mercoledì 16 gennaio 2013

Ambiente. L’impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti. Necessità VIA. Localizzazione.


Ambiente. L’impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti. Necessità VIA. Localizzazione.

Ai fini della normativa di tutela ambientale l’impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche non va considerato come un mero impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette sostanze.
Ai fini dell'applicazione della normativa in materia ambientale, infatti, non rileva soltanto il prodotto finale costituito dall'energia bensì il processo produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell'impianto, oltreché il materiale di risulta, ossia il digestato.
L'Allegato C alla parte quarta del D. lgs 152 del 2006, il cosiddetto Testo Unico dell'ambiente , elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (vedi la categoria R1).
L'utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell'impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti.
Per la giurisprudenza i liquami hanno natura di rifiuti.
Un impianto di produzione di energia elettrica e calore che utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche, ai fini della normativa di tutela ambientale, non va considerato come un mero impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette sostanze e ai fini dell'applicazione della normativa in materia ambientale non rileva soltanto il prodotto finale costituito dall'energia bensì il processo produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell'impianto, oltreché il materiale di risulta, ossia il digestato.
Anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento.
Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze.
In definitiva ricorrono le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
L'Allegato C alla parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, il cosidetto Testo Unico dell'ambiente, elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (categoria R1) e pertanto l'utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell'impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 9.7.2008, n. 3296.
La modifica del testo unico dell'ambiente, adottata con D.Lgs. 4 del 2008, ha modificato l'art. 185 introducendo ancorché "potenzialmente" i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati per produrre biogas. In particolare l'art. 185 novellato stabilisce che possono essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1, dell'art. 183: materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore o biogas.
Alla luce della nuova normativa, dunque, qualora i liquami soddisfacessero i requisiti di cui all'art. 183, comma 1, lett. p), ne deriverebbe che gli impianti di produzione di biogas non dovrebbero essere considerati impianti di recupero dei rifiuti.
L'assoggettamento del regime autorizzativo dell'impianto di biogas alla normativa sui rifiuti si ha qaundo gran parte delle sostanze da cui deriva il biogas costituiscono un rifiuto e, pertanto, l'impianto in parola ben può essere considerato anche un impianto di recupero dei rifiuti non pericolosi...
I liquami, ai sensi del D.Lgs. 152 del 2006 non potevano rientrare nella nozione di sottoprodotto proprio perché indicati nella citata tabella dei rifiuti e, poi, perché non ricompresi nella nozione generale di sottoprodotto di cui all'art. 183 dello stesso D.Lgs.
Il loro utilizzo per produrre energia richiedeva la trasformazione in biogas e, quindi, una trasformazione tramite un successivo processo produttivo, dovendosi ritenere cumulativi i requisiti indicati dallo stesso art. 183.
Possibili profili di problematicità della esclusione dall'ambito di applicazione della normativa sui rifiuti delle suddette sostanze organiche sussistono anche alla luce della novella legislativa.
Rimane da verificare l'esistenza dell'ulteriore requisito imposto dalla normativa comunitaria "ossia se per il riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonché essere potenzialmente fonte di quei danni per l'ambiente che la normativa mira specificamente a limitare, esso non può essere considerato certo e né prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (Corte di Giustizia CE, Sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05)". E. Tanzarella, Nota a Tar Bologna, Sez. II, 9 luglio 2008 n.3296, Riv. giur. ambiente 2009, 1, 203
La giurisprudenza ha precisato che ai fini della applicazione della v.i.a. gli impianti di recupero dei rifiuti vanno ad ogni effetto equiparati a quelli di smaltimento.
È altresì fondata la censura con la quale i ricorrenti rilevano il mancato rispetto della normativa che disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge regionale Emilia - Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica "screening" ed eventualmente, all'esito della stessa, al successivo assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli artt. da 11 a 18, in quanto il biogas ed il digestato sarebbero prodotti chimici.
Infatti, appare decisiva a tal fine la qualificazione normativa di cui all'allegato I, paragrafo 4.3 del D. lgs 59/05 che espressamente ricomprende tra gli impianti chimici quelli "per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio (fertilizzanti semplici o composti)", senza distinguere tra i vari processi di produzione, di sintesi o meno.
L'allegato II alla direttiva 85/337 ricomprende tra l'industria chimica (progetti non ricompresi nell'allegato I per i quali la V.I.A. è obbligatoria perché imposta dalla direttiva stessa) gli impianti di "trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici".
L'articolo 4 della legge regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B. 3, che non ricadono all'interno di aree naturali protette, sono assoggettati alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9 e 10 della stessa legge.
Il punto B. 1.10 del citato allegato prevede gli impianti "trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici, per una capacità superiore alle 10.000 t/annuo di materie prime lavorate"
Conseguentemente, l'impianto in contestazione doveva essere sottoposto alla procedura di "screening" anche per questa ragione.
Inoltre anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze".
In definitiva ricorrono le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
Sulla non classificabilità del biogas quale rifiuto si registra il seguente precedente del T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 24 maggio 2007, n. 1430, in Ragiusan, 2008, 157.
Il biogas residuale dal ciclo di depurazione dei reflui aziendali, utilizzato come combustibile gassoso costituisce un prodotto intermedio del complessivo ciclo di produzione aziendale strettamente funzionale al suo reimpiego per la produzione di energia termica, e finalizzato ad un tempo al risparmio energetico e al rispetto dell'ambiente, non qualificabile come rifiuto, poiché esso viene riutilizzato, senza alcuna operazione di "disfarsi", vale a dire senza trasformazioni assimilabili ad operazioni di rifiuto-smaltimento di rifiuti a trasformazioni tecnologiche". Quanto alla necessità di via per gli impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, 11 settembre 2007, n. 2107, in Amb. Svil., 2008, 2, p. 168. In generale sull'energia da fonti rinnovabili, con particolare attenzione alla proposta Commissione europea 23 gennaio 2008 di direttiva per raggiungere l'obiettivo comunitario consistente nel soddisfare, entro il 2020, mediante fonti rinnovabili, il 20% del consumo interno di energia, M. D'Auria, La proposta di direttiva sulle energie rinnovabili: la strategia europea", Rivista GA,  2008, 927.
Inoltre anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze".
In definitiva ricorrono le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
La Corte costituzionale ha verificato la costituzionalità delle legislazione regionale che hanno regolamentato la procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di generazione dell'energia elettrica da biometano e biogas
E’ stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, comma 9, della legge della Regione autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 , che limita a soggetti individuati (imprenditori agricoli professionali iscritti da almeno tre anni alla Camera di commercio; giovani imprenditori agricoli; società agricole), la possibilità di esperire una procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di generazione dell'energia elettrica da biometano e biogas , atteso che tale normativa censurata non può dirsi rientrare nei margini di scelta consentiti alle Regioni, poiché nella legislazione statale nulla permette di giustificare una restrizione all'accesso alla procedura semplificata su base soggettiva, sia per ragioni testuali, sia considerando lo spirito dell'intera normativa, volto a promuovere la diffusione delle energie rinnovabili. Corte Costituzionale, 20/04/2012, n. 99
Il legislatore statale, infatti, attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa concorrente in materia di energia, di cui all'art. 117, terzo comma, della Costituzione, e, con specifico riferimento alla Regione autonoma Sardegna, di cui all'art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto.
La Corte ha ripetutamente affrontato tale problematica con riferimento al decreto legislativo 29 dicembre del 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità) (ex multis, sentenze nn. 310, 308 e 107 del 2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006), e al decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) (sentenze n. 308 del 2011 e n. 344 del 2010).
Nel caso oggi in esame, va riaffermato il medesimo principio con riferimento al decreto legislativo n. 28 del 2011, rispetto al quale la normativa regionale è in questa sede censurata. Il decreto legislativo n. 28 del 2011 reca norme di attuazione della direttiva 2009/28/CE del 23 aprile 2009, che in materia di procedure di autorizzazione di impianti per la produzione di energie rinnovabili invita gli Stati membri a preferire procedure semplificate e accelerate, prevedendo tra l'altro forme procedurali meno gravose per i progetti di piccole dimensioni (art. 13).
L'art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, in attuazione della direttiva europea sopra menzionata, disciplina una procedura abilitativa semplificata per la costruzione e l'esercizio di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, riconoscendo inoltre alle Regioni e alle Province autonome la facoltà di estendere «la soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino a 1 MW elettrico.
Essa  definisce, altresì, i casi in cui essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l'esercizio dell'impianto e delle opere connesse sono soggette altresì all'autorizzazione unica», disciplinata al successivo art. 5 del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011.
La disposizione statale, dunque, - recependo tanto il generale orientamento di favore della direttiva europea verso la produzione di energia da fonti rinnovabili (sentenza n. 124 del 2010), quanto, più specificamente, per gli aspetti procedimentali rilevanti ai fini della presente decisione, l'obiettivo di estendere al massimo il ricorso a procedure leggere, che incentivino l'insorgere di impianti anche di piccole dimensioni - ha introdotto una procedura semplificata, dando altresì facoltà alle Regioni di estenderne l'ambito di applicazione fino ad una soglia massima di potenza di energia elettrica pari a 1 MW. A fronte di tale disciplina, europea e nazionale, la legge regionale interviene con una disposizione restrittiva, che limita sul piano soggettivo il ricorso alla procedura semplificata, individuando nominativamente i tipi di operatori economici ammessi al beneficio procedurale. In tal modo la legge regionale si pone in contrasto con la disposizione statale contenuta nell'art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, considerata tanto nel suo tenore testuale, quanto nel principio fondamentale che essa esprime, di favore per la semplificazione delle procedure necessarie all'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili.

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