sabato 30 giugno 2012

Processo amministrativo. Silenzio dell’amministrazione. Termine maturato nel corso del giudizio Legittimità.


Quando sussiste un comportamento inadempiente dell’ente è configurabile un’azione tesa ad ottenere un provvedimento che può essere positivo o negativo; ad essa può essere dato inizio in ogni momento per tutta la durata del comportamento inadempiente dell’amministrazione.
Il silenzio che dà luogo alla possibilità di azionare il ricorso è quello denominato silenzio adempimento. A detto silenzio non viene riconosciuto alcun significato o valore provvedimentale; non si tratta né del silenzio accoglimento né del silenzio diniego. A. CORRADO, Tempi dimezzati per il deposito dei ricorsi. L’accesso apre il capitolo dei riti speciali, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 50.
Formatosi il silenzio rifiuto, inizia a decorrere il termine, previsto a pena di decadenza, entro il quale è necessario presentare il ricorso al T.A.R.
Il termine per proporre il ricorso decorre dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento e cessa, comunque, trascorso un anno da detta scadenza.
L’art. 31 e l’art. 117, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.,  ripropongono i principi fissati da ultimo dall’art. 7, L. 69/2009, affermando che decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento .
Una importante precisazione è intervenuta da parte della giurisprudenza che ha affermato che, nella pendenza di un giudizio attivato prematuramente contro il silenzio serbato dalla Pubblica amministrazione, il provvedimento richiesto interviene in tempo utile il giudice deve limitarsi a una pronuncia reiettiva per mancanza di un'indefettibile condizione dell'azione, dovendosi scoraggiare ogni forma di abuso dello strumento processuale a fini preventivi o sollecitatori; se però nel corso nel giudizio emerge l'esistenza di un termine più lungo di quello inizialmente ipotizzato, non v'è ragione per negare la richiesta tutela ove nel frattempo il diverso termine sia comunque spirato senza che l'Amministrazione abbia provveduto, atteso che l'inadempimento è oggettivamente esistente al momento della decisione ed al contempo risulta soddisfatta la condizione dell'azione inizialmente carente.
Il punto nodale della controversia concerne la possibilità, per il giudice, di considerare e valutare la sopravvenienza della scadenza del termine, nell'ambito di un giudizio sul silenzio che sia stato prematuramente instaurato.
L'art. 31 Cpa dispone in proposito che "decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere".
Non può negarsi che il tenore letterale della norma autorizzi, tra le opzioni esegetiche possibili, una interpretazione, come quella perorata dall'appellante, che connetta il decorso del termine finale del procedimento alla stessa ammissibilità dell'azione. In tal senso potrebbe sostenersi che il maturare del termine abbia la stessa valenza della vecchia diffida a provvedere e che, quindi, l'amministrazione possa ragionevolmente confidare nell'improponibilità di azioni giudiziarie durante lo spatium deliberandi che precede lo scadere del termine, in questo caso ex lege fissato. La stessa celerità del rito costituirebbe argomento a sostegno dell'inammissibilità nella misura in cui esso avrebbe necessariamente ad oggetto l'evento storico della scadenza del termine, e solo eventualmente la cognizione dell'esatta regolazione della sostanza del rapporto, in guisa che, se l'evento non si sia prodotto al tempo della domanda, il decisum non possa che essere reiettivo.
Le considerazioni, pur sostenibili alla luce della lettera del dettato normativo, non possono tuttavia condividersi, se riferite all'impianto sistematico del codice del processo ed ai principi della tutela processualcivilistica che dichiaratamente lo ispirano.
Sul primo versante può osservarsi che la tutela in sede giurisdizionale amministrativa ha ormai acquisito una valenza sostanziale imposta dagli imperativi di efficacia e satisfattività, i quali hanno indotto una disciplina processuale improntata alla tutela del bene della vita esposto all'azione dell'amministrazione, piuttosto che all'analisi degli atti che da quest'ultima promanano.
La dottrina ha sempre evidenziato, riprendendo l'iniziale impostazione "chiovendiana", la differenza logico giuridica tra presupposti e condizioni dell'azione, i primi necessari per l'accesso al processo, i secondi necessari per ottenere una pronuncia sulla pretesa dedotta in giudizio.
Il binomio presupposti del processo - condizioni dell'azione, come visto ampiamente valorizzato dalla giurisprudenza civile, ben può adoperarsi per la risoluzione delle questioni relative all'azione sul silenzio nel processo amministrativo, per giungere ad affermare che anche in questo caso, come in quelli, la scadenza del termine costituisca una condizione dell'azione, che è sufficiente sussista al momento della decisione.
Chiarito, infatti, che trattasi di un'azione tesa ad ottenere la condanna all'adempimento di un facere pubblicistico generico (ossia il provvedere) e, in determinati casi, di quello specifico (ossia l'emanazione del provvedimento che attribuisce l'utilità cui il privato aspira), essa ben può inquadrarsi nella categoria processualistica generale dell'azione di esatto adempimento (in tal senso, nettamente, Ad. Plen. n. 15/2011), con conseguente impossibilità di considerare lo scadere del termine quale mero presupposto processuale, secondo una logica attizia e formale, non più compatibile con l'impianto del codice.
La dottrina non condivide questa impostazione sulla scorta del dettato dell’art. 34 comma 2, d lgs. 104/2010che afferma come in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Caputo O. M. , Azione avverso il silenzio: una sentenza troppo realista, Urb. App. , 784

Conferenza di servizi. Conformità urbanistica. Deliberazione degli organi rappresentativi. Mancanza illegittimità.


Le norme sulla conferenza dei servizi non possono essere applicate al procedimento di localizzazione delle opere pubbliche statali in deroga agli strumenti urbanistici di cui all’art. 81, d.p.r. n. 616 del 1977, ed al d.p.r. n. 383 del 1994.
La conferenza deve sempre muoversi nel rispetto della normativa vigente non essendo ad essa conferito alcun potere di deroga rispetto ad atti amministrativi generali efficaci. M. Santini, Conferenza di servizi e strumenti di governo del territorio, ossia una difficile semplificazione, in Urb. App. 2012, 775.
La proposta di variante dello strumento urbanistico, formulata ai sensi dell’art. 5, d.p.r. 20.10.1998, n. 447, dalla conferenza dei servizi al fine di favorire e semplificare la realizzazione di una struttura commerciale in zona tipizzata come agricola non è vincolante per il consiglio comunale, il quale deve autonomamente valutare se aderire o meno alla stessa; inoltre, qualora l’esito della conferenza dei servizi sia in qualunque modo sfavorevole al privato richiedente e dunque si risolva nel diniego di approvazione del proposto progetto in variante allo strumento urbanistico, tale esito assume valore ostativo alla prosecuzione del procedimento amministrativo, mancando in tale ipotesi l’atto di impulso, strumentale alle determinazioni di competenza del consiglio comunale. (Cons. St., sez. IV, 14.4.2006, n. 2170, FACS, 2006, 4, 1150).
Lo spazio all’interno del quale si muove la conferenza non è quello della deroga, ma quello della composizione delle discrezionalità amministrative e dei poteri spettanti alle amministrazioni partecipanti, ponendosi come momento di confluenza delle volontà delle singole amministrazioni, nel rispetto dell’ordinamento normativo e amministrativo vigente. N. Centofanti, P. Centofanti e M. Favagrossa, Diritto urbanistico, 2012, 15.
L’art. 3 del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, che, disciplinando le modalità di formazione dell’intesa ex art. 81 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, stabilisce espressamente che: “Alla conferenza di servizi partecipano la regione e, previa deliberazione degli organi rappresentativi (corsivo dell’estensore), il comune o i comuni interessati, nonché le altre amministrazioni dello Stato e gli enti comunque tenuti ad adottare atti di intesa, o a rilasciare pareri, autorizzazioni, approvazioni, nulla osta, previsti dalle leggi statali e regionali”.
La disposizione, richiedendo espressamente che la partecipazione delle amministrazioni comunali sia preceduta da “deliberazione degli organi rappresentativi”, impone che sul progetto di opera pubblica in deroga (variante) ai relativi strumenti urbanistici si esprimano in via diretta i consigli comunali.
Nel caso di specie la partecipazione del rappresentante del Comune alla seduta della conferenza di servizi non è stata preceduta da alcun atto deliberativo consiliare, posto che, in quella sede, il medesimo rappresentante espresse “…parere favorevole riservandosi di trasmettere delibera di Consiglio Comunale”.
Non risulta però che tale deliberazione sia stata poi emanata.
 Né, a fronte di una precipua disposizione che per le conferenze di servizi ai fini delle intese sulla conformità urbanistica ex art. 81 d.P.R. n. 616/1977 richiede l’acquisizione delle specifiche deliberazioni degli organi consiliari, potrebbe ritenersi operante la generale previsione di cui all’art. 14 comma terzi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo applicabile ratione temporis, che considerava acquisito l’assenso dell’amministrazione qualora, non avendo partecipato alla conferenza o avendovi partecipato “…tramite rappresentanti privi della competenza ad esprimerne definitivamente la volontà”, non comunicasse il “…proprio motivato dissenso entro venti giorni dalla conferenza stessa ovvero dalla data di ricevimento della comunicazione delle determinazioni adottate, qualora queste ultime abbiano contenuto sostanzialmente diverso da quelle originariamente previste”.
Non può, da ultimo, ritenersi -in riferimento ai rilievi svolti nelle relazioni trasmesse in adempimento dell’incombente istruttorio- che la mancanza di una deliberazione consiliare intesa ad esprimere consenso all’approvazione del progetto in variante allo strumento urbanistico comunale, quantomeno a ratifica del parere espresso dal rappresentante dell’amministrazione nella conferenza di servizi, possa essere surrogata da precedente deliberazione
La illegittimità delle determinazioni della conferenza di servizi, viziate per la carente acquisizione dell’atto deliberativo comunale di assenso all’approvazione del progetto in variante allo strumento urbanistico generale, si riflette sui successivi atti della procedura ablatoria. Cons. St., sez. IV, 28.2.2012, n. 1130.

venerdì 22 giugno 2012

Telecomunicazioni. Concessioni a trasmettere . Ritardo contrastante con le direttive europee. Risarcimento.


il ''Centro Europa 7'', con sede a Roma, ha ottenuto dalle autorità italiane la concessione a trasmettere attraverso tre frequenze, per la copertura dell'80% del territorio nazionale.
La licenza è del 1999, Europa 7, si poteva ragionevolmente aspettare di poter trasmettere entro massimo due anni.
La Corte sottolinea che, invece, le autorità hanno interferito con i suoi legittimi diritti, con la continua introduzione di leggi che hanno via via esteso il periodo in cui, le televisioni che già trasmettevano, potevano mantenere la titolarità di più frequenze".
L’emittente ha avuto l’effettiva possibilità di iniziare a trasmettere solo nel 2009 e su una sola frequenza.
Le  norme transitorie hanno consentito il prolungamento dell'uso di frequenze da parte di emittenti già esistenti.
Per contrasto con gli articoli 10 (libertà di espressione e informazione) e 14 (interdizione della discriminazione) della Convenzione europea, la Corte europea Grande Chambre. ha condannato l'Italia per non avere concesso per 10 anni le frequenze all'emittente televisiva Europa 7 e ha riconosciuto alla società 10 milioni di euro di risarcimento per danni materiali e morali e 100 mila euro di spese legali.
La corte sottolinea che le autorità italiane non hanno rispettato l'obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire l'effettivo pluralismo dei media" si legge nel pronunciamento. L'Italia è stata quindi condannata per aver violato il diritto alla libertà d'espressione e d'informazione (articolo 10 della Convenzione) e la tutela della proprietà (articolo 1 del protocollo 1). Corte europea Grande Chambre 7.6.2012 ric. 38433/09.
Chi paga?
C’è danno erariale?
Gli atti impugnati alla giustizia amministrativa sono prevedimenti amministrativi e come tali ricadono nella responsabilità contabile del dirigente responsabile del procedimento che li ha emanati e dell’organo politico che ha dato questi indirizzi così contrastanti con le norme europee(sic!) .
SI resta in attesa delle determinazioni del giudice contabile

giovedì 21 giugno 2012

Contratti pubblici.Avvalimento e subappalto.



Il principio del cosiddetto avvalimento di derivazione comunitaria è generalizzato ed esteso a tutti i pubblici appalti dalla direttiva unificata 31.3.2004, n. 18.
Le amministrazioni devono consentire all’impresa che partecipa alla gara di potersi avvalere di un requisito – di cui è priva – posseduto da un soggetto terzo.
Detto sistema prevede il prestito dei requisiti di qualificazione per far partecipare ad una gara chi ne è sprovvisto.
L’avvalimento è recepito puntualmente dall'art. 49, d. lg. 163 del 2006; esso consente all'operatore economico o ad un raggruppamento di operatori economici, se del caso e per un determinato appalto, di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi, al fine della prova della capacità economica e finanziaria. In tal caso il concorrente deve dimostrare all'amministrazione aggiudicatrice che dispone dei mezzi necessari, ad esempio mediante presentazione dell'impegno a tal fine di questi soggetti. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 1.8.2008, n. 7804).
Per la dottrina la prima vittima eccellente dell’avvalimento è stata la disciplina nazionale del subappalto visto il divieto originario dell’impresa ausiliaria di assumere il ruolo di subappaltatore (Martinelli 2005, 633).
Il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascuna categoria di qualificazione. Il bando di gara può ammettere l’avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell’importo dell’appalto o della peculiarità delle prestazioni, fermo restando il divieto di utilizzo frazionato per il concorrente dei singoli requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi.
Il contratto di avvalimento è contratto atipico assimilabile al mandato, per mezzo del quale - e nell'ambito dell'autonomia contrattuale che il nostro ordinamento garantisce alle parti, a sensi dell'art. 1322 c.c. - l'impresa ausiliaria pone a disposizione dell'impresa partecipante alla gara la propria azienda, intesa notoriamente quale complesso di beni organizzato per l'esercizio delle attività di impresa, ex art. 2555 c.c.
Il contratto concluso in tal senso dalle parti ben può quindi essere configurato quale contratto unilaterale con obbligazioni assunte da una sola delle parti e nel quale la presunzione di onerosità può essere superata da una prova contraria ovvero dalla prassi.
Va opportunamente soggiunto che l'assodata atipicità del contratto in esame non determina alcun limite o vincolo in ordine alla causa del negozio e alla previsione di un corrispettivo e che - per l'appunto - la riconducibilità del contratto stesso allo schema generale del mandato rende ex se irrilevante ai fini della validità del vincolo inter partes l'avvenuta assunzione, da parte del mandante, dell'obbligo di corrispondere un compenso al mandatario per l'attività da lui svolta: obbligo che, come è ben noto, è soltanto presunto, a sensi dell'art. 1709 c.c.
L'art. 49, comma 2, lett. d) del d. lg. 163 del 2006, prevede soltanto che il concorrente alleghi un contratto con il quale l'impresa ausiliaria si obbliga nei confronti del concorrente a fornirgli i requisiti e a mettergli a disposizione le risorse necessarie, essendo gli obblighi interni tra l'avvalente e l'avvalso del tutto irrilevanti ai fini della partecipazione e dell'aggiudicazione della gara.
Rileva - per contro - ai fini della corretta aggiudicazione del contratto, che l'amministrazione appaltante abbia piena conoscenza della disponibilità dei requisiti tecnici e organizzativi ed economico-finanziari apportati al concorrente mediante l'avvalimento.
Tale notizia indubitabilmente sussiste proprio in quanto comprovata dalla titolarità della categoria richiesta da parte dall'impresa ausiliaria.
La fattispecie è relativa ad una procedura negoziata previa gara informale per l'aggiudicazione di lavori di straordinaria manutenzione e restauro della facciata sul Canal Grande di Cà Vendramin Calergi a Venezia, nella quale un partecipante alla procedura dichiarava di non possedere la qualificazione per la categoria OS2, e di avvalersi del titolo SOA di OS2 posseduto al riguardo da altra società, producendo pure un contratto di avvalimento stipulato con quest'ultima (T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 6.11.2008, n. 3451).
La dottrina si è posta il problema dei rapporti fra avvalimento e subappalto dopo che è stato eliminato il divieto all’impresa ausiliaria di assumere il ruolo di subappaltatore..
Essa rileva che nella disciplina dell’appalto non vi è praticamente alcun divieto di subappalto o di affidare a cottimo ad uno o più soggetti- sia pure col limite del 30% dell’importo contrattuale – tutte le prestazione a qualsiasi categoria appartengano.
L’avvalante in tale maniera può ampliare il suo raggio di intervento nell’ambito dell’appalto.
La preventiva autorizzazione al subappalto, nell’ambito di tale processo di trasformazione dell’ausiliario in subappaltatore è considerata implicita.
Essa è una forma di legittimazione successiva subordinata agli accertamenti di legge, mentre per altri è reputata essenziale.
L’autorizzazione al subappalto è da considerare un atto preliminare formalmente imprescindibile da
esternare nelle forme e nei modi rituali, cioè a prescindere dal fatto che l’assunzione del ruolo di subappaltatore ha luogo in maniera sopravvenuta, cioè cronologicamente successiva rispetto al momento preso in considerazione nella generalità dei casi e di fatto fuori delle previsioni contenute nell’art. 118, d. lg. 163/2006. N. Centofanti, M. Favagrossa e P. Centofanti, Il subappalto, 2012, 71. Cedam.
Per effetto dell’art. 49, 8° co., d. ,lg. 163/2006, inoltre, non è consentito, in relazione a ciascuna gara a pena di esclusione, che della stessa impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente, e che partecipino sia l'impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti.
In tal caso la trasformazione in subappalto consente , invece la presenza di più subappaltatori sempre nei limiti del 30% dell’importo dell’appalto.

mercoledì 20 giugno 2012

Reato ambientale. Costituzione di parte civile.



 Nel processo per reati ambientali la giurisprudenza riconosce che le associazioni ambientaliste sono legittimate alla costituzione di parte civile "iure proprio" nel processo riguardante reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì dei danni direttamente subiti, quali danni ulteriori e diversi da quello, di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale, la cui tutela è di esclusiva pertinenza statale.
Detto risarcimento non deve peraltro intendersi limitato al solo ambito patrimoniale, estendendosi anche, in forza della previsione dell'art. 2059 c.c., al danno di natura non patrimoniale. Cassazione penale  sez. III,  17 gennaio 2012,  n. 19437.
La giurisprudenza ha ritenuto di accogliere la richiesta di costituzione di parte civile anche di privati cittadini soci di società sportive che hanno avuto un pregiudizio dal reato ambientale contestato ai dirigenti di una società.
Detti soggetti, infatti, si trovano in prossimità del luogo che ha visto il sorgere del fenomeno giudicato pericoloso sulla base del capo di imputazione.
Analogamente è stata accolta la richiesta di costituzione di parte civile della società sportiva che ha dovuto procedere ad una attività di disinquinamento.
Il giudice ha ritenuto che l’accordo effettuato dall’amministrazione comunale che ha redatto un accordo operativo per il ripristino dello stato dei luoghi e della loro bonifica non preclude la possibilità di costituirsi  parte civile sia da parte del comune che da parte dei singoli cittadini che si ritengano danneggiati. GUP Cremona 20.6.2012

DIRITTO AMMINISTRATIVO ELEMENTI. INDICE


DIRITTO AMMINISTRATIVO ELEMENTI

INDICE

PARTE I
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
1 CAPITOLO
LE FONTI

2 CAPITOLO
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

3 CAPITOLO
PUBBLICO IMPIEGO.


5 CAPITOLO
IL PROCEDIMENTO

11 CAPITOLO
CONTRATTI PUBBLICI
.
12 CAPITOLO
SERVIZIO PUBBLICO.

PARTE III
LE MATERIE

20 CAPITOLO
AMBIENTE

21 CAPITOLO
BENI PATRIMONIO ARTISTICO E DI INTERESSE PAESAGGISTICO.

22 CAPITOLO
CITTADINANZA

23 CAPITOLO
COMMERCIO

24 CAPITOLO
EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA

25 CAPITOLO
ELEZIONI

26 CAPITOLO
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITÀ.

27 CAPITOLO
PARCHI


28 CAPITOLO
SANITA’

29 CAPITOLO
SANZIONI AMMINISTRATIVE


CAPITOLO
30 SICUREZZA


32 CAPITOLO
TELECOMUNICAZIONI.

33 CAPITOLO
URBANISTICA

PARTE IV
LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA

40 CAPITOLO
IL RICORSO AMMINISTRATIVO
41 CAPITOLO
LA  GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA.

42 CAPITOLO
IL PROCESSO

43 CAPITOLO
I RITI SPECIALI

44 CAPITOLO
LE IMPUGNAZIONI

45 CAPITOLO
LA CORTE DEI CONTI

46 CAPITOLO
I TRIBUNALI DELLE ACQUE PUBBLICHE
47 CAPITOLO
GIUDICE ORDINARIO

D.A. 1 CAPITOLO LE FONTI


PARTE I
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
1 CAPITOLO
LE FONTI


1.      Le fonti del diritto amministrativo

Il diritto amministrativo ha per oggetto l’organizzazione, i mezzi e l’attività della pubblica amministrazione ed i conseguenti rapporti giuridici fra la medesima ed altri soggetti pubblici o privati.
Il soggetto attivo nei rapporti regolati dal diritto amministrativo è sempre una pubblica amministrazione quanto meno un soggetto che agisce per fini pubblici.
L’attività dei soggetti pubblici è regolata dalla legge che determina le modalità di svolgimento dell’attività legislativa mentre quando l’amministrazione agisce come un soggetto privato i suoi rapporti sono  regolati da norme privatistiche.
La costituzione fissa i principi cardine che regolano l’attività amministrativa: essi non possono esser disattesi dalla legge ordinaria.
L’azione amministrativa per il principio di legalità deve sempre essere conforme alla legge e seguire gli schemi di procedimento da essa indicati.
La costituzione garantisce la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione che ledono le aspettative dei destinatari nel loro interesse legittimo ad una corretta azione amministrativa, art. 24 cost.
La giurisdizione sulla tutela dell'interesse legittimo spetta, in linea di principio, al giudice amministrativo sia quando il privato invochi la tutela di annullamento, sia quando richieda quella risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, atteso che dette misure non possono essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione, integrando esse uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 5 luglio 2008, n. 366.
L’art. 113 cost., afferma che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme nella parte in cui prevedono che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto "gli atti, i provvedimenti e i comportamenti", anziché "gli atti e i provvedimenti" delle p.a. e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., 2004, I,2594.
L’art. 7, comma  3, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, ha recepito le indicazioni della Corte   affermando che sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma.
Il principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione è rivolto all’apparato amministrativo che deve applicare le leggi secondo criteri di economicità, rapidità ed efficienza, art. 97 cost. Nell’organizzazione dei pubblici uffici le amministrazioni possono valutare discrezionalmente se risponde al loro interesse, in quel determinato momento storico, far luogo alla copertura del posto in pianta organica a mezzo di nuova assunzione : La decisione non è scevra da conseguenze sul piano finanziario, ed è oggi peraltro condizionata, a seguito della introduzione del cd. blocco delle assunzioni, da un procedimento di programmazione delle assunzioni e da un meccanismo di previa autorizzazione. Una volta che la decisione di assumere è stata assunta, l’Amministrazione è vincolata ad attingere alla graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace, non potendo indire nuova tornata concorsuale (sempre che, si badi, vi sia piena corrispondenza tra profili professionali e non soccorrano particolari ragioni da esplicitare nella determinazione di indire comunque un nuovo concorso). Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2010, n. 668
Il principio della imparzialità afferma anche l’indipendenza e al neutralità dell’azione amministrativa nei confronti di tutti i suoi destinatari.
Non sono ammessi comportamenti discriminatori tesi a favorire qualcuno in particolare: Gli atti devono essere motivati ed obbedire a criteri generali preordinati dalla legge. Il principio di imparzialità amministrativa è violato quando le funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico non sono affidate a funzionari neutrali, tenuti ad agire al servizio esclusivo della Nazione, ma a soggetti cui si richiede una specifica appartenenza politica, ovvero un rapporto personale di consentaneità con il titolare dell’organo politico. Corte cost., 5 febbraio 2010, n. 34.
L’art. 98 cost.I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

2.      I principi dell’ordinamento comunitario.


La Corte di Giustizia della Comunità Europea ha fissato dei principi generali che danno omogeneità al diritto comunitario.
Alcuni sono desunti dagli ordinamenti giuridici dei singoli stati e sono stati recepiti dall’ordinamento comunitario, altri sono principi originari che provengono direttamente dalle fonti comunitarie. CENTOFANTI N.,  CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo 2012, 385.
Fanno parte dei principi degli ordinamenti degli stati aderenti il principio di legalità, il principio in materia di contraddittorio, di tutela del diritto di certezza del diritto, di non retroattività degli atti amministrativi e di proporzionalità della sanzione.
Fanno parte dei principi originari del diritto comunitario il principio dell’esecuzione degli obblighi comunitari, di responsabilità dello stato per violazioni alle prescrizioni comunitarie, di responsabilità degli atti amministrativi, di libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, Cons. St., sez. VI, 31 maggio 2006, n. 3321, in Foro amm. CDS, 2006, 5, 1584.
Sono da aggiungere i principi derivanti delle fonti internazionali assunti dallo Stato come quello della protezione della proprietà fissato dalla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349.


3.      L’adeguamento alla normativa nazionale dei principi comunitari.


Con l’adesione ai trattati istitutivi della Comunità Europea l'Italia ha accettato la limitazione della propria sovranità in determinate materie con il trasferimento dei relativi poteri agli organismi comunitari.
Il fondamento costituzionale di tale limitazione di sovranità trova fondamento nell'art. 11, cost. che consente la limitazione di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni.
Gli atti emanati dagli organi comunitari si distinguono in regolamenti, decisioni e direttive, ai sensi dell’art. 249 (ex art. 189) del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, ora denominata Comunità Europea (C.E.), ratificato con L. 14 ottobre 1957, n. 1203, sostituito dal Trattato di Nizza, ratificato con L. 11 maggio 2002, n. 102. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, I, 41.
La numerazione degli articoli portata nel testo è stata introdotta dall’art. 12, L. 16 giugno 1998, n. 209.
Le norme poste dai regolamenti sono direttamente obbligatorie per i soggetti della comunità che sono gli stati membri, senza che l'ordinamento di questi si debba adattare al loro contenuto con apposito atto.
Le decisioni sono atti la cui natura è amministrativa, non normativa, avente contenuto obbligatorio per i destinatari da essa designati.
Le direttive sono atti aventi contenuto normativo che vincolano lo stato membro a raggiungere l'obiettivo fissato lasciando nella facoltà dello stato la forma ed i mezzi per raggiungerlo.



4.      L’adeguamento della normativa regionale.


L’art. 9, L. 16 aprile 1987, n. 183, detta legge La Pergola, attribuisce alle regioni a statuto speciale la facoltà di dare attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie nelle materie di loro competenza esclusiva.
La Corte cost. ha ritenuto ammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in via principale, su una delibera legislativa regionale, non ancora entrata in vigore, per contrasto con un regolamento comunitario, che comporta una violazione indiretta degli artt. 11 e 117 cost.
Ferma restando l'inammissibilità delle questioni che coinvolgono ipotesi di conflitto tra norme comunitarie direttamente applicabili e norme interne - statali e regionali - già in vigore nell'ordinamento, la questione che abbia ad oggetto una delibera legislativa regionale in contrasto con la normativa comunitaria configura una questione di legittimità costituzionale di competenza della Corte cost., dato che le competenze regionali sono suscettibili di operare solo ove non contrastino con i limiti imposti dalla normativa comunitaria.
D'altra parte è contrario agli obblighi comunitari, come esplicitati dalla Corte di giustizia, nonché alla certezza del diritto, consentire che siano immesse nell'ordinamento norme contrarie al diritto comunitario che devono comunque essere disapplicate dai giudici e dalla p.a.
Lo Stato è responsabile di fronte alla comunità europea dell'introduzione nell'ordinamento di norme che violino il diritto comunitario, anche quando queste derivino dall'esercizio della potestà legislativa di una regione; pertanto, è ammissibile l'impugnativa del governo di una legge regionale, non ancora entrata in vigore, che si sospetti in contrasto con la normativa comunitaria.
Nel caso di specie è stato ritenuto che la legge regionale Umbria, riapprovata il 31 marzo 1994, che consente la regolarizzazione di preesistenti impianti vitivinicoli è costituzionalmente illegittima perché in contrasto con gli artt. 6 e 7 del regolamento Cee n. 822 del 1987, violando, con la disciplina della sanatoria, il principio che il rimpianto dei vigneti è consentito previa compensazione per estirpazione, data la necessità di contenere le eccedenze nel settore vitivinicolo. Corte cost., 10 novembre 1994, n. 384.
Successivamente con la legge comunitaria 24 aprile 1998, n. 128, art. 9, tale potere è esteso sia alle regioni a statuto speciale che ordinario e riguarda sia le materie di competenza esclusiva sia quelle di competenza concorrente. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, I, 43.




5.      La disapplicazione delle norme contrastanti col diritto comunitario.


La Corte costituzionale è stata in un primo tempo orientata ad escludere la prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale ritenendo che le norme interne siano sullo stesso piano di quelle comunitarie. Corte cost. 14/1964.
La Corte costituzionale solo successivamente ha affermato la supremazia del dritto comunitario sul diritto interno.
E’ cambiata l’interpretazione data all’art. 11 cost. che attribuisce alle norme internazionali recepimento immediato nel nostro sistema giuridico. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, I, 51.
La Corte consente di attribuire rango costituzionale anche alle norme comunitarie senza la necessità di una norma costituzionale di adeguamento, parificandole alle norme internazionali. Corte cost. 183/1973.
Successivamente la Corte conferma che le disposizioni della CEE sono immediatamente applicabili; esse entrano e permangono in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato che fa parte di un ordinamento giuridico distinto.
L'effetto connesso con la loro vigenza è quello di impedire che la norma interna incompatibile venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale.
Il giudice italiano, accertato che la normativa scaturente dalla fonte comunitaria regola il caso sottoposto al suo esame, deve applicarla con esclusivo riferimento al sistema dell'ente sovranazionale.
Le confliggenti statuizioni della legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento della "forza e valore" che il trattato di Roma conferisce al regolamento comunitario nel configurarlo come atto produttivo di regole immediatamente applicabili.
Poiché il regolamento comunitario fissa la disciplina della specie, da ciò discende che l'effetto connesso con la sua vigenza è quello non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170.
Il testo dell'art. 117, primo comma, cost., mod. art. 2 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, in armonia con le Costituzioni di altri Paesi europei, si collega al quadro dei princìpi che espressamente garantiscono a livello primario l'osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali assunti dallo Stato.
La norma comporta l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli obblighi internazionali viola per ciò stesso tale parametro costituzionale.
Con l'art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati.
Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia permesso dai testi delle norme.
Qualora ciò non sia possibile, ovvero lo stesso giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire la Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349.


6.      Il sistema di tutela. Ricorsi alla Corte di giustizia avverso gli atti della Comunità Europea.


Le persone fisiche e giuridiche possono impugnare i regolamenti e le decisioni di cui sono destinatarie presso la Corte di Giustizia della Comunità, ai sensi dell'art. 230 (ex art. 173) Trattato ratificato in Italia con L. 14 ottobre 1957, n. 1203 e mod.
Qualora il ricorso risulti fondato la Corte, con sentenza, dichiara nullo o pronuncia l'annullamento dell'atto ed impone all'organo in questione di adottare i provvedimenti atti a ripristinare la situazione preesistente all’emanazione dell'atto, ai sensi dell'art. 233 (ex art. 176).
Principio quest'ultimo di portata dirompente se attuato completamente nel sistema italiano degli atti amministrativi.

7.      Avverso gli atti degli Stati membri.


Nel caso di contrasto delle norme della legislazione nazionale con la legislazione comunitaria ,questo può essere fatto rilevare dal cittadino di uno degli stati membri ricorrendo direttamente alla Corte di Giustizia della Comunità per ottenere una sentenza interpretativa che vincoli il giudice nazionale ,ai sensi dell'art.177.
Il ricorrente può porre la questione direttamente al giuridice ordinario o amministrativo competente e proporre a quest'ultimo di ricorrere al procedimento pregiudiziale .
Il giudice ,qualora ritenga sussistente il contrasto fra le norme della legislazione nazionale con le norme del diritto comunitario, sospende il processo e chiede un parere sulla questione alla Corte di Giustizia della Comunità, che decide con sentenza .
Il giudice nazionale deve conformarsi alle decisioni della Corte , ai sensi dell'art.192.
In particolare la giurisprudenza della Corte ha affermato che nel caso di direttive comunitarie che appaiono dal punto di vista del contenuto sufficientemente precise,ma che non sono state recepite nel diritto nazionale o siano state recepite in modo adeguato ,i singoli possono farle valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali chiedendone l'applicazone .
La magistratura nazionale può quindi applicare direttamente al caso concreto quanto fissato dalla direttiva ancora prima che il legislatore nazionale abbia provveduto al recepimento.
Corte Lussennburgo 22-6-1989 n.103 ,in Riv.Giur.Ed.1990,201,in tema di direttive sull'esclusione da gare di appalto di offerte anormalmente basse.

8.      Ricorsi alla Commissione.


Il contrasto fra la legislazione dello stato membro e norme comunitarie può essere fatto valere tramite ricorso alla commissione .
Questa non è un organo giurisdizionale, ma esecutivo,che ha peraltro la possibilità di intervenire presso lo stato membro affinchè elimini il contrasto .
In caso di mancata adesione dello stato interessato la stessa Commissione può adire direttamente alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art.169.
Il ricorso può essere presentato da chiunque, purchè sia redatto per iscritto ,riguardi una disposizione di diritto comunitario, indichi lo stato membro e l'ente o l'impresa che operi in detto stato che non hanno rispettato il diritto comunitario,specifichi i rimedi amministrativi o giurisdizionali già esperiti, presenti i documenti giustificativi o produca i mezzi di prova a sostegno del ricorso ,richieda specificatamente il tipo di intervento che si desidera ottenere.
Sostanzialmente si tratta di un ricorso amministrativo, poichè diretto ad una autorità amministrativa e non giurisdizionale, teso a sollecitare il potere di vigilanza della Commissione sull'osservanza del diritto comunitario.
Esso si esplica attraverso l'intervento della stessa Commissione presso lo stato membro per ottenere la eliminazione del contrasto.
Non vi è alcun dovere della Commissione di emettere un provvedimento espresso ,anche se è prevista l'informazione al ricorrente sulle varie fasi del ricorso e sulle eventuali azioni intraprese fino all'eventuale ricorso che la stessa Commissione può promuovere presso la Corte di Giustizia.


9.      La Commissione europea per i diritti dell’uomo.


La convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata dalla L. 848/1955, introduce a tutela dei cittadini degli stati che l’hanno ratificata un organo di giurisdizione che è la Commissione europea per i diritti dell’uomo, che ha sede presso il Consiglio d’Europa BP-431-R6-F67008 Strasburgo. Francia.
La Commissione può essere adita dopo l’esaurimento delle vie del ricorso interno ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva, come precisa l’art. 26 della legge di ratifica.
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Qualora la Corte accerti che le vie del ricorso interne non siano esaurite ovvero il ricorrente non abbia sollevato esplicitamente o anche solamente nella sostanza le doglianze presentate di fronte alla Corte, ex art. 35, l. 848/1955, il ricorso è dichiarato irricevibile.
La decisione è definitiva e non può essere oggetto di ricorsi davanti alla Corte, compresa la Grande Camera, o ad altri organi.

Il ricorso, che è presentato secondo formulari predisposti dalla stessa Commissione (vedi par. 5) e senza il patrocinio legale, ha il compito di verificare i tempi impiegati dallo Stato membro per amministrare la giustizia.
Non potendo sostituirsi nell’amministrazione della giustizia, la Commissione valuta i tempi e, se gli stessi sono ritenuti lesivi del diritto riconosciuto all’amministrazione della giustizia, lo Stato può essere condannato a pagare un risarcimento dei danni per l’attesa, qualora i tempi siano superiori di quattro anni.

10.  La riforma della L. 89/2001.



La L. 89/2001 - la così detta Legge Pinto - disciplina la previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del c.p.c.
Tale normativa ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della magistratura interna.
Il cittadino che ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa riparazione, art. 2, L. 24 marzo 2001, n. 89.
In caso di un eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine ragionevole, con l’entrata in vigore della L. 89/2001 gli interessati possono richiedere l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto riguarda i processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che la norma individua nella Corte d’appello, art. 3, L. 24 marzo 2001, n. 89.
La Corte deve formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione.
Fino all’emanazione di questa legge, invece, lo Stato italiano, per l’impegno assunto con la Convenzione della tutela dei diritti dell’uomo, presentava le proprie istanze inerenti la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione stessa presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto mancava nell’ordinamento italiano un diritto di azione in funzione di accertare in sede giurisdizionale la tutela alla ragionevole durata del procedimento.
A differenza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, definita nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, comporta obblighi fra Stati e, in caso di denuncia di violazioni della stessa Convenzione, mette in funzione un meccanismo di controllo della condotta dello Stato implicato.
Se all’interno del singolo Stato non esisteva una normativa riguardante rimedi interni, come accadeva per l’Italia prima della Legge Pinto, si poteva ricorrere in via sussidiaria alla Corte europea.
268
L'art. 2, L. 89/2001, detta legge Pinto, nel prevedere l'obbligo dello Stato di corrispondere un’equa riparazione in favore di chi ha subito un danno per effetto di una violazione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo contiene una relatio perfecta all'art. 6 della citata convenzione.
Ne consegue che, per accertare se vi sia stata o meno violazione della suddetta convenzione, il giudice italiano deve applicare i principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Cass. civ., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1339, in Dir. e Giust., 2004, f. 7, 12.
La giurisprudenza ha ritenuto che il danno, da qualificarsi come esistenziale, derivante da una irragionevole durata di una procedura fallimentare va valutato con criterio equitativo, tenuto conto della diminuita qualità della vita conseguente al permanere oltre il termine ragionevole dello status di fallito. Corte App., L'Aquila, 28 ottobre 2003.



D. A. 2 CAPITOLO L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA


2 CAPITOLO
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

1.      Gli enti territoriali. Le funzioni statali. Le funzioni regionali. Le funzioni  degli enti locali.


Il testo dell’art. 117, cost., come modificato dall’art. 3, L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3, nel ripartire la potestà legislativa fra Stato e Regioni, distingue tre principali categorie di materie: quelle riservate in via esclusiva allo Stato, quelle di legislazione concorrente - per le quali la normativa di dettaglio è attribuita alle regioni mentre spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali - e quelle di legislazione esclusiva regionale, che hanno portata residuale.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza;
sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
L’art. 177, 3 comma, cost. definisce le materie a legislazione concorrente ove la potestà legislativa spetta alle regioni, salvo per la determinazione dei criteri fondamentali riservata alla legislazione dello Stato.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Fra dette materie a legislazione concorrente è compreso il governo del territorio.
La dottrina si pone, ad esempio, il problema se tutti gli articoli del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 380, contengano principi fondamentali non derogabili dal legislatore regionale o se quest’ultimo possa approvare una legislazione di dettaglio contrastante con le norme anzidette.
Sembra infatti che l’affermazione dei principi autonomistici espressa nella carta costituzionale possa essere compromessa da una legislazione di dettaglio che, di fatto, nega l’attribuzione di una potestà legislativa concorrente regionale.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa esclusiva in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.



2.      L’ordinamento regionale.


Gli enti pubblici territoriali hanno come elemento costitutivo parte del territorio dello Stato ed ad essi appartengono tutti i soggetti residenti nel medesimo territorio, essi sono: le regioni, le province ed i comuni.
La costituzione è fondamento e limite dei compiti delle autonomie locali.
Essa, infatti, le riconosce e promuove, all’art. 5, e ne fissa le competenze e ne prevede il controllo, ai sensi degli artt. 114 e segg.
Le regioni hanno autonomia legislativa nei limiti dei principi fondamentali fissati dalle leggi dello Stato, nelle materie tassativamente enunciare dall'art. 117 della costituzione.
L’autonomia si manifesta, in particolare nella facoltà di approvare i propri statuti il cui contenuto è previsto dall’art. 123 della costituzione.
Le leggi regionali non devono comunque contrastare con gli interessi dello Stato, con quelli di altre regioni e con gi obblighi internazionali dello Stato.
I conflitti di attribuzione sembrano doversi ridurre con l’entrata in vigore della L. 59/1997 che contiene un principio rivoluzionario, all’insegna del più completo decentramento. Essa, infatti, afferma all’art. 3 che devono essere tassativamente elencate le competenze dello Stato, intendendosi le residue trasferite alle regioni.
Il D.L.vo 31 marzo 1998, n. 112, emanato seguito della delega conferita, completa il pieno decentramento amministrativo.
Lo statuto è deliberato dal consiglio regionale ed è approvato con legge dello stato.
La dottrina ha rilevato come sia discutibile classificare gli statuti come atti normativi regionali, mentre l’approvazione delle camere ha natura di requisito di efficacia.
La dottrina propende a considerare gli statuti come allegati alle leggi statali di approvazione.
Nelle materie in cui hanno funzioni legislative le regioni esercitano anche le relative attività amministrative.
Le regioni, inoltre hanno autonomia finanziaria che si esplica nella possibilità di applicare e riscuotere tributi nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.


3.      Il controllo sugli atti della regione.



L’art. 17, comma 31, della L. 127/1997, prevede una drastica riduzione degli atti amministrativi delle regioni da assoggettare al controllo di legittimità.
Esso dispone l’abrogazione, infatti, degli artt. 1, 2 e 3 comma 5 del D.L. 13 febbraio 1994, n. 40, come modificato dal D.L. 10 novembre 1993, n. 479.
Tale disposizione di legge trae origine direttamente dal principio fissato dall’art. 125 della Costituzione che afferma, in linea generale, che il controllo sugli atti della regione deve essere limitato alla verifica della legittimità, con esclusione di ogni sindacato di merito.
Il legislatore elimina sostanzialmente il controllo di legittimità sulla generalità degli atti amministrativi della regione che si esercita esclusivamente sui regolamenti, esclusi quelli inerenti alla autonomia organizzativa, funzionale e contabile dei consigli regionali, e, inoltre, sugli atti costituenti adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.


4.      Ordinamento degli enti locali.


La costituzione afferma all’art. 5 che la Repubblica una ed indivisibile riconosce e promuove le autonomie locali.
Il precetto costituzionale appare realizzato solo colla legge sulle aut. loc. C. MIGNONE P. VIPIANA P.M. VIPIANA, Commento alla legge sulle autonomie locali, 1993, 25.
Prima della L. 142/1990 gli enti locali sono stati amministrati sulla base del principio dell’uniformità, stante che il legislatore non ha mai tracciato le norme quadro entro quale potere esplicare l’autonomia sancita dalla costituzione.
L’autonomia statutaria fissata dall’art. 4, che riconosce la possibilità dello statuto di disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento di organi ed uffici dell’ente, con al possibilità di prevedere il difensore civico, art. 8, mentre gli aspetti più innovativi riguardano la partecipazione popolare, il decentramento e l’accesso dei cittadini ai procedimenti, secondo le successive norme della L. 241/1990, che semplifica il procedimento amministrativo.
L’autonomia comunale trova riconoscimento nell’assicurazione di risorse proprie e trasferite, sancita dall’art. 54, che consentono l’espletamento delle funzioni assegnate dallo statuto.

5.      Funzioni ed organi.


I comuni e le province hanno compiti di programmazione, nel loro rispettivo ambito territoriale, e di amministrazione attiva.
Il ruolo del comune si è andato arricchendo di competenze in materia urbanistica, acquisendo un ruolo sempre più autonomo, anche nei confronti della regione tradizionale ente di controllo, di assistenza e beneficenza, di assistenza sanitaria, in materia commerciale, in materia di edilizia pubblica, sottraendo il ruolo centrale da organismi sovracomunali quali gli IACP, ora aziende territoriali.
Anche il ruolo della provincia esce sostanzialmente rivalutato, accantonata l’esperienza dei comprensori, qualificandosi come ente territoriale intermedio tra comune e regione.
Gli artt. 14 e 15, l. 142/1990 attribuiscono alla provincia funzioni di coordinamento e di programmazione economica e territoriale ambientale.
Vengono attribuite alla provincia funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e dell’ambiente, di tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, dei beni culturali, della viabilità e dei trasporti, di protezione della flora e della fauna, della caccia e della pesca, di protezione ambientale, dei rifiuti e degli scarichi delle acque ed emissioni atmosferiche, dei servizi sanitari.
Viene sancita la competenza programmatoria della provincia.
Le funzioni della provincia si esercitano sia in campo economico, concorrendo a determinare il piano regionale di sviluppo, sia in campo urbanistico, attraverso il piano territoriale di coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio provinciale.
Il piano trova un limite programmatorio negli indirizzi regionali e nel relativo piano territoriale di coordinamento cui deve adeguarsi.
La legge sulle aut. loc. ridisegna le competenze degli organi tradizionali del comune (consiglio, giunta e sindaco) e della provincia (consiglio, giunta e presidente).
Il consiglio ( comunale e provinciale) è definito organo di indirizzo e controllo politico amministrativo, dall’art. 32 della L. 142/1990, la sua competenza è limitata agli atti fondamentali tassativamente indicati dallo stesso articolo.
L’attribuzione delle funzioni è riservato alla giunta salvo quelle espressamente affidate al consiglio, contrariamente a quanto ha affermato l’art. 141 del T.U. 148/1915 che ha sancito la competenza esclusiva del consiglio, salvo gli atti espressamente attribuiti a giunta e sindaco.
Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali, come precisa l’art. 32 della L. 142/1990 e mod.:
a) gli statuti dell'ente e delle aziende speciali, i regolamenti, l'ordinamento degli uffici e dei servizi;
b) i programmi, le relazioni previsionali e programmatiche, i piani finanziari, i programmi e di progetti preliminari di opere pubbliche, come precisa l’art. 15 L. 109/1994, i bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, i conti consuntivi, i piani territoriali e urbanistici, i piani particolareggiati e di recupero, come precisa l’art. 5 c. 5 L. 127/1997,i programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, le eventuali deroghe ad essi, i pareri da rendere nelle dette materie;
d) le convenzioni tra i comuni e quelle tra comuni e provincia, la costituzione e la modificazione di forme associative;
e) l'istituzione, i compiti e le norme sul funzionamento degli organismi di decentramento e di partecipazione;
f) l'assunzione diretta dei pubblici servizi, la costituzione di istituzioni e di aziende speciali, la concessione dei pubblici servizi, la partecipazione dell'ente locale a società di capitali, l'affidamento di attività o servizi mediante convenzione;
g) l'istituzione e l'ordinamento dei tributi, la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi;
h) gli indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza;
i) la contrazione dei mutui e l'emissione dei prestiti obbligazionari;
l) le spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo;
m) gli acquisti e le alienazioni immobiliari, le relative permute, gli appalti e le concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari;
n) la nomina, la designazione e la revoca dei propri rappresentanti presso enti, aziende ed istituzioni operanti nell'ambito del comune o della provincia ovvero da essi dipendenti o controllati.
La giunta conserva al configurazione di organo esecutivo del governo locale.
Essa è chiamata ad attuare gli indirizzi generali ed a svolgere l’attività propositiva o di impulso nei confronti del consiglio a ci deve riferire annualmente in ordine all’attività svolta.
La giunta compie tutti gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non rientrino nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia, degli organi di decentramento, del segretario o dei funzionari dirigenti, come precisa l’art. 35 della L. 142/1990.
L’organo di governo appare rafforzato nella sua attività di gestione da una sorta di prorogatio che ne consente, salvi fatti eccezionali la durata per tutto il mandato amministrativo.
Non basta, infatti, il voto contrario ad una proposta di giunta per provocare le sue dimissioni, né è sufficiente il voto di revoca del consiglio, ex art. 148/1915 per provocare le dimissioni del sindaco del presidente della provincia e della giunta.
Oltre che alla richiesta di revoca è necessaria una mozione di sfiducia costruttiva espressa per appello nominale con voto della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati al comune o alla provincia.
La mozione deve essere sottoscritta da almeno un terzo dei consiglieri e può essere proposta solo nei confronti dell'intera giunta; deve contenere la proposta di nuove linee politico-amministrative, di un nuovo sindaco o presidente della provincia e di una nuova giunta, come precisa l’art. 37 della L. 142/1990.
Sono evidentemente elementi di stabilità politica in contrapposizione alla crescente instabilità.
L’opposizione ha, per contro, un ruolo che appare limitato dall’esigenza di consentire di governare, per cui il ruolo fondamentale è quello di tracciare programmi ed alleanze in vista delle future elezioni amministrative.


6.      Il sindaco. Il presidente della provincia.


Per effetto della riforma delle autonomie locali vi è stata la generale devoluzione delle competenze del sindaco ai dirigenti del comune, atteso che la nuova organizzazione complessiva dell'ente locale pone una “summa divisio” tra organi di governo elettivi - preposti agli atti di indirizzo e di controllo - e i dirigenti - preposti agli atti di gestione ordinaria di tutte le altre funzioni amministrative. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 19 ottobre 2006, n. 8683, in Foro amm. TAR, 2006, 10, 3290.
Al sindaco e al presidente della provincia spettano le funzioni di rappresentanza dell’ente di convocazione e presidenza degli enti, di direzione, di controllo e di vigilanza del corretto funzionamento degli uffici nonché della esecuzione degli organi collegiali.
Il sindaco e il presidente della provincia hanno, inoltre, un potere surrogatorio del consiglio in materia di nomine di competenza consiliare dei rappresentanti presso enti, aziende ed istituzioni, ai sensi dell’art. 50 del D.L.vo 267/2000.
Ulteriori competenze sono attribuite al sindaco quale ufficiale di governo dall’art. 54 del D.L.vo 267/2000, che riprende l’art. 152 del T.U. 148/1915, in materia di tenuta dei registri dello stato civile, di anagrafe elettorale, statistica, di leva militare, di pubblica sicurezza, di igiene pubblica, di sanità. E’ confermato il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, per gravi motivi di sicurezza pubblica, nelle materie di igiene e sanità, della polizia locale e dell’edilizia.
Il sindaco e il presidente della provincia nominano i rappresentanti dei comuni presso enti, aziende ed istituzioni. Le nomine e le designazioni di rappresentanti delle amministrazioni locali presso altri enti, rispettivamente, di competenza del sindaco e del presidente della provincia, devono considerarsi di carattere fiduciario, nel senso che riflettono il giudizio di affidabilità espresso attraverso la nomina, ovvero la fiducia sulla capacità del nominato di rappresentare gli indirizzi di chi l'ha designato, orientando l'azione dell'organismo nel quale si trova ad operare in senso quanto più possibile conforme agli interessi di chi ha già conferito l'incarico. T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 21 marzo 2007, n. 2557.
La giurisprudenza ha precisato che il provvedimento di nomina del presidente e dei componenti del collegio sindacale di s.p.a. multiservizi di un ente locale, pur comportando scelta nell'ambito dei soggetti ritenuti idonei tra quelli che hanno proposto la loro candidatura a seguito di avviso di selezione da parte dell'ente locale, si caratterizza non già come mero giudizio conseguente all'individuazione del candidato tecnicamente più qualificato, bensì come giudizio sulle qualità del nominato ed espressione della volontà di presceglierlo per la ritenuta maggiore affidabilità che lo stesso garantisce rispetto all'indirizzo politico gestionale dell'amministrazione procedente. Pur ribadendo la necessità del possesso, da parte del prescelto, dei requisiti richiesti dalla procedura selettiva, l’indirizzo ritiene che il provvedimento, proprio perché adottato sulla base del vincolo fiduciario ed "intuitu personae", non può essere considerato illegittimo nel caso in cui non indichi le ragioni della nomina di aspirante rispetto ad un altro. T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 15 maggio 2006, n. 1759, in Corr. del mer., 2006, 7, 921.
Il sindaco e il presidente della provincia nominano i responsabili degli uffici e dei servizi e attribuiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna, ex art. 13 della L. 81/1993, mod. art. 50, comma 10, D.L.vo 267/2000,
Tale innovazione, salutata come grande innovazione per consentire la governabilità, a mio avviso, è norma in palese contrasto con l’art. 97 della costituzione.
Il sistema di accesso ad incarichi di rilievo nell’amministrazione deve, secondo i principi costituzionali, essere programmato attraverso meccanismi di evidenza pubblica per garantire che i funzionari pubblici non siano di parte.
Cosa succederebbe se per lo stesso principio i magistrati fossero nominati dal Ministro di grazia e giustizia e i professori universitari dal Ministro per la ricerca scientifica?.
Una società complessa presuppone una formazione dei dirigenti che non si ha certo attraverso nomine prive di ogni meccanismo di verifica delle competenze professionali, eccettuato quello del collegamento temporale del funzionario con l’amministratore.

7.      I dirigenti.


La legge sulle autonomie locali riforma le funzioni del sindaco, del presidente della provincia e della giunta in rapporto alle funzioni dei dirigenti, dando ai primi le funzioni di indirizzo politico ad ai secondi le funzioni amministrative.
L'art. 107, D.L.vo 267/2000, precisa i compiti dei dirigenti.
Ad essi sono attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico, tra i quali, in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente:
a) la presidenza delle commissioni di gara e di concorso. La giurisprudenza ha precisato che
è annullabile per difetto di incompetenza la delibera giuntale di approvazione degli atti della gara per l'aggiudicazione dell'appalto pubblico di lavori, neppure nella forma surrettizia della cd. proposta di deliberazione del Sindaco, trattandosi di atto di amministrazione attiva riservato, ai sensi dell'art. 107 del D. lg. 18 agosto 2000, n. 267, ai dirigenti. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 13 marzo 2007, n. 177;
b) la responsabilità delle procedure d'appalto e di concorso;
c) la stipulazione dei contratti;
d) gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l'assunzione di impegni di spesa;
e) gli atti di amministrazione e gestione del personale;
f) i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e i permessi di costruire.
Ogni previsione della l. n. 47 del 1985 relativa alla competenza del sindaco in materia edilizia deve ritenersi implicitamente abrogata, dal momento che tutti i provvedimenti di gestione amministrativa in materia edilizia ed urbanistica, compreso quindi il rigetto di una richiesta di concessione edilizia in sanatoria o di condono, rientrano ora nella sfera di competenza del dirigente. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 12 febbraio 2007, n. 1193, in Foro amm. TAR, 2007, 2, 634.
Rientra, inoltre, nella competenza del dirigente e non del sindaco l'adozione degli atti di annullamento e di decadenza dell'assegnazione di un alloggio di edilizia economica e popolare. T.A.R. Abruzzo Pescara, 15 dicembre 2006, n. 885;
g) tutti provvedimenti di sospensione lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale nonché i poteri di repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico ambientale. La giurisprudenza ha precisato che il sindaco non è titolare di alcuna competenza ad emettere provvedimenti nell'esercizio di poteri repressivi in materia edilizia che, infatti, sono espressamente riservati alla competenza gestionale dei dirigenti.
Rimangono al sindaco funzioni attribuite da leggi specifiche, fra le quali rientrano quelle in materia di fruibilità di strade e volte ad ordinare la riduzione in pristino di situazioni che alterino lo stato delle cose, come previsto dall'art. 378, L. 2248 del 1865, all. f). T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 15 febbraio 2007, n. 277, in Foro amm. TAR, 2007, 2, 758.;
h) le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;
i) gli atti ad essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco.


8.      Le aree metropolitane.


L’art. 17 della L. 142/1990 e mod. ha previsto la costituzione di aree metropolitane nei comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari e Napoli; la funzione è stata attribuita alle regioni.
L’istituto si differenzia dal consorzio di comuni per l’obbligatorietà di costituzione attraverso una legge regionale e la preminenza attribuita al comune maggiore che presiede il consiglio.
La giunta del nuovo organismo amministra il territorio e, fra l’altro, sostituisce la provincia, sommando alle competenze di questo ente quelle nuove introdotte dall’istituto.
I comuni di gronda mantengono le loro competenze, salvo quelle di carattere sovracomunale, che sono attribuite alla città metropolitana:
Le principali competenze in materia pianificatoria viene sostanzialmente ridisegnato il contenuto di un moderno piano territoriale di coordinamento.
Sono attribuite alla città metropolitana, dall’art. 19 della L. 142/1990 le funzioni di competenza provinciale, le funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale o debbono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell'area metropolitana, nell'ambito delle seguenti materie:
a) pianificazione territoriale
b) reti infrastrutturali e servizi a rete;
c) piani di traffico intercomunali;
d) tutela e valorizzazione dell’ambiente e rilevamento dell’inquinamento atmosferico;
e) interventi di difesa del suolo e di tutela idrogeologica;
f) raccolta, distribuzione e depurazione del acque;
g) smaltimento dei rifiuti;
h) grande distribuzione commerciale;
i) attività culturali;
l) orari degli esercizi commerciali.
La regione deve individuare le singole competenze e ripartirle fra gli organi dell’area con propria legge, oltre che riordinare le circoscrizioni territoriali nell’area.
In carenza di iniziative regionali sono previsti poteri sostitutivi del governo, che finora, per ovvie ragioni di rispetto dell’autonomia regionale, non sono stati esercitati.



9.      Le modifiche al sistema di controllo sugli atti del comune e della provincia.


Il controllo di legittimità sugli atti delle regioni e degli enti locali è stato eliminato in via di principio con La legge costituzionale 3/2001. T. ROMEI, Il Comitato Regionale di Controllo e la fase transitoria a seguito della legge costituzionale n. 3/2001, in Nuova Rass., 2001, n.22, 2269.
Successivamente le regioni hanno provveduto ad abrogare le norme che disciplinavano i Comitati regionali di controllo.
In tal modo il legislatore riconosce l’autonomia agli enti locali, ponendosi nella prospettiva della realizzazione di un modello di Stato in senso federale.
L’art. 127, del D.L.vo 267/2000 attribuisce al difensore civico comunale e provinciale, dalla data di rispettiva istituzione, il controllo eventuale di legittimità, sollecitato dalle minoranze, sugli atti della giunta in materia di appalti e affidamento di servizi o forniture di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario e di assunzione del personale, di piante organiche e relative variazioni.

10.  Il controllo sugli organi.


Il controllo sugli organi degli enti locali è attribuito allo Stato che lo esercita attraverso un procedimento amministrativo, demandato al decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell'Interno; di norma il decreto fa riferimento per relationem ai motivi.
La procedura di scioglimento è attribuita al prefetto che si avvale del potere ispettivo riconosciutogli dall'art. 38 comma 5 della L. 142/1990 e dall'art. 19 comma 4 del R.D. 383/1934.
Non è previsto l'intervento della regione in tale procedimento. La regione ha intessesse a partecipare al procedimento ai sensi della L. 241/190 sull'accesso al procedimento amministrativo.
Le ipotesi sono tassativamente previste dall'art. 39 nei seguenti casi:
a) Compimento di atti contrari alla Costituzione. L'ipotesi, che finora non è ancora in pratica configurata, prevede il rifiuto da parte del consiglio dei principi fondamentali; si pensi ad un consiglio che non voglia riconoscere l'unità della repubblica italiana, in tal caso non è necessaria la previa diffida per addivenire allo scioglimento.
b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organo e dei servizi.
Le ipotesi sono tassativamente previste dall’art. 141, comma 1, del D. L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
Impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del Presidente della provincia. Il sistema di elezione diretta del sindaco e del Presidente dell'amministrazione provinciale, disposto dalla L. 81/1993, presuppone un rapporto insostituibile fra i cittadini ed i vertici delle amministrazioni locali; ove questi non possano, per qualsiasi motivo, portare a termine il mandato loro attribuito si deve procedere allo scioglimento del consiglio per indire nuove elezioni.
Dimissioni del sindaco od del presidente della provincia la medesima soluzione è sancita nel caso di dimissioni, ad esempio, per candidarsi ad altro incarico incompatibile con la carica.
Cessazione dalla carica per dimissioni di almeno la metà più uno dei consiglieri dei consiglieri. In tale ipotesi, in attesa del decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica, il prefetto può procedere alla sospensione del consiglio e alla nomina del commissario. Se non vi è contestualità nelle dimissioni è ammessa la surrogazione dei consiglieri dimissionari.
Riduzione dell’organico assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio.
Mancata approvazione del bilancio. Il bilancio di previsione per l'anno successivo deve essere approvato entro il 31 dicembre, ai sensi dell'art. 151, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
La giunta deve approvare il relativo schema; in carenza il comitato di controllo nomina il commissario ad acta che predispone l'elaborato per sottoporlo al consiglio. Successivamente il comitato assegna al consiglio un termine di venti giorni per l'approvazione, con diffida notificata ai singoli consiglieri; in carenza viene nominato il commissario che approva il bilancio.
Il provvedimento sostitutivo viene comunicato al prefetto che inizia la procedura di scioglimento, ex art. 141, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
Scioglimento per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso. Tale fattispecie è prevista dall’art. 143, del D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, quando emergono elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi ed il buon andamento delle amministrazioni.
L'iter è iniziato dal prefetto, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri.
Mancata approvazione degli strumenti urbanistici. Tale fattispecie è stata introdotta dall'art. 4 del D.L. 495/1996, che peraltro non è stato convertito in legge e pertanto non è tuttora vigente.
Il decreto di scioglimento può essere impugnato alla giustizia amministrativa per motivi di legittimità dai singoli consiglieri facenti parte del consiglio ora sciolto, ma non dal consiglio, che dopo il decreto ha perduto la sua personalità giuridica, né dai cittadini, carenti all'interesse all'impugnativa, né dall'amministrazione regionale.



11.  Gli altri enti pubblici. Le autorità amministrative indipendenti.


Le autorità amministrative indipendenti sono istituite dal legislatore al fine di governare determinati settori di servizi prima affidati all’amministrazione. Il fenomeno è del tutto differente da quello della cosiddetta amministrazione per enti pubblici dove gli enti erano direttamente dipendenti dall’amministrazione statale e, in particolare, avevano il controllo diretto o indiretto da parte dei ministeri.
Le autorità amministrative indipendenti sono, infatti, totalmente svincolate da ogni rapporto con l’organizzazione ministeriale.
Il fenomeno ha incontrato un indubbio successo visto il proliferare di tali autorità.
Non esiste una legge generale che disciplini le caratteristiche fondamentali di dette autorità perché questi enti non costituiscono una categoria omogenea; si può solo evidenziare una caratteristica negativa ossia che esse non sono organi dell’amministrazione statale.
Le Autorità esercitano dei poteri regolatori nell’ambito delle competenze ad esse attribuite che sono poste al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri e al di fuori del circuito di responsabilità delineato dall'art. 95 della Costituzione.
Detto potere deve essere supportato da un procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture rappresentative.
In assenza di responsabilità e di soggezione nei confronti del Governo, l'indipendenza e neutralità delle Autorità può trovare un fondamento dal basso, a condizione che siano assicurate le garanzie del giusto procedimento e che il controllo avvenga poi in sede giurisdizionale.
Non è pensabile che l'attività di regulation sia svolta senza la necessaria partecipazione al procedimento dei soggetti interessati: nei settori regolati dalle Autorità, in assenza di un sistema completo e preciso di regole di comportamento con obblighi e divieti fissati dal legislatore, la caduta del valore della legalità sostanziale deve essere compensata, almeno in parte, con un rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del contraddittorio.
La dottrina ha sottolineato che si instaura una correlazione inversa tra legalità sostanziale e legalità procedurale: quanto meno è garantita la prima, per effetto dell'attribuzione alle Autorità indipendenti di poteri normativi e amministrativi non compiutamente definiti, tanto maggiore è l'esigenza di potenziare le forme di coinvolgimento di tutti i soggetti interessati nel procedimento finalizzato all'assunzione di decisioni che hanno un impatto rilevante sull'assetto del mercato e sugli operatori. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, 858.
La giurisprudenza esige che l'attività di regolazione sia preceduta dalla consultazione preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo e valutativo dei soggetti interessati. Consiglio Stato, sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7972, in Foro amm. CDS, 2006, 12 3398
In altri casi all’autorità compete un potere di controllo destinato a sfociare solo in relazioni periodiche al governo e al Parlamento, come l’autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, prevista dalla L. 109/1994.
Il potere di controllo può essere preliminare e, come tale, condizionante l’esercizio successivo della Corte dei Conti, come l’autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione, di cui alla L. 12 febbraio 1993, n. 39.


12.  Classificazione. Le autorità trasversali. Le autorità di settore.


La dottrina classifica le autorità amministrative indipendenti in rapporto alle loro competenze in autorità trasversali e autorità di settore.
Le autorità trasversali sono preposte ad un determinata materia con caratteri di generalità come la commissione di garanzia dell’attuazione del diritto di sciopero e l’autorità per la concorrenza ed il mercato disposte dalla L. 10 ottobre 1990, n. 287, che verifica il rispetto delle regole concorrenziali alla legislazione italiana e a quella comunitaria in ogni ambito economico.
La commissione di garanzia dell’attuazione del diritto di sciopero è stata istituita dalla L. 12 giugno 1990, n. 146.
La commissione è preposta per realizzare tentativi di conciliazione tesi a comporre eventuali conflitti sociali che possono sfociare in manifestazioni di sciopero.
La regolamentazione dello sciopero e delle sue modalità, a salvaguardia dei servizi essenziali, è disposta attraverso una ordinanza, ai sensi dell'art. 8, comma 2 della L. 12 giugno 1990, n. 146.
Le autorità di settore operano, invece, in un ambito circoscritto al fine di regolare e vigilare una determinata attività, come l’autorità per la radiodiffusione e l’editoria disposta dalla L. 6 agosto 1990, n. 223, l’autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione disposta dalla L. 12 febbraio 1993, n. 39, l’autorità per i servizi di pubblica utilità disposta dalla L. 14 novembre 1995, n. 481, l’autorità per il trattamento dei dati personali disposta dalla L. 31 dicembre 1996, n. 675, l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni disposta dalla L. 31 luglio 1997, n. 249.
La L. 6 agosto 1990, n. 223 affida al Garante per la radiodiffusione e l’editoria poteri di programmazione, autorizzazione e controllo sulle imprese radiotelevisive ed editoriali.
L’art. 31 della L. 6 agosto 1990, n. 223 affida al Garante e al Ministro delle poste e telecomunicazioni funzioni sanzionatorie. Per le sanzioni amministrative si applica la L. 24 novembre 1981, n. 689, vedi voce Sanzioni amministrative, par. 2.
Contro i provvedimenti di revoca della concessione è, evidentemente, ammesso ricorso al giudice amministrativo.
La giurisprudenza ha precisato, infatti, che il privato, che gestisca un'emittente via etere di programmi radiotelevisivi in ambito locale, deve adire la giurisdizione amministrativa e non quella ordinaria, qualora insorga contro il provvedimento di chiusura del suo impianto. Cass. civ., sez. un., 7 maggio 1996, n. 4219, in Giust. civ. Mass., 1996, 679.
La autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione è costituita dalla L. 12 febbraio 1993, n. 39.
L’autorità ha, da un lato, funzioni di consulenza tecnica in materia di pianificazione, progettazione, realizzazione, gestione e mantenimento dei sistemi informativi automatizzati delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 7 della L. 12 febbraio 1993 n. 39, dall’altro ha funzione consultiva obbligatoria sugli schemi di contratto concernenti l’acquisizione di beni e servizi relativi ai sistemi informativi automatizzati, salvo il controllo successivo della Corte dei Conti cui l’autorità deve conformarsi, ai sensi dell’art. 14 della L. 12 febbraio 1993, n. 39.
I provvedimenti adottati dall’autorità hanno sostanzialmente natura di atti preparatori che possono essere impugnati coll’atto che li recepisce secondo le regole generali. Sono, pertanto, impugnabili dinanzi al giudice amministrativo gli atti che si riferiscono alla gara di appalto.
La L. 14 novembre 1995, n. 481 istituisce le autorità competenti per i servizi di pubblica utilità rispettivamente per l’energia elettrica il gas e per le telecomunicazioni.
L’autorità ha, fra l’altro, il compito di formulare proposte al governo sui servizi da assoggettare a regime di concessione o autorizzazione, stabilisce le tariffe, controlla lo svolgimento dei servizi con poteri di ispezione, accesso e acquisizione della documentazione, assicura la più ampia pubblicità delle condizioni dei servizi.
I provvedimenti adottati dall’autorità hanno natura amministrativa e sono, pertanto, impugnabili dinanzi al giudice amministrativo, ove ha sede l’autorità che ha giurisdizione esclusiva, ai sensi dell’art. 2, comma 25, della L. 14 novembre 1995, n. 481
La giurisprudenza ha precisato che i provvedimenti recanti nuovi criteri applicativi delle tariffe elettriche restano in vigore, ancorché anteriormente emanati, sino alla rideterminazione delle tariffe predette da parte dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, ai sensi della L. 14 novembre 1995, n. 481, art. 2, comma 12. Cons. Stato, sez. VI, 20 giugno 1997, n. 943, in Foro amm., 1997, 1692.