martedì 4 settembre 2012

Conferenza di servizio. Dissenso. Potere sostitutivo statale limiti.


La conferenza di servizi costituisce un modulo procedimentale-organizzativo suscettibile di produrre un’accelerazione dei tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici coinvolti. (N. Centofanti, M. Favagrossa e P. Centofanti, Formulario del diritto amministrativo, 2012, 75).
Esso, infatti, consente l’assunzione concordata di determinazioni sostitutive, a tutti gli effetti, di concerti, intese, assensi, pareri, nulla osta, richiesti da un procedimento pluristrutturale specificatamente conformato dalla legge, senza che ciò comporti alcuna modificazione o sottrazione delle competenze, posto che ciascun rappresentante, partecipante alla conferenza, imputa gli effetti giuridici degli atti che compie all’amministrazione rappresentata, competente in forza della normativa di settore (Consiglio Stato, sezione V, 8 maggio 2007, n. 2107).
Tale istituto, introdotto dalla legge non tanto per eliminare uno o più atti del procedimento, quanto per rendere contestuale quell’esame da parte di amministrazioni diverse che, nella procedura ordinaria, sarebbe destinato a svolgersi secondo una sequenza temporale scomposta in fasi distinte, è orientato alla realizzazione del principio di buon andamento ex art. 97 Cost.», in quanto assume, nell’intento della semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco al fine di individuare, mediante il contestuale confronto degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico primario e prevalente (Corte cost.. 313 del 2010).
Esso, quindi, realizza  un giusto contemperamento fra la necessità della concentrazione delle funzioni in un’istanza unitaria e le esigenze connesse alla distribuzione delle competenze fra gli enti che paritariamente vi partecipano con propri rappresentanti, senza che ciò implichi attenuazione delle rispettive attribuzioni.
Esiste, da una parte, un’esigenza unitaria che legittima l’intervento del legislatore statale anche in ordine alla disciplina di procedimenti complessi estranei alle sfere di competenza esclusiva statale affidati alla conferenza di servizi, in vista dell’obiettivo della accelerazione e semplificazione dell’azione amministrativa; dall’altro, è ugualmente agevole escludere che l’intera disciplina della conferenza di servizi, e dunque anche la disciplina del superamento del dissenso all’interno di essa, sia riconducibile ad una materia di competenza statale esclusiva, tenuto conto della varietà dei settori coinvolti, molti dei quali sono innegabilmente relativi anche a competenze regionali (es.: governo del territorio, tutela della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali).
La Corte cost. , 11.7.2012, n. 179, ha preso in esame le censure solevate alla disciplina dell’istituto della conferenza di servizi, introdotto, in via generale, dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990, dopo le modifiche apportate dall’ art. 49 del d.l. n. 78 del 2010.
La Corte ha ripetutamente affermato che, per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse abbia dato il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto ed alla disciplina delle medesime (Corte cost.  n. 430/2007). In questo caso, la qualificazione, operata dalla stessa norma impugnata – letta in combinato disposto con l’art. 49, comma 4 – della disciplina inerente alla conferenza di servizi, quale disciplina attinente alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, risulta contraddetta dal contenuto della medesima.
Essa, infatti, lungi dal determinare uno standard strutturale o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a questo o a quel diritto civile o sociale, in linea con il secondo comma, lettera m), dell’art. 117 Cost., assolve al ben diverso fine di regolare l’attività amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, molti dei quali di competenza regionale, (quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio), in modo da soddisfare l’esigenza, diffusa nell’intero territorio nazionale, di uno svolgimento della stessa il più possibile semplice e celere.
Il soddisfacimento di una simile esigenza unitaria giustifica, pertanto, l’attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarietà, sia dell’esercizio concreto della funzione amministrativa che della relativa regolamentazione nelle materie di competenza regionale, ma deve obbedire alle condizioni stabilite dalla giurisprudenza costituzionale, fra le quali questa Corte ha sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni.
In particolare, si è affermato che «l’ordinamento costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi statali e organi regionali per l’esercizio concreto di una funzione amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di competenza legislativa.
Tali «intese costituiscono condizione minima e imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale che effettui la “chiamata in sussidiarietà” di una funzione amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di vere e proprie intese “in senso forte”, ossia di atti a struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una delle parti».
In tali casi, ha inoltre precisato questa Corte, «il secondo comma dell’art. 120 Cost. non può essere applicato» (Corte cost.  n. 383 del 2005).
È in questo quadro che occorre valutare la disciplina del superamento del dissenso espresso, appunto, in sede di conferenza, introdotta dall’impugnato comma 3, lettera b), dell’art. 49, in specie nella parte in cui, modificando l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990, stabilisce che, ove il motivato dissenso sia espresso da una Regione o da una Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza e non sia raggiunta la prescritta intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate entro trenta giorni, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate».
Questa Corte, applicando i principi suddetti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di analoga norma statale che prevedeva un potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento dell’intesa, esercitabile decorsi trenta giorni dalla convocazione del primo incontro tra il Governo e la Regione o la Provincia autonoma interessata, affermando che «la previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una “drastica previsione” della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano necessarie “idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze”
Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali procedure mirate all’accordo, può essere rimessa al Governo una decisione unilaterale» (sentenza n. 165 del 2011), come nel caso relativo alla disciplina del procedimento di certificazione dei siti idonei all’insediamento degli impianti nucleari (Corte cost. n. 33 del 2011).
Allorquando, invece, l’intervento unilaterale dello Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa, è violato il principio di leale collaborazione con conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale.
La Corte cost. , 11.7.2012, n. 179, ha preso in esame le censure solevate alla disciplina dell’istituto della conferenza di servizi, introdotto, in via generale, dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990, dopo le modifiche apportate dall’
L’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, reca la «drastica previsione» della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, posto che il Consiglio dei ministri delibera unilateralmente in materie di competenza regionale, allorquando, a seguito del dissenso espresso in conferenza dall’amministrazione regionale competente, non si raggiunga l’intesa con la Regione interessata nel termine dei successivi trenta giorni
Il termine è così esiguo da rendere oltremodo complesso e difficoltoso lo svolgimento di una qualsivoglia trattativa, ma dal suo inutile decorso si fa automaticamente discendere l’attribuzione al Governo del potere di deliberare, senza che siano previste le necessarie «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (come, peraltro, era invece previsto dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990).
Né, d’altro canto, la previsione che il Consiglio dei ministri delibera, in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, «può essere considerata valida sostituzione dell’intesa, giacché trasferisce nell’ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all’esterno, in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un piano di parità» (Corte cost., 165 del 2011).
La Corte cost. , 11.7.2012, n. 179, pertanto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 3, lettera b), del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nella parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di servizi da una Regione o da una Provincia autonoma, in una delle materie di propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il breve termine di trenta giorni, l’intesa, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate», senza che siano previste ulteriori procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze.

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