sabato 30 giugno 2012

Processo amministrativo. Silenzio dell’amministrazione. Termine maturato nel corso del giudizio Legittimità.


Quando sussiste un comportamento inadempiente dell’ente è configurabile un’azione tesa ad ottenere un provvedimento che può essere positivo o negativo; ad essa può essere dato inizio in ogni momento per tutta la durata del comportamento inadempiente dell’amministrazione.
Il silenzio che dà luogo alla possibilità di azionare il ricorso è quello denominato silenzio adempimento. A detto silenzio non viene riconosciuto alcun significato o valore provvedimentale; non si tratta né del silenzio accoglimento né del silenzio diniego. A. CORRADO, Tempi dimezzati per il deposito dei ricorsi. L’accesso apre il capitolo dei riti speciali, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 50.
Formatosi il silenzio rifiuto, inizia a decorrere il termine, previsto a pena di decadenza, entro il quale è necessario presentare il ricorso al T.A.R.
Il termine per proporre il ricorso decorre dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento e cessa, comunque, trascorso un anno da detta scadenza.
L’art. 31 e l’art. 117, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. proc. amm.,  ripropongono i principi fissati da ultimo dall’art. 7, L. 69/2009, affermando che decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
L'azione può essere proposta fintanto che perdura l'inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento .
Una importante precisazione è intervenuta da parte della giurisprudenza che ha affermato che, nella pendenza di un giudizio attivato prematuramente contro il silenzio serbato dalla Pubblica amministrazione, il provvedimento richiesto interviene in tempo utile il giudice deve limitarsi a una pronuncia reiettiva per mancanza di un'indefettibile condizione dell'azione, dovendosi scoraggiare ogni forma di abuso dello strumento processuale a fini preventivi o sollecitatori; se però nel corso nel giudizio emerge l'esistenza di un termine più lungo di quello inizialmente ipotizzato, non v'è ragione per negare la richiesta tutela ove nel frattempo il diverso termine sia comunque spirato senza che l'Amministrazione abbia provveduto, atteso che l'inadempimento è oggettivamente esistente al momento della decisione ed al contempo risulta soddisfatta la condizione dell'azione inizialmente carente.
Il punto nodale della controversia concerne la possibilità, per il giudice, di considerare e valutare la sopravvenienza della scadenza del termine, nell'ambito di un giudizio sul silenzio che sia stato prematuramente instaurato.
L'art. 31 Cpa dispone in proposito che "decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, chi vi ha interesse può chiedere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere".
Non può negarsi che il tenore letterale della norma autorizzi, tra le opzioni esegetiche possibili, una interpretazione, come quella perorata dall'appellante, che connetta il decorso del termine finale del procedimento alla stessa ammissibilità dell'azione. In tal senso potrebbe sostenersi che il maturare del termine abbia la stessa valenza della vecchia diffida a provvedere e che, quindi, l'amministrazione possa ragionevolmente confidare nell'improponibilità di azioni giudiziarie durante lo spatium deliberandi che precede lo scadere del termine, in questo caso ex lege fissato. La stessa celerità del rito costituirebbe argomento a sostegno dell'inammissibilità nella misura in cui esso avrebbe necessariamente ad oggetto l'evento storico della scadenza del termine, e solo eventualmente la cognizione dell'esatta regolazione della sostanza del rapporto, in guisa che, se l'evento non si sia prodotto al tempo della domanda, il decisum non possa che essere reiettivo.
Le considerazioni, pur sostenibili alla luce della lettera del dettato normativo, non possono tuttavia condividersi, se riferite all'impianto sistematico del codice del processo ed ai principi della tutela processualcivilistica che dichiaratamente lo ispirano.
Sul primo versante può osservarsi che la tutela in sede giurisdizionale amministrativa ha ormai acquisito una valenza sostanziale imposta dagli imperativi di efficacia e satisfattività, i quali hanno indotto una disciplina processuale improntata alla tutela del bene della vita esposto all'azione dell'amministrazione, piuttosto che all'analisi degli atti che da quest'ultima promanano.
La dottrina ha sempre evidenziato, riprendendo l'iniziale impostazione "chiovendiana", la differenza logico giuridica tra presupposti e condizioni dell'azione, i primi necessari per l'accesso al processo, i secondi necessari per ottenere una pronuncia sulla pretesa dedotta in giudizio.
Il binomio presupposti del processo - condizioni dell'azione, come visto ampiamente valorizzato dalla giurisprudenza civile, ben può adoperarsi per la risoluzione delle questioni relative all'azione sul silenzio nel processo amministrativo, per giungere ad affermare che anche in questo caso, come in quelli, la scadenza del termine costituisca una condizione dell'azione, che è sufficiente sussista al momento della decisione.
Chiarito, infatti, che trattasi di un'azione tesa ad ottenere la condanna all'adempimento di un facere pubblicistico generico (ossia il provvedere) e, in determinati casi, di quello specifico (ossia l'emanazione del provvedimento che attribuisce l'utilità cui il privato aspira), essa ben può inquadrarsi nella categoria processualistica generale dell'azione di esatto adempimento (in tal senso, nettamente, Ad. Plen. n. 15/2011), con conseguente impossibilità di considerare lo scadere del termine quale mero presupposto processuale, secondo una logica attizia e formale, non più compatibile con l'impianto del codice.
La dottrina non condivide questa impostazione sulla scorta del dettato dell’art. 34 comma 2, d lgs. 104/2010che afferma come in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Caputo O. M. , Azione avverso il silenzio: una sentenza troppo realista, Urb. App. , 784

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