venerdì 6 dicembre 2013

Piano regolatore. Reiterazione vincolo urbanistico

Oggetto:Il Comune ha reiterato il vincolo urbanistico di parcheggio pubblico sul nostro parcheggio.
Da:russocostruzioni@gmail.com
A:<centofanti_@libero.it>
Data:03/12/2013 17:53

Il nostro parcheggio, ricadente in catasto al Foglio 89…. P.lle …comprende la superficie di mq 600…… ed è disposto su due livelli (vedi planimetria e foto allegate); ha due accessi, uno di entrata e uno di uscita; comprende in totale n. 61 posti auto; è stato realizzato con Concessione Edilizia N. …. e successive varianti …., il suo completamento è avvenuto nel 2001.

Con variante urbanistica del 2006 il Comune appose su di esso il vincolo urbanistico di Parcheggio Pubblico… a cui però non seguirono i piani attuativi.

Il 14 luglio 2011 il suddetto vincolo urbanistico preordinato all'esproprio è decaduto, ripristinando lo status ante vincolo.

Fino alla data del 30 ottobre 2013, data di adozione del nuovo R.U.,  e a tutt’oggi, il Comune ha fatto di tutto per non consentirci di vendere i nostri posti auto, causandoci un rilevante danno economico.

Con tale delibera n. 70 del 30 ottobre 2013, di adozione del Nuovo R.U., il Comune ha reiterato il vincolo urbanistico di parcheggio pubblico sul nostro parcheggio privato. 


Quale iter possiamo percorrere per essere indennizzati adeguatamente?

Risposta
La Corte Costituzionale ha disposto l’indennizzo per i vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni (Corte Cost. 20.5.1999, n. 179, GD, 1999, n. 22, 133).
La Corte precisa i caratteri che devono distinguere il vincolo perché possa essere soggetto ad indennizzo.
il vincolo deve essere preordinato all’espropriazione o avere carattere espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento di rilevante entità ed incisività, del contenuto della proprietà stessa mediante imposizione, immediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determinati comportanti inedificabilità assoluta;
il vincolo deve superare la durata che il legislatore ha fissato come limite, non irragionevole e non arbitrario, affinché il vincolo stesso risulti sopportabile da parte del singolo soggetto titolare del bene;
il vincolo deve superare, sotto il profilo quantitativo, la normale tollerabilità secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla sua funzione sociale, vedi cap. I, n. 5.
Non rientrano negli schemi del procedimento espropriativo, invece, i beni immobili aventi valore paesistico-ambientale, in virtù delle loro qualità oggettive che li inseriscono in particolari categorie di beni.
Tali beni, infatti, sono sottoposti ad un particolare regime di utilizzo, secondo le caratteristiche intrinseche che li distinguono.
Devono essere considerati come normali e connaturati alla proprietà i limiti non ablatori posti dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica e relativi alle norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura, di superficie coperta, quali le distanze tra edifici, le zone di rispetto relative a determinate opere pubbliche, gli indici di edificabilità e gli standard attinenti alle zone territoriali omogenee.
La Corte non esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via amministrativa.
Possono, infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità.
Qualora i vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe, che si aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia indeterminato e senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i limiti posti dalle norme costituzionali.
E’ stata pronunciata, quindi, l’illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo, che continua a consentire la reiterazione dei vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione d’indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo urbanistico preordinato all’espropriazione o comportante l’assoluta inedificabilità oltre i limiti di durata fissati dal legislatore ove non risulti, in modo inequivocabile, l’inizio della procedura espropriativa.
La Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione.
Avendo ravvisato nella procedura di determinazione del risarcimento una serie di variabili che sostanzialmente pongono la diminuzione di valore a seguito reiterazione del vincolo in rapporto diverso con l’indennizzo relativo alla perdita della proprietà del bene, la Corte afferma che l’indennizzo per il protrarsi del vincolo è un ristoro, non necessariamente integrale od equivalente al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono verificare a danno del titolare del bene immobile colpito.
Esso deve essere commisurato al mancato uso normale del bene ovvero alla diminuzione di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.
Se spetta al legislatore ordinario fissare i criteri per l’indennizzo la Corte non esclude che, anche in caso di mancanza di tale intervento, il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie considerandole come obbligazioni derivanti dal pregiudizio subito a causa della rinnovazione o del protrarsi del vincolo.
Le modalità di calcolo dell’indennizzo sono disciplinate dall’art. 39, d.p.r. 8.6.2001, n. 327.
Si tratta di una normativa transitoria in attesa del t.u sulla programmazione urbanistica attuativa (Centofanti, Diritto urbanistico Cedam 2012, 191 2004, 1975).
Il vincolo reiterato deve essere risarcito attraverso la corresponsione di una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto e al tempo della reiterazione.
L’atto che reitera il vincolo deve prevedere la corresponsione dell’indennizzo.
In merito alla previsione di indennizzo parte della giurisprudenza si dimostra sempre più sensibile al problema e afferma che l’amministrazione comunale nel reiterare un vincolo decaduto preordinato all’espropriazione deve prevedere i criteri generali sulla base dei quali procederà alla liquidazione del relativo indennizzo; per cui sono illegittime quelle disposizioni di piano regolatore di reiterazione dei vincoli che abbiano omesso tale previsione, da considerarsi non tanto quale semplice atto ricognitivo di un diritto ormai attribuito all’interessato dalla stessa legislazione vigente, ma quale attestazione di una compiuta ed adeguata ponderazione da parte dell’amministrazione degli oneri conseguenti alla reiterazione di detti vincoli. Per quantificare i danni subiti, relativamente ai predetti terreni interessati dalla illegittima reiterazione dei vincoli espropriativi, è stato fatto riferimento in via equitativa alla indennità fissata dalla normativa vigente per le occupazioni d’urgenza, ridotta del 50% (atteso che le aree sono rimaste nella disponibilità dei ricorrenti) e ciò a decorrere dalla data di approvazione del piano e fino alla data odierna. Disponendo, pertanto, che il Comune, al fine di risarcire il danno cagionato ai ricorrenti con l’illegittima reiterazione di tali vincoli espropriativi, proponga alla parte ricorrente una somma applicando il predetto criterio, con la precisazione che, ove le parti non giungano ad un accordo la determinazione della somma dovuta può essere chiesta allo stesso T.A.R. (T.A.R. Abruzzo Pescara 28.8.2006, n. 445, FATAR, 2006, 7-8, 2579).
La giurisprudenza ha, inoltre, affermato che Pubblica Amministrazione, nel reiterare vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione, deve prevedere il relativo indennizzo, con la conseguenza che sono illegittimi provvedimenti urbanistici nella parte in cui omettano questa previsione o questo sia espresso con enunciazioni di carattere generale, prive di criteri e parametri certi di valutazione (Cons. St., sez. IV, 28.12.2006, n. 8041).
Tali decisioni sono destinate a rimanere isolate poiché l’indirizzo dato dal Cons. St., ad. pl., 24.5.2007, n. 7, afferma che il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario nel caso di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio – introdotto nell’ordinamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999 – non rileva per la verifica della legittimità del provvedimento di primo grado, che ha disposto la reiterazione.
Per alcuni autori l’indennizzo dopo il sesto anno è commisurato all’interesse sulla futura indennità di esproprio.
La dottrina lamenta comunque il fatto che non sussistano criteri automatici per la determinazione dell’indennità.
La regione Valle D’Aosta ha, peraltro previsto, con l’art. 10, l.r. 2.7.2004, n. 11, un indennizzo commisurato al 4 per cento delle indennità di espropriazione iniziali riferibili ai beni vincolati, per ogni anno o frazione di anno di reiterazione del vincolo. Per la giurisprudenza, stante la verificata sussistenza di una lacuna normativa in senso tecnico, ha ritenuto  di ricorrere all'analogia richiamando il chiaro disposto del comma 1 dell'art. 10, l. reg. Valle d'Aosta 2.7.2004 n. 11, che fornisce un criterio di quantificazione legale delle somme concretamente indennizzabili a decorrere dalla prima formale reiterazione illegittima del vincolo espropriativo. (Trib. Trani, 31.5.2010,  GM, 2010, 11, 2734).
L'azione volta ad ottenere l'indennizzo dovuto per la reiterazione dei vincoli espropriativi si prescrive nel termine ordinario decennale decorrente dalla reiterazione medesima di ciascun vincolo, che costituisce la prima manifestazione del danno, non rilevando che l'azione non fosse esercitabile prima della sentenza della Corte cost. n. 179 del 1999, trattandosi di mero ostacolo di fatto alla proposizione della domanda, privo di effetti interruttivi o sospensivi della durata della prescrizione. (Cass. Civ., sez. VI, 28.2.2011, n. 4879, GCM, 2011, 2, 320).




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