mercoledì 20 giugno 2012

D.A. 40 CAPITOLO IL RICORSO AMMINISTRATIVO


40 CAPITOLO
IL RICORSO AMMINISTRATIVO



1               I ricorsi amministrativi.


Il ricorso amministrativo è atto di parte teso a sollecitare un procedimento amministrativo destinato ad annullare o modificare un precedente provvedimento dell'amministrazione. Il ricorso può proporsi anche contro un provvedimento non definitivo. CENTOFANTI N.,  CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo 2012, 417.
Il ricorrente può impugnare direttamente il provvedimento anche se non ha esperito i gravami amministrativi previsti dall’ordinamento; non è stato ripreso il principio portato dall’art. 34 t.u. cons. Stato che ammette il ricorso giurisdizionale solo contro provvedimenti definitivi.
Il ricorso deve contenere i requisiti sostanziali per poter produrre i suoi effetti ossia per imporre all'amministrazione di rivedere i suoi atti.
La dottrina distingue fra presupposti di ammissibilità e presupposti processuali di procedibilità o irricevibilità.
I requisiti sostanziali sono i seguenti.
L’indicazione dell'autorità adita. Il ricorrente ha l'onere di indicare l'autorità cui compete pronunciarsi sul ricorso.
L'errata indicazione non pregiudica il rigetto per incompetenza, poiché in relazione al carattere non rigidamente formale del ricorso è ammessa la possibilità di rinvio da parte dell'amministrazione che lo ha ricevuto a quella istituzionalmente competente.
Le generalità del ricorrente. E' sufficiente la sottoscrizione del ricorrente; non occorre, ai fini di notifica della decisione,  né l'indicazione del domicilio né la domiciliazione presso un avvocato, il cui patrocinio non è obbligatorio.
Il ricorrente può informarsi delle decisioni dell'amministrazione adita presso la sua segreteria.
Evidentemente con grave pregiudizio della possibilità di impugnare nei termini la decisione negativa.
L'interesse al ricorso. La legge prevede che il ricorso possa essere proposto solo da parte di chi ne abbia interesse ai sensi dell'art. 1, L.1199/1971.
E' necessario che l'atto impugnato provochi materialmente un pregiudizio al ricorrente che sia relazionato al suo interesse alla decisione.
Ad esempio, una promozione di un dipendente appartenente ad una qualifica meno elevata può ledere un interesse semplice, e come tale non tutelabile amministrativamente, alla organizzazione migliore della amministrazione, ma dall'annullamento dell'atto non deriva alcun interesse diretto al ricorrente.
L'interesse al ricorso si determina in relazione ad alcuni requisiti quali l’attualità, la personalità.
Vi deve essere un rapporto di immediatezza fra il ricorso ed il provvedimento impugnato, ad esempio chi non ha prodotto domanda per un bando di assegnazione di alloggi economici popolari non ha interesse ad impugnare la relativa graduatoria.
Questo principio comporta la inammissibilità dell'impugnazione di un atto preparatorio, ad esempio un parere obbligatorio, che non esplica immediati effetti sul destinatario fino a che non sia emanato il relativo atto amministrativo.
L'interesse deve essere personale ossia strettamente legato alla persona del ricorrente.
La legge ammette in casi particolari, come la legge elettorale ovvero la legge urbanistica, il ricorso popolare attribuendo a chiunque la possibilità di ricorrere data la rilevanza degli interessi.
In questi casi prevale l'urgenza della verifica dell'azione amministrativa rispetto al principio di conservazione degli atti amministrativi.
Il provvedimento impugnato. Questo deve essere esistente, ossia emanato da una autorità amministrativa, ed avere i requisiti minimi per potere essere considerato un provvedimento amministrativo; esso deve essere chiaramente individuato nel ricorso.
Esso deve avere esaurito la fase procedimentale compresa quella integrativa della sua efficacia, ad esempio deve avere ottenuto i relativi controlli da parte della commissione regionale se atto comunale.
I motivi del ricorso. Il ricorso deve obbligatoriamente contenere i vizi di illegittimità o di merito su cui si fonda.
La carenza delle espresse censure non pone l'amministrazione in grado di svolgere la funzione di rivedere l'atto contro cui si ricorre poiché essa, rebus sic stantibus, non potrebbe che riconfermare l'atto impugnato, per cui il ricorso avrebbe solo degli effetti interruttivi contro il principio della esecutorietà degli atti amministrativi.
La presentazione del ricorso non esplica necessariamente effetti interruttivi: l'amministrazione può dichiarare il provvedimento esecutivo non concedendo la sospensiva e dichiarare successivamente il ricorso inammissibile per mancanza dei requisiti.
La forma del ricorso deve essere quella scritta; non sono richieste forme tassative.
Il ricorso è redatto in carta da bollo salve esenzioni.

2               I requisiti processuali dei ricorsi amministrativi.


I requisiti processuali attengono alla rispondenza alle norme di procedura che fissano tassative modalità di presentazione del ricorso in carenza delle quali il ricorso stesso è dichiarato irricevibile per carenza formale dell'atto introduttivo ovvero improcedibile perché alla regolarità del ricorso non sono seguiti gli adempimenti formali richiesti.
I requisiti fissati a pena di irricevibilità, vista la semplificazione formale dei ricorsi, sono pochissimi.
Nel caso in cui non si siano rispettate le norme fiscali sull'imposta di bollo è ammessa la regolarizzazione anche successiva da parte della p.a. prima del provvedimento decisorio. Cons. St. , sez. II, 25 novembre 1992, n. 418.
L'irricevibilità può essere pronunciata solo nel caso di inottemperanza alla richiesta di regolarizzazione.
I requisiti di improcedibilità riguardano:
a) L'osservanza del termine di presentazione del ricorso che, nel caso di ricorso amministrativo, deve essere presentato entro trenta giorni dalla data o dalla conoscenza del provvedimento.
Il ricorso può essere presentato direttamente all’autorità che ha emanato l’atto.
Nel ricorso straordinario è prevista la notifica ad almeno uno dei controinteressati, ossia a quei soggetti che hanno un interesse tutelabile in relazione al provvedimento che si impugna e pertanto non possono essere esclusi dal relativo ricorso amministrativo. Nel ricorso ordinario l'integrazione del contraddittorio è ammessa d'ufficio.
b) Il deposito dell'eseguita notificazione al controinteressato che deve essere disposta secondo le regole processuali del c.c..
Nel caso di ricorso straordinario il deposito va effettuato, con la prova dell'avvenuta notifica, entro 120 giorni dal provvedimento, presso il Ministero se questo è gerarchicamente superiore all'autorità che ha emanato l'atto ovvero alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi degli artt 9 e 11 del DPR 1199/1971.
La preventiva presentazione del ricorso in sede giurisdizionale rende improcedibile la presentazione del ricorso straordinario.
La presentazione di atto di opposizione al ricorso straordinario impone al ricorrente di costituirsi in sede giurisdizionale ex art. 48, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
I controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all'organo che ha emanato l'atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale.
In tal caso il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso, deve depositare presso la segreteria del giudice amministrativo competente l'atto di costituzione in giudizio con allegato l’atto di opposizione e la copia del ricorso straordinario, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione.
Successivamente il ricorrente deve richiedere alla segreteria del T.A.R. la certificazione dell’avvenuto deposito, ex art. 74, R.D. 21 aprile 1942, n. 444. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21 dicembre 2002, n. 1084.
Detto atto deve essere notificato all'organo che ha emanato l'atto impugnato ed ai controinteressati.
Il giudizio segue in sede giurisdizionale.
Non costituisce più requisito processuale la presentazione del provvedimento impugnato, tale onere è imposto all'amministrazione dall'art. 46, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Il ricorso amministrativo è soggetto alla tassa sul bollo. Sono esclusi dal bollo i ricorsi in materia di pubblico impiego D.P.R. 642/1972 art. 12 Tabella B.



3               I vizi.


Si suole distinguere fra vizi di legittimità e vizi di merito.
I vizi di legittimità si riscontrano allorquando l'atto amministrativo è contrario alle norme che regolano l'azione amministrativa.
Tradizionalmente si distinguono in vizi di incompetenza, di violazione di legge e di eccesso di potere, ai sensi dell’art. 29, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
L'incompetenza si ha allorquando l'atto è emanato da un organo cui non è data l’autorità di emanarlo come, ad esempio, quando la legge prevede che l'organo competente è il consiglio comunale e l'atto è emanato dal sindaco.
L'organo comunale, pur facendo parte della stessa autorità amministrativa è considerato affetto da un’incompetenza detta relativa che vizia l'atto.
Se l'organo che emana l'atto appartiene ad un’altra autorità si è nel campo dell'incompetenza assoluta e l'atto si classifica come inesistente.
Il pubblico ufficiale che lo deve eseguire può rifiutarsi legittimamente a farlo.
La violazione di legge si ha allorquando non sono rispettate le norme procedimentali che regolano tipicamente l'emanazione dell'atto.
Secondo lo schema procedimentale classico, il vizio può riscontrarsi nel soggetto, nel contenuto dell'atto, nella forma ovvero nel non rispetto della ritualità del procedimento.
Il soggetto che emana l'atto (nel caso di organi collegiali) deve essere ritualmente convocato, deve avere la composizione prevista per deliberare, nel senso che devono essere rispettate le maggioranze previste per l'oggetto che si discute, e nessuno dei componenti deve avere interessi particolari nell'oggetto dell'atto.
Qualora ne abbia deve obbligatoriamente astenersi.
Il contenuto dell'atto deve essere possibile, determinato e lecito come, ad esempio, un decreto di esproprio che non identifichi esattamente il bene da espropriare è viziato nel contenuto.
La forma dell'atto deve rispettare, ove sia richiesta ad substantiam, quella prevista dalla legge; ad esempio le concessioni in diritto di superficie delle aree di edilizia residenziale pubblica devono essere rogate per atto pubblico.
Qualora siano richiesti dei pareri obbligatori essi devono essere menzionati nell'atto.
Il procedimento amministrativo deve essere rituale, ossia deve rispettare procedimentalmente le fasi previste dal legislatore. Ad esempio, la mancanza dell’instaurazione del contraddittorio nel soggetto sottoposto ai procedimenti ablatori vizia l'atto di esproprio.
L'eccesso di potere configura un vizio residuale che si manifesta nella essenziale contraddittorietà fra l'azione della pubblica amministrazione ed il fine da raggiungere.
Si tratta di una violazione della causa stessa dell'atto da non confondere con i vizi relativi al cattivo uso della discrezionalità amministrativa (vizi di merito).
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato e classificato le varie fattispecie nelle quali questo vizio si manifesta. Le principali sono le seguenti:
Lo sviamento di potere che si verifica allorquando la potestà amministrativa è esercitata al di fuori degli ambiti suoi propri non attribuiti dall'ordinamento come, ad esempio, l'esercizio del potere ablatorio al di fuori dei casi tassativamente previsti; come quando per realizzare attività alberghiere si effettuino espropri con le modalità previste per l'attuazione di un piano di zona.
La contraddittorietà fra i contenuti della fase preliminare del procedimento e quella costitutiva come , ad esempio, un parere obbligatorio positivo ed una decisione negativa non motivata, ovvero una contraddittorietà  fra più atti della stessa pubblica amministrazione.
L’illogicità dell'atto rispetto ai risultati che si dovrebbero conseguire che contrasta sostanzialmente con l'obbligo di buona amministrazione come, ad esempio, un sovradimensionamento di un piano di zona rispetto al fabbisogno documentato di alloggi.
Il travisamento di fatti che costituiscono la premessa ed il presupposto dell'atto come, ad esempio, l'accettazione di dimissioni che in realtà non sono state presentate.
La disparità di trattamento che si ha allorquando, in violazione del principio dell'imparzialità dell'azione amministrativa, in situazioni analoghe si adottano provvedimenti diversi quando, ad esempio, nel caso di lievi infrazioni commesse da uno o più impiegati, l'amministrazione adotta delle censure solo per uno od alcuni di essi.
Il vizio di merito inerisce alla stessa discrezionalità amministrativa che consente all'organo di scegliere il comportamento ritenuto più consono per il raggiungimento dei fini pubblici.
Il merito è sempre censurabile nei ricorsi amministrativi, poiché è la stessa amministrazione o l'organo gerarchicamente superiore a sindacare l'atto.
E' censurabile solo ove espressamente previsto per legge nei ricorsi giurisdizionali, come, ad esempio, in sede di approvazione di un piano regolatore si possono censurare anche nel merito le scelte fatte dal consiglio comunale nella fase di adozione del piano presentando osservazioni od opposizioni su cui decide lo stesso consiglio; non si possono censurare le scelte urbanistiche nel merito dopo la definitiva approvazione davanti al giudice amministrativo.

4               Il ricorso gerarchico.


E' possibile ricorrere all’autorità amministrativa contro gli atti non definitivi, ossia quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi, fatta salva la possibilità di richiedere all’amministrazione di esercitare il suo potere di autotutela.
Dai ricorsi amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla decisione, si distinguono le mere denunce, volte a sollecitare un riesame della decisione medesima.
Il ricorso amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non definitivo ossia un atto per il quale l'ordinamento ammette l'esperimento dei ricorsi amministrativi.
Fino alla scadenza del termine di presentazione l'atto di norma non ha efficacia, successivamente l'amministrazione può pronunciarsi sulla sospensiva.
I ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi gerarchici, che si presentano all'autorità gerarchicamente superiore come, ad esempio, il ricorso contro i provvedimenti dei dirigenti proposto al ministro, ex art. 3, L. 30 giugno 1972 n. 748, e i ricorsi in opposizione, che si presentano alla stessa autorità che ha emanato l'atto.
Ad esempio, contro il provvedimento disciplinare della censura e' ammesso il ricorso al capo ufficio che l'ha emanato.
Vi è poi il ricorso gerarchico improprio là dove non esiste un vero e proprio rapporto di gerarchia fra l'autorità che ha emanato l'atto e quella preposta alla decisione del ricorso, come ad esempio il procedimento di ricorso alla Commissione disciplinare a carico di Ufficiali e Agenti di Polizia giudiziaria, di cui agli artt. 16 e 18, D.L.vo n. 271 del 28 luglio 1989.


5               La decisione sul ricorso gerarchico. Il silenzio.


La presentazione del ricorso amministrativo comporta la possibilità delle seguenti decisioni da parte dell’autorità amministrativa, ai sensi dell'art. 5 del DPR 1199/1971.
Si ha decisione di improcedibilità per carenza dei requisiti processuali se il ricorso è irregolare e non è regolarizzato.
Si ha decisione di inammissibilità quando il ricorso è carente dei requisiti sostanziali, ad esempio qualora il provvedimento non sia impugnabile in via amministrativa come quando l'atto sia già definitivo e quindi soggetto ai gravami giurisdizionali ovvero quando vi sia carenza di interesse del ricorrente.
Nel caso in cui il ricorso sia procedibile ed ammissibile si ha la decisione sul merito del ricorso che può essere di rigetto, di annullamento o di riforma.
La decisione di rigetto ha l'effetto di confermare l'atto impugnato con possibilità di proseguire negli altri gravami amministrativi, qualora il provvedimento sia ancora non definitivo, ovvero con i gravami giurisdizionali successivamente alla definitività del provvedimento.
La decisione di accoglimento può essere presa  per motivi di incompetenza dell’autorità emanante ed in tal caso l'atto è annullato e l'affare è rimesso all'organo competente; se l'accoglimento è fondato su motivi di legittimità si procede ad annullare l'atto impugnato; se l'accoglimento è fondato su motivi di merito l'atto può essere annullato e riformato.
Nelle decisioni di accoglimento del ricorso può essere disposto il rinvio all'autorità che lo ha emanato per i relativi adempimenti.
La decisione ha natura di provvedimento amministrativo e come tale deve possederne i requisiti; inoltre è atto recettizio e come tale deve, per produrre gli effetti suoi propri, essere notificata all'organo che ha emanato l'atto, al ricorrente e agli altri soggetti coinvolti da chi ne ha interesse.
L'amministrazione decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso per comunicare la propria decisione.
Il silenzio equivale ad una decisione negativa.
Il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 6, DPR 1199/1971.
Il silenzio parificato a decisione negativa consente di passare alla fase successiva del gravame che consiste o nel ricorso all'autorità giurisdizionale competente o nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
E' quindi necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei termini per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile il provvedimento amministrativo che in ogni caso è immediatamente eseguibile salvo sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del silenzio rifiuto).
La giurisprudenza amministrativa ha attribuito all’inerzia in materia di silenzio serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi dell'art.6, DPR 1199/1971, un contenuto meramente processuale.
Al silenzio non corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il ruolo di abilitare l'interessato ricorrente in via gerarchica all’immediata proposizione del ricorso nella sede giurisdizionale.
La volontà di assicurare la più ampia tutela al privato nei confronti dell’inerzia della pubblica amministrazione ha imposto il superamento della precedente costruzione di impugnazione del silenzio che ha determinato un incremento degli oneri anche formali posti a carico del cittadino che intendeva tutelarsi anche giudiziariamente nei confronti dell'amministrazione.
Ne consegue che, formatosi il silenzio, l'autorità investita dell'istanza non perde la potestà di decidere, fatte salve le responsabilità per il ritardo.
Il privato ha la possibilità di ricorrere nei termini di decadenza contro il silenzio o, successivamente, contro l'eventuale decisione.
Il decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 - entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso dall'Autorità amministrativa adita - non ha effetti sostanziali, ma processuali giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra:
1) l'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei termini di decadenza, una volta che si sia formato il silenzio rigetto;
2) la proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione amministrativa esplicita, con la duplice conseguenza che, anche se si è formato il silenzio rigetto, l'amministrazione non è, solo per tale fatto, privata della potestà di decidere espressamente il ricorso gerarchico e, simmetricamente, il privato non è spogliato della legittimazione ad opporsi avverso il provvedimento esplicito di rigetto dello stesso. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 19 maggio 2003, n. 1948, in Foro amm. TAR, 2003, 1755.
Qualora il soggetto interessato  abbia lasciato decorrere i termini di impugnazione non è esposto al rischio della perdurante inerzia dell'autorità decidente , ma può ricorrere utilizzando i rimedi normali del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l'amministrazione a provvedere, ai sensi dell'art.25 D.P.R. 3/1957.


6               Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica


Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è il ricorso amministrativo avverso atti amministrativi definitivi ovvero che abbiano già esperito gli ordinari ricorsi amministrativi nell'ambito dell'amministrazione di appartenenza, ai sensi del D.P.R. 1199/1971, art. 8.
Questo ricorso è rimedio concorrente, ma alternativo con i ricorsi giurisdizionali, fatta salva la possibilità dei controinteressati di richiedere che il ricorso sia trasferito in sede giurisdizionale.
Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è rimedio amministrativo abbastanza normale ed utilizzato, specie in materia di pubblico impiego, poiché consente al ricorrente di impugnare atti amministrativi, senza l'ausilio del difensore, direttamente.
Il ricorso straordinario non è necessariamente un rimedio impugnatorio, e può avere ad oggetto anche l'accertamento della sussistenza in capo al ricorrente di un diritto soggettivo, oltre che l'annullamento di un atto, e può vertere, oltre che sull'impugnazione di un provvedimento, anche su un rapporto obbligatorio con una p.a.; in questi casi la sua presentazione non è soggetta al termine decadenziale.
La domanda di risarcimento può essere proposta anche in sede di ricorso straordinario che è preordinato ad assicurare la tutela contenziosa in coerenza alla natura delle posizioni giuridiche soggettive dedotte, tenuto anche conto della sua alternatività e fungibilità rispetto al ricorso giurisdizionale. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 16 aprile 2007, n. 623.
Il ricorso deve essere proposto nel termine di centoventi giorni dalla data della notificazione o della comunicazione dell'atto impugnato o da quando l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza.
Entro detti cento venti giorni il ricorso deve essere notificato nei modi e con le forme prescritti per i ricorsi giurisdizionali ad uno almeno dei controinteressati e presentato con la prova dell'eseguita notificazione all'organo che ha emanato l'atto o al Ministero competente, direttamente o mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento.L'organo che ha ricevuto il ricorso lo trasmette immediatamente al Ministero competente.
I controinteressati hanno a disposizione un termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso per presentare al Ministero che istruisce l'affare deduzioni e documenti ed eventualmente per proporre ricorso incidentale.
Quando il ricorso sia stato notificato ad alcuni soltanto dei controinteressati, il Ministero ordina l'integrazione del procedimento, ex art. 9, D.P.R. 1199/1971.
L'istituto non presenta la necessaria caratteristica della celerità e difficilmente è concessa la sospensiva del provvedimento impugnato.
Trascorsi i centoventi giorni dalla presentazione del ricorso, il ricorrente può richiedere al Ministero se il ricorso è stato trasmesso al Consiglio di Stato per ottenere il prescritto parere.
In caso di risposta negativa il ricorrente può depositare direttamente al Consiglio di Stato il ricorso, DPR 1199/1971, art. 11.

7               L’opposizione al ricorso straordinario.


Il ricorso straordinario è rimedio concorrente, ma alternativo, con i ricorsi giurisdizionali, infatti il controinteressato ha la possibilità di richiedere che il ricorso sia trasferito in sede giurisdizionale.
In tal caso il ricorrente deve costituirsi nel giudizio amministrativo in termini perentori.
La trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica a seguito di opposizione del controinteressato deve essere eseguita, a pena di improcedibilità, dal ricorrente entro sessanta giorni dalla anzidetta opposizione mediante deposito nella segreteria del T.A.R. competente di un atto di costituzione in giudizio da notificare all'amministrazione e al controinteressato, ai sensi dell'art. 10, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, in Cons. St., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2858.
Per il principio dell'alternatività il proposto ricorso straordinario rende inammissibile quello giurisdizionale in seguito notificato, nella parte in cui il secondo si sovrapponga al primo.
La giurisprudenza ritiene che tale principio ponga dei limiti all’attività del giudice successivamente adito per censurare l’atto consequenziale al provvedimento impugnato con ricorso.
L’esame giurisdizionale del provvedimento consequenziale è negato dal principio di alternatività fra ricorso straordinario e giurisdizionale e la sua ratio è tesa ad evitare che la medesima questione sfoci in pronunce divergenti.
La preventiva proposizione del ricorso straordinario avverso un atto presupposto rispetto a quello formante oggetto del successivo ricorso giurisdizionale, pur non comportando l'inammissibilità di quest'ultimo, ex art. 8, c. 2, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, determina la sospensione del giudizio, ex artt. 295 e 298, c.p.c., nella attesa dell'esito del procedimento amministrativo concernente il ricorso straordinario avverso l'atto presupposto. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 19 dicembre 2003, n. 2708.
La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
ha precisato che la disciplina dei riti abbreviati riguarda solo i processi giurisdizionali in senso stretto e non si estende al procedimento introdotto con il ricorso straordinario al Capo dello Stato

8               La trasposizione in sede giurisdizionale. I termini dimezzati.


I controinteressati, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, possono richiedere, con atto notificato al ricorrente e all'organo che ha emanato l'atto impugnato, che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale, ex art. 10, D.P.R. 1999/1971.
Il ricorrente che intenda insistere nel ricorso deve depositare presso la segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, l'atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione all'organo che ha emanato l'atto impugnato ed ai contro interessati, ex art. 48, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Nel caso di trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale può sorgere un problema in ordine alle materie che prevedono termini dimezzati per il ricorso.
La giurisprudenza distingue: a) la notifica dell'atto di opposizione; b) la notifica dell'atto con cui il ricorrente straordinario dichiara di insistere nel ricorso davanti al TAR; c) il deposito, presso la segreteria del tribunale competente, dell'atto notificato dal ricorrente.
Il primo atto non assume ancora connotati tipicamente processuali e giurisdizionali, ma costituisce l'ultimo segmento della fase di svolgimento del procedimento di trattazione del ricorso straordinario.
La notifica dell'atto con cui si insiste nell'impugnazione ha la funzione di radicare la controversia, per la prima volta, dinanzi al giudice. Se è vero che tale atto si deve porre in rapporto di stretta connessione con il ricorso straordinario, resta però indiscutibile che esso esprima la volontà del soggetto interessato di proporre un ricorso, non più al Capo dello Stato, ma davanti al giudice.
Il termine successivo per il deposito dell'atto è senz'altro un termine processuale, ma non è per niente riconducibile alla nozione, pure ampia, di attività di proposizione del ricorso.
A tale riguardo la giurisprudenza ritiene che questo termine non si sottrae alla regola del dimezzamento del termine, in quanto la formula proposizione del ricorso va intesa con il significato - più ristretto - di notificazione.

9               La decisione sul ricorso straordinario.


L'autorità amministrativa decidente è il Presidente della Repubblica su proposta del Ministro.
L’art. 14, D.P.R. 1199/2000, mod. art. 69, L. 69 del 2009, modificando radicalmente l’impostazione precedente afferma che il Presidente della Repubblica  è vincolato dal parere espresso dal Consiglio di Stato e deve risolvere la controversia secondo i criteri risultanti dalla pura e semplice applicazione delle norme di diritto, che caratterizzano le decisioni adottate in sede giudiziaria.  
Il parere del Consiglio di Stato è incardinato su alcune soluzioni tipiche e può concludere:
a)per la dichiarazione di inammissibilità, se riconosce che il ricorso non poteva essere proposto, fatta salva la facoltà dell'assegnazione di un breve termine per presentare all'organo competente il ricorso proposto, per errore ritenuto scusabile, contro atti non definitivi;
b) per l'assegnazione al ricorrente di un termine per la regolarizzazione, se ravvisa un’irregolarità sanabile, e, se questi non vi provvede, per la dichiarazione di improcedibilità del ricorso;
c) per la reiezione, se riconosce infondato il ricorso;
d) per l’accoglimento e la rimessione degli atti all'organo competente, se riconosce fondato il ricorso per il motivo di incompetenza;
e) per l'accoglimento, salvo gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, se riconosce fondato il ricorso per altri motivi di legittimità, ex art. 13, comma 1, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
Il decreto che decide il ricorso straordinario ha natura non giurisdizionale ma amministrativa, con la conseguenza che, per la sua esecuzione, non si può proporre il giudizio d'ottemperanza al giudice amministrativo perché la relativa decisione non concretizza il presupposto del giudicato formale. Cons. St., sez. IV, 22 settembre 2003, n. 5393.
La giurisprudenza ritiene che in caso di mancata esecuzione, da parte dell'Amministrazione, del decreto decisorio, o più in generale di mancata adozione dei provvedimenti consequenziali, l'interessato può attivare la procedura per la formalizzazione del silenzio inadempimento, ai sensi di quanto ora previsto dall'art. 2, c. 4, della L. n. 241/90, introdotto dall'art. 2 della L. 11 febbraio 2005, n. 15.
Decorso il termine previsto dal regolamento della singola Amministrazione per la conclusione dei vari tipi di procedimento, il ricorso avverso il silenzio, può essere proposto, anche senza necessità di diffida all'Amministrazione inadempiente, fin tanto che perdura l'inadempimento e, in ogni modo, non oltre un anno dalla scadenza del termine per provvedere. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 16 aprile 2007, n. 623


10           La tutela giurisdizionale sul ricorso gerarchico.


La proposizione del ricorso gerarchico non ha alcun effetto alternativo al rimedio giurisdizionale.
Il ricorrente non ha il vincolo di attendere la decisione sull'originaria impugnativa; l'interessato può, infatti, rinunciando in tal modo al ricorso, impugnare il medesimo atto in sede giurisdizionale anche quando dal ricorso amministrativo non sia decorso il termine di 90 giorni per pronunciarsi e sempre che il ricorrente non abbia avuto notizia dell'intervenuta decisione.
E' solo necessario che il ricorso giurisdizionale sia fatto nei termini prescritti.
Più complesso è il rapporto fra la decisione tardiva sul ricorso amministrativo ed il ricorso giurisdizionale eventualmente proposto.
Essa, se è favorevole al ricorrente, fa cessare la materia del contendere purché i controinteressati o l'amministrazione non abbiano impugnato la decisione stessa presso il giudice amministrativo.
I due ricorsi, evidentemente connessi, vanno riuniti.
Se la decisione non è favorevole i suoi effetti restano assorbiti dal successivo ricorso giurisdizionale. Cons. Stato, Ad. Pl., 27 gennaio 1978, n. 2. T.A.R. Marche, 22 marzo 1989, n. 54, in Foro Amm., 1989, 2821.
La regola secondo cui l'esaurimento dei ricorsi amministrativi ordinari costituiva il presupposto per adire gli organi giurisdizionali ordinari della giustizia amministrativa è stata superata dall'art. art. 7, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc. amm.
Esso dispone che nei confronti di atti o provvedimenti emessi da pubbliche amminsitrazioni è possibile l'impugnativa in sede giurisdizionale.
La norma rimette all'interessato la scelta se percorrere o meno la via gerarchica prima di quella giurisdizionale e consente - in base alla regola della prevalenza del ricorso giurisdizionale - a chi abbia presentato un ricorso amministrativo di proporre successivamente, in via immediata, un'impugnativa giurisdizionale.
La giurisprudenza ha evidenziato che in tal caso il primo ricorso diviene improcedibile.
Si deve ravvisare, infatti, in detto comportamento una rinuncia implicita al ricorso amministrativo precedentemente proposto. (Cons. Stato, sez. II, 12 febbraio 1996, n. 88, in Cons. Stato, 1998, I, 141).
Nel ricorso giurisdizionale possono essere proposti motivi dedotti nel precedente ricorso amministrativo; esso deve ritenersi tuttora operante, anche in relazione alla disciplina contenuta nel D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che comportano l'identità di contenuto ed il divieto di ampliare il thema decidendum. Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 1997, n. 711, in Cons. St., 1997, I, 1001.
La decisione emessa sul ricorso gerarchico è impugnabile presso il T.A.R.

11           La tutela giurisdizionale sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.


La dottrina sostiene la tesi della non impugnabilità in sede giurisdizionale delle decisioni dei ricorsi straordinari relativamente al contenuto. Essa rileva che, in ossequio al principio dell'alternatività, il Consiglio di Stato non deve essere chiamato due volte ad esprimersi sullo stesso oggetto.
Detta teoria risponde anche ad un bisogno di ordine eminentemente pratico teso a favorire l'utilizzazione dell'istituto. Ben pochi sarebbero portati a servirsene se quanto deciso potesse essere in toto rimesso in discussione, attraverso l'impugnativa in sede giurisdizionale dell'atto decisorio per qualunque motivo di legittimità. L. MAZZAROLLI, Riflessioni sul ricorso straordinario al presidente della repubblica, in Dir. amm. 2004, 4, 693.
La giurisprudenza ha sostenuto l'estensione dell'esclusione dell'impugnabilità anche alle questioni di forma e di procedura riferibili a fasi precedenti all'espressione, da parte del Consiglio di Stato, del parere di sua spettanza. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 3 maggio 2005, n. 3292
L'esito di un ricorso straordinario non è mai impugnabile in sede giurisdizionale, con la sola eccezione della non conformità del decreto del Capo dello Stato al parere reso dal Consiglio di Stato senza che sia stato seguito il procedimento di cui all'art. 14 del D.L.vo n. 1199 del 1971.
L'impugnabilità della decisione del ricorso straordinario è circoscritta ai soli vizi di forma e del procedimento, mentre è impedita la valutazione di contestazioni che comportino un qualsiasi riesame del giudizio formulato dal Consiglio di Stato in sede consultiva. Infatti, se fosse ammissibile il controllo di legittimità della determinazione sul merito del ricorso straordinario, il giudice amministrativo sarebbe investito della cognizione sui vizi dell'atto lesivo, per la via mediata della denuncia degli errores in iudicando che inficiano quella decisione; il che eliderebbe l'effetto preclusivo determinato dalla proposizione del ricorso straordinario e vanificherebbe il principio di alternatività tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale. T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 21 giugno 2007, n. 1075
La Corte costituzionale ha respinto l’eccezione di incostituzionalità affermando che è manifestamente inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale – sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 cost., dal T.A.R. per l'Emilia Romagna, sez. di Parma, con l'ordinanza emessa il 27 ottobre 1986 - dell'art. 10, comma 3, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, nella parte in cui, in caso di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso un atto amministrativo definitivo, preclude ai controinteressati che non abbiano chiesto che il ricorso sia deciso in sede giurisdizionale, l'impugnazione dinanzi al consiglio di Stato della decisione di accoglimento, salvo che per i vizi di forma o di procedimento. Corte cost., 21 luglio 1988, n. 856, in Giur. cost., 1988, I, 4064.
Contro la decisione sul ricorso straordinario può proporsi il ricorso per revocazione allo stesso Presidente della Repubblica, ex art. 15, D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.
I casi di revocazione per i quali può attivarsi il ricorso sono quelli previsti dall’art. 395, c.p.c.

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