mercoledì 20 giugno 2012

D.A. 1 CAPITOLO LE FONTI


PARTE I
L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
1 CAPITOLO
LE FONTI


1.      Le fonti del diritto amministrativo

Il diritto amministrativo ha per oggetto l’organizzazione, i mezzi e l’attività della pubblica amministrazione ed i conseguenti rapporti giuridici fra la medesima ed altri soggetti pubblici o privati.
Il soggetto attivo nei rapporti regolati dal diritto amministrativo è sempre una pubblica amministrazione quanto meno un soggetto che agisce per fini pubblici.
L’attività dei soggetti pubblici è regolata dalla legge che determina le modalità di svolgimento dell’attività legislativa mentre quando l’amministrazione agisce come un soggetto privato i suoi rapporti sono  regolati da norme privatistiche.
La costituzione fissa i principi cardine che regolano l’attività amministrativa: essi non possono esser disattesi dalla legge ordinaria.
L’azione amministrativa per il principio di legalità deve sempre essere conforme alla legge e seguire gli schemi di procedimento da essa indicati.
La costituzione garantisce la tutela contro gli atti della pubblica amministrazione che ledono le aspettative dei destinatari nel loro interesse legittimo ad una corretta azione amministrativa, art. 24 cost.
La giurisdizione sulla tutela dell'interesse legittimo spetta, in linea di principio, al giudice amministrativo sia quando il privato invochi la tutela di annullamento, sia quando richieda quella risarcitoria, in forma specifica o per equivalente, atteso che dette misure non possono essere oggetto di separata e distinta considerazione ai fini della giurisdizione, integrando esse uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 5 luglio 2008, n. 366.
L’art. 113 cost., afferma che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme nella parte in cui prevedono che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto "gli atti, i provvedimenti e i comportamenti", anziché "gli atti e i provvedimenti" delle p.a. e dei soggetti alle stesse equiparati, in materia urbanistica ed edilizia. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204, in Foro it., 2004, I,2594.
L’art. 7, comma  3, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, ha recepito le indicazioni della Corte   affermando che sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e degli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma.
Il principio costituzionale di buon andamento ed imparzialità dell’Amministrazione è rivolto all’apparato amministrativo che deve applicare le leggi secondo criteri di economicità, rapidità ed efficienza, art. 97 cost. Nell’organizzazione dei pubblici uffici le amministrazioni possono valutare discrezionalmente se risponde al loro interesse, in quel determinato momento storico, far luogo alla copertura del posto in pianta organica a mezzo di nuova assunzione : La decisione non è scevra da conseguenze sul piano finanziario, ed è oggi peraltro condizionata, a seguito della introduzione del cd. blocco delle assunzioni, da un procedimento di programmazione delle assunzioni e da un meccanismo di previa autorizzazione. Una volta che la decisione di assumere è stata assunta, l’Amministrazione è vincolata ad attingere alla graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace, non potendo indire nuova tornata concorsuale (sempre che, si badi, vi sia piena corrispondenza tra profili professionali e non soccorrano particolari ragioni da esplicitare nella determinazione di indire comunque un nuovo concorso). Cons. St., sez. VI, 10 febbraio 2010, n. 668
Il principio della imparzialità afferma anche l’indipendenza e al neutralità dell’azione amministrativa nei confronti di tutti i suoi destinatari.
Non sono ammessi comportamenti discriminatori tesi a favorire qualcuno in particolare: Gli atti devono essere motivati ed obbedire a criteri generali preordinati dalla legge. Il principio di imparzialità amministrativa è violato quando le funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico non sono affidate a funzionari neutrali, tenuti ad agire al servizio esclusivo della Nazione, ma a soggetti cui si richiede una specifica appartenenza politica, ovvero un rapporto personale di consentaneità con il titolare dell’organo politico. Corte cost., 5 febbraio 2010, n. 34.
L’art. 98 cost.I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

2.      I principi dell’ordinamento comunitario.


La Corte di Giustizia della Comunità Europea ha fissato dei principi generali che danno omogeneità al diritto comunitario.
Alcuni sono desunti dagli ordinamenti giuridici dei singoli stati e sono stati recepiti dall’ordinamento comunitario, altri sono principi originari che provengono direttamente dalle fonti comunitarie. CENTOFANTI N.,  CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo 2012, 385.
Fanno parte dei principi degli ordinamenti degli stati aderenti il principio di legalità, il principio in materia di contraddittorio, di tutela del diritto di certezza del diritto, di non retroattività degli atti amministrativi e di proporzionalità della sanzione.
Fanno parte dei principi originari del diritto comunitario il principio dell’esecuzione degli obblighi comunitari, di responsabilità dello stato per violazioni alle prescrizioni comunitarie, di responsabilità degli atti amministrativi, di libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali, Cons. St., sez. VI, 31 maggio 2006, n. 3321, in Foro amm. CDS, 2006, 5, 1584.
Sono da aggiungere i principi derivanti delle fonti internazionali assunti dallo Stato come quello della protezione della proprietà fissato dalla Convenzione Europea per i diritti dell’uomo. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349.


3.      L’adeguamento alla normativa nazionale dei principi comunitari.


Con l’adesione ai trattati istitutivi della Comunità Europea l'Italia ha accettato la limitazione della propria sovranità in determinate materie con il trasferimento dei relativi poteri agli organismi comunitari.
Il fondamento costituzionale di tale limitazione di sovranità trova fondamento nell'art. 11, cost. che consente la limitazione di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni.
Gli atti emanati dagli organi comunitari si distinguono in regolamenti, decisioni e direttive, ai sensi dell’art. 249 (ex art. 189) del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea, ora denominata Comunità Europea (C.E.), ratificato con L. 14 ottobre 1957, n. 1203, sostituito dal Trattato di Nizza, ratificato con L. 11 maggio 2002, n. 102. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, I, 41.
La numerazione degli articoli portata nel testo è stata introdotta dall’art. 12, L. 16 giugno 1998, n. 209.
Le norme poste dai regolamenti sono direttamente obbligatorie per i soggetti della comunità che sono gli stati membri, senza che l'ordinamento di questi si debba adattare al loro contenuto con apposito atto.
Le decisioni sono atti la cui natura è amministrativa, non normativa, avente contenuto obbligatorio per i destinatari da essa designati.
Le direttive sono atti aventi contenuto normativo che vincolano lo stato membro a raggiungere l'obiettivo fissato lasciando nella facoltà dello stato la forma ed i mezzi per raggiungerlo.



4.      L’adeguamento della normativa regionale.


L’art. 9, L. 16 aprile 1987, n. 183, detta legge La Pergola, attribuisce alle regioni a statuto speciale la facoltà di dare attuazione alle raccomandazioni e direttive comunitarie nelle materie di loro competenza esclusiva.
La Corte cost. ha ritenuto ammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata in via principale, su una delibera legislativa regionale, non ancora entrata in vigore, per contrasto con un regolamento comunitario, che comporta una violazione indiretta degli artt. 11 e 117 cost.
Ferma restando l'inammissibilità delle questioni che coinvolgono ipotesi di conflitto tra norme comunitarie direttamente applicabili e norme interne - statali e regionali - già in vigore nell'ordinamento, la questione che abbia ad oggetto una delibera legislativa regionale in contrasto con la normativa comunitaria configura una questione di legittimità costituzionale di competenza della Corte cost., dato che le competenze regionali sono suscettibili di operare solo ove non contrastino con i limiti imposti dalla normativa comunitaria.
D'altra parte è contrario agli obblighi comunitari, come esplicitati dalla Corte di giustizia, nonché alla certezza del diritto, consentire che siano immesse nell'ordinamento norme contrarie al diritto comunitario che devono comunque essere disapplicate dai giudici e dalla p.a.
Lo Stato è responsabile di fronte alla comunità europea dell'introduzione nell'ordinamento di norme che violino il diritto comunitario, anche quando queste derivino dall'esercizio della potestà legislativa di una regione; pertanto, è ammissibile l'impugnativa del governo di una legge regionale, non ancora entrata in vigore, che si sospetti in contrasto con la normativa comunitaria.
Nel caso di specie è stato ritenuto che la legge regionale Umbria, riapprovata il 31 marzo 1994, che consente la regolarizzazione di preesistenti impianti vitivinicoli è costituzionalmente illegittima perché in contrasto con gli artt. 6 e 7 del regolamento Cee n. 822 del 1987, violando, con la disciplina della sanatoria, il principio che il rimpianto dei vigneti è consentito previa compensazione per estirpazione, data la necessità di contenere le eccedenze nel settore vitivinicolo. Corte cost., 10 novembre 1994, n. 384.
Successivamente con la legge comunitaria 24 aprile 1998, n. 128, art. 9, tale potere è esteso sia alle regioni a statuto speciale che ordinario e riguarda sia le materie di competenza esclusiva sia quelle di competenza concorrente. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, I, 43.




5.      La disapplicazione delle norme contrastanti col diritto comunitario.


La Corte costituzionale è stata in un primo tempo orientata ad escludere la prevalenza del diritto comunitario sul diritto nazionale ritenendo che le norme interne siano sullo stesso piano di quelle comunitarie. Corte cost. 14/1964.
La Corte costituzionale solo successivamente ha affermato la supremazia del dritto comunitario sul diritto interno.
E’ cambiata l’interpretazione data all’art. 11 cost. che attribuisce alle norme internazionali recepimento immediato nel nostro sistema giuridico. F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, 2004, I, 51.
La Corte consente di attribuire rango costituzionale anche alle norme comunitarie senza la necessità di una norma costituzionale di adeguamento, parificandole alle norme internazionali. Corte cost. 183/1973.
Successivamente la Corte conferma che le disposizioni della CEE sono immediatamente applicabili; esse entrano e permangono in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato che fa parte di un ordinamento giuridico distinto.
L'effetto connesso con la loro vigenza è quello di impedire che la norma interna incompatibile venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale.
Il giudice italiano, accertato che la normativa scaturente dalla fonte comunitaria regola il caso sottoposto al suo esame, deve applicarla con esclusivo riferimento al sistema dell'ente sovranazionale.
Le confliggenti statuizioni della legge interna non possono costituire ostacolo al riconoscimento della "forza e valore" che il trattato di Roma conferisce al regolamento comunitario nel configurarlo come atto produttivo di regole immediatamente applicabili.
Poiché il regolamento comunitario fissa la disciplina della specie, da ciò discende che l'effetto connesso con la sua vigenza è quello non già di caducare, nell'accezione propria del termine, la norma interna incompatibile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la definizione della controversia innanzi al giudice nazionale. Corte cost., 8 giugno 1984, n. 170.
Il testo dell'art. 117, primo comma, cost., mod. art. 2 della L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, in armonia con le Costituzioni di altri Paesi europei, si collega al quadro dei princìpi che espressamente garantiscono a livello primario l'osservanza dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali assunti dallo Stato.
La norma comporta l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli obblighi internazionali viola per ciò stesso tale parametro costituzionale.
Con l'art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati.
Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti in cui ciò sia permesso dai testi delle norme.
Qualora ciò non sia possibile, ovvero lo stesso giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire la Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma. Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 349.


6.      Il sistema di tutela. Ricorsi alla Corte di giustizia avverso gli atti della Comunità Europea.


Le persone fisiche e giuridiche possono impugnare i regolamenti e le decisioni di cui sono destinatarie presso la Corte di Giustizia della Comunità, ai sensi dell'art. 230 (ex art. 173) Trattato ratificato in Italia con L. 14 ottobre 1957, n. 1203 e mod.
Qualora il ricorso risulti fondato la Corte, con sentenza, dichiara nullo o pronuncia l'annullamento dell'atto ed impone all'organo in questione di adottare i provvedimenti atti a ripristinare la situazione preesistente all’emanazione dell'atto, ai sensi dell'art. 233 (ex art. 176).
Principio quest'ultimo di portata dirompente se attuato completamente nel sistema italiano degli atti amministrativi.

7.      Avverso gli atti degli Stati membri.


Nel caso di contrasto delle norme della legislazione nazionale con la legislazione comunitaria ,questo può essere fatto rilevare dal cittadino di uno degli stati membri ricorrendo direttamente alla Corte di Giustizia della Comunità per ottenere una sentenza interpretativa che vincoli il giudice nazionale ,ai sensi dell'art.177.
Il ricorrente può porre la questione direttamente al giuridice ordinario o amministrativo competente e proporre a quest'ultimo di ricorrere al procedimento pregiudiziale .
Il giudice ,qualora ritenga sussistente il contrasto fra le norme della legislazione nazionale con le norme del diritto comunitario, sospende il processo e chiede un parere sulla questione alla Corte di Giustizia della Comunità, che decide con sentenza .
Il giudice nazionale deve conformarsi alle decisioni della Corte , ai sensi dell'art.192.
In particolare la giurisprudenza della Corte ha affermato che nel caso di direttive comunitarie che appaiono dal punto di vista del contenuto sufficientemente precise,ma che non sono state recepite nel diritto nazionale o siano state recepite in modo adeguato ,i singoli possono farle valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali chiedendone l'applicazone .
La magistratura nazionale può quindi applicare direttamente al caso concreto quanto fissato dalla direttiva ancora prima che il legislatore nazionale abbia provveduto al recepimento.
Corte Lussennburgo 22-6-1989 n.103 ,in Riv.Giur.Ed.1990,201,in tema di direttive sull'esclusione da gare di appalto di offerte anormalmente basse.

8.      Ricorsi alla Commissione.


Il contrasto fra la legislazione dello stato membro e norme comunitarie può essere fatto valere tramite ricorso alla commissione .
Questa non è un organo giurisdizionale, ma esecutivo,che ha peraltro la possibilità di intervenire presso lo stato membro affinchè elimini il contrasto .
In caso di mancata adesione dello stato interessato la stessa Commissione può adire direttamente alla Corte di Giustizia, ai sensi dell'art.169.
Il ricorso può essere presentato da chiunque, purchè sia redatto per iscritto ,riguardi una disposizione di diritto comunitario, indichi lo stato membro e l'ente o l'impresa che operi in detto stato che non hanno rispettato il diritto comunitario,specifichi i rimedi amministrativi o giurisdizionali già esperiti, presenti i documenti giustificativi o produca i mezzi di prova a sostegno del ricorso ,richieda specificatamente il tipo di intervento che si desidera ottenere.
Sostanzialmente si tratta di un ricorso amministrativo, poichè diretto ad una autorità amministrativa e non giurisdizionale, teso a sollecitare il potere di vigilanza della Commissione sull'osservanza del diritto comunitario.
Esso si esplica attraverso l'intervento della stessa Commissione presso lo stato membro per ottenere la eliminazione del contrasto.
Non vi è alcun dovere della Commissione di emettere un provvedimento espresso ,anche se è prevista l'informazione al ricorrente sulle varie fasi del ricorso e sulle eventuali azioni intraprese fino all'eventuale ricorso che la stessa Commissione può promuovere presso la Corte di Giustizia.


9.      La Commissione europea per i diritti dell’uomo.


La convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata dalla L. 848/1955, introduce a tutela dei cittadini degli stati che l’hanno ratificata un organo di giurisdizione che è la Commissione europea per i diritti dell’uomo, che ha sede presso il Consiglio d’Europa BP-431-R6-F67008 Strasburgo. Francia.
La Commissione può essere adita dopo l’esaurimento delle vie del ricorso interno ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva, come precisa l’art. 26 della legge di ratifica.
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Qualora la Corte accerti che le vie del ricorso interne non siano esaurite ovvero il ricorrente non abbia sollevato esplicitamente o anche solamente nella sostanza le doglianze presentate di fronte alla Corte, ex art. 35, l. 848/1955, il ricorso è dichiarato irricevibile.
La decisione è definitiva e non può essere oggetto di ricorsi davanti alla Corte, compresa la Grande Camera, o ad altri organi.

Il ricorso, che è presentato secondo formulari predisposti dalla stessa Commissione (vedi par. 5) e senza il patrocinio legale, ha il compito di verificare i tempi impiegati dallo Stato membro per amministrare la giustizia.
Non potendo sostituirsi nell’amministrazione della giustizia, la Commissione valuta i tempi e, se gli stessi sono ritenuti lesivi del diritto riconosciuto all’amministrazione della giustizia, lo Stato può essere condannato a pagare un risarcimento dei danni per l’attesa, qualora i tempi siano superiori di quattro anni.

10.  La riforma della L. 89/2001.



La L. 89/2001 - la così detta Legge Pinto - disciplina la previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 del c.p.c.
Tale normativa ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della magistratura interna.
Il cittadino che ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa riparazione, art. 2, L. 24 marzo 2001, n. 89.
In caso di un eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine ragionevole, con l’entrata in vigore della L. 89/2001 gli interessati possono richiedere l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto riguarda i processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che la norma individua nella Corte d’appello, art. 3, L. 24 marzo 2001, n. 89.
La Corte deve formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione.
Fino all’emanazione di questa legge, invece, lo Stato italiano, per l’impegno assunto con la Convenzione della tutela dei diritti dell’uomo, presentava le proprie istanze inerenti la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione stessa presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto mancava nell’ordinamento italiano un diritto di azione in funzione di accertare in sede giurisdizionale la tutela alla ragionevole durata del procedimento.
A differenza della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, definita nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, comporta obblighi fra Stati e, in caso di denuncia di violazioni della stessa Convenzione, mette in funzione un meccanismo di controllo della condotta dello Stato implicato.
Se all’interno del singolo Stato non esisteva una normativa riguardante rimedi interni, come accadeva per l’Italia prima della Legge Pinto, si poteva ricorrere in via sussidiaria alla Corte europea.
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L'art. 2, L. 89/2001, detta legge Pinto, nel prevedere l'obbligo dello Stato di corrispondere un’equa riparazione in favore di chi ha subito un danno per effetto di una violazione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo contiene una relatio perfecta all'art. 6 della citata convenzione.
Ne consegue che, per accertare se vi sia stata o meno violazione della suddetta convenzione, il giudice italiano deve applicare i principi elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Cass. civ., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1339, in Dir. e Giust., 2004, f. 7, 12.
La giurisprudenza ha ritenuto che il danno, da qualificarsi come esistenziale, derivante da una irragionevole durata di una procedura fallimentare va valutato con criterio equitativo, tenuto conto della diminuita qualità della vita conseguente al permanere oltre il termine ragionevole dello status di fallito. Corte App., L'Aquila, 28 ottobre 2003.



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