sabato 2 giugno 2012

Grembiulino 55


1.     Capitolo. La laurea.


Discuto la tesi di laurea dal titolo il “Bilancio del Comune” col professore che ho più apprezzato alla facoltà di Giurisprudenza: Feliciano Benvenuti.
E’ docente di diritto amministrativo. Mi affascina questa branchia del diritto che studia l’azione della pubblica amministrazione ed i rapporti di questa con i cittadini.
Feliciano Benvenuti alto, distinto, sornione, orgoglioso delle sue origini venete fa parte di quella schiera di studiosi che sostengono l’autonomia degli enti locali preferendola alla concezione statalista e centralista, allora vigente, basata sul controllo degli atti comunali da parte dell’autorità statale.
Lavoro indefessamente a questo progetto che sostiene, con grande lungimiranza, una maggiore autonomia dei poteri locali consentendo ai cittadini di contare di più nelle scelte che riguardano il loro territorio.
Lo studio dei rapporti fra cittadino e amministrazione pubblica mi sembra fondamentale per la stessa costruzione di una società più giusta.
Sono affascinato, inoltre, dal modo di affrontare i problemi del professore.
“Perché sapete il professore è come un violinista che sente gli allievi suonare il suo amato strumento” dice il maestro “Lui sta lì a sentire e se quelli stonano gli si rizzano i capelli ed è costretto a tapparsi le orecchie. Occorre con pazienza indirizzarli ad uno studio più intenso e corretto.”
Racconto la lezione, appena ascoltata, per filo e per segno a Gio che si stupisce del mio interesse per questa materia.
Feliciano Benvenuti non è un semplice giurista è uno studioso di grande livello che per intuizione, capacità ed umanità è al di sopra di una spanna a tutti gli altri.
Quando hai la fortuna di conoscere queste grandi personalità devi avere il coraggio di seguirle.
Sono quei giuristi che sanno vedere, al di là dalle singole specifiche norme, gli aspetti più generali del sistema.
Sono quegli uomini che hanno tracciano le linee evolutive dei rapporti fra cittadino e amministrazione e li hanno orientati in senso paritario.
“L’egemonia della amministrazione deve, inevitabilmente, trovare bilanciamento nel riconoscimento dei diritti dei cittadini” insegna il maestro “I diritti dei privati, violati da un’azione amministrativa ingiusta, devono ottenere un congruo risarcimento.”
Mi chiedo, a volte, come mai queste vicende procedurali, spesso noiosissime, mi appassionino tanto.
Bah! I misteri della vita.
Mi presento il giorno della discussione con la mia tesi sottobraccio.
E’ stata confezionata artigianalmente con una copertina morbida.
La rilegatura a spirale in plastica è infilata nei fori praticati nel margine di ogni pagina.
Il volume si nota decisamente per l’evidente contrasto con quelli con copertina rigida, rilegati in brossura con il titolo ed il nome del relatore in bella evidenza.
Il colore oro delle scritte spicca sullo sfondo blu della copertina.
La mia sembra la tesi di uno studente assistito dalla S. Vincenzo.
L’impaginazione è proprio modesta.
Mi presento alla discussione indossando un vestito di seta blu notte che mi sta a pennello.
L’abito conferisce al mio manoscritto una maggiore dignità.
Ho acquistato l’abito a Venezia da Tonon, il mio sarto preferito; è l’ultimo degli arbiter elegantiarum.
Voglio fare la mia bella figura con Gio.
Il professore è veneziano come me. Lo si capisce da alcuni intercalari che usa nel discorrere e per la esse dolce al posto della zeta.
La discussione è stata memorabile. Sprofondato a mio agio nella scomoda sedia del laureando ho trovato un insolito vigore nell’affrontare i temi cari al Benvenuti che ho rielaborato nella tesi.
Forse anche l’eleganza dell’abito che Tonon mi ha tagliato alla perfezione ha contribuito al mio successo.
“Il bilancio è l’atto fondamentale per riaffermare l’autonomia comunale contro il centralismo statale” ribadisco e mi infervoro.
I discorsi più aridi si animano quando sono trattati da un maestro. Lui è riuscito a trasmettere anche a me le sue idee innovative. 
Un curriculum universitario non brillantissimo, ma decoroso, si conclude con una stretta di mano e con la consegna dell’anello di laurea della Cattolica.
El resta fra sti barbari pieni de schei o el torna a Venezia?” mi chiede alla fine della cerimonia.
Sarei rimasto fra i barbari arricchiti, ma non ho trovato lavoro perché non sono milite esente.
Torno, torno a casa” rispondo.
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Ho provato a cercare un lavoro a Milano.
Antonio mi ha presentano un notaio che stipula gli atti di mutuo con la  banca dove lui lavora.
I facili guadagni che il comune sentimento popolare attribuisce al possesso del sigillo notarile mi fanno istintivamente ricercare la possibilità di svolgere una professione che può o non può piacere ma che sembra promettere un futuro agiato.
Non mi scoraggiano  le paventate difficoltà del percorso per intraprendere questa carriera.
Arrivo puntuale all’appuntamento.
Vengo fatto accomodare nel suo studio grigio da una segreteria dall’aria triste che emerge da una scrivania sommersa dai fascicoli degli atti da stipulare.
Il notaio mi si presenta con un’aria smunta.
Emerge stancamente dalla penombra della sua stanza.
E’ longilineo, pallido, macilento con una faccia smagrita dalle lunghe ore passate in studio senza allegria.
Non ha un profilo atletico.
L’ultima volta che ha fatto una partita a tennis deve essere stata durante gli studi alla Statale.
Il suo fisico leggermente ingobbito dimostra di più dei quarantacinque anni che gli sono accreditati dall’Antonio.
Mi parla subito di soldi.
“E’ un lavoro il nostro dove, diversamente da quello che si crede, si guadagna poco.
C’è tanto lavoro da fare e ci vuole spirito di sacrificio” mi sussurra con un filo di voce.
Non mi spiega quale è la sua attività prevalente: se redige atti di costituzione di società o se si dedica esclusivamente alle compravendite immobiliari.
Il professionista mi propone, se voglio, di cominciare a frequentare lo studio. Devo solo pensarci.
Il povero notaio mi fa molta pena! La sua aria depressa e l’atmosfera tetra dello studio mi scoraggia dall’iniziare la pratica per esercitare quella professione.
A dire la verità vorrei intraprendere quel lavoro per rimediare ai danni che un professionista molto cialtrone mi ha provocato fregandosene delle leggi dello Stato.
Molti notai purtroppo pensano di fare, col potere che dà loro il sigillo, quello che credono.
D’altronde, come dice il signor Biondo, il marito della signora Emma, a mettersi contro i potenti i poveri diavoli ci perdono sempre e chi ci guadagna al massimo sono gli avvocati.
Fallito il tentativo col notaio, vengo contattato da una primaria Banca Nazionale.
La Cattolica ha inviato prontamente la segnalazione della mia laurea a tutti gli enti e imprese interessate all’assunzione di giovani laureati in giurisprudenza.
Sono orgoglioso del fatto che i miei studi interessino a qualcuno.
Il funzionario che mi viene incontro è rotondetto, piccolotto, spigliato, brillante e soprattutto entusiasta della sua attività di bancario. Nutre un vero amore per la sua Banca.
Mi sembra strano che abbiano pensato a me perché il posto che mi propongono è molto interessante.
Che sia stato raccomandato dall’Antonio un amico di Franco con cui condivido l’amore per Pradeccolo?
Devo lavorare nella segreteria della Direzione generale di Milano.
“Sede di lavoro” chiedo “ è Milano?”
“Sì” mi risponde “Almeno per i primi tempi. Ma lei è a disposizione della Direzione Generale e quindi se c’è bisogno della sua esperienza in un’altra sede deve essere disposto al trasferimento.”
Mi diverte molto il fatto di trasferirmi e considero con interesse questo progetto.
“Lei, ad esempio,” prosegue “è disposto a trasferirsi a Palermo?”
Pur non avendo nulla contro i siciliani, che fra l’altro mi sono molto simpatici, questa proposta mi lascia sconcertato.
“Palermo? Andare a Palermo?” ripeto fra me e me.
“ Ma perché devo andare proprio a Palermo?”
Il funzionario mi guarda interrogativo.
Io sono abituato a decidere in tutta fretta perché sono un istintivo e perché difficilmente cambio idea.
Sono troppo mentalmente rigido.
Sono poco disposto a cambiare sulle cose cui tengo.
Palermo è troppo lontana dai miei affetti e soprattutto mi sembra che sia difficile mantenere i contatti con il mio vissuto cui sono troppo legato.
“No grazie “ rispondo “ Palermo è troppo distante”.
Il funzionario mi guarda stupefatto, incredulo che qualcuno possa rispondere negativamente a quella proposta.
“Ci pensi” mi dice “ Non lasci perdere questa occasione.”
Un'occasione di lavoro io, in verità, l’avrei avuta perché all’ufficio legale della Commercio e Industria, la banca di Antonio, cercano un giovane laureato da affiancare ad un vecchio funzionario prossimo alla pensione.
Il sogno di tutti i laureati: entrare nell’ufficio legale di una banca.
Lavoro, stipendio e carriera assicurati, almeno sulla carta, senza sbattersi molto per costruirsi una attività libero professionale.
“C’è l'ha l’esenzione da militare?” mi chiede il solerte funzionario.
“Sono figlio unico di madre vedova.” rispondo
“Non basta, deve avere l’esenzione!” mi replica perentorio.
Mi rendo conto che senza quel pezzo di carta la laurea non serve molto a trovare una occupazione.
Devo ritornare a Venezia per procurarmi l’esenzione facendo presente la mia situazione familiare
La ricerca di un’occupazione, anche nella capitale Italiana del pieno impiego, senza l’esenzione dal servizio militare è un’utopia.
Rispondo sicuro a Benvenuti.
Torno, torno” ripeto tra me è una scelta imposta dalle circostanze tornare a Venezia.
Se vedemo alora“ mi risponde.
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Sono tornato a Venezia.
Rialto sta cambiando profondamente: il mercato che è il suo simbolo si sta via via riducendo.
I banchi di frutta e verdura, che arrivavano un tempo ad inerpicarsi fino ai primi gradini di pietra d’Istria del ponte, hanno ceduto il posto ai banchi più asettici che vendono specialità veneziane.
Sono oggetti di vetro che vengono da chissà dove - forse dalla Cina dove la mano d’opera costa meno rispetto a Murano.
E’ l’ora del turismo mordi e fuggi che sta sostituendo la clientela di lusso del Gritti o dell’Excelsior.
Questo turismo si accontenta di ricordini a prezzi contenuti, per rammentare quelle poche ore passate a Venezia. Non gli interessa di scoprire, con un soggiorno di almeno qualche giorno, la storia, l’arte, i musei, lo svolgersi della vita e dei divertimenti dei veneziani.
Gli abitanti stanno inesorabilmente diminuendo. Le abitazioni cambiano rapidamente destinazione e si trasformano in alberghi ed in sedi di imprese e di centri servizi.
Chi ha colto per tempo questo cambiamento ha trasformato la propria attività dedicandosi al turismo.
I residenti che vivono di lavori a reddito fisso si sono trasferiti in terra ferma..
A Mestre le case sono più confortevoli e costano molto meno.
Venezia sta cambiando radicalmente. Molte delle abitazioni che rimangono sono trasformate in seconde case e sono occupate per periodi sempre più brevi.
Turisti, turisti, turisti! Una vera nube di cavallette che ama Venezia solo per potere dire di avere scattato una foto con i colombi in piazza San Marco o di avere attraversato in gondola il Canal Grande.
Tutto è in funzione di questo grande business senza alcuna voglia di contenerlo, facendo perdere alla città gran parte del suo ritmo normale di vita. Incroci torme di persone di giorno, ma non c’è  più nessuno alla sera.
Restano aperti solo pochi locali frequentati dagli ultimi abitanti. Alle nove si chiude.

2.     Capitolo. Il corso di tedesco.


Se non ha mai studiato tedesco, puoi imparare qualche parola facendo un corso estivo a Vienna?
Forse? purché a Vienna non ci siano romani!
Questa condizione , però, è praticamente irrealizzabile.
Vienna è piena di cittadini dell’urbe.
A Vienna sono andato col Paolo.
Ho fatto quel viaggio senza Gio perché è partita per le vacanze in Spagna per una vacanza in famiglia.
A Vienna il corso di tedesco senza Gio è una noia mortale.
Non ho nessuna voglia di studiare delle parole interminabili così gutturali e con quella pronuncia così dura.
Ci sono andato effettivamente per la voglia di fare un giro fuori di casa in mancanza di Gio.
Lì ho trovato Mario o meglio er Mario.
Statura normale, capelli scuri, occhi intelligenti il giovane studente di lettere antiche, cultore di greco e latino ha l’entusiasmo degli universitari che hanno vissuto il millenovecentosessantaotto.
Er Mario er meio de Roma è un esperto frequentatore dell’Ufficio IX.
Questo ufficio è preposto alla concessione di borse di studio per ricerche all’estero che dovrebbero far crescere il livello della cultura italiana a spese del contribuente.
Che me frega, inoltro na domanda, la ricerca l’ho fatta in du giorni e me faccio na vacanza gratis!” mi spiega er Mario condensando in una frase un’eternità di saggezza.
Il fortunato lavora a due passi dall’Ufficio IX del Ministero della pubblica Istruzione.
Per lui frequentare le stanze del potere Ministeriale e informarsi di tutto ciò che può riservare un qualche beneficio è un gioco da ragazzi.
 Basta munirsi del modulo giusto, cercare un professore che ti dia un lavoro da fare nella lingua estera prescelta, compilare un bel mucchio di scartoffie e la pratica è presto impostata.
A tal punto è sufficiente controllare che il documento non finisca sepolto negli archivi del Ministero e il solerte funzionario dell’Ufficio IX dopo l’ennesimo sollecito deve assegnarti una bella borsa di studio.
Basta andare alla Tesoreria per assicurarsi che il modulo di impegno di spesa sia arrivato puntualmente e la pratica è conclusa.
Era così difficile assicurasi una vacanza di istruzione a Vienna?
Solo che i romani, almeno quelli che ho conosciuto io, continuano a parlare in romanesco anche a Vienna durante le lezioni di tedesco.
Chi li frequenta inevitabilmente preferisce parlare nella lingua di Trastevere che esercitarsi nel linguaggio dei barbari.
Solo a parlare in romanesco ci si sente più allegri.
Non è solo la lingua, ma la cultura e l’umanità profonda dei romani che ti infonde il buon umore.
Io dimentico presto che sono a Vienna a mie spese per studiare una nuova lingua.
Mi dedico ad apprendere il romanesco facendo il verso a er Mario ogni qualvolta apre bocca parlando in vernacolo.
Er Mario ci racconta di Roma e del suo amore per la Città eterna.
Mi parla soprattutto della Roma segreta.
Quella città sconosciuta ai più ma non ai romani de Roma che amano ogni lapide, ogni vicolo ed ogni scorcio inconsueto di panorama.
Ve porto io a vedé Roma. Polentoni impuniti!” sorridendo ripete er Mario.
L’amore per la sua città traspare ogni volta che la nomina.
Anche se gli parlo in un dialetto romanesco imbastardito sa che non lo faccio per prenderlo in giro ma per un grande affetto che mi lega ai romani ed alla loro città eterna.
Er Mario è uno studente lavoratore. Fa qualche supplenza alzandosi alle quattro di mattina per insegnare ad Acquapendente ed ha un lavoro a tempo parziale perché vuole sposarsi con una ragazza de borgata e vuole realizzare un gruzzolo che gli consenta di mettere su famiglia.
Mi racconta che ha trovato un lavoro all’Ufficio de sinistrati de guerra.
Ma come?” gli domando scandalizzato “se la guera xe finia vinticinque ani fa?”
Sono proprio un cretino a non capire che a Roma non ci si deve meravigliare di nulla.
C’è, invece, da stupirsi che non ci sia un ufficio per risarcire le spese della spedizione di guerra sostenute dai Crociati per la liberazione del santo sepolcro!
Che te credi? C’è un sacco de lavoro da fa” mi ripete er Mario “ armeno fino a quando me sposo.”
Capisco che il lavoro burocratico non serve tanto per risolvere il problema dei sinistrati.
La costituzione dell’Ufficio de sinistrati de guerra serve soprattutto per risolvere i problemi economici dei dipendenti che sono stati assunti in gran numero per costituirlo.
E se il lavoro finisse?
Che fine farebbero quei lavoratori?
















3.     Capitolo. Il primo ricorso.


Appena tornato a casa inizio subito la mia missione per ottenere l’esenzione dal servizio militare.
Ho letto e riletto il bando appeso in bella mostra all’Ufficio Leva.
Apprendo che  sono esentati dal servizio militare i figli unici di madre vedova.
Evviva  non si parte!
Devo far valere le mie buone ragioni.
Sono o non sono un brillante dottore in giurisprudenza laureato alla famosa Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano?
Non ho voglia di svolgere il servizio militare.
Non mi va di rimandare le scelte che sto per fare.
Non sento come impellente l’obbligo di servire la patria.
Tanto più che la legge riconosce la possibilità di chiedere l’esenzione a chi si trova come me in una precaria situazione familiare.
Perché devo andare a fare il servizio di leva?
Non sono sufficientemente patriota.
Forse ho sottovalutato le possibili nefaste evoluzioni della guerra fredda.
I rapporti fra i due blocchi americano e sovietico sono tesi.
Il fatto che i missili americani ad Aviano sono puntati sul vicino confine non risveglia in me il desidero di partire.
La presenza in Iugoslavia di Tito ed il fatto che un muro tagli in due la città di Gorizia dividendola da Nova Gorica non fa nascere in me istinti guerrieri.
Sono semplicemente innamorato ed ho paura che un’eccessiva lontananza possa incrinare la mia storia d’amore.
Sono o non sono figlio unico di madre vedova?
Sono o non sono unico sostegno della famiglia?
Le clausole del bando parlano chiaro ho un “interesse legittimo” al ricorso alla Commissione di Leva.
Il colonnelloAmato, amico di famiglia, mi ha consigliato di partire, perché il servizio militare è formativo.
La naia xe un perditempo” ripete lo zio Donato col suo veneziano stentato.
La vita mi ha formato fin troppo.
In Carnia a presidiare i patri confini ci andrò un’altra volta.
Prendo carta e penna e redigo il ricorso.
Aspetto con fiducia l’esito.
Passano pochi giorni.
Arrivano due carabinieri siciliani, capelli neri, occhi scuri e baffi spioventi.
Accertamenti dobbiamo svolgere. E’ la prassi.” dicono.
I documenti e le visure catastali non bastano, occorrono anche gli accertamenti per verificare che la mia presenza sia necessaria per garantire il sostentamento alla famiglia.
Sono molto cortesi, ma scrupolosi. Vogliono sapere come stanno effettivamente le cose.
Sono stato estremamente convincente ed ho dimostrato che sono indispensabile a mia madre.
Non posso andare a mille chilometri di distanza sul fronte.
Mio padre ha fatto la campagna di Russia (forse anche per questo se n’è andato troppo presto).
Gavemo già dà!” abbiamo già dato il nostro contributo alla patria ripeto.
Mia madre, che pensa ad una cartolina precetto immediata, si dispera.
Nicheto no sta andar via!”
I carabinieri imperturbabili di fronte alla sceneggiata, che neanche Merola avrebbe saputo mettere in scena meglio, in un battibaleno tolgono il disturbo,
Abbiamo capito.” dicono “Fatto abbiamo il verbale! La commissione deciderà.
Attendo con ansia l’esito degli accertamenti che devono approdare in commissione; solo questa decide sull’esonero.
Essa deve anche tenere conto della quota di persone che devono essere scartate perché di solito le reclute risultano essere più numerose dei posti disponibili nelle caserme.
Occorre avere anche un po’ di fortuna
Suona il postino. “Posta. Portaletere!”
Buta el cestin fa presto” dico a mia madre mentre attendo con ansia la missiva.
E’ un’usanza veneziana - dato che gli ascensori e le portinerie sono molto pochi – quella di calare dalla finestra un cestino di vimini per evitare di scendere le scale.
Con questo collaudato sistema si può facilmente far giungere piccoli oggetti come la corrispondenza ai piani superiori senza disturbarsi a scendere per ritirarla personalmente.
Spero solo che non sia la cartolina precetto.
Fortunatamente, invece, arriva la decisione della Commissione di Leva.
“Il ricorso è accolto” grido entusiasta.
Il mio angelo custode mi ha protetto un’altra volta.
E’ stato un momento di felicità intensa.
Non ho mai capito se è stato merito delle argomentazioni, ricche di dottrina e giurisprudenza, svolte nel mio ricorso o del contingente troppo numeroso in quel reclutamento.
- - - - - - -
Mi invento un lavoro.
In mancanza di meglio faccio pratica per il concorso di procuratore legale presso lo studio dell’avv. Graco.
L’avvocato è un uomo molto anziano. Ha la consuetudine di appoggiarsi ad un bastone d’ebano col pomolo d’argento.
Non è molto alto, tarchiato, porta un monocolo che usa quando deve leggere un documento.
E’ soprattutto un amico fraterno di mio nonno, lo deve avere assistito, in gioventù, nei suoi affari.
L’avv. Graco l’ho visto poche volte.
In quelle rare occasioni di incontro non ho mai visto clienti frequentare lo studio.
Li ho sempre pensati vecchissimi come lui o forse più.
Nella prima visita gli sono stato presentato dallo zio Donato.
Lui è sicuro che il legale avrà una particolare attenzione nei confronti del nevodo di Nicola.
Lo studio è buio come l’antro della sibilla cumana.
L’avvocato è avvolto nella penombra rotta da una lampada da tavolo.
La scrivania è sgombra di pratiche.
Tutto è molto ordinato.
Te ciapo perché di xe nevodo de Nicola” mi dice con una voce che viene dall’oltre tomba “ ma mi lavoro poco: te dago la firma giusto per la pratica, per far l’esame”.
A parlare del nonno Nicola l’avv. Graco sembra ringiovanire.
Gli pare di rivivere gli anni della sua gioventù quando faceva in quattro salti le ripide scale veneziane e attraversava il ponte di Rialto in un battibaleno per arrivare in tribunale.
Ora invece attraversare il ponte è un viaggio da programmare con cura perché la partenza è certa ma l’arrivo richiede impegno.
La visita è più un incontro per rinnovare ricordi che per trattare un futuro lavoro da praticante legale.
Quando poso tornar? Come devo fare la pratica per prepararme all’esame de procurator?” gli domando.
Torna la prosima setimana che te spiego” mi risponde senza troppa convinzione.
Nella seconda visita all’avv. Graco affronto la lezione più breve della mia vita.
La  materia è il diritto processuale civile.
Per far un proceso” mi dice con una voce ancora più flebile di quella usata nell’altra occasione “ bisogna far na citassion, ossia ciamar in causa la controparte.
La citassion la se porta a l'uficial giudisiario e pò la se porta in canceleria del giudice.” A questo punto l’avv. Graco si prende una breve pausa per riflettere sulla procedura.
“ Po se porta la nota de iscrision de la causa a ruolo.”L’avvocato è soddisfatto della esauriente  spiegazione
“E po se principia con le udienze.” Conclude.
Ho rivisto l’avvocato in udienza per ottenere le firme per la frequenza alla pratica. Uno sfratto e un’opposizone a decreto ingiuntivo.
Il numero minimo per avere la certificazione necessaria.
L’avvocato non vuol sentire parlare di praticanti che frequentino lo studio e che si intromettano nelle sue vicende quotidiane.
Questi giovani possono turbare con le loro domande e con la loro voglia di innovare le sue antiche abitudini.
Possono spiare i suoi clienti.
C’è da chiedersi se ci siano dei clienti che frequentino quello studio?
Magari l’avvocato fa finta di averne per giustificare la sua presenza in quell’ufficio, per andare via da casa, per allontanarsi, magari, da una moglie noiosa.
I praticanti possono forse rubargli i clienti o insinuare il dubbio che lui, l’avvocato, è vecchio, non è più in linea con le nuove normative e combina solo dei gran casini.
Fatto sta che io la mia pratica l’ho svolta preso la Querini Stampalia o la Marciana a studiare in attesa di qualche concorso o di qualche buona idea per trovare lavoro.
Mi ricordo dell’invito di Benvenuti:
Se vedemo a Venezia”.
Perché” mi chiedo “non sentir cosa me dise el megio professor dela Catolica?”
Quello che ho più amato per la sua umanità e per il suo modo di interpretare il diritto e per le sue intuizioni.
Telefono e sono ricevuto subito.
E’ noto che le persone molto impegnate sono sempre molto libere e disponibili.
El profesor xe drio bever un cafè” mi dice la premurosa segretaria “ se el vol el pol andar in Fondamenta.”
Feliciano è seduto attorniato dai suoi assistenti al barino della Fondamenta dei Tolentini.
Ecco l’appiedato” mi dice sorridendo “ Ga visto che xe gavemo trovà a Venezia” e mi racconta subito una delle sue famose storielle.
Mi ritrovo in uno degli studi legali più famosi e prestigiosi del Veneto.
Il mio primo compito è un ricorso elettorale.
Immerso in un mare di carte trovo ospitalità nella biblioteca dello studio che si affaccia sul Rio dei Tolentini.
Il lavoro del praticante non è un lavoro duro, ma richiede molta pazienza e una grande grinta di volere emergere.
Bisogna dedicare allo studio tutto il tempo disponibile per raccogliere i frutto dell’attesa solo dopo parecchi anni.
Io sono un impaziente per natura.
Non ho la voglia di aspettare.
Voglio avere la possibilità di sposarmi subito.
Alla prima occasione presento la domanda di lavoro.
L’impiego sicuro per garantirmi un’esistenza serena lo trovo presso una associazione sindacale di datori di lavoro.
La frequenza dello studio Benvenuti è stata una malleveria eccezionale.
Voglio proprio sposarmi.
Rinuncio senza troppi patemi alla professione forense.
Nella vita, però, non devi perdere le occasioni che ti si presentano.
Quando hai la fortuna di conoscere una persona che è nettamente al di sopra, come spessore, a tutti gli altri che la circondano non puoi permetterti di fartela scappare.
Non  pensare che non ce la fai e che non sei all’altezza.
Non accampare scuse e cercare la via più comoda non devi nasconderti fra le anse del fiume della vita.
Devi buttarti nella corrente e andare avanti fiducioso.
Ricordarti del motto del poeta “memento audere semper” e credici.
Non farti distogliere dai tuoi sogni!








4.     Capitolo. L’Associazione aziendale.


L’avere portato a termine un pur breve esperienza nel notissimo studio Benvenuti è un biglietto da visita di grande importanza.
Sono assunto al primo colloquio in una Associazione aziendale.
Non capisco che sono un pazzo ad andarmene.
Ho la possibilità di lavorare con un grande giurista, posso solo imparare e accrescere la mia professionalità.
Non ha senso andarsene dopo pochi mesi.
D’altra parte perché devo esitare?
Ho in tasca, d’altronde, l’esenzione dal servizio di leva e ho un grande amore nel cuore.
Devo mettere in discussione tutto per una ipotetica sia pur interessante carriera?
Ho sempre ragionato col cuore e mai con la testa.
Era una  decisione così sballata?
E’ stata una  soluzione presa dopo avere valutato i pro e i contro rispondendo sinceramente alla domanda:
“Ma io cosa voglio veramente fare?”
Alla fine ho seguito, magari inconsciamente, il mio istinto per raggiungere i miei obiettivi prioritari.
Il lavoro che mi propongono è interessante.
Si tratta di svolgere una attività di consulenza per le imprese associate.
La sede prestigiosa è sita in un palazzo nobile veneziano.
La proprietaria ne ha affittato una parte all’Associazione.
La casa è di grande rappresentanza; lo scalone di accesso in marmo incute rispettoso timore.
La porzione di immobile affittato è quella  meno importante.
Anche la parte meno nobile trasuda,  ugualmente, la potenza di appartenere ad un figlio prediletto della Serenissima Repubblica.
Le problematiche che si affrontano in Associazione sono reali non teoriche come gli studi universitari appena conclusi.
I miei compiti iniziali sono di collaborare alla trasmissione delle notizie che arrivano dall’Associazione nazionale.
Devo occuparmi delle eventuali problematiche che possono incontrare le imprese associate.
Vertenze di lavoro, consulenza sugli appalti pubblici, problematiche fiscali e assistenza nei rapporti con la pubblica amministrazione sono le mie precipue attività.
C’è un grande lavoro di collegamento con l’associazione Nazionale per seguire le leggi che rivestono un grande interesse per la categoria.
E’ un momento di notevole fermento nella produzione legislativa.
I frutti della contestazione del 1968 hanno fatto seguire importanti provvedimenti di riforma che hanno mutato profondamente degli equilibri che sembravano oramai consolidati.
La legge di riforma dell’equo canone spaventa gli stessi proponenti che l’hanno firmata.
Alcuni si affrettano a vendere gli appartamenti che fino a quel momento locavano.
La legge di riforma della casa introduce l’esproprio con riferimento al valore agricolo abbattendo il sistema dell’indennità.
Questa non è più rapportata al valore venale ma è  parametrato al valore agricolo dei beni maggiorato con alcuni coefficienti che risultano penalizzanti per la proprietà fondiaria.
Lo scontro è forte.
Gli amministratori di alcune aziende pensano di avere nuove opportunità di lavoro con gli ingenti stanziamenti per l’edilizia popolare.
Chi si ritrova, invece, proprietario di un patrimonio di aree da gestire nel tempo si vede possibile soggetto passivo di espropriazioni a prezzi contenuti.
Scrivo il mio primo articolo su Nuova Rassegna.
Il titolo Appunti sui piani di zona è molto interessante, solo per gli addetti ai lavori, per le problematiche che solleva.
E' un’esperienza che mi coinvolge.
Chissà se proseguirò in questi studi?
























5.     Capitolo. L’esame.


Odio il telefono.
Preferisco vedere le persone negli occhi e parlarci di persona.
Faccio il pendolare del fine settimana per incontrarmi con Gio.
Il tragitto da Venezia a Cremona con una cinquecento è un vero rally.
L’autostrada finisce a Brescia.
Per rendere il tragitto più breve percorro la statale che parte da Desenzano e taglia la pianura padana obliquamente fino a Cremona.
E’ una pianura stranamente poco popolata rispetto a quella veneta dove le case coloniche si contendono poche pertiche di terra.
D’estate la pianura è una distesa unica di granturco.
Industrie ce ne sono poche, salvo qualche calzificio che ammorba l’aria nel mantovano.
D’inverno una fitta nebbia incombe terrorizzando l’automobilista.
Bisogna partire durante le ore calde del giorno perché al mattino presto e alla sera le strade sono pericolose.
La cortina di aria umida è un vero muro che impedisce una visuale superiore a venti metri e viaggiare in automobile vuol dire rischiare l’incidente.
A dire la verità più della nebbia mi spaventa l’occhio indagatore del Professore.
E’ un primario chirurgo dal piglio molto deciso.
E’ un professionista che sa che se sbaglia qualcuno può rimetterci la vita.
La sua casa è calda ed ospitale.
La Titti è una madre gentile e sorridente che mi dà fiducia.
E’ rossa di capelli. Un bel rosso ambrato che incornicia il volto sottile coperto di efelidi.
Ha un corpo giovanile e scattante che non dimostra la sua età, indossa dei calzoni lunghi al posto della normale gonna.
Le altre due figlie sono troppo preoccupate della loro esistenza normale per accorgersi che ci sono anch’io.
Una casa felice e una famiglia numerosa che contrasta con la mia composta di due sole persone.
Ad un suono del campanello che Titti tiene a portata di mano entra nella stanza da pranzo una cameriera robustotta.
Incomincia a servire un gustoso antipasto a base di salame cremonese, con una piccolissima quantità d’aglio che lo caratterizza, e di culaccia morbida che si scioglie in bocca.
La calda ospitalità della casa contrasta con il piglio indagatore del Professore che in certi momenti mi fa sentire a disagio
“Ma cosa ci viene a fare questo qui a Cremona?” sembra che pensi.
Giudico la sua curiosità eccessiva.
“Cosa vuoi fare nella vita?” inizia a chiedere.
La sua voce è senza inflessioni dialettali.
L’italiano è sicuramente più austero del dialetto, soprattutto di quello veneto che tutto stempera nella sua dolce cantilena.
Per fortuna la cameriera ha portato la seconda bottiglia di lambrusco 
La temperatura corporea aumenta sciogliendo il gelo dell’interrogatorio.
 “Ma io veramente sto lavorando, penso che vi siano prospettive di carriera una volta che ho conseguito l’idoneità alla professione legale.” per essere più convincente non parlo mai in venezian, tradendo le glorie del nostro leon.
Mi vien da pensare alle assicurazioni che Padre Bertolotto mi ha fatto dopo avere ricevuto una richiesta di notizie sul mio conto.
“El xe un bon fio diligente laureato e che attualmente el ga una ocupasion”;  anche se l’ha giurato dubito in quei momenti che abbia risposto positivamente.
Forse le sue assicurazioni non sono bastate!
Dopo i marubini in brodo l’atmosfera si riscalda ancora un pochino o sono io che prendo più coraggio.
La sostanza del brodo fatto con i tre bolliti di manzo, vitello e cappone mi ha dato la giusta energia.
Non posso dare torto al Professore.
Non posso essere per lui un buon partito.
Mi sono presentato da solo non ci sono con me né il nonno Nicola né mio padre Giani.
Se fossero qui mi sentirei certamente più sicuro.
Loro sì avrebbero portato nella discussione degli argomenti più convincenti.
Vengo, inoltre, da un ambiente lontano e non conosciuto in palese contrasto col motto: moglie e buoi dei paesi tuoi.
Chi vanta radici contadine tende a rispettare caparbiamente questo proverbio.
Il mio angelo custode mi sta aiutando e intuisco, anche se sono solo, che non ho paura di nessuno e che sono pronto ad affrontare ogni domanda.
Dopo il cotechino con le lenticchie mi sento un leone e rispondo con disinvoltura alle domande sul mio futuro.
Nelle situazioni più delicate di solito acquisto una freddezza innaturale per il mio carattere passionale e risulto di solito convincente e determinato.
Spero di avere superato la prova dell’esame di famiglia.











6.     Capitolo. L’anello.


Pierone è un’amante di alpinismo e di sci.
E’ un ragazzone alto e un po’ troppo robusto per apparire di primo acchito un crodaiolo.
Lui sembra piuttosto una buona forchetta.
I suoi occhi chiari ispirano simpatia.
Studia Economia e Commercio a Milano.
Ci conosciamo a Cervinia sulle piste di sci.
Scendiamo insieme dal Piccolo Cervino fino alla partenza della funivia che ti porta a Plan Maison.
La sciata è diretta senza soste. Ti fa salire il cuore in gola e ti fa scendere l’acido lattico nelle gambe
Mi racconta che è figlio di un orefice di Valenza Po.
“Vieni a trovarmi in laboratorio se vuoi fare un regalo a Gio.” mi dice sorridendo.
E’ sicuro di avere trovato un nuovo cliente.
Oramai sono stipendiato e non ho problemi; i soldi mi scorrono nelle tasche a fiumi.
In banca ho depositato un milione e duecento mila lire.
Tutti i mesi arriva puntuale lo stipendio e a casa di mia madre non spendo quasi nulla per vivere.
Parto con Gio per Valenza Po da Cremona nonostante che il tempo non sia clemente.
L’aria sa di neve.
Naturalmente ignoro che quella zona del Piemonte è famosa per le nevicate improvvise.
“Prendi pure la mia macchina, ha le chiodate. Non si sa mai.” dice la Titti.
Sono un po’ restio a guidare una macchina che non conosco. Il viaggio è breve.
“La Prinz della mamma è una bomba ed è più sicura della cinquecento, se per caso nevica! Prendila, che arriviamo in un lampo.” mi dice Gio.
All’andata non ci sono problemi in un baleno giungiamo a Valenza Po.
La Prinz si mangia letteralmente l’asfalto: non sono abituato a correre così, ma mi ci abituo subito.
Il laboratorio di Pierone è uno scintillio di gioielli.
Cerco un diamante per Gio.
Non ho che l’imbarazzo della scelta.
Ce ne sono di tutti i tipi e per tutte le tasche.
Mi sembra di essere un povero accattone con i miei sudati risparmi si compra solo una pietra molto modesta.
Antonio, papà di Pierone, un uomo che sa fare il suo mestiere, sempre intento a rimirarsi le sue gemme con un monocolo che si rigira tra le mani.
“ Guarda questo diamante di cinque grani, un po’ più di un carato, non è un meraviglia?” mi tenta suadente.
“Prendilo è un ottimo investimento oltre che un prezioso regalo.” mi consiglia.
C’è solo un problema costa un milioneduecentomila lire.
Una vera fortuna.
Tutti i miei risparmi depositati sul conto corrente.
No ti vorà far el caìa adeso?” ripeto tra me e me.
“Va bene lo prendo” decido soddisfatto
Un anello val bene un bacio!
 Il tempo promette neve; vorrei partire in fretta.
Andiamo a fare colazione a Valenza.
“Si mangia benissimo.” mi assicura Pierone che conosce un posto super.
Il tempo peggiora, la neve comincia a scendere copiosa.
“Non ti preoccupare, lo svincolo dell’autostrada è a pochi chilometri e si arriva in un baleno. Lì la strada è sicuramente libera dalla neve.”
Indugiamo ancora un po’.
La neve fiocca copiosamente.
Dopo il dolce partiamo in fretta.
Lo svincolo è lì, ma la strada è oramai ingombra di neve.
Alla base della deviazione per lo svincolo c’è una coda sospetta.
“Un camion a rimorchio si è messo di traverso. Non si riesce a spostarlo. Forse bisogna attendere fino a sera l’arrivo della gru.
C’è un altro svincolo a una decina di chilometri.” mi informa un agente della stradale che dirige il traffico.
Forse ce la facciamo, andiamo più avanti.
“Proviamo! Non possiamo stare qui ad aspettare la gru” suggerisce Gio.
La macchina ha le chiodate.
Io sono un veneziano che di macchine capisce poco e di chiodate ancor meno.
Non so, tapino, che sulla neve fresca le chiodate vanno fino ad un certo punto.
Se le ruote sprofondano nella neve son dolori.
Dopo pochi chilometri il telaio della macchina, che è bassissima, incomincia ad entrare in contatto col fondo nevoso della strada.
Bisogna continuare ad andare sempre con una velocità moderata senza fermarsi perché la neve può saldarsi col longherone della vettura ed incollarla alla strada.
Una prima volta la Prinz si arresta.
La campagna tutta bianca di neve è insolitamente deserta e avvolta da un silenzio ovattato.
Ci vuole la forza di Ercole per smuovere la macchina.
Sono costretto a scendere e a spingere mentre Gio passa al posto di guida.
Salgo su di corsa mentre l’autista improvvisata ingrana la marcia.
Finalmente dopo le sette fatiche lo svincolo appare affiorando da un paesaggio irreale.
Arriviamo in ritardassimo a  Cremona dove non è sceso un fiocco.
“Dove siete stati? Cosa avete fatto?”
La Titti non ha mai creduto ad una parola del nostro racconto.



7.     Capitolo. La festa.


La prova è stata superata non so se per merito mio o per la determinazione di Gio.
Per i genitori è arduo mettersi contro una figlia testarda.
Scegliere è una cosa estremamente difficile .
Quando hai imboccato una strada non è sempre facile tornare indietro.
Io ho sempre seguito la voce del cuore.
Spesso mio interrogo  sulle mie scelte. Sono estremamente critico, dubbioso se quella effettuata sia stata la scelta giusta.
Non mi sono mai pentito; se scegli col cuore non puoi avere rimpianti.
I preparativi per il matrimonio fervono.
Tutto deve essere fatto secondo i crismi.
Ci sono tante persone da invitare .
Bisogna risolvere il difficile problema di fare coesistere l’impegno cristiano con l’aspetto mondano .
La voglia di festeggiare è preminente.
Il binomio non è inconciliabile.
“Basta fare due celebrazioni una religiosa e l’altra festaiola” suggerisce la Titti.
I due aspetti della cerimonia possono convivere basta avere una regista prodigiosa.
La Titti è la migliore su piazza per potere organizzare una grande festa di nozze.
E’ una persona speciale. Non passa inosservata.
Non c’è pericolo che stia zitta. Dice sempre quello che pensa.
Parte sempre in quarta, ma è capace anche di cambiare idea.
La sua presenza è indispensabile. E’ una persona  difficile da sostituire.
Come faremmo se non ci fosse lei a dirigere le operazioni con la sua voglia di vivere, la sua allegria, il suo entusiasmo e il suo sorriso?
La lista degli invitati alle nozze è una cosa complicata.
Scegliere chi invitare e chi no è sempre un problema.
Per risolverlo basta invitare tutti, così non si fa torto a nessuno.
Le nozze non devono essere noiose.
L’allegria comporta la partecipazione di un congruo numero di persone.
Se le persone sono troppe è sufficiente dividere in due i gruppi.
Una festa pagana per i meno intimi.
Una ricorrenza religiosa per i più vicini.
Se qualcuno ha piacere di partecipare a tutte e due le celebrazioni va benissimo!
Le nozze sono un’occasione di gioia non solo degli sposi ma anche dei genitori che raggiungono un traguardo importante della loro vita.
E’ deciso.
Il rito del matrimonio è fissato per la domenica. La festa è anticipata al sabato sera.
La Titti non può rinunciare a festeggiare il matrimonio con musica e danze.
Gio precisa “I nostri amici ci saranno tutti”.
E’ bello fare una festa di nozze invitando tutti quelli che ami.
Una celebrazione ristretta è volere limitare la tua felicità che per essere grande deve essere condivisa.
Gli amici di Titti e del professore sono numerosi.
Una sequela interminabile di professori, primari, avvocati, commercialisti e anche qualche industriale.
C’è anche la zia Marta, al sorella saggia e lo zio Giovanni il fratello play boy del professore.
La zia Marta è la più anziana dei tre.
Ha il viso largo incorniciato dai capelli bianchissimi tenuti a crocchia sul capo da uno spillone.
La sua espressione è serena.
Sul suo volto aleggia sempre un sorriso benevolo anche se non ha avuto una vita tranquilla.
Lo zio Pino le ha procurato non pochi problemi.
La sua pazienza le ha fatto superare le difficoltà della vita .
Ora le cose si sono aggiustate e può godere una relativa tranquillità.
Giovanni è il fratellino più piccolo. Quarantaquattrenne, alto, atletico, determinato, professionista rampante, Giovanni ti ispira subito simpatia e fiducia per il suo approccio franco e cordiale.
In gioventù ha avuto un successo strepitoso con le donne dovuto al suo carattere, al suo fisico, al suo passato di atleta.
Le medaglie ai nazionali nella staffetta quattro per quattrocento e nei cento metri ostacoli e la sua fama di duro dovuta al fatto di essersi difeso strenuamente nell’affermare il ritorno di Trieste all’Italia sono un passaporto sicuro per essere conteso da un numero esagerato di biondone.
A Brescia ci furono diverse manifestazioni irredentiste, dopo l’uccisione di un giovane triestino, Pietro Addobati il 5 novembre 1953. In quel frangente Giovanni nel parteciparvi si trovò ad essere contestato da alcuni che la pensavano diversamente.
Per uscire dall’impiccio dicono che a furia di cazzottoni ne stese un discreto numero e riuscì a cavare lui e i suoi amici dai pasticci aumentando così, come patriota risoluto, la sua fama.
E’ vissuto lungo tempo fuori casa per frequentare la facoltà di Medicina lontano dagli occhi vigili della mamma Aurelia e di nonno Cesare, tenaci agricoltrici, attenti alle tradizioni campestri che non gli hanno mai imposto una buona moglie con forza seguendo le tradizioni più antiche.
Lui che attendeva una direttiva precisa non vedendosi spronato alla fatidica scelta, seguendo il suo istinto un po’ farfallone, si è fatto adescare dalle femmine che lo assediavano senza pensarci troppo.
Per quando riguarda il matrimonio, però, non si è dimostrato così determinato e non ha saputo decidere in fretta.
Per un lungo periodo ha collezionato figli e amori un po’ dappertutto dall’Italia alla Svezia senza mai venire meno alla sua fama di dongiovanni.
Solo poco tempo fa ha compiuto la sua scelta impalmando una bresciana doc della Valsabbia.
Figlia di industriali, la moglie è completamente diversa dal suo immaginario femminile ed incarna tutti i requisiti di una ottima compagna dei paesi suoi.
Riuscirà Giovanni a reggere questo vincolo visto che per lungo tempo non si è mai voluto vincolare?
Alla festa quella sera ci sono tutti quelli della Cremona che conta.
Non si può mancare al matrimonio della figlia maggiore del Professore.
Bisogna esserci se non altro per non essere tagliati fuori dai commenti del giorno dopo al bar della Balde dove tutti gli avvenimenti più importanti sono analizzati nei più piccoli dettagli.
La società canottieri adagiata lungo il fiume è il ritrovo preferito per raccontare i fatti del giorno.
Il tempo di fare una partita a tennis e assaporare una consa e sai già tutti i fatti più interessanti.
Se partecipi ai commenti portando notizie di prima mano  puoi dimostrare di essere bene informato.
In una città dove ci si conosce tutti, se non si è stati invitati è segno che si conta poco.
Gio è splendida fior tra i fiori del suo vestito di tulle e aspetta gli ospiti.
Io sono al suo fianco con un vestito da cerimonia che mi ha confezionato Tonon e mi sento più sicuro perché un abito che calza a pennello ti dà una sicurezza in più.
In realtà mi sento un po’ a disagio perché conosco un decimo degli invitati.
“Tu saluta e sorridi” mi rassicura Gio.
Sono venuti molti miei parenti: mia madre con la Lina, la zia Bice, Donato e Renzo, Clint e Delphi, Mimmo da Milano a cugina Titti dal sud, le signorine Luce da Venezia. Ci sono persone che non vedo da anni, ma che hanno voluto partecipare della nostra felicità. Molti amici dei tempi dell’Università.
I compagni di scuola della Gio ci sono tutti, sono legati da una profonda amicizia e sono festaioli, non mancano per nessuna ragione al mondo.
Non vedo Marcello. Marcello - l’inappuntabile, l’immarcescibile, l’imprevedibile, l’incomprensibile, l’irraccontabile, l’inossidabile, l’instancabile, l’invincibile, l’insuperabile organizzatore di set cinematografici dove attori consumati dalla tensione del ciak danno sotto la sua provvida guida il meglio di  sé stessi. L’incontenibile presentatore di cineforum dove del film viene raccontato ogni minimo dettaglio, anche quello che nessuno vuole sapere, affinché  si sviluppi un dibattito pacato e irrazionale su problemi che non esistono, ma che servono per giustificare il successivo gigantesco pantagruelico rinfresco che compensa ampiamente la partecipazione alla proiezione.
Non c’è. Strano che non sia venuto sapendo che c’è un buffet splendido ed una orchestrina per ballare.
Non è da lui farsi scappare una simile occasione.
A meno che non sia a dieta o che sia scappato per una crociera a sorpresa lungo il Morbasco?
I miei amletici dubbi vengono fugati da una Miriam magrissima, elegantissima con due profondi occhi sorridenti.
Indossa quindici collane e cinque bracciali. I gioielli sono in oro massiccio per non dare nell’occhio.
L’eleganza nel parlare equivale ad un’innata sicurezza nel guidare e alla inconsueta leggerezza nel ballare che la rendono la mia guidatrice e ballerina preferita.
“Marcello avrebbe voluto tanto venire. Non voleva perdere la festa e invece sta male, ha la febbre, non può alzarsi dal letto!” mi dice con un sorriso amaro che contrasta che suo mite carattere.
Peccato! Ci rifaremo al matrimonio del prossimo compagno di scuola.
Un’orchestrina  inizia a suonare e i musici ci invitano ad aprire le danze. Musica e risate.
Cosa c’è di meglio di una sana allegria per affrontare serenamente le difficoltà del vivere.
Gli avvenimenti che ti cambiano la vita devono essere celebrati perché di essi rimanga più marcato il ricordo.

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