mercoledì 13 febbraio 2013

Ambiente. Sottoprodotti.



La  definizione di "sottoprodotto" posta dall'attuale D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184 bis (aggiunto dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, art. 12, comma 1) va rilevato che l'utilizzo dei materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo fino dai momento detta sua produzione.
La norma precisa che è un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:
a) la sostanza o l'oggetto e' originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e' la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) e' certo che la sostanza o l'oggetto sara' utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l'oggetto puo' essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l'ulteriore utilizzo e' legale, ossia la sostanza o l'oggetto soddisfa, per l'utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell'ambiente e non portera' a impatti complessivi negativi sull'ambiente o la salute umana.mentre nella specie in esame non è dimostrata una preventiva organizzazione alla riutilizzazione, configurandosi piuttosto un utilizzo meramente eventuale e non integrale degli eterogenei materiali rinvenuti nel cantiere conseguente ad un'attività di produttore non industriale rivolta sostanzialmente a disfarsi degli stessi.
I requisiti per definire il sottoprodotto devono essere tassativamente posseduti affinché lì’attività di gestione di detti sottoprodotti  non integri il reato previsto dall'art. 256, comma primo, lett. a), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Per qualificare un materiale come sottoprodotto, occorre tener conto se sia stato sottoposto a trattamenti che rientrano nella "normale pratica industriale" .
Nella specie, la corte ha annullato con rinvio la sentenza che aveva escluso che fossero sottoprodotti i fanghi provenienti dall'impianto di depurazione delle acque e dall'impianto di aspirazione polveri della smaltitura di piastrelle riutilizzati nel processo produttivo della stessa azienda, mediante aggiunta all'impasto di terre vergini, per la produzione di piastrelle di terza scelta.
La decisione ha definito i fanghi come rifiuti, ritenendo, da un lato, che la disidratazione degli stessi costituisca attività di trasformazione incompatibile con la inclusione nella categoria di sottoprodotto e dall'altro, che il composto non possedesse i requisiti di cui ai punti 3 e 4 del citato art. 183, lett. p) (nel testo non più vigente).
Gli esiti della consulenza tecnica hanno posto, invece, in evidenza la compatibilità del composto con i limiti di piombo autorizzati nel processo produttivo, mentre la sentenza impugnata ha enfatizzato proprio il superamento dei limiti di tale sostanza.
E' pertanto necessario che vengano riesaminati tali aspetti, dovendosi stabilire se il trattamento dei fanghi costituisca una trasformazione diversa dalla normale pratica industriale e dovendosi valutare l'impatto ambientale del procedimento di produzione delle piastrelle di terza scelta tramite l'utilizzo dei fanghi suddetti (requisiti di cui ai punti 3 e 4, del previgente art. 183, lett. p) previgenti). Tale valutazione deve anche tenere conto delle condizioni ora indicate nell'art. 184 bis attualmente vigente, laddove il legislatore italiano ha recepito la nozione comunitaria di cui all'art. 5 della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE .
La normativa mostra un'evidente favore del legislatore comunitario per la soluzione di recupero dei rifiuti, come si desume dalla previsione contenuta nell'art. 4 della direttiva recante la gerarchia dei rifiuti, che vede al primo posto la prevenzione e preparazione per il riutilizzo.
Fermo restando il principio della interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, la direttiva quadro ha tracciato il confine tra ciò che deve considerarsi rifiuto e ciò che ha assunto valore di autentico prodotto. Inoltre la disciplina comunitaria tra i requisiti indicati nella nozione di sotto prodotto, ha incluso i trattamenti che rientrano nella "normale pratica industriale", con l'effetto pratico di ampliamento della categoria.
Cassazione penale, sez. III, 25/05/2011, n. 34753.
I ritagli di materiali tessili non rientrano nella nozione di sottoprodotto come oggi definita dall'art. 184 bis del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di materiali già sottoposti ad un ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale.Cassazione penale, sez. III, 25/05/2011, n. 24427.
Costituisce rifiuto e non sottoprodotto, anche a seguito delle modifiche introdotte alla disciplina sui rifiuti dal d.lg. 3 dicembre 2010, n. 205, la sansa di oliva disoleata non utilizzata direttamente dal produttore, ma soggetta a trasformazione preliminare al fine dell'utilizzo quale combustibile. (Fattispecie relativa al sequestro preventivo di un sito di stoccaggio). Cassazione penale, sez. III, 16/03/2011, n. 17863.
Gli inerti di marmo travertino non sono di per sé qualificabili come sottoprodotti, occorrendo a tal fine la prova certa del loro utilizzo, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi.
Nella specie gli inerti, provenienti dall'attività di lavorazione delle cave di marmo svolta da altra società, erano depositati, senza autorizzazione, su un'area gestita dalla società dell'indagato). Cassazione penale, sez. III, 07/06/2011, n. 28734.
La giurisprudenza ha precisato che il reimpiego di materiale inerte derivante dall'attività di scarifica del manto stradale nel processo produttivo di conglomerato bituminoso integra il reato.
Lo scarificato non può  essere qualificato come sottoprodotto ai sensi dell'art. 184 bis del citato D.Lgs. neppure all'esito della modifica introdotta dall'art. 12 del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n, 205. Cassazione penale, sez. III, 19/01/2012, n. 7374.

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