eventuale accettazione dell'indennità provvisoria da parte del proprietario espropriando ha il valore giuridico di una mera proposta irrevocabile, alla quale deve seguire il negozio di cessione volontaria di cui al comma 8 del citato art. 20, ovvero - qualora il proprietario si sottragga al proprio obbligo di contrarre, o comunque per qualsiasi ragione non intervenga l'accordo inter partes- l'adozione di un formale decreto di esproprio da parte dell'Amministrazione procedente.
un eventuale accordo tra Amministrazione e proprietario sull'ammontare dell'indennità è destinato a perdere efficacia, qualora il procedimento espropriativo non si concluda con il negozio di cessione o con il decreto di esproprio (Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009, nr. 4022).
È appunto quanto avvenuto nel caso che qui occupa, atteso che la dichiarazione di "condivisione" della determinazione dell'indennità, pur espressamente sottoscritta dagli odierni appellati, non risulta aver avuto alcun seguito nei sensi sopra precisati; pertanto, legittimamente gli stessi espropriati, una volta verificatisi i presupposti di fatto dell'occupazione c.d. usurpativa, si sono attivati con la domanda risarcitoria oggetto del presente giudizio. Cons. Stato, sez. IV, 28/01/2011, n. 676. Leoni, Rassegne delle pronunce adottate dalla giurisprudenza amministrativa, Riv. giur. edilizia 2011, 1, 214-231.
Diversamente, l’accordo sull’indennità di espropriazione, per effetto di accettazione da parte dell’espropriando dell’ammontare offerto dall’espropriante, pur non avendo alcun effetto traslativo della proprietà del bene, si inserisce nel procedimento ablativo e assume pertanto natura negoziale pubblica.
Le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi del procedimento stesso, ma sono tuttavia condizionate alla sua conclusione, cioè alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall’espropriato all’espropriante e, conseguentemente, qualora tali condizioni manchino, l’accordo sull’indennità resta caducante e privo di qualsiasi effetto giuridico (Cass. Civ., n. 6867/2009).

Quando il decreto di esproprio è stato emanato, i ricorrenti non possono sollevare avverso il medesimo contestazioni (oltre tutto di tipo eminentemente formale) relative ad atti e fatti (quali lo spirare del termine in efficacia della dichiarazione di pubblica utilità) antecedenti all’accettazione dell’indennità, violando in sostanza le pattuizioni già raggiunte, peraltro dopo averne già beneficiato, incassando il corrispettivo del valore dei beni espropriati e il risarcimento dei danni accertati.
Nel caso si specie i ricorrenti hanno accettato e incassato l’indennità definitiva di esproprio ex art. 22, d.p.r. 327/2001 oltre all’indennità di occupazione d’urgenza e di occupazione temporanea per il periodo effettivamente intercorso e al risarcimento dei danni subiti per l’esecuzione dell’opera.
Tale comportamento determina l’acquiescenza alla procedura espropriativa per effetto dell’accettazione dell’indennità.
Col termine acquiescenza si indicano determinati effetti che la legge ricollega a comportamenti umani incompatibili con la volontà di avvalersi del sistema di impugnazioni previsto dall’ordinamento ( Campilongo S., Con il comportamento che equivale ad acquiescenza scata la rinuncia a far valere i vizi sul procedimento espropriativo, in Guida Dir., 12, 2012, 96
Dopo l’emanazione del decreto di esproprio non può pertanto essere impugnato l’atto pregresso della dichiarazione della pubblica utilità dell’opera che è atto conclusivo di un procedimento autonomo.
La dichiarazione ha natura provvedi mentale finalizzata ad imprimere al bene privato una specifica qualità.
Esso, pertanto, va impugnato immediatamente pena la decadenza (Cons. St. , sez. IV, 28.5.2009, n. 3338) .
La giurisprudenza ha pertanto dichiara inammissibile il ricorso contro il decreto di epsroprio per intervenuta acquiescenza alla procedura espropriativa e carenza d’interesse a far valere profili di illegittimità formale antecedenti all’accettazione dell’indennità (Tar Calabria – Sez. Reggio Calabria – Sent. n. 108/2012).

martedì 20 marzo 2012

Edilizia residenziale pubblica. Assegnazione alloggio. Decadenza per mancata abitazione. Illegittimità per carenza nell’accertamento .


L’assegnatario non rispetta gli obblighi imposti col provvedimento di assegnazione è soggetto a provvedimenti di autotutela N. Centofanti e P. Centofanti, Alloggi di edilizia residenziale pubblica: costruzione,assegnazione e cessione, in Guida Normativa per l’amministrazione locale, ( a cura di F. Narducci), 2011, 2672.
L’inadempimento va riferito agli obblighi che derivano al conduttore dal rapporto fra i quali vi è quello
di abitare stabilmente l’alloggio assegnato.
L’assegnatario deve dimostrare l’effettiva residenza, da determinarsi ai sensi dell’art. 43 c.c., ovvero l’abituale dimora in un determinato luogo ed è rilevata dalle consuetudini di vita della persona e dallo svolgimento di normali relazioni sociali in un determinato luogo.
La documentazione anagrafica in tal senso non ha un valore determinante essendo riconosciuta alla pubblica amministrazione la possibilità di verificare, attraverso accertamenti, la reale residenza nell’alloggio assegnato.
L’utilizzo dell’alloggio deve essere effettivo e personale e non può essere limitato a mero deposito di mobili o ad utilizzo saltuario che denota la disponibilità di un’altra residenza.
La decadenza dalla concessione di alloggio di edilizia economica e popolare deve conseguire alla verifica dell’effettiva volontà del beneficiario di abbandonare l’alloggio e dal fatto di non abitarlo abitualmente. Il provvedimento di decadenza per abbandono presuppone una verifica sia dell’elemento soggettivo, cioè dell’effettiva volontà di abbandonare l’alloggio assegnato sia dell’elemento oggettivo, cioè del fatto di non abitarlo abitualmente.
Prima dell’adozione del provvedimento di decadenza dall’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica l’autorità amministrativa non può omettere di verificare se l’abbandono stesso sia involontario, in quanto dovuto a particolari condizioni dell’assegnatario, come è avvenuto nel caso di specie in cui le condizioni di salute dell’assegnataria non potevano consentire l’ulteriore utilizzazione dell’alloggio, fino al ripristino delle minime condizioni igieniche necessarie .
È dubbio se la permanenza di un soggetto del nucleo familiare possa legittimare l’abbandono dell’alloggio da parte degli altri componenti. La giurisprudenza ha affermato che la decadenza dall’assegnazione deve essere pronunciata, se non vi è preventiva autorizzazione dell’ente che accerti la congruità della richiesta d’abbandono.
La revoca è legittima anche se l’abbandono è motivato da ragioni di vita o di lavoro e non sorretto, quindi, da animus derelinquendi .
Rilevano, a tal fine, anche comportamenti comunque indicativi di un disinteresse o di un non prevalente interesse del soggetto ad un'abitazione continua attraverso utilizzi intermittenti e sporadici e ciò anche se la mancata stabile occupazione sia motivata da ragioni di vita e di lavoro.
La ratio sottesa alla normativa in questione risiede nell'interesse pubblico a che, in conseguenza della penuria di abitazioni destinate ai meno abbienti, gli alloggi di edilizia residenziale pubblica vengano, e restino, assegnati a chi intende farne un uso continuativo, non già un uso sporadico, occasionale o stagionale. (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 26 ottobre 2010, n. 7074).
Essa è ispirata non da finalità sanzionatorie, bensì dalla volontà di evitare che abitazioni destinate a categorie sociali meno protette rimangano a disposizione di chi non ne abbia effettivamente bisogno. Non ha rilevanza in questo senso, né la saltuaria utilizzazione dell’alloggio stesso per motivi transitori, né la volontà di
La dichiarazione di decadenza dall’assegnazione di alloggio di edilizia residenziale pubblica per abbandono è un provvedimento di autotutela adottato a garanzia del perseguimento del pubblico interesse all’effettiva destinazione di un certo patrimonio immobiliare alle esigenze dei bisognosi.

Il provvedimento incide gravemente sulla sfera giuridica dell’assegnatario; pertanto, il potere di autotutela in parola non può che essere esercitato nel massimo rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento (che contribuiscono a delineare il principio di legalità dell’azione amministrativa) di cui all’art. 97 della Costituzione, quindi mediante il corretto contemperamento dei delicati interessi in gioco, vale a dire di quello, pubblico, alla assegnazione dell’alloggio a chi ne abbia reale necessità e quello, privato, dell’assegnatario di non vedersi sottratto l’alloggio se non quando ricorrano effettivamente e concretamente i presupposti stabiliti dalla legge. Ne consegue che lo stesso provvedimento deve fondarsi su un’adeguata istruttoria ed una congrua motivazione da cui risultino gli elementi valutati dall’amministrazione e l’iter logico da essa seguito per pervenire alla determinazione assunta. L’amministrazione comunale deve accertare in concreto se l’immobile è restato realmente disabitato, e non solo occasionalmente ma continuativamente per un determinato lasso temporale, ad esempio attraverso ripetuti accessi e/o la verifica dei consumi di energia elettrica, acqua, gas e telefono.
In assenza di tali accertamenti, la mancata residenza anagrafica nel Comune di assegnazione e l’assunzione di residenza anagrafica in altro comune non giustifica di per sé sola la revoca del provvedimento.
Nel caso di specie il provvedimento di decadenza impugnato è stato adottato per l'asserita sussistenza della prima delle due fattispecie contemplate dalla l.r. Basilicata sulla base del seguente presupposto di fatto: "non occupa l'immobile in modo stabile e continuativo, ma lo stesso è abitato saltuariamente dai figli dello stesso assegnatario".
Al di là di questa generica affermazione, nella motivazione del provvedimento di decadenza, non vi è traccia delle risultanze dell'istruttoria ovvero degli elementi probatori raccolti idonei ad accertare il verificarsi, in concreto, della fattispecie astrattamente prevista dalla norma regionale per disporre la decadenza dell'assegnazione dell'alloggio di edilizia economica e popolare.
La decadenza dall'assegnazione di un alloggio di edilizia popolare per mancata stabile abitazione del medesimo presuppone, in assenza di un abbandono formale e definitivo, un comportamento comunque sintomatico del venir meno della destinazione dell'alloggio al soddisfacimento delle esigenze abitative dell'assegnatario e del suo nucleo familiare, che costituiscono le finalità cui obbedisce l'assegnazione degli alloggi in questione.
L'avvenuto accertamento di un non prevalente interesse del soggetto ad un'occupazione stabile e continua può essere indicativo del venir meno della destinazione dell'alloggio al soddisfacimento delle esigenze abitative proprie e della propria famiglia, circostanza questa che può giustificare la pronuncia di decadenza dall'assegnazione, che, altrimenti, se non verificata, è illegittima.
Nel caso di specie, l'istruttoria non evidenzia alcun elemento probatorio tale da consentire di affermare con ragionevole certezza che l'assegnatario dell'alloggio in questione, tenuto conto delle esigenze soggettive ed oggettive (ragioni di assistenza familiare e lavorative) dallo stesso rappresentate.
Né dai documenti prodotti dall’ente è possibile evincere la natura degli accertamenti ispettivi, che hanno indotto a desumere la circostanza della non stabile abitazione dell'alloggio, posto che la nota si limita a richiamare genericamente un' informativa della polizia municipale, senza però che emerga alcuna indicazione delle fonti di prova e delle verifiche effettuate che avrebbero condotto a tale conclusione.
T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 05/09/2011, n. 460, in Foro amm. TAR, 2011, 9, 2862 .

Autotutela. Lesione dell’affidamento. Risarcimento del danno.

La pubblica amministrazione ha la possibilità di riformare i suoi atti, anche senza la richiesta del privato interessato al provvedimento, e può provvedere a risolvere i conflitti che ev

entualmente sorgono con altri soggetti nell'attuazione dei propri provvedimenti.
Esso è considerato come uno dei poteri della pubblica amministrazione oltre a quelli di autonomia e autarchia. Benvenuti F., Disegno dell’amministrazione italiana, 1996, 276.
L'autore ritiene l'autotutela una delle funzioni della pubblica amministrazione.
Egli distingue l’autotutela spontanea - che si manifesta negli atti di annullamento, revoca e abrogazione - da quella necessaria - che comprende gli atti sostitutivi e di approvazione - e da quella contenziosa che si verifica nel caso di ricorso amministrativo.
Altri autori, nel classificare i procedimenti amministrativi, definiscono di secondo grado quelli che hanno ad oggetto altri procedimenti amministrativi.
Nel procedimento di secondo grado l'amministrazione riprende in considerazione i provvedimenti già emanati, per motivi di legittimità (annullamento) o di merito (revoca), ripercorrendo le fasi procedimentali previste a pena di illegittimità e dando, puntualmente, idonea motivazione del pubblico interesse che muove l'amministrazione nell'esercizio del suo potere.
L’art. 19, L. 241/1990, sost. art. 3, D.L. 35/2005, afferma il potere dell’amministrazione competente di assumere, in via di autotutela, determinazioni di revoca o di annullamento.
La giurisprudenza ritiene, però, che l'esercizio di poteri di autotutela da parte dell'amministrazione appaltante , nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica, benché legittimo, possa determinare la lesione dell'affidamento dei concorrenti negli atti revocati o annullati, facendo insorgere obblighi risarcitori (Cons. St. Ad Pl. 5.9.2005, n. 6; Sez. VI, 23.6.2006, n. 3989).
La legittimità dell'annullamento degli atti di gara a causa di una obiettiva incertezza sia del progetto che del bando sulla fungibilità dei materiali, deliberato dal Comune anche in vista di possibili conseguenze per il contenzioso instauratosi, non può considerarsi elemento di per sé escludente la colpa dell'amministrazione per la lesione degli affidamenti suscitati, colpa che va ricondotta al comportamento precedente all'esercizio dello ius poenitendi, consistente nella negligente predisposizione di atti di gara.
Detto comportamento, protrattosi addirittura oltre l'aggiudicazione, contrasta con le regole di correttezza e buona fede di cui all'art. 1337 cod. civ. e determina l'obbligo di risarcire il danno a titolo di responsabilità precontrattuale, che, nella specie, deve essere limitato all'interesse negativo, rappresentato dalle spese inutilmente sopportate per la partecipazione alla gara.
Nel caso di specie è stata ritenuta raggiunta la prova da parte dell'appellante in ordine ai costi sopportati per la redazione dell'offerta e per la partecipazione alla gara per progettazione, consulenza, rilievi, analisi prezzi; riepilogo dei versamenti per contributo Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, per polizza fideiussoria, per valori bollati e per servizi.
L’ente appaltante è stato, pertanto,a condannato al risarcimento del danno effettivamente provato. Consiglio di Stato, sez. V, 30/12/2011, n. 7000.

lunedì 19 marzo 2012

Lottizzazione . Necessità per il rilascio di permesso di costruire. Cons. Stato, sez. IV, 10.1.2012, n. 26

Il piano di lottizzazione è necessario quando si tratti di realizzare degli interventi edilizi in zone sprovviste di opere di urbanizzazione N. Centofanti, P. Centofanti e Mirco Favagrossa, Le convenzioni urbanistiche ed edilizie, 2012, 32.
La giurisprudenza ha precisato che ove si tratti di asservire per la prima volta ad insediamenti edi

lizi aree non ancora urbanizzate — che obiettivamente richiedano, per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo, la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria volte a soddisfare le esigenze della collettività — si rende necessario un piano esecutivo (particolareggiato o di lottizzazione), quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 5.5.2011, n. 2485, FATAR, 2011, 5, 1693.
Il permesso di costruire può essere rilasciato in assenza del piano attuativo solo quando emerga che l'area edificabile di proprietà del richiedente sia l'unica a non essere stata edificata e si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni o dotata delle opere di urbanizzazione primaria.
Il permesso è legittimo, pur in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore, solo quando in sede di istruttoria l'Amministrazione accerti che la zona in cui si inserisce il suolo destinato alla realizzanda costruzione è pressoché completamente edificata, tale da rendere superflua un'opera di lottizzazione; in caso contrario l'esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio del permesso, s'impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo , allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e quindi anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già urbanizzate che richiedono però una più dettagliata pianificazione . Cons. Stato, sez. IV, 10.1.2012, n. 26.
Il richiedente può prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme tecniche del P.R.G. solo ove nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella derivante dall'attuazione della lottizzazione stessa ovvero siano presenti le fondamentali opere di urbanizzazione, quali le strade residenziali, la rete idrica e fognaria e di distribuzione dell'energia elettrica.
Nel caso di specie, il Comune legittimamente ha ritenuto imprescindibile, ai fini del rilascio del permesso di costruire, la previa approvazione del piano di lottizzazione convenzionata così come prescritto dall'art. 13.5 del P.R.G., stante il fatto che l'area interessata era in gran parte non edificata ed era priva di altre opere di urbanizzazione primarie e secondarie. T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 27 ottobre 2010, n. 21819.
Normalmente i piani regolatori subordinano l’edificazione per le zone di espansione alla preventiva approvazione di un piano urbanistico esecutivo che preveda, oltre all’adempimento degli obblighi relativi all’esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, la cessione gratuita di aree per l’urbanizzazione secondaria di quartiere in misura non inferiore ai 18 mq per abitante, ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, o agli standard previsti dalla legislazione regionale.
La giurisprudenza amministrativa ha confermato come il piano sia necessario tutte le volte che ci si trovi di fronte ad una zona di notevoli estensioni e priva di opere di urbanizzazione.
Il principio secondo cui la preventiva lottizzazione è necessaria anche in situazioni intermedie, nelle quali esiste un principio di urbanizzazione, trova conferma ogni volta che si riscontra la doverosità ed utilità della pianificazione urbanistica in zone già compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea ed incontrollata.
L'esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio di un permesso di costruire, si pone quando occorre asservire un'area non ancora urbanizzata ad un insediamento edilizio di carattere residenziale o produttivo mediante la costruzione di uno o più fabbricati che obiettivamente esigano - al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo pure in zone già compromesse da fenomeni d'urbanizzazione spontanea ed incontrollata - la realizzazione oppure il mero potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettività; viceversa, tale esigenza è superflua quando la p.a. non si sia minimamente preoccupata d'accertare lo stato d'urbanizzazione della zona, asseritamente sufficiente a sopportare il nuovo insediamento edilizio.
Il permesso di costruire può essere rilasciato in assenza del piano attuativo, richiesto dalle norme di piano regolatore, solo quando in sede istruttoria l'amministrazione abbia accertato che l'area edificabile di proprietà del richiedente è l'unica a non essere stata ancora edificata e si trova in una zona integralmente interessata da costruzioni e dotata delle opere di urbanizzazione.
Si può prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme tecniche di p.r.g. solo ove nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella derivante dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero la presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti; con la precisazione che il comune è tenuto ad accertare la compatibilità effettiva del nuovo insediamento edilizio rispetto allo stato di urbanizzazione della zona.
T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 3 giugno 2010, n. 8219 .
È necessaria l'esistenza di un piano esecutivo di lottizzazione - o particolareggiato - nelle sole ipotesi in cui si tratti di asservire per la prima volta un'area non ancora urbanizzata ad un insediamento edilizio di carattere residenziale o produttivo, mediante la costruzione di uno o più fabbricati che obiettivamente esigano per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo la realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettività, vale a dire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
La giurisprudenza ha, pertanto, dichiarato illegittimo il diniego di permesso di costruire fondato sulla carenza di un piano di lottizzazione quando l'area sia urbanizzata e difetti una rigorosa valutazione del nuovo insediamento progettato in rapporto alla situazione generale del comprensorio; vale a dire quando non sia adeguatamente ponderato lo stato di urbanizzazione già presente nella zona interessata né siano in modo congruo evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione.
La lottizzazione è necessaria qualora l'area in relazione al progettato insediamento venga per la prima volta interessata da una attività capace di provocare una profonda trasformazione socio economica oltre che strutturale della zona stessa per cui è necessario dotarla di una struttura viaria e di tutte le relative infrastrutture idonee a consentire un insediamento ordinato e razionale, tenuto conto delle costruzioni già realizzate nella zona, di quelle in corso di presentazione e di quelle realizzabili.

L'affare delle mosche



Capitolo 1. La situazione.

Il dolce aprile del 2017 sta arrivando, portando un po’ di tepore che mitiga i rigori dell'inverno.
E’ il mese che tutti attendono con maggiore simpatia, perché con la primavera arriva anche la gioia di vivere all'aria aperta, di muoversi, di sentirsi allegri e spensierati.
E’ il verde risveglio della natura.
E’ a tutti gradito starsene lì, seduti nei bar della grande piazza centrale, a godersi i tiepidi raggi del sole.
La piazza è grande, quadrata.
Tutta la vita della città confluisce lì, anche perché da essa si dipartono a raggiera le vie principali.
Da alcuni anni le strade di accesso alla piazza sono state chiuse al traffico.
Alle porte della città, in prossimità del Viale dei Tigli, quello che porta al grande ponte sul fiume, è stato realizzato un grande parcheggio coperto.
In primavera i tigli iniziano a fiorire ed il loro profumo satura l’aria e rende la vita più felice.
Per accedere all'area della piazza, ormai dominio incontrastato dei pedoni, è necessario inoltrarsi sulle rapide rampe d'accesso del parcheggio, spogliarsi dalla frenetica veste del conducente d'auto ed indossare la divisa del placido pedone.
Abbandonare il mezzo di trasporto anche per fare pochi metri, solo alcuni anni prima sarebbe stata una richiesta improponibile agli automobilisti.
Coll’instaurazione da parte delle autorità cittadine del divieto d'accesso, gli automobili-dipendenti hanno dovuto staccarsi dal volante della loro vettura cui erano incollati fino al raggiungimento della loro meta.
Prima parcheggiavano dappertutto, incuranti dei divieti di sosta, assalivano come uno stuolo di cavallette metalliche ogni angolo della piazza, diventata un grande parcheggio.
Era un ingorgo di macchine piazzate ovunque lungo i marciapiedi delle strade ed arrivavano anche lì, vicino alla balaustra di marmo nero della fontana.
La vista era mortificata, l'armonia geometrica della piazza era deturpata da quel groviglio rozzo e disarticolato di automobili.
Il fluire dei pieni e dei vuoti dei volumi dei porticati era interrotto dalle colonne di macchine parcheggiate nel modo più disordinato, la balaustra della fontana non si vedeva quasi più, praticamente invisibile coperta com’era dalle lamiere colorate.
Ora dopo la cura drastica dei divieti spicca la scultura centrale: un grande calice stilizzato di marmo bianco dal quale esce alto e sicuro lo zampillo d'acqua, scintillante di luci all'imbrunire.
Quell'aprile tuttavia la piazza è stranamente deserta abbandonata anche dai pedoni.
Non vi sono più i soliti gruppi di persone che indugiano a chiacchierare e a bere qualcosa seduti al bar.
Manca la folla chiassosa e variopinta e con essa è assente l'allegria e la gioia di vivere.
Si possono vedere, invece, sciami neri di mosche che pattugliano con metodo scientifico le strade, senza farsene scappare alcuna.
Le mosche hanno occupato la piazza facendo della fontana la loro roccaforte.
Con simili nemici sparsi ormai in ogni angolo, la città sembra completamente paralizzata, gli spostamenti sono limitati allo stretto necessario, i luoghi di ritrovo all'aperto sono quasi del tutto deserti.
Il traffico automobilistico è strettamente ridotto: ormai gli automobilisti osano infilarsi nell’abitacolo solo per raggiungere il luogo di lavoro poiché temono gli assalti degli insetti.
In quelle ore le strade sono di solito animate, ma quell’aprile tutto sembra irreale.
E’ una pena vedere la gente tutta infagottata, per evitare ogni possibile contatto con gli insetti, camminare con passo frettoloso per raggiungere al più presto un qualunque luogo chiuso che può fornire riparo sicuro da quel novello flagello.
Quell’anno le mosche sembra che siano inattaccabili da qualsiasi tipo di insetticida.
Ogni tentativo di debellarle è finora risultato vano.
L’invasione degli insetti è più insistente nelle zone periferiche dove il servizio di raccolta dei rifiuti è meno efficiente.
Il Presidente dall’interno della sua autovettura chiusa ermeticamente osserva preoccupato la situazione.
E’ lui che deve prendere le decisioni per sconfiggere il fenomeno.
Robusto, di corporatura media, l’uomo ha perso parte della sua capigliatura ma non il suo vigore.
Gli ultimi capelli rimasti non riescono ad incorniciargli la fronte, ma stanno lì ritti, ribelli alla pressione del palmo della mano che tenta di farli appiattire sulla testa, come cavalli imbizzarriti.
“E’ proprio na storia da fare venir i caveli dritti” dice a Toni l’autista che da una vita lo scorrazza in macchina per ogni dove.
Il Presidente è un uomo di 55 anni ben portati; egli indossa in quell’occasione un foulard sulla camicia sbottonata ed un giubbotto di pelle scamosciata, i pantaloni di gabardine tengono meravigliosamente la piega anche se lui passa tutto il giorno in macchina e sono in tinta col colore nocciola del giaccone.
L’abbigliamento, pur nella voluta praticità, è elegante e curato.
L’ultima ricognizione prima della riunione del consiglio dell’Ente per il controllo delle mosche è doverosa perché più volte ha promesso alla cittadinanza decisioni rapide che non sono mai arrivate.
Ha promesso di risolvere il problema in tempi brevi, ha promesso il suo interessamento per ottenere il massimo delle risorse per debellare quell’insolito fenomeno.
Il Consorzio per la Lotta alle Mosche ha, in effetti, svolto un’intensa attività di ricerca, convegni, incontri con la cittadinanza.
Ha discusso molto, ha assunto anche qualche usciere per fare le fotocopie delle relazioni, ha dato molte consulenze ma non ha fatto quello che tutti si aspettano per debellare il flagello delle mosche.
Niente disinfestazioni radicali, nessun provvedimento per eliminare i cumuli di immondizia che si trovano ancora stoccati lungo le strade più periferiche. E’ vero, è stato assunto qualche operatore ecologico addetto al taglio dell’erba lungo i canali d’irrigazione ma senza alcuna competenza relativa all’eliminazione dei rifiuti.
La situazione è esplosa durante lo sciopero dei netturbini che si lamentano di dovere operare all’aperto per rimuovere la spazzatura attaccati dalle mosche.
Il blocco dell’attività di rimozione ha provocato il conseguente ampliamento dei cumuli di immondizie lungo le vie della città.
Anche se lo sciopero oramai è rientrato e i mucchi di sacchetti di immondizie sono stati portati in parte alle discariche le mosche sono rimaste.
I più pessimisti temono che la situazione possa assumere proporzioni allarmanti entro breve tempo, all’epoca del grande caldo.
I più allarmisti parlano di possibili epidemie collegate alla scarsa igiene.
Le mosche arrivate per caso hanno trovato nella città il loro habitat ideale.
La città si è come trasformata in un grande campo di battaglia.
E’ come vivere in un clima di guerra: tutti tengono costantemente una paletta ammazza mosche a portata di mano, non solo in casa, ma ovunque, anche sul posto di lavoro.
Le finestre degli edifici sia pubblici che privati sono incorniciate dai più diversi tipi di zanzariera.
Chi non si rifugia nelle case, presidiando porte e finestre con ogni più sofisticato mezzo di difesa, non ha via di scampo.
L’attacco di sciami di mosche è deciso e diretto ed il loro terribile ronzio ossessiona i malcapitati.
Ogni attività all’aria aperta è di fatto impedita.
Nessuno più gioca a tennis o si reca in piscina sia pure a prendere il sole di primavera.
Nessuno più si sposta in bicicletta o in ciclomotore.
La situazione è oramai intollerabile.
Il nemico si può debellare con l’uso degli efficacissimi d.d.t., ma quei prodotti sono stati messi al bando definitivamente: nel paese si sta sostenendo una grande battaglia per riportare tutti ad una migliore qualità di vita.
No agli sprechi, no alle macchine, no ai ritmi alienanti di una civiltà comoda basata sul tutto pronto, sul tutto facile.
Si deve ritornare ad una vita improntata ai ritmi naturali di un tempo.
Quindi no al d.d.t. e a tutti quei prodotti che possono inquinare l’ambiente, bisogna accettare le mosche come componenti dell’habitat e combatterle con rimedi naturali.
Certo che con tali rimedi non è facile sconfiggere neppure quel piccolo insetto, che è così diventato per tutti il nemico pubblico numero uno, la cui eliminazione è assolutamente prioritaria.
Con i suoi occhietti sfaccettati e rotanti che lo tengono sempre all’erta contro ogni tentativo di distruzione da parte dell’uomo, con le sue alucce trasparenti che lo rendono agilissimo in ogni subitaneo spostamento, con il suo corpo piccolo e peloso che dà una sensazione di sporco e di schifo, quel piccolo insetto è stato oggetto dei più attenti studi e delle più complesse ricerche da parte dei migliori esperti assunti dal Consorzio per la Lotta alle Mosche.

Massime


A

Acconto

La pena di chi vuol rivolgersi ad un professionista solo per sentire il suo parere sulla questione.
Se il tuo problema è risolto bene, in caso contrario è meglio cambiare e ricominciare da capo.
E’ il prezzo della non fiducia. (Cremona settembre 1998).

Allontanamento

L’allontanamento di un galantuomo, che ha fatto il suo dovere, è un fatto increscioso. Ma più increscioso è non dare alla notizia un’importanza equivalete al suo reale significato e dimenticarcene quasi subito.
Perché un dubbio è lecito se viene minimizzato l’allontanamento di una figura importantissima e temuta nell’organizzazione statale quanti servitori dello Stato e delle pubbliche amministrazioni sono stati allontanati in malo modo solo perché erano legittimisti (rispettosi solo della legge e non delle logiche di potere) e facevano solo onestamente il loro dovere?
La politica nomina e allontana concorsi pubblici non esistono più per le cariche apicali e nessuno si accorge che stiamo andando verso delle oligarchie incontrollabili che si autoalimentano. (Cremona 4 giugno 2007).

Ambiente
Anche i cavatori di sabbia, i lottizzatori della valle dei templi, i titolari di discariche abusive e gli armatori di petroliere destinate al naufragio si occupano di ambiente. (Cremona settembre 2000).

Ambizione
L’ambizione di raggiungere degli obietti troppo sognati può farti fare degli errori di valutazione che ti condizionano pesantemente nelle scelte da fare.
Puoi uscirne fuori solo valutando con realismo quelle che sono le tue effettive possibilità di riuscita ed accettando di vivere nella tua aurea mediocritas. (Cremona luglio 2001).

Amicizia
Amicizia è condividere la cena o la stanza e affrontare insieme gioie e dolori della vita . (Valcanover agosto 2010).

Amico
Chi sostiene di esserti vicino e di condividere le tue aspirazioni non può raccontarti delle panzane e metterti sulla cattiva strada, ma al contrario deve cercare di chiarire le tue perplessità. (Cremona novembre 2000).

Amministratore
Colui che gestisce al meglio le risorse proprie ed altrui.
Se i beni sono di altri il buon amministratore non approfitta né direttamente (conseguendo solo la giusta retribuzione) né indirettamente (traendo vantaggi per sé od altri) delle risorse affidategli. (Cremona novembre 1999).

Amore di sé stesso
Se non ti vuoi bene e non sei indulgente con te stesso non puoi amare neppure gli altri; sarai sempre troppo esigente fino ad essere insopportabile. (Cremona settembre 2009).

Analitico
Chi vuole affrontare le situazioni segmentando i problemi e seguendo con ogni cura le singole angolazioni che la situazione presenta corre il rischio di perdere di vista gli aspetti essenziali, insistendo su aspetti che alla fine risultano marginali. (Cremona ottobre 2000).

Anchise
Caro amico G, un tempo Enea portava sulle spalle il vecchio padre per sottrarlo alla furia della guerra; ora mi sembra che tu voglia gettarlo nella discarica per disfartene. Ricordati della lezione degli antichi. (Cremona ottobre 2000).

Ansa
Come diceva padre Marino Pozzobon, un bel giorno saremo stanchi di seguire la corrente del fiume della nostra vita e troveremo comodo riposare difesi da un gomito del fiume che ne rallenta il corso. (Cremona aprile 1998).
Api
Stanno uccidendo le api.
Chi impollinerà i nostri fiori, i nostri frutti e il nostro mais.
Non Voglio vivere in una natura di plastica fondata sull’impollinazione artificiale.
Dio proteggi la natura visto che gli uomini vogliono distruggerla. (Cremona dicembre 2008).

Arrivista
Chi per mentalità cerca di inserirsi in ogni attività per ricavarne il massimo utile non tiene al rispetto di nessuna regola se non quella di raggiungere il suo massimo profitto. Non pensare che il cambio di gruppi di potere lo possa fermare nella sua corsa perché cercherà di riciclarsi con chi attualmente comanda. (Cremona agosto 2001).

Artefice
Ciascuno disegna la sua vita con comportamenti consequenziali, giorno dopo giorno, superando crisi e difficoltà.
Non recriminare sul passato, ma programma con determinazione il tuo futuro. (Cremona settembre 2000).

Artinpersona
Se Paolo è figlio d’arte io chi sono?
L’artinpersona?
Il riconoscimento di una persona competente annulla le invidie di una manica di imbecilli (Urbino giugno 2010).

Ascoltare
Lasciare parlare le persone, senza interrompere, è fondamentale per rapportarsi con gli altri ed imparare ad eliminare le spigolosità del tuo carattere. (Cremona dicembre 2004).

Attesa
Lascia decantare le situazioni che possono acquistare col passare del tempo sfumature diverse. Non fare o dire cose che alla luce dei fatti possono farti passare dalla ragione al torto per il volere anticipare giudizi su cose non ancora portare a termine.
La vita è una attesa continua. Devi abituarti ad avere pazienza. Non farti consigliare dal tuo orgoglio che ti vorrebbe fare andare via. Non mollare la presa. (Cremona febbraio 2001).

Aurea mediocritas
Non lamentarti di una vita serena con ritmi pacati di una media città di provincia.
Pensa ai ritmi nevrotici della metropoli che ti rendono complicato anche giocare la rituale partita a tennis con gli amici di sempre. (Cremona dicembre 2000).

Autobiografia
È raccontare il proprio passato. Anche un formulario del diritto amministrativo può raccontare la tua storia processuale, come dice Giuseppe Di Dio. (Cremona ottobre 2000).

Autorità
La capacità di imporsi sugli altri in relazione ad una supremazia economica.
Essa è destinata ad esaurirsi con il dissolvimento delle risorse finanziarie. (Cremona novembre 2000).

Avidità
L’avidità non controllata ti porta a considerare il cliente non per quanto potrai fare per soddisfare le sue esigenze, ma per quanto potrai ricavare dalla tua prestazione. (Cremona dicembre 2000).

Avvocato
Colui che è chiamato per assistere chi è in difficoltà con la legge.
Bisogna ricordarsi di pagarlo perché se no rischia di diventare un nemico.
Come tutti i professionisti è soggetto alla tentazione di fare più gli interessi suoi che quelli del suo cliente. (Cremona ottobre 2000).

sabato 17 marzo 2012

Il grembiulino nero.

1. Capitolo. Il primo giorno di scuola.

Eccolo quel bimbetto con la faccia rotonda, gli zigomi leggermente sporgenti e la riga sul lato destro che divide i folti capelli castani: sono io.
E’ il primo giorno di scuola, non posso prendermela comoda quel giorno, anche se, a dire la verità, è mia madre a non essere mai pronta. Cammino spedito sui gradini del ponte di Rialto.
“Fa presto Nicheto che se no rivemo tardi”. Continua a ripetere mia madre.
Questo repentino cambiamento di abitudini mi ha lasciato soprattutto perplesso.
Non capisco tutta questa fretta: non posso svegliarmi al solito con comodo, non posso rimanere lì a giocare col nonno Nicola per convincerlo a comprami dei nuovi soldatini, non posso scendere in calle a trovare gli amici di sempre, ma al contrario devo affannarmi a correre su e giù per i ponti e per le calli di Venezia per arrivare puntuale. Che vita da cani! Ho appena cinque anni e non ho frequentato l’asilo.
Sono un po' preoccupato perché devo fermarmi a scuola anche per colazione. Le suore preparano il primo, io spero ardentemente che la cuoca dell’istituto cucini bene. Sono ghiotto di pastasciutta, come dimostrano le mie guance paffute.
Io sono abituato ad un pasto alla veneta: spaghetti alle vongole o col nero, risotto de bosega, e qualche volta anche lasagne magari anche il pasticcio di pesce. Come farò a rinunciare a tutto ciò per un’intera settimana? Per fortuna che di sera e nei giorni di festa mangio a casa.
Mia madre porta un cestino di vimini con il secondo. E’ troppo grande e troppo pesante per me.
Indosso un grembiule nero col colletto bianco, come tutti i bambini che frequentano l’Istituto.
Da Rialto la strada è lunga, se ci sono anche dei pesi ingombranti da portare non ce la faccio proprio.
Scendo rapido gli scalini irrazionali di casa e mi affaccio stupito della mia nuova divisa in Calle dei Cinque.
Mi riconosceranno i miei conoscenti della Ruga Rialto?
Nicola il fornaio è il primo a salutarmi “Se lavora ancuo?” mi chiede ridendo.
Il profumo del pane sfornato da qualche ora mi risveglia l’appetito.
Sono subito distolto dal saluto del venditore di soldatini che mi invita a passare nel pomeriggio per vedere gli ultimi arrivi.
Il frastuono di voci dei negozianti della Ruga mi distrae. Sono gli echi delle contrattazioni che i commercianti delle bancarelle, poste in prima linea rispetto ai negozi che delimitano la Ruga, fanno con i clienti.
Si vende di tutto biancheria, scarpe, pizzi di Burano e vetri di Murano, ma soprattutto frutta e verdura .
Il rumore, i colori ed i profumi della Naranzeria costituiscono la testimonianza migliore di una Venezia vitale che trova nel ripetersi sereno delle colorate rappresentazioni quotidiane dei suoi abitanti il suo fascino ora in via di estinzione.
Senza le storie di tutti i giorni dei veneziani la città è destinata a diventare un museo con tanti, tanti turisti che, emuli del barbaro invasore, strappano a poco a poco la linfa vitale alla città del leone.
Tagliamo per le calli più nascoste che si incuneano a fianco a S. Giovanni Elemosinario dove passa meno gente per andare più spediti
Sbuchiamo a metà della Ruga degli Orefici all’altezza della chiesa di S. Giacomo di Rialto.
Siamo appena partiti e siamo già passati davanti a due chiese dove puntualmente mi faccio il segno della croce seguendo l’esempio di mia madre.
Prima di attraversare il ponte propongo subito alla mia compagna di viaggio una sosta alla panetteria di Lino; lì si vende il pane dolce con l’uvetta passa che mangio per merenda alle cinque.
Lino il rivenditore di pane si trova in una botegheta di dieci metri quadrati situata ai piedi del ponte di Rialto.
E’ talmente stretta che i clienti possono entrare due per volta ma c’è un profumo di pane appena sfornato davvero invitante.
“Fermemose qua!” imploro tirando per la gonna mia madre.
“Sì ma femo presto che xe tardi.”
Lino capisce al volo la nostra fretta e ci serve in un lampo:“ Bona scuola” mi incoraggia.
I gradini del ponte sono tanti. Il bordo bianco è scivoloso per l’umidità della notte che non ha fatto ancora a tempo ad asciugarsi.
Arranco su quella salita imponente. Non ci sono alternative. E’ una vera e propria scalata impegnativa per un bambino di neppure sei anni.
Non si può prendere neppure il traghetto perché il trasporto su gondola è alternativo alla mancanza di attraversamenti del canale e qui c’è il ponte. I gondolieri non hanno pensato a noi piccoli scolari!!!
Il ponte si erge sul canale all’altezza necessaria per consentire il passaggio delle barche; le due ali di boteghe che lo accompagnano ne camuffano solo apparentemente la reale elevazione.
Il Da Ponte ha pensato sicuramente a tutto questo affollamento. Non deve essere tanto diverso da quello della fine cinquecento quando primo fra i ponti veneziani è stato costruito per collegare le le due sponde del Canal Grande nel punto in cui si svolgevano con maggiore intensità la vita ed il commercio della città fiorente dopo Lepanto.
Molta gente è lì per ragioni di lavoro ed ha fretta di passare.
Altri sono lì per vacanza.
I turisti si notano subito perché indugiano sulle balaustre di marmo che delimitano le rampe a vedere il traffico di barche ed il panorama.
“Ocio a le gambe” urlano i ragazzotti che spingono i carretti ingombri di merci per il mercato.
In quel bailamme generale mi faccio scudo della presenza di mia madre che utilizzo come ariete per fendere la folla.
Da una parte sul canale si affacciano di infilata uno dietro l’altro i fastosi palazzi simbolo della ricchezza della Repubblica : a destra si staglia il rivestimento in pietra d’Istria del Palazzo dei Dieci Savi, seguono il Palazzo Papadopoli, con un timido albero che si lascia intravedere pur sovrastato dalla imponente costruzione, il Palazzo Bernardo, il Palazzo Grimani, il Palazzo Pisani e in fondo Palazzo Balbi, che vigila sull’ansa del canale ; a sinistra il severo Palazzo Manin il più festoso Palazzo Loredan e il Palazzo Spinelli prima che il canale curvi a sinistra si intravedono i Palazzi Mocenigo.
Dall’altra parte il canale si volge repentinamente a sinistra costringendo i capitani dei vaporetti e le barche ad una attenta manovra per poi proseguire rettilineo.
Sulla destra qualche speranzoso turista spera di vedere ancora sulle pareti del Fondaco dei Tedeschi le tracce degli affreschi, oramai distrutti dalla salsedine, del giovane Giorgione; subito dopo si ergono Cà da Mostro, Palazzo Michiel delle Colonne e facendo opportune contorsioni alcuni più attenti ospiti della città possono intravedere le incredibili decorazioni marmoree della Cà D’Oro.
Sulla sinistra si scorge il Palazzo dei Camerlenghi poi corre dritta la fondamenta della Pescheria in fondo il Palazzo Corner della Regina e Palazzo Pesaro che si può vedere solo dopo essere discesi dagli ultimi gradini del ponte.
Le glorie della Repubblica del Leone riemergono dalle oscurità del tempo ogni qualvolta le risveglia la memoria dei cittadini o dei turisti che conoscono quella storia.
Il ricordo riporta alla luce i fasti di questi veneziani prodigiosi protagonisti del loro tempo.
Giungiamo rinfrancati dalla discesa in Campo San Bortolomio e giriamo attorno alla statua di Daniele Manin.
Il padre della Repubblica veneta aveva invano aveva tentato di resistere agli austriaci cui Napoleone aveva venduto la Serenissima in nome dei principi di libertà, eguaglianza e fraternità.
“Varda che drio el cuo del Manin ghe xe i schei” dice sorridendo mia madre indicandomi la sede della Cassa di Risparmio di Venezia.
Entriamo nel Sotoportego de la Bissa.
Sembra impossibile passare dalla luce del campo al buio delle calli che attraversando il sottoportico.
Venezia è così imprevedibile, segreta, ricca di colpi di scena, palcoscenico ideale della commedia della vita che tutti recitiamo ogni giorno.
Vorrei subito fare una sosta nella rosticceria da dove proviene uno stuzzicante profumo di cibo e dove posso ammirare un accattivante tripudio di colori che irrompono dai vassoi posti sul lungo bancone: il bianco del baccalà mantecato, il nero delle seppie, il giallo delle mozzarelle in carrozza - appena tolte dall’olio bollente della frittura - l’arancio bruno delle aragoste , il grigio scuro delle moleche .
“Magnemo, ancuo dopo pranso na mozarea?” mi prenoto anzitempo perché non si sa mai che ci siano altri programmi.
“Sì, sì, ma adeso semo in ritardo.”
Arrivati al Ponte Storto ritorniamo a rimirare una fetta di cielo perché a Venezia se non si esce dal groviglio delle Calli non è possibile guardare il cielo per la sua interezza.
Siamo già a metà strada “Manca sto ponte e na cale e po semo rivai” conferma mia madre.
Avanziamo per la Salizzada di S. Lio. Questa è una via del tutto normale con tanti negozi che vi si affacciano, noto che manca il colore tipico delle bancarelle di Rialto.
E’ una strada signorile che porta verso Piazza S. Marco.
Giunti poco prima della Calle delle Bande prendiamo a sinistra una calle lunga e stretta che sfocia ad angolo retto sulla piccola fondamenta ingombra di bambini.
Bastano una decina di bambini accompagnati dalle loro mamme per creare un affollamento.
La stretta entrata che si apre sulla destra non consente un celere accesso nell’androne dell’austero Istituto.
Mia madre è stata un’allieva delle suore dell’Istituto.
E’ un obbligo per me seguire questa tradizione di famiglia.
I bambini sono entrati subito perché è impossibile aspettare fuori: la fondamenta è troppo piccola.
La suora addetta alla portineria ci accoglie con un sorriso che tenta di nascondere la sua aria burbera e un po’ brontolona addolcendo la sua faccia spigolosa; ci dice di salire su al primo piano.
Di fianco si apre un cortile.
I glicini si inerpicano sul muro che confina col canale. Non ho mai visto in città dei fiori così belli.
“Quello è il cortile dove andrete a giocare” borbotta con un tono che vuole essere accattivante la suora portiera.
Noto subito che all’Istituto non si parla in venezian.
Avanti, avanti! lo scalone mi sembra una salita invalicabile; alla fine sbuchiamo in una grande sala dove ci sono tanti bambini col grembiulino nero ed il colletto bianco.
Qualcuno è contento. Gli scolari di seconda e terza ridono e scherzano con i compagni.
Quelli di quarta e di quinta fanno gruppo a parte. Si sentono veterani e non si mischiano con i più piccoli.
Altri piangono. Sono gli allievi di prima elementare che devono ancora digerire il primo giorno di scuola e non sanno staccarsi dalle gonne delle loro madri.
C’è un gran frastuono.
“Mi no vogio star qua” singhiozza una bambinetta scuotendo la testa e facendo dondolare le treccine bionde.
Lei, come me, evidentemente non ha frequentato l’asilo, non è abituata a lasciare le gonne protettive di sua madre e non ha ancora socializzato con i suoi coetanei.
Il sorriso e le carezze materne non possono rincuorarla anzi la consolazione la può trovare solo dopo che se ne sarà andata.
E’ per questo che la suora cerca di spingere la donna fuori dell’uscio per interrompere quel legame ombelicale.
Io pure avrei preferito rimanere a casa.
Starmene a giocare con i soldatini.
Parlare dal balcone con la signora Emma o andare di sopra a fare compagnia allo zio Pasquale e alla zia Nina.
Da oggi devo, invece, recarmi tutti i giorni a scuola.
Che noia! Che disdetta rinunciare ai miei giochi preferiti, non vedere i miei amici del cuore, saltare il pasto di mezzogiorno, magari alla cucina di zio Pasquale, per stare lì inchiodato ad un banco di legno a fare delle aste.
Le aste che non mi vengono neanche troppo dritte: che disastro!
E’ un’ingiustizia perché ho appena cinque anni e la scuola dell’obbligo comincia a sei se non scegli di frequentare un istituto privato di monache.
Vorrei protestare, ma in famiglia nessuno mi ascolta e con le suore non ho alcuna possibilità di farmi sentire perché la loro disciplina non ammette repliche. Devo stare lì e rinunciare ai miei piccoli piaceri.
Basta pastasuta, devo accontentarmi di quello che passa il convento.
Soprattutto minestrone. L’incubo minestrone è costante tutti i giorni. C’è solo la speranza di un miracolo che mi sostiene: un giorno arriverà, ne sono certo, la sospirata pastasuta.
Io detesto la verdura: sempre verdura cotta che riempie di un odore nauseabondo tutto l’austero palazzo!
L’odore intenso della zuppa di verdura sovrasta ogni possibile buon odore della cucina delle suore.
Per fortuna la pietanza me la porto da casa: oggi folpeti, domani cotoletta con l’immancabile panino dolce con l’uvetta. Un po’ di bontà fra cotanto disprezzato minestrone. Mangiare lì è una tortura che fa dimenticare ogni piacere della tavola anche per un palato poco raffinato come quello di un bambino.