mercoledì 19 novembre 2014

Cimiteri I servizi pubblici


PARTE QUARTA
I SERVIZI PUBBLICI

Capitolo 8
I SERVIZI PUBBLICI CIMITERIALI

1. Il servizio pubblico locale

L’art. 112, D.L.vo 18 agosto, 2000, n. 267, non contiene una definizione del servizio pubblico locale; la norma indica semplicemente l’oggetto del servizio pubblico locale. Esso deve tendere alla produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali (C. TESSAROLO, I servizi pubblici locali, in Guida normativa per l’amministrazione locale, a cura di F. NARDUCCI 2014, 1952).
La giurisprudenza ha precisato che sono da considerare servizi pubblici tutti quelli di cui i cittadini usufruiscono uti singuli e come componenti della collettività, purché rivolti alla produzione di beni e utilità per obiettive esigenze sociali (Cons. St., sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7345, in Foro amm. CDS, 2005, 12, 3667).
La dottrina ritiene che il servizio pubblico locale sia una componente reale del benessere delle persone e delle economie esterne alle imprese.
Per tali motivi l’organizzazione industriale dei servizi pubblici ha visto prevalere la forma del monopolio pubblico sia per le ingenti spese di investimento e manutenzione della rete non duplicabile sia per le garanzie di continuità del servizio e di tutela dagli aspetti negativi del monopolio privato.
Gli enti locali sono stati contemporaneamente gli organizzatori dell’attività di impresa dei servizi pubblici ed anche i rappresentanti della domanda di servizi necessari a sopperire alle richieste dei bisogni sociali ed economici dei cittadini (AA.VV., Il testo unico sull’ordinamento degli enti locali, 2000, 115).
La crisi della finanza pubblica, le politiche di risanamento del bilancio e le nuove regole per l’efficienza e la responsabilità nella pubblica amministrazione da una pare, cui si sono aggiunte le direttive dell’Unione europea sui mercati unici e sulla tutela dei consumatori, hanno accentuato i limiti del modello monopolistico.
I compiti di rappresentanza dei bisogni dei cittadini sono rimasti all’ente locale mentre l’organizzazione dei fattori produttivi in modo efficiente per il controllo dei costi di gestione è stata affidata a soggetti terzi.
Gli Enti locali hanno così sviluppato l’affidamento a soggetti esterni all’amministrazione della gestione dell’attività di impresa riservandosi la programmazione e il controllo della gestione e della tutela degli interessi dei cittadini.
Gli Enti locali valutano discrezionalmente quali sono i servizi pubblici alla cui gestione provvedono e che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali.
La funzione dell’ente locale all’erogazione di detti servizi non può però considerarsi facoltativa in quanto è lo stesso testo unico degli enti locali che fissa il principio che le entrate fiscali devono finanziare i servizi pubblici ritenuti necessari per lo sviluppo della comunità e devono integrare la contribuzione erariale per l'erogazione dei servizi pubblici indispensabili, ex art. 149, comma 7, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
Manca un’elencazione dei servizi indispensabili. In tale numero devono farsi rientrare quei servizi il cui impianto od esercizio sia previsto come obbligatorio per i Comuni e che sono riconosciuti tali dal Consiglio comunale.
L’art. 42, comma 2, lett. e), D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, fa rientrare nelle attribuzioni del consiglio comunale l’organizzazione dei pubblici servizi, la costituzione di istituzioni e aziende speciali, la concessione dei pubblici servizi, la partecipazione dell'ente locale a società di capitali e l’affidamento di attività o servizi mediante convenzione.


2. I servizi aventi rilevanza economica.

L’art. 113, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267, sost. dall'art. 35, L. 28 dicembre 2001, n. 448 e successivamente dall’art. 14, L. 24 novembre 2003, n. 326, distingue i servizi pubblici locali aventi rilevanza economica dai servizi pubblici locali privi di tale rilevanza al fine di individuare le modalità di erogazione dell’una e dell’altra tipologia di servizi.
La norma non elenca i servizi pubblici aventi rilevanza economica né rinvia ad altra norma attuativa.
La dottrina, allo scopo di individuare quali sono i servizi aventi rilevanza economica, ritiene necessario considerare gli adeguamenti che la normativa interna ha dovuto apportare alle disposizioni del Trattato della Unione europea in materia di servizi di interesse pubblico generale (C. TESSAROLO, I servizi pubblici locali, in Guida normativa per l’amministrazione locale, a cura di F. NARDUCCI 2014, 2145).
L’art. 86, L. 14 ottobre 1957, n. 1203, e mod., afferma che le imprese incaricate della gestione di servizi d'interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente Trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.
Sul punto la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha chiarito che l'intervento pubblico teso a sottrarre alle dinamiche concorrenziali l'intera gestione di una certa attività economica che soddisfi bisogni della collettività è legittimo solo se e nella misura in cui rappresenti una scelta indispensabile al fine di assicurare l'adempimento della missione di interesse generale. ( Corte di Giustizia, 19 maggio 1993, causa C-320/1991).
L'intervento pubblico in economia dunque, anche attraverso l'imposizione di monopoli, deve avvenire nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.
È legittimo quindi riconoscere un diritto esclusivo o speciale sulla base delle diseconomie prodotte dalla missione di interesse generale, tuttavia non è legittimo estenderlo oltre la stessa capacità dell'operatore in monopolio di soddisfare adeguatamente tutta la domanda esistente sul mercato. Il sindacato sulla ragionevolezza della scelta dei legislatori nazionali è evidentemente rimesso alla Corte di Giustizia Europea (F. GUALTIERI, Servizi pubblici locali: privative e liberalizzazioni; vincoli di legge e autonomie. Nota a Cass. Civ., 6 giugno 2005, n. 11726, sez. I, in Serv. pubbl. e app., 2005, 4, 838).
L’art. 86, L. 14 ottobre 1957, n. 1203, e mod., deve tutelare lo sviluppo degli scambi che non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità.
Il Trattato non definisce la nozione di servizio pubblico.
Le autorità pubbliche dello Stato membro - siano esse nazionali, regionali o locali - sono libere di definire i servizi di interesse generale.
La nozione di servizio pubblico generale trova in ogni caso definizione e limite nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea.
I servizi di interesse generale sono quelli che riguardano la collettività. Essi devono essere destinati a soddisfare gli interessi generali dei cittadini.
Ai sensi dell’art. 50 del Trattato, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
L’attività economica è quella esercitata da un soggetto a fine di lucro.
L'erogazione dei servizi di servizi d'interesse economico deve avvenire in regime di concorrenza secondo le discipline di settore e nel rispetto della normativa dell'Unione europea.
La titolarità del servizio è possibile solo a) a società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
b) a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche;
c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano, ex art. 113, comma 5, D.L.vo 267/2000.
La giurisprudenza comunitaria ha inoltre affermato che il singolo che si trovi in concorrenza con un organismo di diritto pubblico e che lamenti il mancato assoggettamento ad IVA di tale organismo o l'imposizione troppo modesta alla quale quest'ultimo è assoggettato per le attività che esercita nel settore in quanto pubblica autorità, è legittimato a far valere l'art. 4, n. 5, secondo comma, della sesta direttiva, nell'ambito di una controversia che contrappone il singolo all'amministrazione tributaria nazionale.
Il ricorrente si lamentava che il Comune, suo concorrente nell’attività da lui esercitata, offriva i servizi di cremazione a prezzi più vantaggiosi di quelli da esso stesso applicati per il mancato assoggettamento ad IVA di detti servizi (Corte giustizia CE, sez. II, 8 giugno 2006).


3. I servizi non aventi rilevanza economica.

Le attività che non rientrano nei servizi di interesse economico generale si considerano per esclusione non economiche.
In queste ipotesi la dottrina rileva che non esiste neppure a livello potenziale un mercato; per questo non vi è alcuna ragione di applicare le regole sulla concorrenza.
Essa ritiene che non abbiano carattere economico le attività che rientrano tra le funzioni fondamentali dello Stato e quelle che riguardano i regimi obbligatori di sicurezza sociale.
Devono considerarsi servizi non economici i servizi che hanno principalmente carattere solidaristico e che non danno luogo alla realizzazione di profitti o che comunque non sono effettuati a scopo di lucro. (C. TESSAROLO, I servizi pubblici locali, in Guida normativa per l’amministrazione locale, a cura di F. NARDUCCI 2014, 2165).
Questi servizi riguardano la collettività e sono offerti con il pagamento di un corrispettivo che deve coprire i costi oltre che remunerare il capitale
I servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a : a) istituzioni; b) aziende speciali, anche consortili; c) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.
È consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento, ex art. 113 bis, D.L.vo 18 agosto 267/2000.
E’ opportuno segnalare che attualmente la materia è in fase di revisione legislativa.
In questa sede si sono voluti precisare i principi di fondo alla luce del diritto europeo.


4. Le competenze regionali.

La disciplina della gestione dei servizi pubblici locali, che trova la sua normazione nella L. n. 326 del 2003, è stata in larga parte indotta sulla scorta dei rilievi espressi dalla Commissione europea.
Sono significativi, nella disciplina in esame, sia il testuale riferimento alla tutela della concorrenza, sia la nuova qualificazione di rilevanza economica attribuita a determinati servizi pubblici locali in analogia con la denominazione che è attualmente adottata in sede comunitaria.
Si tratta di verificare nel nostro ordinamento costituzionale come avviene la ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni.
La Corte costituzionale ha precisato che la disciplina in esame non appare riferibile né alla competenza legislativa statale in tema di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, ex art. 117, comma 2, lett. m), Cost., giacché riguarda precipuamente servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali, né a quella in tema di funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, ex art. 117, comma 2, lett. p), Cost., giacché la gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell'ente locale.
La disciplina può essere agevolmente ricondotta nell'ambito della materia tutela della concorrenza, riservata dall'art. 117, comma 2, lett. e), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Secondo l'interpretazione giurisprudenziale la tutela della concorrenza non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali (Corte cost., n. 14 del 2004).
La tutela della concorrenza riguarda nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude perciò anche interventi promozionali dello Stato.
Non è stata accolta la tesi di una pretesa distinzione di competenze legislative tra Stato e Regioni, in ordine rispettivamente a misure di tutela o a misure di promozione della concorrenza, dal momento che la indicata configurazione della tutela della concorrenza ha una portata così ampia da legittimare interventi dello Stato volti sia a promuovere sia a proteggere l'assetto concorrenziale del mercato.
L'art. 14, L. n. 326 del 2003, è considerato una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell'intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, comma 2, lett. e), Cost.
La disciplina della materia contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale.
L'accoglimento di questa interpretazione comporta, da un lato, che l'indicato titolo di legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e, dall'altro lato, che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali.
La Corte costituzionale ha affermato che in sede di giudizio di legittimità costituzionale in materia di tutela della concorrenza si deve valutare se i vari strumenti di intervento siano disposti in una relazione ragionevole e proporzionata rispetto agli obiettivi attesi.
La tutela della concorrenza costituisce una materia-funzione, riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
Essa non ha un'estensione rigorosamente circoscritta e determinata, ma trasversale, intrecciandosi inestricabilmente con una pluralità di altri interessi - alcuni dei quali rientranti nella sfera di competenza concorrente o residuale delle Regioni - connessi allo sviluppo economico-produttivo del Paese.
La Corte costituzionale, pertanto, deve basarsi sul criterio di proporzionalità-adeguatezza al fine di valutare, nelle diverse ipotesi, se la tutela della concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello Stato. (Corte cost., 27 luglio 2004, n. 272, in Giur. cost., 2004, 4).
Le Regioni possono emanare disposizioni in materia di servizi pubblici locali, ma devono, per quanto attiene alle modalità di gestione ed affidamento dei servizi stessi, conformarsi alle disposizioni di principio fissate dall’art. 113 del T.U. degli enti locali (C. TESSAROLO, I servizi pubblici locali, in Guida normativa per l’amministrazione locale, a cura di F. NARDUCCI 2014, 2147).


5. Il disegno di legge in materia di servizi.

Il processo di riforma dei servizi pubblici locali è volto ad accrescere l’efficacia dei servizi nel soddisfare i bisogni dei cittadini e ad aumentarne l’efficienza, così da ridurre i costi per le comunità locali.
Il legislatore ha rilevato la distinzione di ruoli tra ente locale, che programma e regola il servizio, e azienda, che lo deve gestire su base imprenditoriale, aprendo a forme di concorrenza nel mercato e per il mercato affidando a gara la gestione dei servizi.
Il processo così avviato è stato sviluppato con una legge di delega sui servizi pubblici locali che, in attuazione del nuovo dettato costituzionale che attribuisce allo Stato il compito di promuovere la concorrenza, estende a tutti i settori dei servizi pubblici locali l’approccio riformatore e costruisce una cornice d’insieme coerente per le sperimentazioni da parte degli enti locali di nuove forme di gestione dei servizi più vicine ai cittadini e per le iniziative imprenditoriali delle migliori aziende di servizio.
Il disegno di legge n. S 772 reca la delega al governo per il riordino dei servizi pubblici locali ha, come fine, il riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali.
Essa ha il fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale di rilevanza economica in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e) ed m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione.
Il Governo, è delegato ad adottare, previa intesa in Conferenza Unificata uno o più decreti legislativi in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica modificando, ove occorra, l’art. 113 del D. L.vo 18 agosto 2000, n. 267.
La delega deve attenersi ai seguenti principi. Essa deve prevedere, ferma restando la possibilità per gli enti locali di gestire i servizi in economia, che l’affidamento delle nuove gestioni ed il rinnovo delle gestioni in essere dei servizi pubblici locali di rilevanza economica debba avvenire mediante procedure competitive ad evidenza pubblica di scelta del gestore.
Deve consentire l’affidamento a società a capitale interamente pubblico nelle situazioni che, per le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non consentono un efficace ed utile ricorso al mercato.
Deve, infine, prevedere forme di vigilanza anche da parte delle autorità nazionali.




Capitolo 9
LA LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI CIMITERIALI

1. L’eliminazione della privativa.

Il processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali avviene con la soppressione dell'art. 112, comma 2, D.L.vo 267/2000, che prescriveva la riserva di legge in materia di privative comunali e provinciali sui servizi pubblici, ad opera dell'art. 35, L. 448/2001.
L'eliminazione del secondo comma dell'art. 112, T.U. degli Enti locali non ha comportato la reviviscenza di antichi privilegi monopolistici.
L'evento ha segnato la definitiva cessazione, almeno in linea generale, di ogni privativa sui servizi pubblici di cui risultino titolari gli enti locali.
L'art. 35, L. 448/2001, dispone un’ampia liberalizzazione del settore e, dunque, appare frutto di un evidente travisamento ermeneutico l'idea che proprio tale normativa tuttora contribuisca a giustificare la permanenza in vita della privativa.
I servizi cimiteriali sono vari ed essi sono oggetto per la massima parte della iniziativa privata che è difesa strenuamente anche dall’interpretazione giurisprudenziale.
I servizi pubblici locali sono passati da un regime di tipo monopolistico pubblico ad un sistema imperniato sul principio dell'accesso ai relativi mercati, regolato esclusivamente da atti di natura autorizzatoria. (T.A.R. Campania, n. 13916/2003. F. GUALTIERI, Servizi pubblici locali: privative e liberalizzazioni; vincoli di legge e autonomie, in Serv. pubbl. e app., 2005, 4, 838).
Solo alcuni servizi spettano al servizio pubblico locale, come il servizio per l’illuminazione votiva.
La giurisprudenza considera destinato alla libera concorrenza il servizio di trasporto funebre.
Essa ha, infatti, notato che la possibile gestione in privativa del servizio di trasporto funebre da parte dei Comuni non solo lede gli interessi privati in quello specifico settore - comunque, da tempo sottoposto al regime di eventuale privativa - ma crea altresì pericolose distorsioni nel diverso mercato degli altri servizi funebri, nel quale, al contrario, agiscono in libera concorrenza gli operatori privati, essendo scorporato dal servizio di trasporto.
Si osserva che colui che per primo è contattato per il trasporto della salma - laddove vigeva la privativa era il Comune - è presumibilmente anche il fornitore degli altri servizi funerari, godendo in tal modo di un'ingiustificata posizione dominante all'interno di un mercato in cui non è prevista alcuna forma di privativa (Cons. St., n. 7899/ 2004).



2. Il servizio di illuminazione.

Il servizio di illuminazione delle tombe - quale attività inerente all’esercizio di un cimitero - non può che competere in via esclusiva alla p.a.
La giurisprudenza ha affermato che il servizio di illuminazione votiva è un servizio pubblico locale che mira a soddisfare il sentimento religioso e la pietas di coloro che frequentano il cimitero, consentendo pertanto di realizzare fini sociali e di promuovere lo sviluppo civile della comunità locale. (T.A.R. Lazio, sez. II, 6 maggio 2005, n. 3397, in Foro amm. TAR, 2005, f. 5, 1539).
Né vale a mettere in dubbio siffatta qualificazione, la circostanza che, nella fattispecie, sia stata prevista anche l'esecuzione di lavori di implementazione degli impianti esistenti. In primo luogo, si tratta di lavori strumentali all'esecuzione del servizio. (Cons. St., sez. V, 11 settembre 2000, n. 4795). Spetta al Comune disciplinare tale servizio. Tale facoltà discende dal fatto che si tratta di un bene demaniale.
La giurisprudenza afferma che si determina in capo all’amministrazione cui il bene demaniale appartiene la titolarità di disciplinare il servizio al pari di tutte le attività che si svolgono nel suo ambito. (Cass. Civ., Sez. II, 3257/1977).
Nel caso in cui un privato chieda di costruire e gestire nell’ambito del cimitero un impianto elettrico per illuminare le tombe o le cappelle l’amministrazione comunale può autorizzare l’opera ed il relativo atto va inquadrato fra le concessioni amministrative.
La giurisprudenza ha affermato che il privato decade dalla concessione ove non esegua i lavori entro il termine perentorio previsto dall’amministrazione nella convenzione. (T.A.R. Lazio 20 ottobre 1976, n. 625. G. CLEMENTE SAN LUCA, Cimitero, in Enc. Giur., VI, 1988, 8).

3. Il servizio arredi votivi.

La giurisprudenza ha affermato che i beni di arredo del cimitero, quali lampade e portafiori, non sono inseribili nell'ambito del servizio pubblico cimiteriale; L'amministrazione comunale deve provvedere con gara pubblica al relativo approvvigionamento. (Cons. St., sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6620, in Foro amm. CDS, 2002, 3200).
L'apposizione di arredi votivi diversi da quelli indicati all’art. 70, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, quale il cippo con targhetta, e all’art. 76, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, quale la muratura di mattoni pieni, non è riservata in via esclusiva al Comune e per converso non può costituire oggetto di trasferimento a terzi.
La giurisprudenza ha ritenuto che il Comune non può affidare il servizio allestimento sepolture a seguito di pubblica gara.
Conseguentemente è stato dichiarato illegittimo l’atto con il quale il Comune ha avvertito la cittadinanza che chiunque volesse usufruire delle prestazioni per arredi votivi, come ad esempio i copritomba, doveva rivolgersi esclusivamente alla medesima ditta affidataria dell’appalto.
Tale determinazione è, infatti, contra legem ed è idonea ad arrecare sviamento della clientela, essendo quest'ultima indotta a ritenere l'esistenza di privativa in favore della ditta aggiudicataria.
Nel caso di specie è stato ordinato al Comune, quale forma di risarcimento in forma specifica richiesta da parte ricorrente, di fornire idonea pubblicità mediante affissione di manifesti di dimensioni pari a quelli contestati che riportino la decisione del T.A.R. con la quali si dia atto che non esiste alcuna privativa per il servizio degli arredi votivi(
T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 29 giugno 2001, n. 3041).


4. La gestione del locale deposito di osservazione.

Per la giurisprudenza il Consiglio comunale può legittimamente assumere in via diretta la gestione non della sala mortuaria di autopsia dell'ospedale, bensì del locale deposito di osservazione comunemente definito obitorio (Cons. St., sez. V, 23 novembre 1995, n. 1633, in Foro Amm., 1995, 2628).
Tale atto non contrasta con l'art. 19, lett. m), L. 12 febbraio 1968, n. 132, che impone agli ospedali di disporre di almeno una sala mortuaria e di autopsia.
Esso si manifesta in perfetta coerenza con l'art. 12, D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803 (regolamento di polizia mortuaria), che, appunto, fa obbligo ai comuni di ricevere e tenere in osservazione per il periodo prescritto le salme di determinate categorie di persone espressamente indicate dalla legge, anche presso gli ospedali, ma in posti diversi dalla relativa camera mortuaria (locale adibito a custodire i cadaveri chiusi in cassa prima dell'inumazione).
Tale norma è ripresa dall’art. 12, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Esso dispone che i Comuni devono disporre di un locale per ricevere e tenere in osservazione per il periodo prescritto le salme di persone: a) morte in abitazioni inadatte e nelle quali sia pericoloso mantenerle per il prescritto periodo di osservazione; b) morte in seguito a qualsiasi accidente nella pubblica via o in luogo pubblico; c) ignote, di cui debba farsi esposizione al pubblico per il riconoscimento.
Durante il periodo di osservazione deve essere assicurata la sorveglianza anche ai fini del rilevamento di eventuali manifestazioni di vita.

5. Il servizio di trasporto al cimitero. Il regime di privativa comunale.

Secondo un indirizzo giurisprudenziale l'art. 19, D.P.R. 285 del 1990, espressamente consente ai Comuni di esercitare i trasporti funebri in regime di privativa.
Il trasporto dei cadaveri dal luogo del decesso al deposito di osservazione, all'obitorio o al cimitero si esegue a cura del Comune, in carro chiuso, sempre che non sia richiesto dagli interessati di servirsi di mezzi speciali di trasporto.
Ove il servizio dei trasporti con mezzi speciali non sia esercitato dal Comune e con diritto di privativa, il Comune che consenta di eseguire a terzi i trasporti funebri nel territorio comunale, e sempre che non si tratti di trasporti eseguiti da confraternite con mezzi propri, può imporre il pagamento di un diritto fisso la cui entità non può superare quella stabilita per trasporti di ultima categoria.
La norma riprende il principio affermato dall’art. 1, n. 8, R.D. n. 2578 del 1925 che riserva i trasporti funebri al Comune eccettuati i trasporti dei soci di congregazioni, confraternite ed altre associazioni costituite a tal fine e riconosciute come enti morali.
L’indirizzo osserva che l’art. 35, L. 448 del 2001, ha abrogato l'art. 112 del testo unico sugli enti locali, il D.L.vo 267 del 2000, ma non ha abrogato né l’art. 1 del R.D. 2578/1925, né l’art. 19, D.P.R. 285 del 1990.
Ne consegue che non vi è abrogazione espressa della norma.
L'art. 16, D.P.R. n. 285 del 1990, inoltre, stabilisce che il trasporto funebre è a carico del Comune, in particolare il trasporto dei cadaveri dal luogo di decesso al deposito di osservazione, obitorio o cimitero; tale servizio costituisce invero un evidente interesse pubblico, anche per la necessaria vigilanza dal punto di vista sanitario ed igienico.
Per la fase del trasporto, al contrario delle onoranze funebri successive, sussiste un interesse pubblico all'igiene e alla sanità che giustifica la privativa del Comune.
I principi di libera concorrenza stabiliti sia dalla Costituzione repubblicana sia a livello europeo possono essere derogati per ragioni di interesse pubblico, che sono da ritenere sussistenti e prevalenti nel caso trasporti cimiteriali.
I privati possono comunque svolgere il servizio di onoranze funebri, in quanto la privativa del Comune riguarda unicamente il trasporto dei cadaveri, ma non il successivo eventuale servizio di onoranze funebri.
Vi è una sostanziale differenza tra il trasporto delle salme che - per palesi ragioni di sanità pubblica - può essere gestito in privativa, e il servizio di onoranze funebri, nell'ambito del quale risulta senz'altro consentita la concorrenza di più ditte.
L’indirizzo giurisprudenziale consente, quindi, ai Comuni l'esercizio dei trasporti funebri in regime di privativa, sulla base dell'art. 1, R.D. n. 2578 del 1925; ciò perché il servizio di trasporto dei cadaveri dal luogo del decesso al deposito di osservazione, obitorio o cimitero costituisce, invero, un evidente interesse pubblico, anche per la necessaria vigilanza dal punto di vista sanitario ed igienico (T.A.R. Veneto, sez. III, 15 dicembre 2004, n. 4338, in Foro amm. TAR, 2004, f. 12, 3665).



6. L’indirizzo che nega la privativa comunale al servizio di trasporto.

Un altro indirizzo giurisprudenziale giunge a considerazioni difformi.
Esso concorda nelle premesse che l'assunzione in regime di privativa del servizio di trasporto funebre da parte dei Comuni si basa sulla disposizione contenuta all'art. 1, n. 8, R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578, che conferisce agli Enti locali la facoltà di stabilire il predetto monopolio attraverso l'adozione di un provvedimento amministrativo discrezionale.
Detta giurisprudenza afferma che l'intervento dell'Ente locale è stato ribadito dall'art. 19, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 in cui si legge che il trasporto dei cadaveri si esegue a cura del Comune. L’art. 16 della stessa legge recita che il trasporto delle salme, salvo speciali disposizioni dei regolamenti comunali, è: a) a pagamento, secondo una tariffa stabilita dall'autorità comunale quando sono richiesti servizi o trattamenti speciali; b) a carico del Comune in ogni altro caso. Il trasporto deve essere comunque effettuato in una forma che garantisca il decoro del servizio.
Storicamente la scelta dei Comuni di monopolizzare la gestione del servizio di trasporto funebre si giustificava da un lato alla luce dell'insufficienza delle prestazioni assicurate da parte dei privati, d'altro lato anche in virtù della loro esigenza di sostenere adeguatamente i rilevanti costi inerenti sia alla gestione delle aree cimiteriali che all'erogazione del cosiddetto servizio necroscopico-obitoriale di cui agli artt. 12 e segg., D.P.R. 285/1990, rappresentato tra l'altro dalla porzione del trasporto funebre che l'Ente territoriale obbligatoriamente è tenuto a svolgere. Come, ad esempio, il trasporto di salme non reclamate dai familiari o di cui nessuno abbia disposto per i funerali e la sepoltura, ai sensi del combinato disposto dell'art. 355, del testo unico delle leggi sanitarie n. 1265/1934 e dell'art. 149, comma 7, T.U. enti locali (F. GUALTIERI, Servizi pubblici locali: privative e liberalizzazioni; vincoli di legge e autonomie. Nota a Cass. Civ., 6 giugno 2005, n. 11726, sez. I, in Serv. pubbl. e app., 2005, 4, 838).
La giurisprudenza ha ravvisato, comunque, un patente contrasto tra l'art. 1 del predetto R.D. n. 2578 del 1925 e l'art. 22 L. 142/1990 per il quale i servizi riservati in via esclusiva ai Comuni e alle Province sono stabiliti dalla legge
La prima disposizione rimette all'amministrazione civica la scelta di assumere, o meno, la privativa in argomento, donde la conclusione che l'art. 19 del D.P.R. n. 285/1990, laddove la previsione fa riferimento alla riserva comunale del servizio di trasporto funebre, non si riconnetterebbe più ad alcuna fonte di rango legislativo.
In forza di siffatta incompatibilità, l’interpretazione giurisprudenziale ha così individuato nell'art. 64 della L. n. 142/1990 la norma di abrogazione tacita del combinato disposto del R.D. n. 2578/1925 e del D.P.R. n. 285 del 1990.
La teoria trova sostegno nel disposto dell'art. 112, comma 2, del D.L.vo. n. 267/2000, che approva il Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti locali, recante la medesima norma in precedenza contenuta nell'art. 22, comma 2, L. 142/90.
L’intervento legislativo rappresenta un'eloquente conferma della chiara volontà legislativa di favorire l'ulteriore liberalizzazione dei servizi pubblici locali, ivi compreso quello di trasporto funebre, da stimarsi ormai pressoché integralmente transitati da un regime di tipo monopolistico pubblico ad un sistema imperniato sul principio dell'accesso ai relativi mercati, regolato esclusivamente da atti di natura autorizzatoria.
Il combinato disposto degli artt. 22 e 64, L. n. 142 del 1990 sulle Autonomie locali ha comportato la definitiva soppressione della potestà comunale di assumere (per la successiva concessione ad impresa privata, da scegliersi mediante procedimenti ad evidenza pubblica) il servizio di trasporto dei defunti, data l'insufficienza del plesso normativo costituito dal R.D. 15 ottobre 1925 n. 2578 e dal regolamento statale di polizia mortuaria, approvato con il D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, a configurare la riserva di legge, stabilita in materia dall’art. 22, L. 142/1990.
E’, pertanto, da considerarsi inefficace il regolamento comunale istitutivo di detta privativa, ossia di un atto regolamentare che disciplini un oggetto - nella fattispecie, consistente nella privativa pubblica sul servizio di trasporto funebre - non più contemplato, fin dall'epoca di entrata in vigore della L. n. 142 del 1990, dalla preminente fonte di rango primario, rispetto alla quale quella subordinata è sempre recessiva. (Cons. St., sez. V, 09 dicembre 2004, n. 7899, in Serv. pubbl. e appalti, 2005, 4, 831).
L'unico margine d'intervento che secondo tale indirizzo permane in capo agli Enti locali consiste nella possibilità di costituire appositi soggetti di diritto privato, sulla base dell'art. 29, lett. b), L. 448/2001, cui affidare il servizio direttamente o previa gara, ma senza attribuire loro alcun privilegio monopolistico: pertanto le loro prestazioni devono in ogni modo essere offerte nell'ambito di un mercato concorrenziale.
Dalla cessazione del monopolio deriva la completa liberalizzazione del settore, con la generalizzata possibilità per le aziende esercenti il servizio di trasporto funebre e dotate delle prescritte autorizzazioni di accedere al mercato.
La Corte di Cassazione, inoltre, dichiara non più esercitabile da parte dei Comuni il potere di fissazione delle tariffe per le prestazioni in questione Servizi pubblici locali: privative e liberalizzazioni; vincoli di legge e autonomie. (Cass. Civ., sez. I, 6 giugno 2005, n. 11726).
La Corte costituzionale n. 272/2004 ha considerato legittima la normativa statale sui servizi pubblici locali “a rilevanza economica”, trattandosi di un intervento volto a tutelare la concorrenza sulla base dell'attribuzione di cui all'art. 117, comma 2, lett. e), cost. (Corte cost. n. 272/2004).


7. Il risarcimento del danno per diniego allo svolgimento del servizio.

La giurisprudenza ha ritenuto che, nei casi di annullamento di un provvedimento di diniego di autorizzazione, il ripristino della legalità mediante l'annullamento dell'illegittimo del provvedimento può comportare solo il dovere per l'amministrazione di procedere alla rivalutazione della domanda illegittimamente respinta.
Solo dopo che, in quella sede, o, in caso di persistente inadempienza o di maliziosa elusione del giudicato, in sede di esecuzione del giudicato, il ricorrente abbia ottenuto il rilascio dell'autorizzazione, è possibile accertare la quantità del danno da lui patito, che non può essere altro che un danno da ritardo. (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 31 gennaio 2002, n. 416, in Foro amm. TAR. 2002, 33, 404)
La sentenza affronta un caso di lesione di interesse legittimo pretensivo.
Il diniego dell'autorizzazione a svolgere un servizio di trasporto funebre è stato ritenuto illegittimo e conseguentemente annullato dal g.a.
Il diniego non è stato ritenuto fonte di responsabilità aquiliana per l'autorità amministrativa, ex art. 2043 c.c.
Il mancato riconoscimento di una tutela risarcitoria in favore dell'interesse legittimo pretensivo è giustificato dal T.A.R. Esso considera che il mero fatto materiale dell'omesso svolgimento del servizio, a causa dell'illegittimo diniego dell'autorizzazione richiesta, non comporta l'automatica ed immediata sussistenza di un danno suscettibile di tutela risarcitoria.
Dal momento che al giudice amministrativo non è consentito il rilascio dell'autorizzazione, la giurisprudenza ritiene impossibile ed illogico consentirgli di sostituire l'autorizzazione con una rendita permanente ad essa equivalente, che ne compensi il mancato rilascio.
La giurisprudenza, effettivamente, ha stabilito che l'interesse legittimo può accedere alla tutela risarcitoria a condizione che si abbia una lesione dell'interesse al bene della vita sotteso ad esso e che detto interesse al bene della vita sia meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo ovvero sia giuridicamente rilevante (Cass. Civ., sez. un., n. 500 del 1999).
Nel caso di provvedimenti ampliativi della sfera giuridica del destinatario la rilevanza giuridica dell'interesse al bene della vita è ravvisabile nel caso in cui la pretesa al rilascio dell'autorizzazione richiesta risulti essere fondata e basta quindi una mera aspettativa.
Nel caso di specie il TAR riconosce l'illegittimità del provvedimento amministrativo e di conseguenza stabilisce che la pretesa al rilascio dell'autorizzazione è stata illegittimamente respinta, ma non entra nel merito della questione stabilendo altresì che la pretesa del ricorrente è fondata.
Tale ultima decisione, spetta, infatti all'autorità amministrativa, la quale, in forza dell'effetto conformativo della sentenza del g.a., deve rivalutare l'intera questione e deve quindi di nuovo verificare, sulla base degli ulteriori elementi forniti dal g.a., se la pretesa del ricorrente sia o meno meritevole di accoglimento.
Il danno può sussistere solo nel momento in cui, in sede di rivalutazione della domanda, l'autorità amministrativa ritenga fondata la pretesa e quindi rilasci l'autorizzazione.
Il risarcimento può essere dichiarato solo nel momento in cui l'autorità amministrativa rilascia l'autorizzazione richiesta oppure in sede di esecuzione del giudicato, nel caso di persistente inadempienza o di elusione del giudicato da parte dell'autorità amministrativa. (F. BERGAMELLI, La risarcibilità della lesione di interessi legittimi pretensivi fra interesse privato ed interesse pubblico: brevi riflessioni in margine alla sentenza T.A.R. Milano Lombardia, 31 Gennaio 2002, n. 416 sez. III, in Foro amm. TAR, 2002, 2, 405).


8. Il servizio privato di pompe funebri.

L'agenzia pompe funebri è preposta allo svolgimento delle pratiche di carattere burocratico - amministrativo per i parenti del defunto; esse si concretano in una molteplicità di rapporti e contratti con la p.a.
L’art. 115, R.D. 18 giugno 1931, n. 773, sancisce che non possono aprirsi o condursi agenzie di prestiti su pegno o altre agenzie di affari, quali che siano l'oggetto e la durata, anche sotto forma di agenzie di vendita, di esposizioni, mostre o fiere campionarie e simili, senza licenza del Questore.
La giurisprudenza conferma che per lo svolgimento dell’attività relativa alle onoranze funebri è necessario attere il rilascio di autorizzazione da parte del Questore (T.A.R. Lazio Latina, 1 aprile 1996, n. 312, in T.A.R., 1996, I, 1781).
Il comune può rilasciare nuove autorizzazioni per l’esercizio dell’attività di pompe funebri.
La giurisprudenza ha ritenuto legittimo, conforme all'interesse pubblico e razionalmente motivato il provvedimento con cui un comune, dopo aver esaminato l'andamento del mercato e l'offerta dell'unico operatore presente nel territorio, rilascia un'ulteriore autorizzazione all'esercizio del servizio di pompe funebri e di vendita di articoli funerari, allo scopo di assicurare alla cittadinanza un servizio più efficiente, favorendo la libera concorrenza, posto che l'eliminazione di un possibile monopolio nel settore costituisce motivo sufficiente del corretto perseguimento di detto interesse pubblico e serve a garantire una sia pur limitata e non eccessiva concorrenza, tale da consentire al congiunto dolente del defunto una scelta effettiva circa le migliori e più convenienti condizioni del servizio (Cons. St., sez. V, 11 ottobre 1996, n. 1219, in Foro Amm., 1996, 2881).
La licenza di polizia per il disbrigo delle pratiche inerenti alle pompe funebri deve essere intestata al soggetto che svolge l'attività autorizzata e, nel caso in cui esso sia una società di persone, al socio legale rappresentante.
La mancanza di detta licenza comporta l’impossibilità di essere aggiudicatario di qualunque servizio cimiteriale.
E’ stata dichiarata dalla giurisprudenza legittima la revoca, in sede di autotutela, dell'aggiudicazione dell'appalto di servizi di trasporti funebri ad una società in accomandita semplice, che non risulti titolare, nella persona del socio accomandatario, della predetta licenza (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 6 giugno 2000, n. 1845, in Foro Amm., 2000, 2863).
All’agenzia di pompe funebri non può essere affidato in gestione l’appalto dei servizi mortuari ovvero la gestione della camera ardente.
La presenza in loco finisce per agevolare la ditta aggiudicataria del suddetto servizio, nell'ottenere la preferenza delle persone che, per le circostanze particolari in cui si trovano, cercano soprattutto di risolvere le necessarie incombenze del caso nel modo più facile ed immediato, rivolgendosi all'operatore con cui già si sia entrati in contatto per ragioni istituzionali, con conseguente rischio di alterazione della concorrenza (T.A.R. Liguria, sez. II, 30 dicembre 2003, n. 1781, in Foro amm. TAR, 2003, 3497).
L’alterazione delle regole della libera concorrenza, perché in sostanza l'oggetto della gara finisce per essere, non il servizio pubblico della gestione della camera mortuaria, ma l'affidamento a privati dei servizi mortuari all'interno dell'Ospedale in una posizione di inevitabile privilegio grazie all'introduzione nei locali ospedalieri non può considerarsi eliminata neppure dall’inserimento di clausole di salvaguardia.
La mera affermazione che la presenza dell'Impresa nell'ambito dell'ospedale non dovrà in alcun modo vincolare i familiari del defunto anche con l’obbligo di apporre un cartello presso i locali della Camera mortuaria nel quale si indichi con chiarezza che i familiari del defunto sono liberi di avvalersi o meno dei servizi dell'Impresa non può sortire alcun effetto.
La sola presenza in loco finisce con agevolare la ditta di pompe funebri nell'ottenere la preferenza delle persone che, per le circostanze particolari in cui si trovano, cercano soprattutto di risolvere le necessarie incombenze del caso nel modo più facile ed immediato, rivolgendosi a chi ha avuto immediata occasione di rendersi utile e di farsi apprezzare (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 28 novembre 1999 n.1206, in Rassegna 2000, I, 197).
Le imprese di pompe funebri, inoltre, non possono essere preposte all’esercizio di attività di natura sanitaria.
Sono considerate attività di natura sanitaria la verifica delle salme per le prime ventiquattro ore dopo il decesso per l'eventuale riscontro di ulteriori forme di vita, ovvero la tenuta dei registri di ingresso ed uscita delle salme dalle camere mortuarie ovvero, ancora, l'accertamento necroscopico preliminare alla inumazione della salma.
Tali attività non possono e non debbono essere attribuite a personale che riveste la qualifica di necroforo e la cui professionalità non necessariamente deve rivolgersi anche ad aspetti sanitari.
La giurisprudenza ha ritenuto che senza alcuna precisazione delle specifiche professionalità richieste al personale da utilizzare è illegittimo il bando di gara, che essendo attinente allo svolgimento di un servizio qualificato, non poteva sfuggire alle regole proprie dell'affidamento dei servizi di cui al D.P.R. 157/1995 (
Cons. St., sez. V, 12 aprile 2005, n. 1639, in Foro amm. CDS, 2005, 4, 1135).
Parimenti è stata dichiarata illegittima la procedura di affidamento in appalto dei servizi mortuari di un presidio ospedaliero in presenza di un'effettiva alterazione delle regole di libera concorrenza derivante dall'attribuzione ad una ditta di pompe funebri di una posizione di privilegio grazie all'introduzione nei locali ospedalieri, con conseguente immediata presenza in loco, sia pure in regime di turnazione con le altre imprese operanti nel settore (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 17 aprile 2002, n. 599, in Ragiusan, 2003, 164).
L’esercizio dell’attività di impresa di pompe funebri senza la prescritta autorizzazione comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 516 euro a 3096 euro, ex art. 17 bis, T.U. 18 giugno 1931, n. 773, mod. dall’art. 8, L. 18 agosto 2000, n. 248.
Quando è accertata una violazione prevista dall'art. 17 bis, il pubblico ufficiale che vi ha proceduto, fermo restando l'obbligo del rapporto previsto dall'art. 17 della L. 24 novembre 1981, n. 689, ne riferisce per iscritto, senza ritardo, all'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione. Entro cinque giorni dalla ricezione della comunicazione del pubblico ufficiale, l'autorità competente ordina, con provvedimento motivato, la cessazione dell'attività condotta con difetto di autorizzazione ovvero, in caso di violazione delle prescrizioni, la sospensione dell'attività autorizzata per il tempo occorrente ad uniformarsi alle prescrizioni violate e comunque per un periodo non superiore a tre mesi, ex art. 17 ter, T.U. 18 giugno 1931 n. 773.
L’attività di un addetto al pubblico servizio tesa a favorire l’attività di un’impresa di pompe funebri può assumere rilevanza penale.

La giurisprudenza ha affermato che risponde del reato di corruzione l'addetto alla camera mortuaria che indirizzi i parenti di persone decedute ad una determinata impresa di pompe funebri, dietro pagamento di compenso da parte del titolare dell'impresa (Cass. Pen., sez. VI, 13 giugno 2003, in Foro it., 2005, II, 489).

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