giovedì 26 aprile 2012

Imposte IMU Imposta Municipale Unica. Costituzionalità


Il nuovo tributo IMU, Imposta Municipale Unica, che amplifica la base imponibile e le aliquote dell’ICI, Imposta Comunale degli Immobili, ripropone vecchie tematiche sulla costituzionalità dell’imposta.
La giurisprudenza in tema di imposta comunale sugli immobili (i.c.i.), ai sensi dell'art. 1, comma 2, d.lg. 30 dicembre 1992 n. 504, ha affermato che il presupposto dell'imposta è il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli "a qualsiasi uso destinati", mentre per l'art. 5, comma 1, del medesimo decreto, base imponibile è il valore venale degli immobili, il quale si determina, per i fabbricati iscritti in catasto, con riguardo alla rendita catastale: ne discende che restano irrilevanti la capacità del bene di produrre reddito, nonché il rilascio del certificato di abitabilità, coincidendo il momento impositivo con la giuridica esistenza dell'immobile, qualificata dalla idoneità del bene ad essere iscritto in catasto. Cassazione civile, sez. trib., 18/06/2010, n. 14820
La nuova IMU ripropone la questione se la stessa imposta non contrasti con i principi fissati  dall’art.  53 cost C. Sforza Fogliani, Nuovo catasto patrimoniale permanente, in Nuova Rass., 2012, ,295.. .
La norma  afferma che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Si può considerare espressione di capacità contributiva il possesso di un bene immobile nel caso in cui questo non produce reddito.
La Corte ha precisato per la nozione di reddito occorre far riferimento a ciò che, nei limiti della ragionevolezza, è dal legislatore qualificato tale Corte cost. 109 del 2002.
In questo caso il reddito tassabile non esiste poiché soprattutto nella prima casa e nella casa tenuta a disposizione l’indice della capacita contributiva è il precedente reddito che ha consentito l’acquisto degli immobili.
L’ipotesi dell’aumento del catasto ed i costi che gli immobili comportano, manutenzione, spese condominiali, certificazione degli impiantì ed energetiche stanno creando un numero sempre più numeroso di ex proprietari di prima casa costretti a vendere e a chiedere immobili in affitto agli enti pubblici  a prezzo calmierato.
In tal senso la perdita della capacità contributiva comporta ma necessità di vendere.
Ma ciò è in linea con le norme che tutelano la proprietà come forma di libertà economica e indipendenza sociale dell’individuo?
Il nuovo parametro è quello dell’art. 43 cost. e l’art. 1 all.1 della CEDU che tutelano e garantiscono la proprietà dei singoli e non solo quella dei grandi potentati economici.
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L'imposta non è detraibile dal reddito quindi sull'importo pagatto per l'IMU è soggetto all'imposta sulel persone fisiche.
Complimenti è un' interpretazione che serve a fare pagare ai contribuenti due imposte per lo stesso reddito
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Le fondazioni bancarie siano state esentate dal pagare l'Imu, perché riconosciute come associazioni no-profit.
Come può considerarsi no profit un ente che ha capitali investiti in Titoli di Stato o aziende secondarie, con l'unico scopo di trarne del reddito?
Se l’ente fa della beneficenza la detrae dalla denuncia IRPEG come tutti i mortali.
Non occorre ricordare che l’imu come l’ici per i comuni mortali non è detraibile dalle tasse.
Su l’imu, come per l’ici, si pagano le imposte sul reddito secondo lo schema che chi dichiara è colpito dal fisco sempre due volte.
La norma è chiaramente incostituzionale poiché contraria al principio che le imposte si pagano secondo la capacità contributiva e secondo il principio di uguaglianza.
Le leggi tributarie devono colpire fatti che siano espressivi di capacità contributiva secondo il principio della progressività, ex art. 53 cost.
Per il principio di uguaglianza, ex art. 3 , tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge: ma è proprio così?

Il responsabile del procedimento. Compiti. Limiti.


E’ fatto obbligo alle amministrazioni di indicare un responsabile del procedimento, che è il dirigente di ogni unità organizzativa, il quale può provvedere ad assegnare ad altro dipendente la responsabilità dell’istruttoria o di un’altra fase, ad esempio quella costitutiva o esecutoria, del provvedimento. D. D’ALESSIO, Il responsabile del procedimento. La rivoluzione di una sola figura di riferimento, in Guida Dir. Dossier, 3, 2011, 10.
L'omessa indicazione del responsabile del procedimento non può mai ex se assumere valenza di vizio procedimentale tale da portare all'illegittimità dell'atto. Tanto in ragione del fatto che la mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento al soggetto interessato rappresenta una mera irregolarità, insuscettibile di determinare l'illegittimità dell'atto, alla quale è peraltro possibile supplire considerando responsabile il funzionario preposto alla competente unità organizzativa. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 9 settembre 2010, n. 32207. Centofanti N. e  Centofanti P. e Favagrossa M..Formulario del diritto amministrativo 2012, 37.
L'istruttoria dei procedimenti amministrativi deve essere informata al principio della iniziativa d'ufficio e del potere - dovere del responsabile del procedimento di acquisire d'ufficio ogni elemento utile per l'istruttoria e di invitare gli interessati a regolarizzare istanze e dichiarazioni incomplete. Ne deriva che, a fronte di una documentazione ritenuta inidonea, è onere dell'amministrazione completare l'istruttoria richiedendo all'interessato quanto necessario a tal fine, ex art. 6, lett. b), L. 7 agosto 1990, n. 241,.
L'ambito naturale di applicazione dell'art. 6 della legge 241/90 è quello della incompletezza o della erroneità dei documenti che il privato deve ,di consueto ,produrre a corredo di un'istanza rivolta alla P.a..
Per la giurisprudenza l'integrazione documentale o la rettifica di dichiarazioni erronee possono avere luogo quando si è al cospetto di un contegno del privato immune da deliberata volontà di tacere circostanze rilevanti , o in casi di incolpevole errore nella predisposizione di un'istanza .
Solo in presenza di queste condizioni, l'istituto invocato dalla società ricorrente persegue un obiettivo di giustizia procedimentale che consente di sanare l'eventuale irregolarità di una domanda attraverso la potestà di sollecitarne il completamento e una corretta ostensione alla P.a procedente
Il principio di autoresponsabilità del privato nell'ambito di un procedimento ad evidenza pubblica diretto all'aggiudicazione di un appalto di servizi si collega l'istituto della autocertificazione attraverso il quale, in un'ottica di semplificazione ma anche di leale collaborazione tra privato e P.a., si consente a chi partecipa ad una gara di rendere dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti di ordine generale contemplati dall'art. 38 del codice appalti, ivi compresa la sussistenza, a proprio carico, di condanne penali .
Il privato concorrente è dunque chiamato, in forza di questa disposizione, a rivelare con lealtà la sussistenza di condanne per reati gravi capaci di minarne la moralità professionale .
Il suo contegno reticente o mendace in una fase di iniziale contatto con la Stazione appaltante, come quella della compilazione della domanda di partecipazione alla gara, produce la conseguenza, legislativamente prevista ,della esclusione dalla gara medesima, quando il provvedimento sia ancora giuridicamente possibile ; ovvero, quella di legittimare la stazione appaltante ad avvalersi dei rimedi contrattuali specificamente pattuiti, come è avvenuto nel caso.
Nel caso di specie  è stato affermato che l'art. 6 non può comportare la "correzione" postuma di una dichiarazione resa dal partecipante ad una gara pubblica in ordine alla sussistenza di condanne gravi ; prima di tutto perché si tratta di requisiti la cui sussistenza esula dalla sfera di controllo o anche solo di disponibilità del privato e che , pertanto, non essendo reperibili o integrabili aliunde o sussistono o non sussistono.
 In secondo luogo la legge esige, fin dal primo momento , uno sforzo di lealtà da parte del privato a motivo della particolare rilevanza che nel nostro ordinamento rivestono le procedure di affidamento di servizi pubblici . T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 05/10/2011, n. 1724.

sabato 21 aprile 2012

Pubblico impiego Nomina dirigenti. Incarico fiduciario . Revoca. Limiti.


La Corte costituzionale, con la sentenza n. 233/2006,  ha evidenziato che le disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo dell'organo politico l'automatica decadenza di titolari di uffici amministrativi (c.d. spoils system) sono compatibili con l'art. 97 Cost. solo qualora si riferiscano a soggetti che: a) siano titolari di "organi di vertice" dell'amministrazione e b) debbano essere nominati "intuitu personae", cioè sulla base di "valutazioni personali coerenti all'indirizzo politico regionale".
La Corte ha precisato che la norma fa riferimento a nomine "intuitu personae" effettuate dagli organi politici della Regione, di talché risulta ragionevole la scelta legislativa in forza della quale esse cessano all'atto dell'insediamento di nuovi organi politici, in quanto tale scelta mira a consentire a questi ultimi la possibilità di rinnovarle, scegliendo (su base eminentemente personale) soggetti idonei a garantire proprio l'efficienza e il buon andamento dell'azione della nuova Giunta, per evitare che essa risulti condizionata dalle nomine effettuate nella parte finale della legislatura precedente.
La successiva giurisprudenza costituzionale, nel confermare il principio sviluppato nella sentenza n. 233 del 2006, ne ha precisato la portata, affermando che i meccanismi di c.d. spoils system, ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l'ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell'organo che nomina, si pongono in contrasto con l'art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell'azione amministrativa, introducono in quest'ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall'incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall'accertamento oggettivo dei risultati conseguiti (sentenze n. 390, n. 351 e n. 161 del 2008; sentenze n. 104 e n. 103 del 2007).
L’incarico dirigenziale fiduciario comporta un trattamento economico stabilito con contratto individuale che può baipassare i limiti fissati dai contratti collettivi nazionali.
Alla contrazione di assunzioni del pubblico impiego, per contenere la spesa,  fa dunque riscontro un riconoscimento di funzioni a dirigenti chiamati per meriti non acquisti sul campo della pubblica amministrazione ma fuori con stipendi ben maggiori di quelli previsti dai contratti di lavoro ch sono in assoluta sintonia con la classe degli amministratori, che li hanno nominati .
Amministratori che hanno aumentato i loro compensi in misura proporzionale a quella degli alti dirigenti che li supportano.
Si è realizzato un cerchio magico autoreferente.
Questa i impostazione ha comportato la drastica riduzione, per esigenze di contenimento della spesa,  della classe impiegatizia media quella che lavorava e si assumeva la responsabilità a favore di una classe impiegatizia alta ben remunerato che attua indirizzi politici ma che non necessariamente redige materialmente gli atti.
Risultato una buona dose di consulenze in più e l’attribuzione esterna di incarichi che prima l’amministrazione svolgeva in proprio. Così si è creata una classe di supermanager e una di impiegati riducendo gli incarichi prima attribuiti ai funzionari intermedi.
La spesa peraltro non è diminuita.
Basta guadare i bilanci degli enti e ci si accorge che la spesa è aumentata riducendo i servizi!
La giurisprudenza ha cercato di porre di i limiti alla nomine discrezionali
Essa, ad esempio,  ha escluso che i direttori generali delle Asl siano dirigenti apicali e che essi vengano nominati in base a criteri puramente fiduciari, cioè in ragione di valutazioni soggettive legate alla consonanza politica e personale con il titolare dell'organo politico. Corte cost.. 104 del 2007
In riferimento al requisito della scelta "fiduciaria", cioè effettuata sulla base di valutazioni soggettive di consonanza politica con il titolare dell'organo che nomina, la Corte ha osservato che il direttore generale di Asl, al contrario, è nominato fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e professionali" e viene "qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire gli obiettivi gestionali e operativi definiti dagli indirizzi della Giunta.
Quanto affermato nella sentenza n. 104 del 2007, relativamente ai direttori generali delle Asl del Lazio, è stato ribadito dal giudice delle leggi anche in ordine ai direttori generali delle Asl della Regione Calabria e al direttore generale dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Calabria (Arpacal), quest'ultimo essendo ai primi equiparato quanto al trattamento economico e giuridico, nonché al "regime della decadenza, della revoca, della cessazione dal servizio e sull'incompatibilità" (art. 11, comma 9, della legge della Regione Calabria 3 agosto 1999, n. 20).
I meccanismi di c.d. spoils system, ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l'ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell'organo che nomina, si pongono in contrasto con l'art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell'azione amministrativa, introducono in quest'ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall'incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall'accertamento oggettivo dei risultati conseguiti. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 19/12/2011, n. 1624.
Sotto altro profilo la giurisprudenza ha limitato la possibilità di revoca ad nutum del dirigente incaricato per scelta discrezionale.
Il d.lg. 30 marzo 2001 n. 165, art. 21, peraltro prevede la revoca dell'incarico dirigenziale solo "in relazione alla gravità dei casi"; sicché occorre che sussistano i presupposti di fatto della responsabilità dirigenziale (mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanze di direttive, illeciti disciplinari) e che questi raggiungano una soglia di apprezzabile gravità tale da essere proporzionale alla più radicale misura della revoca dell'incarico.
Il super dirigente caduto in disgrazia può pertanto rimanere al suo posto e chiedere in caso di revoca il risarcimento per danno ingiusto, tanto paga il contribuente.
In ogni caso, a garanzia del dirigente, gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità dell'art. 21, comma 1, secondo periodo, cit. Quanto poi alle conseguenze della revoca illegittima dell'incarico dirigenziale la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici non è quella dell'art. 2118 c.c., propria dei dirigenti privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti con qualifica impiegatizia. Pertanto, in caso di revoca illegittima dell'incarico dirigenziale ne consegue che l'Amministrazione è tenuta a ripristinare l'incarico dirigenziale illegittimamente revocato ed a corrispondere le differenze retributive. Cassazione civile, sez. un., 01/12/2009, n. 25254, in Giust. civ. 2010, 3, 719.

giovedì 19 aprile 2012

Semplificazione amministrativa.Una Chimera

Mi illumini chiarissimo opinionista.
Come ha uno stato (con la s minuscola) può creare espansione economica quando amministrazioni pubbliche e enti assistiti dallo stesso stato utilizzano i loro fondi per remunerare profumatamente amministratori e manager .
Gli stessi fra l’altro hanno mille attività, tutte autorizzate, e quindi sono impegnati a fare i loro interessi più che quelli degli enti che li pagano?
La cosa più deleteria è che i migliori vengono cacciati via ed i peggiori sono osannati.
La semplificazione amministrativa non esiste . Non so cosa abbia fatto il ministro competente.
Ma qualcuno si è mai preso la briga di leggere criticamente le istruzioni al 730 e all’unico.
Lo stato paga organi non statali per fare/controllare delle dichiarazioni dei redditi che un comune cittadino dovrebbe potere fare tranquillamente da solo!
L’accertamento ici/imu in un paese civile te lo mandano a casa perché i dati li hanno nei date base invece qui te la fanno fare complicando i calcoli e neppure dicendoti le aliquote da applicare un paio di mesi prima del pagamento: così il risparmiatore è più disponibile ad investire nell’edilizia.

mercoledì 18 aprile 2012

Espropriazione Dichiarazione pubblica utilità. Termine di efficacia. Proroga.

Il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità può stabilire il termine entro il quale il decreto di esproprio deve essere eseguito.
Manca nel testo legislativo la distinzione fra termine relativo alle espropriazioni e termine relativo ai lavori che caratterizzava la dizione dell’art. 13, l. 25.6.1865, n. 2359.
Con l’entrata in vigore del nuovo t.u. espr. viene meno la necessità di indicare i termini, distintamente, per le due attività, mentre la loro mancanza comportava, nella precedente disciplina, la dichiarazione di illegittimità.
L’apposizione del termine per le operazioni espropriative è definita da una norma facoltativa per questo la mancanza dell’indicazione della durata del procedimento non è motivo di illegittimità della procedura.
La norma è vista dalla dottrina in maniera assolutamente positiva, poiché destinata a ridurre il contenzioso tanto più che l’opera sorge su area già acquisita dall’ente espropriante, perciò i tempi di realizzazione non devono più essere rapportati all’urgenza dichiarata. N. Cento fanti, Diritto urbanistico , 2008, 411.
E’ adeguata la normativa a quanto richiesto dalla giurisprudenza nei casi di dichiarazione implicita di pubblica utilità nell’approvazione di strumenti urbanistici attuativi, quale ad esempio il piano di zona.
Per le aree interessate dalla pianificazione attuativa il limite è la relativa scadenza dei piani, che è, ad esempio, decennale per il piano particolareggiato.
In tali casi la legge espressamente fissa dei termini di efficacia inerenti alla durata dello stesso piano, tanto da escludere che il procedimento ablatorio debba tassativamente stabilire delle scadenze essendo esse già fissate dalla norma (Cons. St., sez. IV, 16.10.1998, n. 1313, RGE, 1999, 330).
L’art. 13, 5° co., d.p.r. 8.6.2001, n. 327, consacra il principio fissato dalla giurisprudenza che consente la proroga dei termini nei casi di forza maggiore e per altre giustificate ragioni.
I requisiti della proroga sono tassativi; essa deve essere disposta prima della scadenza del termine e non avere durata maggiore dei due anni.
La giurisprudenza ha in precedenza ammesso la proroga dei termini che doveva essere, secondo i principi generali, congruamente motivata e approvata prima della scadenza.
La giurisprudenza ha ribadito che i termini possono essere prorogati per i casi di forza maggiore e per altri motivi indipendenti dalla volontà dell'espropriante, ma sempre fissando la relativa scadenza; l'inadeguata motivazione è fonte di illegittimità del relativo provvedimento (Cons. St., sez. IV, 21.7.1997, n. 724, CS, 1997, 1008).
La giurisprudenza ha precisato che l’apposizione di un termine di efficacia alla dichiarazione di pubblica utilità è volta a prevenire ogni protrazione ad libitum della condizione del bene assoggettato alla potestà ablatoria e va fissato nell'atto che dichiara la pubblica utilità dell'opera (Cons. Stato, Sez. VI, 21 luglio 2011, n. 4432).
Se la proroga è considera necessaria nel caso in cui l’opera pubblica sia stata terminata manifestando, quindi, l’interesse pubblico alla definizione del processo espropriativo, evapora lo stesso interesse partecipativo della proprietà alla comunicazione dell’avvio del procedimento.
Ai fini della valutazione della mancata comunicazione dell'avvio del procedimento non può che valere l'art. 21 octies, co. 2, secondo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale è applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale ( Cons. Stato, Sez., VI, 7 giugno 2011, n. 3416); con ciò escludendosi che la censura di carattere formale possa determinare la illegittimità del provvedimento in questione.
La dottrina ha precisato, invece, che non è possibile ritenere che il provvedimento di proroga dell'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità abbia in realtà inteso prorogare tutti i termini comunque afferenti alle procedure espropriative, considerate nel loro complesso come il termine di efficacia dell'occupazione d'urgenza. A. Masaracchia, Il mantenimento dell’opera pubblica già realizzata prevale sul procedimento di esproprio non legittimo, in Guida Dir. , 2012, 16, 48.
Il termine stabilito per l'inizio e la fine dell'occupazione ha sul piano sostanziale e funzionale finalità diversa rispetto al termine entro il quale deve avere luogo l'espropriazione.
Essa individua, infatti, l'arco temporale durante il quale, ancorché non sia perfezionato il procedimento di esproprio, è consentita l'immissione nel possesso nel bene dell'ente espropriante.
La giurisprudenza configura l'occupazione illegittima dalla data di scadenza del termine di efficacia della stessa sino a quella dell'esproprio, qualora scaduto il termine per essa previsto non siano intervenute tempestive proroghe della stessa ( Cons. Stato, Sez. IV, 10 novembre 2003, n. 7135).
Sussiste in capo ai soggetti passivi del procedimento di occupazione il diritto al ristoro del danno sofferto, Nel caso di specie è stato liquidato in favore di tali soggetti il danno ingiusto oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria a far data dal verificarsi dell'evento dannoso. Consiglio di Stato sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1482

martedì 17 aprile 2012

Sanzioni amministrative. Decurtazione dei punti dalla patente di guida. Opposizione in via preventiva al giudice di pace.

L'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, dispone che l'organo da cui dipende l'agente che ha accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio, ne da notizia, entro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata, all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida.
La contestazione si intende definita quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi.
La comunicazione può essere effettuata solo se la persona del conducente, quale responsabile della violazione, sia stata identificata inequivocabilmente; tale comunicazione avviene per via telematica o mediante moduli cartacei predisposti dal Dipartimento per i trasporti terrestri.
Il proprietario del veicolo che omette, senza giustificato e documentato motivo, di fornire all'organo di polizia che procede i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione.
è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 272,00 a Euro 1.088,00.
L’ orientamento maggioritario della giurisprudenza afferma che il verbale di accertamento di un'infrazione al codice della strada cui consegue la decurtazione dei punti sulla patente non è immediatamente impugnabile con riferimento al punto de quo, in quanto esso non contiene un provvedimento irrogativo di sanzione amministrativa, ma solo un preavviso di quella specifica conseguenza della futura ed eventuale definitività del provvedimento.
La decurtazione dei punti dalla patente, infatti, viene irrogata dall'autorità centrale preposta all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, all'esito della segnalazione conseguente alla definizione della contestazione relativa all'infrazione che la comporta" Cass., sez. II, ord. 30 marzo 2009, n. 7715.
Il verbale non contiene un provvedimento irrogativo della sanzione ma solo un preavviso di quella specifica conseguenza della futura ed eventuale definitività dell'accertamento, non è sotto tale profilo impugnabile per difetto dell'oggetto
Successivamente le Sezioni Unite hanno riconosciuto la immediata ricorribilità avverso il preavviso di fermo amministrativo.
Esse hanno affermato che "l preavviso di fermo amministrativo D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ex art. 86, che riguardi una pretesa creditoria dell'ente pubblico di natura tributaria è impugnabile innanzi al giudice tributario, in quanto atto funzionale a portare a conoscenza del contribuente una determinata pretesa tributaria, rispetto alla quale sorge ex art. 100 cod. proc. civ. l'interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva, a nulla rilevando che detto preavviso non compaia esplicitamente nell'elenco degli atti impugnabili contenuto nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, in quanto tale elencazione va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448" (Cass., S.U., 11 maggio 2009, ord. n. 10672).
Il legislatore ha dettato con il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione e all'art. 7, comma 12, sotto la rubrica relativa all'opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada, ha stabilito che il giudice, quando rigetta l'opposizione, non può escludere l'applicazione delle sanzioni accessorie o la decurtazione dei punti dalla patente di guida, con il che implicitamente riconoscendo che tra le sanzioni accessorie alle quali, ai sensi del medesimo art. 7, comma 4, si estende l'opposizione, è senz'altro ricompresa quella della decurtazione dei punti dalla patente di guida.
Recependo tali nuovi indirizzi la giurisprudenza ha affermato il principio che
in tema di sanzioni amministrative conseguenti a violazioni del codice della strada che, ai sensi dell'art. 126-bis C.d.S., comportino la previsione dell'applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida, il destinatario del preannuncio di detta decurtazione - di cui deve essere necessariamente fatta menzione nel verbale di accertamento - ha interesse e può quindi proporre opposizione dinnanzi al giudice di pace, ai sensi dell'art. 204-bis C.d.S., onde far valere anche vizi afferenti alla detta sanzione amministrativa accessoria, senza necessità di attendere la comunicazione della variazione di punteggio da parte dell'Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. Cassazione civile sez. un. 13 marzo 2012, n. 3936.
La dottrina applaude detta soluzione che è in linea con al tutela dei diritti del cittadino e se non altro al fine di semplificare interminabili discussioni in tema di competenza. E. Sacchettini, Riconosciuto l’interesse immediato del trasgressore a contestare in via preventiva la sanzione accessoria, in Giuda Dirittto 2012, 14, 73

Pubblico Impiego Sanzioni disciplinari: Destituzione per uso sostanze stupefacenti.

Il potere disciplinare della pubblica amminsitrazione incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo caso il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio.
Ai sensi dell’art. 55, comma 3, D.L. vo 165/2001, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.
Il comma 2 dello stesso articolo contiene un’altra disposizione di particolare rilievo sull’argomento, in quanto si limita a dichiarare applicabili solamente l’art. 2106, c.c. e l’art. 7, commi 1, 5, 8, L. 20 maggio 1970, n. 500, senza rinviare integralmente alla normativa privatistica.
Nel procedimento disciplinare previsto dal citato art. 55, l’interessato può impugnare il provvedimento disciplinare immediatamente davanti al giudice, prescindendo dal ricorso al collegio arbitrale, in modo analogo, peraltro, a quanto, ai sensi dell’art. 7, L. 300/1970, è consentito al dipendente privato. T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 febbraio 1999, n. 58. N. Centofanti, Formulario del diritto amministrativo, 2009, 739.
La giurisprudenza riconosce l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate.
Essa riconosce legittima la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di una sostanza stupefacente.
La sentenza precisa che l'appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto - fra l'altro - al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all'appellante con la dovuta severità (Cons. Stato, Sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6099.
La condotta rimproverata è del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l'irrilevanza penale del fatto, l'asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell'incolpato, ma giustifica la sanzione espulsiva ai sensi dell'art. 40, n. 6, della legge 3 agosto 1961, n. 833, a detta del quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso "per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina".
La perdita del grado è infatti "sanzione unica ed indivisibile", non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all'Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio.
Tenuto conto dell'oggettiva gravità della condotta ascritta all'odierno appellato, non mette neppur conto indagare se la documentazione in atti deponga per il carattere del tutto isolato dell'episodio in contestazione, ovvero denoti nel soggetto passivo del rpovvediemnto una qualità di assuntore pur occasionale di sostanze stupefacenti (qualità peraltro che, come è noto, è praticamente impossibile da riscontrare clinicamente con riguardo al consumo di sostanze "leggere" del tipo di quelle di che trattasi in questo caso).
Sotto il profilo procedimentale la decisione della Commissione di disciplina deve essere seguita entro termini tassativi dal provvedimento sanzionatorio.
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, ai fini del computo dell'intervallo di 90 giorni tra due successivi atti, il superamento del quale - a norma dell'art. 120 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 - comporta l'estinzione del procedimento disciplinare, occorre avere riguardo al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non al momento della notifica.
Questa, infatti, attiene al momento dell'efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento amministrativo cui, invece, deve intendersi logicamente riferito il disposto del suddetto art. 120. Consiglio di Stato sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452.
La giurisprudenza ha precisato che l'art. 75 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), prevede la possibilità che l'organo competente all'adozione delle sanzioni disciplinari può discostarsi dal giudizio della Commissione di disciplina non solo in senso più favorevole all'incolpato ma, sia pure soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore di questo.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 62 del 5 marzo 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo limitatamente alle parole «e, soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore».
Nel caso di specie il ricorrente condannato ad una pena di un anno e quattro mesi di reclusione a seguito di sentenza patteggiata per detenzione di sostanze stupefacenti e sottoposto ad un procedimento disciplinare, nonostante il parere favorevole a conservare il grado espresso dalla Commissione di disciplina, il direttore generale irrogava la sanzione della perdita del grado.
Alla luce della nuova formulazione dell'art. 75 della legge n. 599 del 1954, l'organo ministeriale competente non può rivedere in senso peggiorativo il giudizio della Commissione di disciplina che, nella specie, si era per l'appunto espressa nel senso di ritenere il soggetto meritevole di conservare il grado. Consiglio Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 89. D. Ponte, Legittimo rimuovere il militare delle fiamme gialle che ha fatto uso saltuario di sostanze stupefacenti, in Guida Dir. 2012, 14, 95.
Certo il legislatore ignora che migliaia di persone con curriculum immacolati e titoli di studio brillanti si affannano per cercare un posto nel pubblico impiego.
Un certo rigore nel trattare chi indegnamente ricopre pubbliche funzioni sarebbe necessario per la credibilità stessa dell’intero apparato.
Il buonismo imperante consente invece situazioni di grande tollerabilità per chi sbaglia e poca considerazione per chi si impegna e vorrebbe lavorare nel rispetto delle regole.

Demanio. Giurisdizione amministrativa sui provvedimenti.

Tutti i ricorsi contro i provvedimenti che affermano la demanialità del bene o la sua sdemanializzazione o contro quelli che fissano che esso è di interesse pubblico sono soggetti alla giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. ‘proc. amm., afferma che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Sono soggetti alla giustizia amministrativa, inoltre, le controversie sul provvedimento di concessione amministrativa che regola l’esercizio del diritto di terzi su beni demaniali.
La giurisprudenza ribadisce che sono soggetti alla giurisdizione amministrativa anche i provvedimenti di carattere generale che disciplinano le modalità di rilascio delle concessioni qualora siano lesivi in via diretta e attuale di un interesse specifico e concreto, senza che sia necessaria l'intermediazione di una ulteriore attività applicativa da parte dell'amministrazione. N. Centofanti, Formulario del diritto amministrativo, 2009, 527.
Nel caso di specie è stato inoltrato ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione per accertare se spetti al giudice ordinario ovvero a quello amministrativo verificare l'esistenza di un rapporto di locazione di un immobile concesso ad una Coperativa dal Comune per consentire l'erogazione di un servizio socio assistenziale.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la giurisdizione si determina sulla base della domanda ma, a tal fine, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati e al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione ed in base al quale la domanda viene identificata. Nicodemo G.F, Concessione di beni pubblici e giurisdizione: il g.a. conosce solo degli interessi legittimi, in Urb. App., 2012, 4, 404.
L'applicazione, ai fini del riparto della giurisdizione, del suddetto criterio implica senza dubbio l'apprezzamento di elementi che attengono anche al merito (con la conseguenza che la Corte di Cassazione e in materia anche giudice del fatto), ma non comporta che la statuizione sulla giurisdizione possa confondersi con la decisione sul merito nè, in particolare, che la decisione possa essere determinata secundum eventum litis. Cassazione civile sez. un., 5 dicembre 2011, n. 25927.
Nel caso di specie è la stessa ricorrente ad affermare che con il Comune è intervenuta una convenzione relativa alla concessione in uso dello stabile adibito a centro socio educativo nell'ambito di un appalto per la erogazione di servizi socio assistenziali che vedeva la Cooperativa ricorrente nel ruolo di appaltatore.
Appare dunque evidente che il rapporto intercorso tra la Cooperativa ricorrente e il Comune non possa essere in alcun modo qualificato come di locazione, non solo e non tanto perchè così non è stato qualificato dalle parti, ma perchè il godimento dell'immobile è stato strettamente collegato e strumentale rispetto all'espletamento del servizio assistenziale, oggetto del rapporto principale, dalla stessa ricorrente qualificato come di concessione.
Orbene, è noto che, ai sensi dell’art. 133, lett. b, del codice del processo amministrativo, la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste ogniqualvolta la controversia, promossa per il rifiuto dell'autorità amministrativa di riconoscere il diritto preteso dal concessionario, coinvolga il contenuto dell'atto concessorio e cioè i diritti e gli obblighi dell'amministrazione e del concessionario; ipotesi, questa, che si è verificata nel caso di specie, in cui si discute dell'obbligo della Cooperativa di restituire l'immobile al Comune sulla base delle previsioni della concessione.
Del resto queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare che "in tema di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la norma di cui alla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, deve essere interpretata - ad onta del suo tenore letterale (che si riferisce ai ricorsi contro atti e provvedimenti) - nel senso che la competenza del tribunale amministrativo regionale ricorre anche in assenza di impugnativa di un atto o provvedimento dell'autorità pubblica, purchè la controversia, promossa per il rifiuto dell'autorità di riconoscere il diritto alla rinnovazione della concessione, coinvolga il contenuto dell'atto, cioè i diritti e gli obblighi dell'Amministrazione e del concessionario stesso, in quanto, in tal caso, la giurisdizione del giudice amministrativo sull'esistenza di un provvedimento impugnabile si estende a quella dipendente, relativa all'accertamento dell'esistenza o meno del diritto alla rinnovazione, vantato dal privato, senza che abbia rilievo la circostanza che il rapporto concessorio si sia (come nella specie) esaurito per decorrenza del relativo termine, atteso che la riserva di giurisdizione de qua afferisce al rapporto, indipendentemente dall'esistenza attuale dell'atto, purchè la controversia ponga in discussione il rapporto stesso nel suo aspetto genetico o funzionale" (Cass., S.U., n. 241S del 2011).

domenica 8 aprile 2012

Appalti pubblici. Valutazione investimenti. Tanto rumore per nulla.

L’art. 4, d. lg 29 dicembre 2011 n. 228, che detta norme in materia di valutazione degli investimenti relativi ad opere pubbliche, dispone la valutazione ex ante delle singole opere.
I Ministeri svolgono la valutazione delle singole opere, secondo principi di appropriatezza e proporzionalità, al fine di individuare, attraverso l'elaborazione degli studi di fattibilità le soluzioni progettuali ottimali per il raggiungimento degli obiettivi identificati nella valutazione ex ante dei fabbisogni di infrastrutture e servizi.
La norma appare rivoluzionaria ma appare congegnata come norma in bianco ossia priva di sanzione e , quindi destinata a non avere alcun effetto pratico.
Farà sicuramente aumentare il dossier necessario per potere fare approvare un progetto, potrà fare accendere l’interesse sull’opera da realizzare consentendone una maggiore pubblicità ma quali effetti porta l’approvazione di uno studio di fattibilità carente o contrario ad ogni principio economico?
Teoricamente lo studio di fattibilita' è sicuramente garantista e congegnato per ottennre i migliori risultati.
Lo studio infatti deve contenere:
a) i valori degli indicatori di realizzazione e di risultato che, insieme alla quantificazione finale dei tempi e dei costi, consentono di misurare la rispondenza dell'opera finita con i contenuti della valutazione ex ante;
b) il piano economico-finanziario del progetto di investimento, corredato dagli indicatori sintetici di valutazione della redditivita';
c) l'analisi della sostenibilita' gestionale dell'opera;
Per le opere il cui costo stimato sia superiore a 10 milioni di euro, i Ministeri presentano, in allegato agli studi di fattibilita', anche l'analisi dei rischi.
Tale analisi esplicita le condizioni di realizzabilita' dell'opera, elenca i soggetti coinvolti a vario titolo nel processo di attuazione dell'opera con le relative responsabilita', individua i fattori, gli eventi e le situazioni che possono configurare cause di criticita' in corso di progettazione, affidamento, realizzazione e gestione dell'opera e indica le azioni che l'amministrazione intende compiere per contrastare l'insorgere delle criticita' medesime. L'analisi evidenzia inoltre i rischi di natura finanziaria, sociale e gestionale, quantificandone le possibili conseguenze in termini di aggravio di tempi, costi e variazioni nelle realizzazioni.
L'analisi dei rischi e' aggiornata e approvata dal Ministero competente alla conclusione di ciascuna fase progettuale e attuativa, nonche' in sede di finanziamento dell'opera ai fini dello stanziamento delle risorse necessarie.
Dopo avere svolto tutte queste procedure, se lo studio da fattibilità e l’analisi dei rischi si rivelano realizzati solo per fare decollare l’opera senza riscontro effettivo con dati economici reali e con previsioni attendibili chi ne risponderà?
Evidentemente come al solito nessuno.
La legge non prevede alcun meccanismo sanzionatorio.
Chi avrà voluto l’opera in contrasto coi dettami d. lg 29 dicembre 2011 n. 228, è benissimo supportato dal sistema vigente.
Tanto rumore per nulla.

Elezioni. Camera deputati. Canditati scelti dalle segreterie politiche. Costituzionalità.

La legge 21 dicembre 2005, n. 270, ha modificato il sistema elettorale italiano.
La norma ha approvato un sistema di elezione dei deputati proporzionale corretto che favorisce la coa-lizione dei partiti con premio di maggioranza
L’elezione dei parlamentari è effettuata senza la possibilità per i cittadini che si recano a votare di indicare preferenze.
L’elettore si limita a votare per delle liste di candidati senza potere 'indicare preferenze.
L'elezione dei parlamentari avviene automaticamente in relazione al numero di lista attribuito stabilito dalle segreterie dei partiti.
Se il candidato è ammesso nei primi raggiunto il quorum che decide di fatto l’elezione il candito risulta eletto
La norma evidentemente contrasta palesemente con l’art. 67 della costituzione che afferma come ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.
Questo articolo risente della storia recente dello stato italiano che dopo l’esperienza ha condotto il paese alla seconda guerra mondiale, i costituenti hanno ritenuto di garantire la libertà più assoluta ai membri del Parlamento italiano .
Ili singolo parlamentare non deve essere vincolato da alcun mandato né verso il partito cui appartiene quando si era candidato, né verso gli elettori che lo hanno eletto.
I deputati, possono esprimere il proprio consenso o dissenso rispetto ad una maggioranza politica precostituita anche se è la stessa maggioranza che li ha portati in Parlamento.
Successivamente alla elezione quindi il parlamentare può passare da un gruppo politico ad un altro iscriversi al gruppo misto votare contro il suo stesso partito che lo ha eletto senza che alcuno possa obiettare alcunché.
Evidentemente il partito che lo ha chiamato ha l’unica possibilità di non ricandidarlo alle prossime elezioni Tale indicazione non può essere modificato dalla legge elettorale.

lunedì 2 aprile 2012

Piano Regolatore . Contenuto. Crescita zero. Obbligo di motivazione. Contemperamento interessi.


Legislazione statale

L’art. 7 della l. 1150/1942 determina il contenuto obbligatorio del piano regolatore generale.
La caratteristica principale è quella di conformare la proprietà.
L’indicazione legislativa è quella di un piano di larga massima che incide sulle scelte fondamentali del territorio e che rinvia per le scelte di dettaglio alla pianificazione esecutiva.
Il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale ed in particolare deve
prevedere la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano.
Le scelte urbanistiche non comportano, di regola, la necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni del privato, quando si tratti di varianti al piano regolatore vigente o di modificare scelte precedenti.
L'amministrazione, nell'esercitare il potere pianificatorio ad essa attribuito, non è tenuta ad esternare in modo puntuale le ragioni delle proprie scelte, essendo sufficiente una ragionevole e coerente giustificazione delle linee portanti della pianificazione; né sussiste l'obbligo per l'amministrazione di motivazione specifica ed analitica per le singole zone innovate, fatta salva la necessità di una congrua indicazione delle diverse esigenze che si sono dovute conciliare e la coerenza delle soluzioni proposte con i criteri tecnico- urbanistici stabiliti per la formazione del piano regolatore.
Le scelte pianificatorie effettuate dalla amministrazione in sede di pianificazione urbanistica generale sono frutto di apprezzamenti di merito sottratti al sindacato discrezionale del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità.
La giurisprudenza ritiene obbligatoria una congrua e specifica motivazione per giustificare scelte differenti soltanto in presenza di impegni già formalmente assunti dall'Amministrazione con l'avvenuta stipula di una convenzione di lottizzazione o quando lo strumento incida su analoghe aspettative specificatamente qualificate, come quelle derivanti da accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di approvazione o di silenzio-rifiuto su una domanda di permesso di costruire.
Il rapporto fra programmazione e strumenti finanziari è regolato dall'art. 30 della l. urb. che contribuisce a dare alle scelte di piano il necessario contenuto di concretezza.
La giurisprudenza ha, peraltro, minimizzato la funzione della programmazione economica ritenendo sufficiente anche una previsione finanziaria di larga massima.
La relazione finanziaria di accompagnamento al piano regolatore, prevista dall'art. 30, l. 17.8.1942, n. 1150, non costituisce elemento essenziale dello stesso, ben potendo intervenire anche successivamente, quando sia deliberata l'espropriazione dell'area interessata dal vincolo.
Attraverso la zonizzazione sono determinati i vincoli ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di quelle di carattere storico, ambientale e paesistico.
Le disposizioni aventi natura conformativa definiscono quali sono le caratteristiche delle opere da realizzare nella zona.
Le scelte pianificatorie contenute in uno strumento urbanistico generale che si concretano in nuove destinazioni di zona impresse al territorio non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso
Il concetto di zona omogenea non è definibile aprioristicamente, essendo la conseguenza di valutazioni rimesse alle competenti Autorità amministrative le quali possono tenere adeguato conto anche delle trasformazioni del territorio che siano intervenute rispetto alla zonizzazione del precedente strumento urbanistico, ed individuare nuove zone ove siano presenti elementi di omogeneità, che devono essere riscontrati con riferimento alle dimensioni della nuova zona, e non della vecchia maglia.
Tale concetto non è utilizzabile per contestare il p.r.g. per disparità di trattamento rispetto alla situazione di una proprietà limitrofa, assuntamente identica a quella della vicina preesistente edificazione per natura o genere, dovendosi per contro prendere ad esame la nuova situazione edificatoria. (T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, 8.1.2009, n. 2).
Nessun attenzione è dedicata alle reali necessità del territorio nel senso che nessuna indagine è richiesta per rilevare attraverso una approfondita istruttoria quali sono le necessità in termini residenziali o commerciali o industriali o in termini si servizi.
Solo giustificazioni di larga massima che finora hanno tenuto conto solo di una ipotetica espansione della città.

Legislazione regione Lombardia. Il piano del governo del territorio.

La disciplina urbanistica della regione Lombardia disegna la pianificazione urbanistica comunale con connotati assolutamente innovativi.
Lo strumento di pianificazione è il piano del governo del territorio.
Esso è articolato in tre atti: a) il documento di piano; b) il piano dei servizi; c) il piano delle regole, art. 7, l. r. Lombardia 12/2005. N. Centofanti, Il piano regolatore nella legislazione regionale, 2010, 262 .
Il piano di governo del territorio - difformemente dal piano regolatore generale disciplinato dalla legge urbanistica nazionale - è strumento estremamente rigido solo nella fase transitoria.
Il p.g.t. è di fatto strumento di vincolo perché, non fissando gli indici di zona, non consente di presentare immediatamente una richiesta di permesso di costruire.
Il permesso di costruire può essere, infatti, rilasciato in relazione alla presenza di uno strumento urbanistico che preveda gli indici di zona.
Il documento di piano non contiene previsioni che producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, a differenza delle previsioni contenute nel piano dei servizi - concernenti le aree necessarie per la realizzazione dei servizi pubblici e di interesse pubblico e generale - che hanno carattere prescrittivo e vincolante.
Il documento di piano definisce il quadro ricognitivo e programmatorio di riferimento per lo sviluppo economico e sociale del comune, le aree di interesse archeologico e i beni di interesse paesaggistico o storico-monumentale, e le relative aree di rispetto, l'assetto geologico, idrogeologico e sismico, ex art. 8, l. r. Lombardia 11.3.2005, n. 12.
Il p.g.t. individua gli obiettivi di sviluppo, miglioramento e conservazione e gli ambiti di trasformazione, definendo i relativi criteri di intervento, ma non ha incidenza immediata sul regime dei suoli in quanto gli indici di edificazione sono determinati dai piani attuativi.

La crescita zero

Nel Pgt di Cassinetta di Lugagnano il Documento di Piano individua gli obiettivi strategici di politica territoriale a partire dal miglioramento e dalla conservazione dell’ambiente per tracciare le linee dello sviluppo sostenibile del Comune in coerenza con le previsioni di carattere sovracomunale. In esso sono indicati gli obiettivi quantitativi di sviluppo complessivo del PGT comprendendo in essi il recupero urbanistico e la riqualificazione del territorio minimizzando il consumo di suolo.
Testualmente nella relazione al documento si legge che “in considerazione della dimensione del comune in termini di popolazione residente (abitanti 1.742 al 31.12.2005) e delle caratteristiche particolarissime del suo tessuto edilizio storico di assoluto pregio ed unicità si ritiene innanzitutto che non esistano le condizioni e neppure le utilità di ricorrere a strumenti di compensazione, perequazione ed incentivazione urbanistica di cui all’art. 11 della LR 12/2005
Gli amministratori hanno disposto un’approfondita analisi demografica, volta a determinare il realistico fabbisogno abitativo di Cassinetta di Lugagnano da qui al 2015.
Lo studio, infatti, conduce ad una previsione molto contenuta: l’incremento della popolazione previsto al 2015, in termini di nuovi abitanti, è del 3,6%. A ciò, si aggiunge l’incremento della domanda di abitazioni legata alla formazione di nuovi nuclei familiari: quest’ultima è considerata una domanda fisiologica, indipendente cioè dall’aumento del numero degli abitanti.
Su queste basi, viene formulata una previsione di 695 nuovi abitanti, cui corrisponde una capacità insediativa residenziale, aggiuntiva rispetto all’esistente, di 695 nuovi vani (abitante/vano). Alla nuova domanda abitativa si farà fronte attraverso:
- recupero puntuale di edifici
- riconversione, mediante piani attuativi, di aree produttive incompatibili con il tessuto residenziale circostante, con una quota del 20% di edilizia convenzionata e una quota del 5% di edilizia a canone sociale
- completamento di previsioni vigenti (piani di lottizzazione e di recupero)
- saturazione delle aree già edificate (zone B)”.
Il pgt attua un principio ce sembrava impossibile attuare in Italia giungendo a d affermare che:” non verrà consumato suolo agricolo: le previsioni di nuova edificazione e di trasformazione e recupero del patrimonio esistente sono concentrate dentro il tessuto consolidato e compattano ulteriormente un insediamento dai confini abbastanza netti.”
Se le dimensioni del comune di Cassinetta di Lugagnano hanno consentito questa esperienza rimane il problema giuridico se il procedimento istruttorio che ha portato nel caso esaminato ad un incremento contenuto nello sviluppo del paese debba essere considerato necessario per gli amministratori ?

Gli obblighi di motivazione nella fase attuativa.

La giurisprudenza ha risposto affermativamente alla domanda per quegli strumenti di pianificazione attuativa delle scelte del piano regolatore generale quali il piano di zona ed il piano per gli insediamenti produttivi..
E’ stato affermato che la determinazione del fabbisogno costituisce l'elemento fondamentale ai fini non solo del dimensionamento del piano di edilizia economico e popolare, ma anche della stessa determinazione di « politica sociale » dell'Amministrazione di adottare il predetto piano. Centofanti N., Diritto urbanistico, 2008, 301.
Essa si pone come strumento indispensabile per la corretta ed effettiva individuazione dell'interesse pubblico prevalente (alla realizzazione di case popolari da assegnare ai cittadini meno abbienti), rispetto al quale recedono i diritti di proprietà (ivi compreso ovviamente lo ius aedificandi), dei soggetti proprietari delle aree individuate per la realizzazione del piano stesso.
Nel bilanciamento degli interessi in gioco, l'ordinamento assicura la prevalenza dell'interesse pubblico alla realizzazione di alloggi popolari solo a condizione che ciò sia effettivamente necessario per la comunità, e quindi solo laddove sia stato accertato in modo ragionevolmente adeguato e approfondito l'effettivo bisogno abitativo.
Il fabbisogno nella fattispecie non trova rispondenza nelle stime di incremento demografico contenute nella relazione allegata dalle quali si evince che negli ultimi due anni vi sarebbe stato un incremento di sole due unità nella popolazione residente. T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 10.12.2009, n. 5305.
I piani speciali di zona, fra quali rientra anche il p.i.p., hanno pertanto, funzioni ed ripercussioni che travalicano la mera regolamentazione dell'uso del territorio, contenendo programmi di espropriazione di vaste aree per la realizzazione di un duplice interesse pubblico: economico, avendo la funzione di rilanciare l'attività produttiva e di creare nuove opportunità di lavoro offrendo alle imprese le aree occorrenti per i loro impianti, ad un prezzo politico.
Il piano per gli insediamenti produttivi non ha natura di mero strumento attuativo delle previsioni contenute nel piano regolatore generale, essendogli stata riconosciuta la funzione di strumento di politica economica, di stimolo all'espansione industriale e d'incentivazione delle imprese oltre che di mezzo volto a suscitare nuove opportunità lavorative, offrendo ad esse ad un prezzo politico le aree occorrenti per il loro impianto e la loro espansione; caratteristica del p.i.p. è di essere strumento di promozione e incentivazione, fonte di nuove istanze imprenditoriali e produttive non sempre agevolmente valutabili ex ante; ciò però non esclude l'obbligo, a carico dell'Amministrazione, d'una adeguata istruttoria e motivazione, con uno studio sullo sviluppo economico dell'area interessata capace, in conformità ai principi di ragionevolezza e buona amministrazione, di una documentata valutazione previsionale del fabbisogno di aree da vincolare e, successivamente, da espropriare, per consentire gli insediamenti previsti. T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 7.9.2011, n. 462 .
Sotto tale profilo, quindi, il p.i.p. è uno strumento eccezionale attraverso il quale si realizza un trasferimento di ricchezza dai proprietari assoggettati ad espropriazione agli assegnatari dei lotti con il sacrificio del principio di eguaglianza, nonché del diritto di proprietà costituzionalmente tutelato.
Tuttavia, tale sacrificio potrà essere imposto soltanto in nome di un interesse generale, ex art. 42, comma 3, cost., la cui sussistenza dovrà formare oggetto di specifica istruttoria da parte del comune, che è tenuto a motivare in modo specifico l'adozione del p.i.p.

Il contemperamento degli interessi pubblici e privati.

La giurisprudenza ha osserva che, pur sussistendo un ampio margine di discrezionalità dell'amministrazione nel definire le proprie scelte urbanistiche, tale discrezionalità va comunque coordinata con i principi generali di efficienza e di efficacia dell'azione amministrativa. T.A.R. Marche Ancona, sez. I, 8.4.2011, n. 241, Foro amm. TAR, 2011, 4, 1230.
Il T.A.R. ha quindi ha annullato al variante di paino che riconvertiva la destinazione industriale di un’area a residenziale
La sentenza ha affermato che una scelta, ancorché discrezionale, non potrà tuttavia considerarsi legittima se l'obiettivo concretamente raggiungibile (secondo una previsione ragionevole e attendibile) sarà inevitabilmente diverso (e magari di segno apposto) dall'obiettivo avuto di mira.
In materia urbanistica l'interesse pubblico esige che le previsioni di PRG vengano attuate nei modi e nei tempi stabiliti, rendendo così efficace l'azione amministrativa per sostanziale coincidenza tra l'obiettivo dato e l'obiettivo concretamente raggiunto.
Prescrizioni urbanistiche inattuate e che restano lettera morta, non possono considerarsi, invece, azione amministrativa efficace, poiché inidonee per stimolare e promuovere lo sviluppo socio-economico del territorio quale obiettivo primario dell'ente locale
Nel caso di specie l'obiettivo dello strumento urbanistico, ossia la promozione di iniziative per la trasformazione o la conservazione funzionale dell'esistente, ha prodotto il risultato opposto, cioè di un sostanziale congelamento delle stesse.
Nel caso in esame assume rilievo l'attività produttiva esistente da oltre un secolo e in via di sviluppo per effetto di investimenti edilizi recenti che l'Amministrazione non poteva certo ignorare.
Per contro, la definitiva formulazione della norma detta una disciplina estremamente restrittiva che non tiene adeguatamente in considerazione la necessità di un equo bilanciamento tra interessi pubblici e interessi privati, proprio per consentire l'effettiva attuazione delle previsioni di PRG che, considerata l'entità del patrimonio immobiliare coinvolto e il relativo impatto sul territorio, si mostrano certamente rilevanti e ambiziose.
Scompare, innanzitutto, ogni riferimento all'attività produttiva esistente (industriale e artigianale), come se il comparto riguardasse una zona di espansione inedificata, il che sembra escludere anche il semplice il mantenimento funzionale della stessa attraverso i necessari interventi di conservazione degli immobili e di ammodernamento delle strutture produttive.
L'obiettivo che si è dato il pianificatore sembra pertanto essere quello dell'esclusiva riconversione dell'area, con trasferimento dell'attività in altro sito ritenuta ormai incompatibile con l'insediamento circostante che caratterizza la frazione a vocazione essenzialmente abitativa.
La sentenza nota che le concrete possibilità di riconversione del sito (rispetto all'esistente e al relativo valore economico) paiono effettivamente di scarsa attuabilità, sia con riferimento agli oneri di smantellamento e di trasferimento dell'esistente .