mercoledì 19 novembre 2014

Cimiteri. La localizzazione

Capitolo 2
LA LOCALIZZAZIONE DEI CIMITERI


1. Il piano regolatore cimiteriale.

Non è previsto un piano urbanistico cimiteriale specifico ma i cimiteri devono essere compresi nella redazione dello strumento urbanistico generale.
Il legislatore ha emanato delle norme tecniche che devono essere prese in considerazione nella redazione degli strumenti urbanistici generali.
Di norma ogni Comune deve dotarsi del suo cimitero anche se i piccoli comuni possono costituirsi in consorzio per l'esercizio di un unico cimitero soltanto quando siano contermini.
E’ vietato per un piccolo Comune consorziarsi per la realizzazione di un cimitero con un altro Comune che non sia confinante; in tal caso sono evidenti i disagi che tale localizzazione comporta nell’esercizio del culto per i defunti.
In tal caso le spese di impianto e di manutenzione sono ripartite fra i comuni consorziati in ragione della loro popolazione.
L’art. 7, n. 4, della L. 1150/1942, che determina il contenuto obbligatorio del piano regolatore generale, afferma espressamente che il piano regolatore generale deve indicare le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;
La caratteristica principale del piano è quella di conformare la proprietà.
Con la localizzazione l'amministrazione comunale opera una scelta programmatoria indicando le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico (N. CENTOFANTI, Diritto a costruire. Pianificazione urbanistica. Espropriazione, 2009, 47).
La localizzazione ha quindi una futura portata ablatoria e, in tal senso, differisce dalla zonizzazione che ha la mera funzione di dividere il territorio comunale attribuendo ad ogni singola zona la sua specifica vocazione.
L’amministrazione comunale ha la piena competenza nella localizzazione delle opere pubbliche; essa ha la funzione di scegliere le zone di piano nelle quali le stesse devono essere eseguite.
La giurisprudenza ha precisato che i vincoli di piano regolatore generale si distinguono in vincoli di mera inedificabilità e in vincoli preordinati all'espropriazione.
I primi vincoli - detti strumentali - che non preludono ad alcun esproprio futuro, si limitano a differire la possibilità di edificare ad un momento successivo al compimento di una certa attività di programmazione-pianificazione come nel caso di obbligo di piano attuativo.
I vincoli preordinati all'espropriazione, detti anche vincoli sostanziali o di localizzazione, identificano il luogo in cui sono destinate a sorgere opere pubbliche e che si sostanziano in una sorta di prenotazione di espropriazione (T.A.R. Veneto, 30 marzo 1996, n. 513, in T.A.R., 1996, I, 1892).
I piani regolatori cimiteriali non sono strumenti autonomi rispetto allo strumento urbanistico generale.
Essi sono, pertanto, parte integrante dello strumento urbanistico.
L’ampliamento di un cimitero esistente o la previsione di un nuovo cimitero deve essere prevista con l’adozione di un nuovo piano regolatore ovvero con la variante dello strumento urbanistico vigente.
I Comuni devono, infatti, individuare nelle planimetrie che evidenziano l’assetto urbanistico del territorio le aree dei cimiteri esistenti nel comune comprendendo le relative zone di rispetto cimiteriale.
L’art. 54, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, fa obbligo agli uffici comunali o consorziali competenti di dotarsi di una planimetria in scala 1:500 dei cimiteri esistenti nel territorio del Comune, estesa anche alle zone circostanti comprendendo le relative zone di rispetto cimiteriale.
La planimetria deve essere aggiornata ogni cinque anni o quando siano creati nuovi cimiteri o siano soppressi quelli vecchi o quando a quelli esistenti siano state apportate modifiche ed ampliamenti.
I Comuni, nel localizzare le aree destinate alla realizzazione di cimiteri, devono rispettare le norme statali che dettano precisi limiti nella procedura di localizzazione.
Alcuni limiti riguardano la disciplina delle distanze, altri sono fissati per le caratteristiche tecniche dell’area.
L’indagine tecnica non condiziona il procedimento di approvazione del piano regolatore (S. PELILLO, Cimiteri, in Noviss. Dig. It., 1959, 255).
E’ stata, infatti, dichiarata legittima la variante a piano regolatore che disponga l'ampliamento di un'area cimiteriale senza preventiva indagine tecnica sulla natura e sulle caratteristiche del suolo sotto il profilo igienico sanitario, essendo tale indagine prevista dall'art. 53, D.P.R. 21 ottobre 1975 n. 803, in sede di approvazione del concreto progetto esecutivo e non in fase di programmazione urbanistica (Cons. St., sez. IV, 7 aprile 1993, n. 396, in Foro it., 1993, III, 561).
L'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento non trova applicazione in caso di procedimento finalizzato all'ampliamento di un cimitero poiché trovano applicazione le norme relative alla approvazione degli strumenti urbanistici.
Il procedimento di formazione del piano regolatore è il mezzo di intervento del cittadino interessato ad ottenere che i motivi di interesse generale - che ispirano la programmazione territoriale - si confrontino con gli interessi particolari dei soggetti passivi del procedimento.
Esso è disciplinato dagli artt. 8 e segg., L. 1150/1942 e prevede la partecipazione obbligatoria dei soggetti aventi interesse alla approvazione dello strumento urbanistico che possono presentare osservazioni al piano nella fase della sua adozione.
La legge sull'accesso al procedimento amministrativo ha escluso la possibilità di partecipare al procedimento di formazione dei piani urbanistici, ai sensi dell'art. 24, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241.

1.1. Gli effetti dell’approvazione del piano.

L’art. 7 della L. urb., che prevedeva la possibilità di istituire vincoli senza indennizzo a tempo indeterminato, è stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale.
Per essere in sintonia col sistema, le disposizioni di piano devono trovare attuazione entro termini precisi, in modo che il potere ablatorio della pubblica amministrazione si accompagni alla corresponsione del risarcimento entro termini ben definiti (Corte cost., 29 maggio 1968, n. 55, in Riv. Giur. Ed., 1968, 777).
Per rispondere alle censure della Corte il legislatore ha approvato la L. 1187/1968.
L’art. 1 di detta legge dispone la perdita di efficacia dei vincoli di piano qualora non siano emanati i relativi piani attuativi ovvero non sia perfezionato l'esproprio delle aree interessate al vincolo entro cinque anni dalla approvazione dello strumento urbanistico.
La norma stabilisce che le indicazioni di Piano regolatore che incidono su beni determinati e che assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all'espropriazione o ne comportano l'inedificabilità perdono ogni efficacia qualora, entro cinque anni dalla data di approvazione dello strumento urbanistico, non siano stati adottati i relativi piani particolareggiati.
Il Comune, con la approvazione dello strumento urbanistico generale, determina il sorgere del vincolo all’esproprio per le aree da destinare a servizi o opere pubbliche o impone la programmazione esecutiva preventiva alla realizzazione dell’intervento.
I tempi per la realizzazione dell’opera o per la redazione della programmazione esecutiva non possono essere indeterminati.
Il procedimento, in ossequio al principio di legalità, deve rispettare delle scansioni temporali ben precise.
Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, all’art. 9, disciplina gli effetti espropriativi dei vincoli dei piani regolatori generali fissando la loro durata in cinque anni.
Se, nel termine di cinque anni dalla approvazione del vincolo, non viene emanata la dichiarazione di pubblica utilità, il vincolo decade, ex art. 9, comma 3, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
In tal caso il privato, liberato dal vincolo, può realizzare gli interventi consentitigli dalla normativa in mancanza di pianificazione urbanistica (N. CENTOFANTI, Diritto urbanistico, 2012, 74).


1.2. La competenza all’approvazione della costruzione del cimitero.

L'art. 55, D.P.R. n. 285 del 1990 stabilisce espressamente che i progetti di ampliamento dei cimiteri esistenti e di costruzione di nuovi devono essere deliberati dal Consiglio comunale.
La giurisprudenza afferma che si tratta di una norma speciale che pone una deroga in modo specifico alla competenza generale dei vari organi comunali di tipo residuale stabilita dall'art. 35, L. 8 giugno 1990, n. 142.
La competenza consiliare individuata dalla disposizione regolamentare prevale su quella recata dall’ordinamento delle autonomie locali.
È stata, pertanto, ritenta illegittima l'approvazione del progetto di ampliamento del cimitero comunale disposta dalla giunta comunale. (T.A.R. Umbria Perugia, 6 marzo 1998, n. 190, in Comuni It., 1998, 1244).
La competenza del Consiglio comunale non è modificata dall’art. 48, D.L.vo 267/2000 che mantiene una competenza residuale della giunta che non travolge la disposizione speciale contenuta nel regolamento 285/19990.



2. La fascia di rispetto.

Il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, che detta disposizioni per la realizzazione di cimiteri, impone un limite all’esercizio dello ius aedificandi nelle vicinanze dei camposanti .
Tali limitazioni rispondono sicuramente a criteri di ordine storico - artistico oltre che igienico.
Le motivazioni più articolate tese a giustificare questi vincoli, che creano una zona di rispetto per questi luoghi di culto e della memoria, sono da collegarsi ad un più moderno criterio di tutela ambientale.
Gli antichi hanno riservato ai luoghi di sepoltura dei defunti località di interesse paesaggistico; si pensi, ad esempio, alla necropoli etrusca sita sul Golfo di Baratti.
Le zone di rispetto, nelle quali è vietato ogni tipo di attività edilizia costruttiva o ampliativa del preesistente, rispondono, da un lato, alla tutela dell'interesse pubblico all'igiene nei confronti di ogni tipo di costruzione destinata alla vita dell'uomo e, dall'altro, all'esigenza di assicurare tranquillità e decoro ai luoghi di sepoltura; pertanto, deve ritenersi preclusa non soltanto la costruzione di nuovi edifici all'interno della fascia di rispetto, ma anche l'avanzamento e l'ampliamento degli impianti cimiteriali che siano tali, in concreto, da determinare la riduzione della profondità della zona di rispetto nei confronti di edifici preesistenti a valori inferiori rispetto a quelli minimi stabiliti normativamente.
Ne è conseguenza che anche l'amministrazione è tenuta ad osservare, in caso di intervento sulle attrezzature cimiteriali, le distanze minime previste (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 15 luglio 2003, n. 1141, in Foro amm. TAR, 2003, 2464).
L'art. 338, T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, mod. art. 28, L. 1 agosto 2002, n. 166, vieta di realizzare nuove costruzioni su terreni che si trovino a meno di duecento metri dai cimiteri.
La disposizione non comporta necessariamente che la cubatura realizzabile non possa essere utilizzata in un comparto di maggiori dimensioni, purché siano mantenute le distanze di rispetto.
La giurisprudenza ha precisato che il divieto di costruire nuovi edifici entro il raggio di duecento metri intorno ai cimiteri è assoluto ed è riferibile ad ogni tipo di fabbricato o di costruzione, anche ad uso di abitazione, rendendo del tutto inedificabile l'area colpita dal divieto medesimo.
Il vincolo cimiteriale è inderogabile e sussiste ope legis e, quindi, indipendentemente dal fatto che sia recepito dallo strumento urbanistico primario o secondario (T.A.R. Umbria, 15.7.2002, n. 534, in Foro Amm. TAR, 2002, 2455).
In detta fascia di rispetto cimiteriale è vietato sia costruire nuovi edifici sia intervenire su manufatti preesistenti con opere che comportino un'alterazione dei volumi o delle superfici a prescindere dalla destinazione dell’edificio da realizzare, compresi i manufatti destinati ad attività artigianali in cui costante è la presenza dell'uomo.
Il vincolo cimiteriale di inedificabilità ha carattere di assolutezza, non necessita di provvedimenti attuativi di sorta ed è destinato a prevalere anche su previsioni difformi degli strumenti urbanistici (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 1 aprile 2003, n. 564, in Foro amm. TAR, 2003, 1390).
È illegittima la deliberazione del Consiglio comunale che preveda, in sede di variante del piano regolatore, la modifica della zona di rispetto del cimitero, senza una congrua specificazione della destinazione dell'area sottratta al vincolo e senza l'osservanza della procedura prevista dall'art. 338 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (Cons. St. , sez. IV, 11 giugno 1988, n. 525, in Giust. civ., 1989, I, 486).
La fascia di rispetto cimiteriale prevista dall'art. 338, t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, misurata a partire dal muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d'inedificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l'allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che sono da individuarsi in esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all'inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un'area di possibile espansione della cinta cimiteriale; segue da ciò che non esiste ragione alcuna per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell'applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, atteso che essa non interrompe la continuità del vincolo.  Consiglio di Stato, sez. IV, 22/11/2013, n. 5571


3. Le deroghe.

E’ consentita una deroga alla distanza minima dei cimiteri dall’abitato nel caso di ampliamento.
Tale facoltà è attribuita alla competenza degli stessi Comuni, poiché non espressamente delegata alla Regione o alla Provincia, ex art. 32, D.P.R. 616/1977.
Detto articolo trasferisce ai Comuni, in materia di igiene, tutte le competenze che non siano espressamente attribuite ad un organo dello Stato.
Il regolamento di polizia mortuaria, approvato con il D.P.R. n. 285 del 1990, consente gli ampliamenti fino ad una distanza minima di 100 metri dal centro abitativo, lasciando, però, in vigore la norma che prevede la possibilità di ammettere una ulteriore deroga motivata.
Con il Regolamento di polizia mortuaria il legislatore è intervenuto sulla disciplina della fascia di rispetto cimiteriale, introducendo una norma derogatoria, e pertanto novativa, rispetto a quella contenuta nell'art. 338, comma 5, R.D. 1265 del 1934, riferendosi specificamente agli interventi di ampliamento dei cimiteri esistenti.
Il legislatore ha, infatti, ridotto ipso iure la fascia di rispetto cimiteriale dai 200 metri previsti dall'art. 338, comma 1, R.D. n. 1265 del 1934, ai 100 o ai 50 metri, rispettivamente, nei Comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e nei Comuni con popolazione inferiore a detta cifra.
Dall'entrata in vigore della predetta disposizione, è venuta meno, relativamente agli interventi di ampliamento dei cimiteri esistenti, la necessità dell'attivazione della procedura contemplata dall'art. 338, comma 5, R.D. n. 1256 del 1934 per la riduzione della fascia di rispetto.
Conseguentemente nella disciplina dei vincoli cimiteriali si registrano due distinti regimi di inedificabilità per ciò che concerne la c.d. fascia di rispetto.
In primo luogo per gli ampliamenti dei cimiteri esistenti, tale fascia è ridotta a 100 o 50 metri per effetto dell'art. 57, comma 4, D.P.R. n. 285 del 1990, con possibilità per i Comuni di estenderne l'ampiezza ma non di ridurla ulteriormente.
In secondo luogo per tutte le restanti edificazioni, la misura della fascia di rispetto è stabilita in metri 200 dai perimetri dei cimiteri.
In entrambi i casi, il vincolo derivante dalla fascia di rispetto è assoluto, giacché è vietata qualsiasi tipologia di nuova edificazione (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 19 maggio 2003, n. 791, in Foro amm. TAR, 2003, 1792).
La ratio della deroga è rivolta, secondo la giurisprudenza, solo a consentire l’ampliamento dei cimiteri preesistenti e non può essere invocata dai privati al fine di giustificare la realizzazione di edifici nella fascia di rispetto.
La deroga al limite minimo della fascia di rispetto cimiteriale ha la funzione non già di consentire la riduzione in via definitiva della distanza all'uopo dettata dall'art. 338, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, bensì di consentire, per esigenze di carattere strumentale, l'ampliamento di un cimitero con riguardo agli edifici già esistenti del centro abitato (Cons. St., sez. V, 23.8.2000, n. 4574, in Foro Amm., 2000, 2673).
Il limite delle distanze del cimitero dalle costruzioni confinanti non può essere in ogni caso derogato dal provvedimento amministrativo.
Ai sensi del combinato disposto dell'art. 338, comma 1 e 5, T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, ribadito dall'art. 57, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, nei Comuni con popolazione inferiore a 20.000 abitanti, il raggio di distanza minimo tra cimitero e centro abitato è di 50 metri, con divieto assoluto, al di sotto di detto limite, di costruire nuovi edifici o di ampliare quelli preesistenti (T.A.R. Valle d'Aosta, 28 febbraio 1992, n. 19, in T.A.R., 1992, 1384).
Successivamente, la norma è stata modificata imponendo per la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti una distanza che sia inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le seguenti condizioni:
a) risulti accertato dal medesimo Consiglio comunale che, per particolari condizioni locali, non sia possibile provvedere altrimenti;
b) l'impianto cimiteriale sia separato dal centro urbano da strade pubbliche almeno di livello comunale, sulla base della classificazione prevista ai sensi della legislazione vigente, o da fiumi, laghi o dislivelli naturali rilevanti, ovvero da ponti o da impianti ferroviari.
E’ richiesto il parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, ex art. 338, T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, mod. art. 28, L. 1 agosto 2002, n. 166).
La norma a contraris prevede la deroga anche per dare esecuzione ad un'opera pubblica o all'attuazione di un intervento urbanistico da realizzarsi in prossimità del cimitero.
Anche in tal caso non devono esservi contrarie ragioni igienico-sanitarie; per questo il Consiglio comunale deve ottenere il preventivo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale.
Il Consiglio può consentire la riduzione della zona di rispetto tenendo conto degli elementi ambientali di pregio dell'area, autorizzando l'ampliamento di edifici preesistenti o la costruzione di nuovi edifici.
La riduzione vale anche per la realizzazione di parchi, giardini e annessi, parcheggi pubblici e privati, attrezzature sportive, locali tecnici e serre.
Alla emissione del parere della competente azienda sanitaria locale si applica il sistema del silenzio assenso.
Decorsi inutilmente due mesi dalla richiesta del parere da parte del Consiglio comunale, questo si ritiene espresso favorevolmente.
La norma precisa che all'interno della zona di rispetto per gli edifici esistenti sono consentiti interventi di recupero ovvero interventi funzionali all'utilizzo dell'edificio stesso, tra cui l'ampliamento nella percentuale massima del 10 per cento e i cambi di destinazione d'uso, oltre a quelli previsti dalle lettere a), b), c) e d) del primo comma dell'art. 31 della L. 5 agosto 1978, n. 457, ora sost. art. 3, D.P.R. 380/2001, ex art. 338, T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, mod. art. 28, L. 1 agosto 2002, n. 166.
La realizzazione di una costruzione in contrasto colle norme sulle distanze non consente nessuna legittimazione né per la costruzione che rimane abusiva né per i diritti del confinante che non può esigere il rispetto del principio della prevenzione.
La costruzione in violazione della zona di rispetto cimiteriale, stabilita dall'art. 338, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, finché non sia abbattuta, non esclude l'operatività del principio della prevenzione e quindi non legittima il vicino a costruire in violazione delle distanze legali, ex art. 873, c.c. (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 1998, n. 8337, in Giur. Civ. Mass., 1998, 1748).
Il divieto opera indipendentemente dagli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con gli stessi.
Le fasce di rispetto cimiteriale costituiscono, infatti, un vincolo urbanistico stabilito con leggi dello Stato, ex art. 338, R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, e delle Regioni; esse, come tali, sono operanti ex se indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi.
La fascia di rispetto in sé stessa considerata comporta l’inedificabilità assoluta, salvo un recupero di edificabilità nel comparto, con conseguente indennizzo rapportato al valore agricolo.
Legittimamente il giudice di merito esclude l'edificabilità nella zona di rispetto cimiteriale anche se il piano regolatore generale includa il suolo stesso in zona riservata ad edilizia economica e generale.
E’ infatti pacifica l'illegittimità di tale eventuale inclusione e la possibilità, in quella zona di rispetto, solo di un ampliamento di edifici preesistenti (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 4 novembre 2002, n. 4755, in Foro Amm. TAR, 2002, 3749).



3.1. Il potere comunale di indicare una distanza di rispetto per la costruzione o l’ampliamento dei cimiteri.


Il comune non può indicare una distanza inferiore a quella prevista dalla legislazione nazionale o regionale avvalendosi della sua autonomia statutaria. Vedi Cap. 1 n. 6.1.
La giurisprudenza ha ribadito che le fasce di rispetto cimiteriale costituiscono un vincolo urbanistico stabilito con leggi dello Stato, ex art. 338, T.U. 27 luglio 1934, n. 1265, e delle regioni; esse, come tali, sono operanti ex se indipendentemente dagli strumenti urbanistici vigenti ed eventualmente anche in contrasto con i medesimi (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 6 aprile 2004, n. 1434, in Foro amm. TAR, 2004, 935).
La natura degli interessi sottesi alla vigenza dei limiti in esame, aventi carattere non solo urbanistico edilizio ma soprattutto di tutela dell'igiene e della sicurezza pubblica, e ciò giustifica la prevalenza sugli strumenti urbanistici vigenti, impone una particolare attenzione al loro rispetto.
Il potere del consiglio comunale di approvare, previo parere favorevole della competente azienda sanitaria locale, la costruzione di nuovi cimiteri o l'ampliamento di quelli già esistenti a determinate distanze è sancito dall'art. 28, L. 166/2002.
La distanza può essere inferiore a 200 metri dal centro abitato, purché non oltre il limite di 50 metri, quando ricorrano, anche alternativamente, le condizioni espressamente stabilite dalla legge.



4. Il dimensionamento dell’area cimiteriale.

La dimensione delle aree da destinare a cimitero è fissata dal legislatore.
Le disposizioni sono dirette a determinare sia le dimensioni delle aree da vincolare a tale destinazione sia la qualità del terreno.
In ordine al dimensionamento dell’area è precisato che la superficie dei lotti di terreno, destinati ai campi di inumazione, deve essere prevista in modo da superare di almeno la metà l'area netta. Essa deve essere calcolata sulla base dei dati statistici delle inumazioni dell'ultimo decennio ed è destinata ad accogliere le salme per il normale periodo di rotazione di dieci anni.
Se il tempo di rotazione è stato fissato per un periodo diverso dal decennio, l'area è calcolata proporzionalmente.
Nella determinazione della superficie dei lotti di terreno destinati ai campi di inumazione occorre tenere presenti anche le inumazioni effettuate a seguito delle estumulazioni.
Si deve considerare anche l'eventualità di eventi straordinari che possono richiedere un gran numero di inumazioni, ex art. 58, D.P.R. 285 del 1990.
Nel dimensionamento dell'area da destinare a cimitero non deve essere calcolato lo spazio riservato:
a) alla costruzione di manufatti destinati alla tumulazione oppure alla conservazione di ossa o di ceneri, di ossari comuni o di sepolture private;
b) a strade, viali, piazzali e zone di parcheggio;
c) alla costruzione di tutti gli edifici, compresa la cappella, adibiti ai servizi cimiteriali o a disposizione del pubblico e degli addetti al cimitero;
d) a qualsiasi altra finalità diversa dalla inumazione, ex art. 59, D.P.R. 285 del 1990.
Le caratteristiche tecniche dell'area sono fissate dall’art. 60, D.P.R. 285 del 1990.
Il cimitero deve essere approvvigionato di acqua potabile e deve essere dotato di servizi igienici a disposizione del pubblico e del personale addetto al cimitero.
Il terreno del cimitero deve essere sufficientemente provveduto di scoli superficiali per il pronto smaltimento delle acque meteoriche e, ove sia necessario, di opportuno drenaggio, purché questo non provochi una eccessiva privazione dell'umidità del terreno destinato a campo di inumazione tale da nuocere al regolare andamento del processo di mineralizzazione dei cadaveri.
Il cimitero deve essere recintato lungo il perimetro da un muro o da altra idonea recinzione avente un'altezza non inferiore a metri 2,50 dal piano esterno di campagna, ex art. 61, D.P.R. 285 del 1990.
E’ fatto obbligo al regolamento comunale di igiene di individuare le tipologie e le modalità di costruzione dei monumenti e delle lapidi da realizzarsi sulle aree concesse per sepolture private, ex art. 62, D.P.R. 285 del 1990.
La giurisprudenza ha intrepretato il contenuto delle disposizioni del regolamento comunale.
Essa ha ritenuto inammissibile un intervento autoritativo dell'amministrazione che imponga un'assoluta uniformità di tipi e fogge di arredi votivi o se questo limiti ogni manifestazione di libertà dei concessionari e finisca per impedire la realizzazione di qualsiasi opera nel cimitero, impedendo il libero gioco della concorrenza o comunque precostituendo limitate nicchie protezionistiche a favore degli imprenditori che detengono stampi corrispondenti ai modelli prescelti (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 31 luglio 2002, n. 3278, in Foro amm. TAR, 2002, 2353).
La sentenza del T.A.R. Lombardia 3278/2002 sopra citata ha affrontato anche il problema della fissazione di tariffe massime per i monumenti sepolcrali.
Essa ha dichiarato illegittimo, a meno che non sia attuato in un contesto concessorio, il provvedimento con il quale l'amministrazione comunale stabilisce un tetto massimo al prezzo delle lapidi cimiteriali, poiché nessuna norma attribuisce tale potere al Comune



4.1. Il muro di cinta.

L’art. 61, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 afferma che il cimitero deve essere recintato lungo il perimetro da un muro o altra idonea recinzione avente un'altezza non inferiore a metri 2,50 dal piano esterno di campagna. La norma deve comprendersi fra quelle di azione amministrativa perché impone all’amministrazione comunale una disciplina positiva diretta a soddisfare nel modo migliore il pubblico interesse.
Essa non tutela direttamente l’interesse individuale del proprietario del fondo confinante con il muro di cinta del cimitero.
Essa disciplina invece, l’uso dei poteri dell’amministrazione comunale in tema di costruzione di cimiteri al fine di assicurarne la conformità all’interesse pubblico (G. CLEMENTE SAN LUCA G., Cimitero, in Enc. Giur., VI, 1988, 8).
Il privato può invocare tale norma solo se vi sia coincidenza fra il suo interesse e quello della p.a. (Corte App. Milano 9 aprile 1963).
Sul punto è d’accordo la dottrina che afferma come non possa profilarsi accanto allo specifico interesse pubblico che costituisce oggetto della norma un sia pure indiretto e riflesso interesse del cittadino che trovi radice e fondamento nella norma stesa.
Di fronte all’ampia discrezionalità che compete alla pubblica amministrazione sui beni demaniali non vi è posto per diritti o interessi legittimi di terzi (U. ARDIZZONE, Muro di cinta del cimitero ed interesse dei terzi, in Foro Pad. 1963, 1131).
La posizione della p.a. nei confronti dei diritti di terzi è ora soggetta ai principi fissati dalla L. 241/1990.
Tale disposizione di legge fissa in primo luogo l’obbligo di dare comunicazione dell’avvio del procedimento (N. CENTOFANTI, Il silenzio nel procedimento e nel ricorso amministrativo, 2005, 35).
La comunicazione consente al soggetto passivo del procedimento di esercitare il diritto di presentare memorie scritte e documenti previsto da apposita disposizione normativa. L’amministrazione ha l’obbligo di valutare la documentazione presentata e di motivare nel provvedimento conclusivo le ragioni che ostano all’accoglimento dell’istanza del soggetto intervenuto, ex art. 10, L. 241/1990 (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 10 luglio 2002, n. 6245, in Foro amm. TAR, 2002, 2521).
La giurisprudenza ha affermato che il concessionario di area cimiteriale che è costretto a demolire parte del muro di cinta per potere costruire la propria tomba non può farlo in misura eccedente tale necessità.
Egli non può scavalcare i limiti imposti dal dovere di lealtà e di correttezza nei rapporti giuridici con la pubblica amministrazione.
L’abuso comporta una inadempienza giuridicamente rilevante che legittima la dichiarazione di decadenza della concessione contratto (Cass. Civ., sez. II, 13 maggio 1969, n. 1627).


5. I reparti speciali.

I piani regolatori cimiteriali possono prevedere reparti speciali e separati per la sepoltura di cadaveri di persone professanti un culto diverso da quello cattolico.
Alle comunità straniere, che fanno domanda di avere un reparto proprio per la sepoltura delle salme dei loro connazionali, può parimenti essere data dal Sindaco in concessione un'area adeguata nel cimitero, ex art. 100, D.P.R. 285 del 1990.
La disposizione prevede la possibilità di realizzare, nell’ambito dei cimiteri, dei reparti speciali caratterizzati dalla particolare appartenenza di un soggetto ad una determinata comunità religiosa o etnica che trova rispetto nell’ordinamento italiano.
Esistono i cimiteri riservati a comunità religiose come quella degli ebrei o dei greco ortodossi o a particolari comunità appartenenti a paesi stranieri che nel Comune abbiano una particolare rilevanza.
Tali reparti speciali non comprendono i cimiteri militari che sono soggetti ad una particolare disciplina.


6. Il progetto.

L'art. 53, D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, ha affermato la necessità del parere della commissione provinciale per i cimiteri nominata dal Prefetto e costituita da due funzionari dei ruoli regionali di cui uno medico igienista e l'altro ingegnere, da un geologo, dal Sindaco e dall'ufficiale sanitario del Comune dove il cimitero era ubicato.
Il parere doveva precedere la localizzazione dell'area di ampliamento del cimitero, in quanto detta localizzazione deve rapportarsi ad uno studio tecnico della località, specialmente per quanto concerne l'ubicazione, l'orografia, l'estensione del terreno, la natura fisico-chimica del suolo e la profondità e direzione della falda freatica (Cons. giust. amm. Sicilia, 20 novembre 1989, n. 434, in Cons. St., 1989, I, 1440).
Detta commissione è stata successivamente abrogata dall’art. 55, D.P.R. 285 del 1990.
La norma afferma che i progetti di ampliamento dei cimiteri esistenti e di costruzione dei nuovi devono essere preceduti da uno studio tecnico delle località, specialmente per quanto riguarda l'ubicazione, l'orografia, l'estensione dell'area e la natura fisico-chimica del terreno, la profondità e la direzione della falda idrica e devono essere deliberati dal consiglio comunale.
La legge stabilisce il contenuto della relazione tecnico-sanitaria che accompagna i progetti di ampliamento e di costruzione di cimiteri.
Essa deve illustrare i criteri in base ai quali l'amministrazione comunale ha programmato la distribuzione dei lotti destinati ai diversi tipi di sepoltura.
Tale relazione deve contenere la descrizione dell'area, della via di accesso, delle zone di parcheggio, degli spazi e viali destinati al traffico interno, dalle eventuali costruzioni accessorie previste, quali il deposito di osservazione, la camera mortuaria, le sale di autopsia, le cappelle, il forno crematorio, i servizi destinati al pubblico e agli operatori cimiteriali, l’alloggio del custode nonché gli impianti tecnici.
Gli elaborati grafici devono, in scala adeguata, rappresentare le varie zone del complesso, gli edifici dei servizi generali nonché gli impianti tecnici, ex art. 56, D.P.R. 285 del 1990.


7. La competenza del Consiglio comunale.

La competenza dell’approvazione del progetto è affidata al Consiglio comunale.
È stata dichiarata illegittima l'approvazione del progetto di ampliamento del cimitero comunale disposta dalla giunta comunale.
L'art. 55, D.P.R. n. 285 del 1990, stabilisce espressamente che i progetti di ampliamento dei cimiteri esistenti e di costruzione di nuovi devono essere deliberati dal Consiglio comunale.
Si tratta evidentemente di una norma speciale che deroga in modo specifico alla competenza generale di tipo residuale stabilita dal T.U. enti locali.
La competenza consiliare individuata dalla disposizione regolamentare prevale su quella recata dal nuovo ordinamento delle autonomie locali.
La disposizione in questione - come del resto già affermato in giurisprudenza - costituisce una norma speciale, mai abrogata, che deroga in modo specifico alla competenza generale di tipo residuale stabilita dall'art. 35, L. 8 giugno 1990, n. 142, abrogato dall'art. 274, D.L.vo 18 agosto 2000, n. 267 e riprodotto nell'art. 48 di quest'ultimo (T.A.R. Umbria Perugia, 6 marzo 1998, n. 190, in Com. It., 1998, 1244).
Il fatto che il Consiglio comunale abbia inserito il progetto nel programma triennale e nell'elenco annuale dei lavori pubblici non sana l’illegittimità della approvazione precedente del progetto da parte della giunta comunale (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 21 luglio 2003, n. 9298).


Capitolo 3
L’ESPROPRIAZIONE

1. Il procedimento espropriativo.

Il procedimento espropriativo è caratterizzato dal principio di legalità che richiede l’osservanza delle disposizioni portate da detto provvedimento per il procedimento ablatorio.
Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, all’art. 2, ribadisce il principio di legalità affermando che l’espropriazione per pubblica utilità può essere disposta solo nei casi previsti da leggi e regolamenti (N. CENTOFANTI, P.CENTOFANTI .Diritto urbanistico, 2012, 46).
Il procedimento inizia con l’apposizione del vincolo espropriativo in sede di pianificazione urbanistica. Il vincolo ha durata quinquennale ed entro tale data deve essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità, pena la decadenza del vincolo e la necessità di reiterarlo in sede pianificatoria, ex art. 9, D.P.R. 327/2001.
La dichiarazione di pubblica utilità può essere disposta da un piano particolareggiato - che difficilmente è utilizzato nel caso di realizzazione di un cimitero o di un suo ampliamento – ovvero in sede di approvazione del progetto definitivo.
Il progetto esecutivo per l'ampliamento del cimitero implica la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e di urgenza e indifferibilità dei relativi lavori e autorizza l'occupazione d'urgenza di quest'ultimo (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 21 luglio 2003, n. 9298).
La dichiarazione di pubblica utilità insita nell’approvazione del progetto ha l’effetto di fissare il termine massimo quinquennale entro il quale il decreto di esproprio deve essere emanato, ex art. 13, D.P.R. 327/2001.
Il decreto è atto necessario per acquisire legittimamente un bene soggetto al procedimento ablatorio; in caso contrario l’amministrazione che abbia occupato un bene deve procedere ad emanare l’atto di acquisizione corrispondendo il relativo risarcimento, ex art. 43, D.P.R. 327/2001.
L’art. 23, D.P.R. 327/2001, fissa i presupposti perché l’emanazione del decreto di esproprio sia legittima e renda indenne la pubblica amministrazione da ogni eventuale responsabilità contabile.

1.1. L’occupazione d’urgenza.

Il legislatore consente l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari all’esecuzione delle opere qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza.
L'art. 22-bis, inserito nel T.U. sulle espropriazioni dall'art. 1, D.L.vo 27 dicembre 2002, n. 302, ha reintrodotto nel sistema l'istituto dell'occupazione d'urgenza preordinata all'espropriazione che può essere utilizzato per la legittima soddisfazione dell'interesse pubblico perseguito dall'ente locale.
In caso di particolare urgenza, che deve essere espressamente motivata, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, il decreto di occupazione delle aree interessate.
Il provvedimento deve determinare in via provvisoria l'indennità di espropriazione
Il decreto contiene l'elenco dei beni da espropriare e dei relativi proprietari, indica i beni da occupare e determina l'indennità da offrire in via provvisoria.
La norma prevede difatti che - qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni relative alla determinazione dell’indennità di esproprio in contraddittorio con il proprietario, ex art. 20, D.P.R. 327/2001 – il decreto di occupazione d’urgenza può essere emanato senza particolari indagini e formalità.
Il decreto di occupazione d’urgenza determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione e dispone l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari.
Rimane per l’amministrazione l’obbligo di emanare entro il termine massimo quinquennale dalla emanazione della dichiarazione di pubblica utilità il decreto di esproprio.
L’occupazione di aree destinate alla realizzazione di cimiteri non può, però, avvenire sostituendo illegittimamente gli ordinari mezzi giuridici ablatori quali l’espropriazione per pubblica utilità e il subprocedimento di occupazione d'urgenza, predisposti dall'ordinamento secondo un principio di tipicità degli atti di esercizio di autorità posto a tutela delle libertà e dei diritti dei soggetti (
T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 febbraio 2006, n. 1778, in Foro amm. TAR, 2006, 2 685).

2. L’indennità per aree soggette a vincolo cimiteriale.

La giurisprudenza afferma che gli artt. 32 e segg. D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nel determinare l’indennità di esproprio seguono i criteri fissati dall'art. 5-bis, L. 8 agosto 1992, n. 359; si caratterizzano per la rigida dicotomia, con esclusione dell'ammissibilità di un tertium genus, tra aree edificabili - indennizzabili in percentuale del loro valore venale - ed aree agricole o non classificabili come edificabili - tuttora indennizzabili in base a valori agricoli tabellari, ai sensi del titolo secondo della L. 865 del 22 ottobre 1971.
L’art. 37, comma 3, D.P.R. 327/2001, ai fini della valutazione dell'edificabilità delle aree, impone di "considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio".
La norma postula la sufficienza del requisito della edificabilità legale, senza che sia necessaria la compresenza della edificabilità di fatto, con l'ulteriore corollario, però, che a tale secondo criterio può invece farsi riferimento in via complementare ed integrativa, agli effetti cioè della determinazione del concreto valore di mercato dell'area espropriata nell'ipotesi in cui sussistano delle cause che riducano od escludano le possibilità reali di edificazione.
Tale conformazione dell’area incide sull'utilizzazione del suolo e, conseguentemente, sulla liquidazione dell'indennità di esproprio, ma non già sulla natura dell'area che rimane edificabile se tale è considerata dallo strumento urbanistico.
L'edificabilità non si identifica né si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma comprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo, in via di principio non precluse all'iniziativa privata, che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che siano come tali soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (Cass. Civ. sez. III, 21 giugno 2002, n. 9075).
Accanto ai vincoli di destinazione, propri della zonizzazione del territorio, i quali costituiscono manifestazioni della potestà conformativa e non espropriativa in quanto frutto di provvedimenti di carattere indeterminato (come il piano regolatore generale od il programma di fabbricazione) deve tenersi conto, ai fini dell'individuazione della natura edificabile delle aree e dell'applicazione del D.P.R. 327/2001, anche di altri vincoli che discendono direttamente dalla legge - come i vincoli paesistici, archeologici, cimiteriali, di rispetto stradale o autostradale e cosi via - i quali, al pari dei primi, sono idonei a determinare l'inedificabilità dei terreni interessati (Cass. Civ., sez. I, 7258/2001).
Sulla base del richiamato principio della prevalenza o autosufficienza del criterio dell'edificabilità legale, non è consentito far riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge.
Ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, l’art. 37, comma 3, D.P.R. 327/2001, richiede che l'edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale, onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che l'eventuale edificabilità effettiva sia tenuta minimamente in considerazione, qualora sul fondo medesimo insistano vincoli di destinazione o di inedificabilità tali da escludere appunto la stessa edificabilità legale (Cass. Civ., sez. I, 1978/2003).
Il vincolo cimiteriale determina, ai sensi dell'art. 338, R.D. 1265 del 1934, una tipica situazione di inedificabilità legale, suscettibile di essere rimossa solo in ipotesi eccezionali, senza che, del resto, sia più sostenibile l'esistenza, agli effetti dell'indennità di esproprio, di un tertium genus di suoli urbani non edificabili (
Cass. Civ., sez. I, 23 giugno 2004, n. 11669, in Dir. e giust., 2004, 35, 94).
Del pari il suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale ed assoggettato al relativo vincolo è quindi da qualificare non edificabile, giacché il vincolo cimiteriale determina una tipica situazione di inedificabilità legale (Cons. St., sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6064).
La giurisprudenza meno recente ha, invece, valorizzato la possibilità, da valutarsi in concreto, di un utilizzo economico non coincidente con lo sfruttamento agricolo (Cass. Civ., sez. I, 19 dicembre 1991, n. 13676)
Di fronte al rigido sistema bipolare confermato dal D.P.R. 327/2001, in base al quale ciò che non è edificabile è da considerare come agricolo, appare da escludere la rilevanza, agli effetti indennitari, di utilizzazioni diverse da quelle strettamente agricole sia per i terreni agricoli sia, più in generale, per quelli non edificatori.
Non è più condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di inedificabilità per l'esistenza di vincolo cimiteriale, si deve tenere conto delle possibili utilizzazioni del bene compatibili con la destinazione di piano regolatore (Cass. Civ., sez. I, 16 luglio 1997, n. 6510).
In tal modo, si finisce per attrarre nel regime delle aree edificabili ciò che è espressamente considerato non edificabile e quindi indennizzabile come agricolo.
La stessa Corte Costituzionale ha avvalorato la predetta interpretazione bipolare della norma.
Essa impone per le aree non edificabili un unico criterio di valutazione indennitaria alla stregua delle aree agricole ed ha escluso contrasti con gli artt. 3 e 42 della Costituzione proprio in relazione al caso di aree inedificabili perché gravate da vincolo di rispetto cimiteriale (Corte Cost., n. 261 del 1997).
Il suolo soggetto a vincolo cimiteriale - vincolo che ha carattere conformativo - è inedificabile per legge, per cui è ininfluente, ai fini dell'inserimento dello stesso in una delle due alternative categorie dei suoli edificabili o dei suoli non edificabili, la sua eventuale edificabilità di fatto, anche in assenza di uno strumento urbanistico, vigente al momento dell'ablazione, che lo classifichi in una delle categorie di aree prive di destinazione edificatoria (Cass. Civ., sez. I, 18 febbraio 2004, n. 3141, in Giust. civ. Mass., 2004, 2).


3. Il divieto di ordinanze sindacali contingibili ed urgenti.

La giurisprudenza ritiene illegittimo il rimedio extra ordinem eccezionale costituito dall'ordinanza sindacale contingibile e urgente assunta per motivi igienico-sanitari.
L'Ente locale che abbia omesso di porre in atto per tempo tutte le procedure legali idonee a far fronte in modo tempestivo ai bisogni pubblici - avendo omesso di provvedere a un congruo ampliamento del locale cimitero, in modo da poter far fronte alla necessità di aree per le inumazioni – non può pretendere di porre rimedio alla conseguente carenza di aree cimiteriali occupando - senza indennizzo alcuno - i beni di privati mediante un provvedimento straordinario la cui urgenza è cagionata non già da sopravvenienze impreviste e imprevedibili, bensì dalla stessa inefficienza gestionale dell'ente.
L'ordinanza contingibile e urgente non può surrogare le procedure espropriative ordinarie e non può rinvenire il suo presupposto di urgenza nell'inerzia della stessa amministrazione.
Se il Comune non ha posto mano per tempo al necessario ampliamento del cimitero comunale espropriando all'uopo le aree soggette a vincolo cimiteriale, è evidente l'inefficienza dell'azione amministrativa comunale.
Tale inefficienza non può ridondare in danno dei cittadini.
L'avvenuta esecuzione di inumazioni nell'immobile occupato - anche in connessione con la perdurante e contestuale procedura ablatoria realizzativa dell'ampliamento cimiteriale - rende poco verosimile la tesi secondo cui le aree sarebbe senz'altro restituibili, decorso il termine semestrale di occupazione previsto nell'atto impugnato.
Nel caso di utilizzo senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, il Comune deve valutare la possibilità di fare ricorso allo strumento ablatorio speciale predisposto dall'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,
Detta norma prevede, in caso di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, la facoltà dell'amministrazione che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, valutati gli interessi in conflitto, di disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni.
La palese illegittimità dell'ordinanza contingibile e urgente comporta la fondatezza della domanda risarcitoria.
La determinazione del quantum debeatur dipende essenzialmente dagli sviluppi successivi dell'azione amministrativa e, in particolare, dalla scelta comunale in ordine alla restituzione (previa eventuale bonifica dei suoli), ovvero in ordine alla commutazione della procedura in procedura propriamente ablatoria che prevede la corresponsione di un indennizzo, che va dedotto dall'equivalente pecuniario del danno risarcibile.
Qualora sia esercitata l’azione volta alla restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.
Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno.
Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.
L'art. 35, comma 2, del D.L.vo n. 80 del 1998, prevede che il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.
Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall'articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta".
Quanto ai criteri in base ai quali l'amministrazione deve proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma a titolo risarcitorio, occorre conseguentemente distinguere due ipotesi:
Se l'amministrazione decide di procedere ai sensi dell'art. 43, D.P.R. 327/2001, allora, come previsto dal suddetto articolo, l'atto di acquisizione dovrà esso stesso determinare la misura del risarcimento del danno e dovrà disporne il pagamento, entro il termine di trenta giorni, secondo il criterio di quantificazione dettato dal comma 6 dell'art. 43, D.P.R. 327/2001: a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità; b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo; il valore del fondo dovrà essere determinato secondo il criterio dettato dall'art. 32, D.P.R. 327/2001, sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell'occupazione, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell'eventuale opera prevista, tenendo invece conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano anteriori all'occupazione.
Se, invece, l'amministrazione si dovesse determinare nel senso di restituire gli immobili, il Comune deve procedere alla compiuta e integrale bonifica degli immobili utilizzati, restituendoli effettivamente ed oggettivamente nello stato in cui essi si trovavano prima della indebita occupazione; ed il danno risarcibile andrà commisurato esclusivamente al mancato uso del bene per il tempo della illegittima occupazione, oltre ai danni emergenti - quali l’abbattimento di alberi e la distruzione di colture in atto.
Il danno da mancato uso andrà quantificato secondo il criterio di cui all'art. 50 del t.u. espropriazioni per l'indennità di occupazione.
Nel caso di occupazione di un area, è dovuta al proprietario una indennità per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell'area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua.
In ogni caso la somma capitale del risarcimento per equivalente andrà maggiorata degli interessi al tasso legale dal dì dell'illegittima occupazione fino all'effettivo pagamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 febbraio 2006, n. 1778, in Foro amm. TAR, 2006, 2 685).


4. Il programma triennale dei lavori.

L’art. 128, D. L.vo 12 aprile 2006, n. 163, che approva il Codice dei contratti pubblici afferma che l'attività di realizzazione dei lavori di singolo importo superiore a 100.000 euro si svolge sulla base di un programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono e approvano, nel rispetto dei documenti programmatori - già previsti dalla normativa vigente - e della normativa urbanistica, unitamente all'elenco dei lavori da realizzare nell'anno stesso.
Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono nell'esercizio delle loro autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi assunti come prioritari.
Gli studi individuano i lavori strumentali al soddisfacimento dei predetti bisogni, indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli stessi e espongono l'analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche e nelle sue componenti di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche.
In particolare le amministrazioni aggiudicatrici individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica. Lo schema di programma triennale e i suoi aggiornamenti annuali sono resi pubblici, prima della loro approvazione, mediante affissione nella sede delle amministrazioni aggiudicatrici per almeno sessanta giorni consecutivi ed eventualmente mediante pubblicazione sui quotidiani.
Il programma triennale deve prevedere un ordine di priorità.
Nell'ambito di tale ordine sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati nonché gli interventi per i quali vi sia la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario.
La giurisprudenza ha precisato che l'inclusione di un lavoro nell'elenco annuale è subordinata alla previa approvazione della progettazione preliminare, ex art. 14, comma 6, L. 11 febbraio 1994, n. 109, ora abrogato dal Codice dei contratti pubblici.
Il fatto che il programma triennale porti l'approvazione del progetto preliminare non comporta anche l’approvazione del progetto del cimitero Detta approvazione non è sufficiente a garantire l'osservanza della disposizione dell'art. 55, D.P.R. n. 285 del 1990.
L'inserimento di un'opera pubblica nell'elenco annuale delle opere pubbliche da realizzare non equivale certo alla approvazione del relativo progetto preliminare.
La giurisprudenza sottolinea la differenza fra l’approvazione del progetto è il suo inserimento nell'elenco annuale delle opere da realizzare.
La stessa disposizione della legge sui lavori pubblici prescrive che l'inserimento dell'opera nell'elenco presuppone che il relativo progetto preliminare sia stato previamente approvato (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 21 luglio 2003, n. 9298).





















Capitolo 3
L’ESPROPRIAZIONE

1. Il procedimento espropriativo.

Il procedimento espropriativo è caratterizzato dal principio di legalità che richiede l’osservanza delle disposizioni portate da detto provvedimento per il procedimento ablatorio.
Il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, all’art. 2, ribadisce il principio di legalità affermando che l’espropriazione per pubblica utilità può essere disposta solo nei casi previsti da leggi e regolamenti (N. CENTOFANTI, L’espropriazione per pubblica utilità, 2009, 46).
Il procedimento inizia con l’apposizione del vincolo espropriativo in sede di pianificazione urbanistica. Il vincolo ha durata quinquennale ed entro tale data deve essere emanato il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità, pena la decadenza del vincolo e la necessità di reiterarlo in sede pianificatoria, ex art. 9, D.P.R. 327/2001.
La dichiarazione di pubblica utilità può essere disposta da un piano particolareggiato - che difficilmente è utilizzato nel caso di realizzazione di un cimitero o di un suo ampliamento – ovvero in sede di approvazione del progetto definitivo.
Il progetto esecutivo per l'ampliamento del cimitero implica la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera e di urgenza e indifferibilità dei relativi lavori e autorizza l'occupazione d'urgenza di quest'ultimo (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 21 luglio 2003, n. 9298).
La dichiarazione di pubblica utilità insita nell’approvazione del progetto ha l’effetto di fissare il termine massimo quinquennale entro il quale il decreto di esproprio deve essere emanato, ex art. 13, D.P.R. 327/2001.
Il decreto è atto necessario per acquisire legittimamente un bene soggetto al procedimento ablatorio; in caso contrario l’amministrazione che abbia occupato un bene deve procedere ad emanare l’atto di acquisizione corrispondendo il relativo risarcimento, ex art. 43, D.P.R. 327/2001.
L’art. 23, D.P.R. 327/2001, fissa i presupposti perché l’emanazione del decreto di esproprio sia legittima e renda indenne la pubblica amministrazione da ogni eventuale responsabilità contabile.

1.1. L’occupazione d’urgenza.

Il legislatore consente l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari all’esecuzione delle opere qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza.
L'art. 22-bis, inserito nel T.U. sulle espropriazioni dall'art. 1, D.L.vo 27 dicembre 2002, n. 302, ha reintrodotto nel sistema l'istituto dell'occupazione d'urgenza preordinata all'espropriazione che può essere utilizzato per la legittima soddisfazione dell'interesse pubblico perseguito dall'ente locale.
In caso di particolare urgenza, che deve essere espressamente motivata, può essere emanato, senza particolari indagini e formalità, il decreto di occupazione delle aree interessate.
Il provvedimento deve determinare in via provvisoria l'indennità di espropriazione
Il decreto contiene l'elenco dei beni da espropriare e dei relativi proprietari, indica i beni da occupare e determina l'indennità da offrire in via provvisoria.
La norma prevede difatti che - qualora l'avvio dei lavori rivesta carattere di particolare urgenza, tale da non consentire, in relazione alla particolare natura delle opere, l'applicazione delle disposizioni relative alla determinazione dell’indennità di esproprio in contraddittorio con il proprietario, ex art. 20, D.P.R. 327/2001 – il decreto di occupazione d’urgenza può essere emanato senza particolari indagini e formalità.
Il decreto di occupazione d’urgenza determina in via provvisoria l'indennità di espropriazione e dispone l'occupazione anticipata dei beni immobili necessari.
Rimane per l’amministrazione l’obbligo di emanare entro il termine massimo quinquennale dalla emanazione della dichiarazione di pubblica utilità il decreto di esproprio.
L’occupazione di aree destinate alla realizzazione di cimiteri non può, però, avvenire sostituendo illegittimamente gli ordinari mezzi giuridici ablatori quali l’espropriazione per pubblica utilità e il subprocedimento di occupazione d'urgenza, predisposti dall'ordinamento secondo un principio di tipicità degli atti di esercizio di autorità posto a tutela delle libertà e dei diritti dei soggetti (
T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 febbraio 2006, n. 1778, in Foro amm. TAR, 2006, 2 685).

2. L’indennità per aree soggette a vincolo cimiteriale.

La giurisprudenza afferma che gli artt. 32 e segg. D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nel determinare l’indennità di esproprio seguono i criteri fissati dall'art. 5-bis, L. 8 agosto 1992, n. 359; si caratterizzano per la rigida dicotomia, con esclusione dell'ammissibilità di un tertium genus, tra aree edificabili - indennizzabili in percentuale del loro valore venale - ed aree agricole o non classificabili come edificabili - tuttora indennizzabili in base a valori agricoli tabellari, ai sensi del titolo secondo della L. 865 del 22 ottobre 1971.
L’art. 37, comma 3, D.P.R. 327/2001, ai fini della valutazione dell'edificabilità delle aree, impone di "considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio".
La norma postula la sufficienza del requisito della edificabilità legale, senza che sia necessaria la compresenza della edificabilità di fatto, con l'ulteriore corollario, però, che a tale secondo criterio può invece farsi riferimento in via complementare ed integrativa, agli effetti cioè della determinazione del concreto valore di mercato dell'area espropriata nell'ipotesi in cui sussistano delle cause che riducano od escludano le possibilità reali di edificazione.
Tale conformazione dell’area incide sull'utilizzazione del suolo e, conseguentemente, sulla liquidazione dell'indennità di esproprio, ma non già sulla natura dell'area che rimane edificabile se tale è considerata dallo strumento urbanistico.
L'edificabilità non si identifica né si esaurisce in quella residenziale abitativa, ma comprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo, in via di principio non precluse all'iniziativa privata, che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione e che siano come tali soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia (Cass. Civ. sez. III, 21 giugno 2002, n. 9075).
Accanto ai vincoli di destinazione, propri della zonizzazione del territorio, i quali costituiscono manifestazioni della potestà conformativa e non espropriativa in quanto frutto di provvedimenti di carattere indeterminato (come il piano regolatore generale od il programma di fabbricazione) deve tenersi conto, ai fini dell'individuazione della natura edificabile delle aree e dell'applicazione del D.P.R. 327/2001, anche di altri vincoli che discendono direttamente dalla legge - come i vincoli paesistici, archeologici, cimiteriali, di rispetto stradale o autostradale e cosi via - i quali, al pari dei primi, sono idonei a determinare l'inedificabilità dei terreni interessati (Cass. Civ., sez. I, 7258/2001).
Sulla base del richiamato principio della prevalenza o autosufficienza del criterio dell'edificabilità legale, non è consentito far riferimento ad una pretesa edificabilità di fatto divergente dalla previsione degli strumenti urbanistici o da vincoli imposti dalla legge.
Ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, l’art. 37, comma 3, D.P.R. 327/2001, richiede che l'edificabilità di fatto si armonizzi con quella legale, onde il carattere edificatorio del fondo espropriato deve essere escluso, senza che l'eventuale edificabilità effettiva sia tenuta minimamente in considerazione, qualora sul fondo medesimo insistano vincoli di destinazione o di inedificabilità tali da escludere appunto la stessa edificabilità legale (Cass. Civ., sez. I, 1978/2003).
Il vincolo cimiteriale determina, ai sensi dell'art. 338, R.D. 1265 del 1934, una tipica situazione di inedificabilità legale, suscettibile di essere rimossa solo in ipotesi eccezionali, senza che, del resto, sia più sostenibile l'esistenza, agli effetti dell'indennità di esproprio, di un tertium genus di suoli urbani non edificabili (
Cass. Civ., sez. I, 23 giugno 2004, n. 11669, in Dir. e giust., 2004, 35, 94).
Del pari il suolo rientrante nella zona di rispetto cimiteriale ed assoggettato al relativo vincolo è quindi da qualificare non edificabile, giacché il vincolo cimiteriale determina una tipica situazione di inedificabilità legale (Cons. St., sez. IV, 11 ottobre 2006, n. 6064).
La giurisprudenza meno recente ha, invece, valorizzato la possibilità, da valutarsi in concreto, di un utilizzo economico non coincidente con lo sfruttamento agricolo (Cass. Civ., sez. I, 19 dicembre 1991, n. 13676)
Di fronte al rigido sistema bipolare confermato dal D.P.R. 327/2001, in base al quale ciò che non è edificabile è da considerare come agricolo, appare da escludere la rilevanza, agli effetti indennitari, di utilizzazioni diverse da quelle strettamente agricole sia per i terreni agricoli sia, più in generale, per quelli non edificatori.
Non è più condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in ipotesi di inedificabilità per l'esistenza di vincolo cimiteriale, si deve tenere conto delle possibili utilizzazioni del bene compatibili con la destinazione di piano regolatore (Cass. Civ., sez. I, 16 luglio 1997, n. 6510).
In tal modo, si finisce per attrarre nel regime delle aree edificabili ciò che è espressamente considerato non edificabile e quindi indennizzabile come agricolo.
La stessa Corte Costituzionale ha avvalorato la predetta interpretazione bipolare della norma.
Essa impone per le aree non edificabili un unico criterio di valutazione indennitaria alla stregua delle aree agricole ed ha escluso contrasti con gli artt. 3 e 42 della Costituzione proprio in relazione al caso di aree inedificabili perché gravate da vincolo di rispetto cimiteriale (Corte Cost., n. 261 del 1997).
Il suolo soggetto a vincolo cimiteriale - vincolo che ha carattere conformativo - è inedificabile per legge, per cui è ininfluente, ai fini dell'inserimento dello stesso in una delle due alternative categorie dei suoli edificabili o dei suoli non edificabili, la sua eventuale edificabilità di fatto, anche in assenza di uno strumento urbanistico, vigente al momento dell'ablazione, che lo classifichi in una delle categorie di aree prive di destinazione edificatoria (Cass. Civ., sez. I, 18 febbraio 2004, n. 3141, in Giust. civ. Mass., 2004, 2).


3. Il divieto di ordinanze sindacali contingibili ed urgenti.

La giurisprudenza ritiene illegittimo il rimedio extra ordinem eccezionale costituito dall'ordinanza sindacale contingibile e urgente assunta per motivi igienico-sanitari.
L'Ente locale che abbia omesso di porre in atto per tempo tutte le procedure legali idonee a far fronte in modo tempestivo ai bisogni pubblici - avendo omesso di provvedere a un congruo ampliamento del locale cimitero, in modo da poter far fronte alla necessità di aree per le inumazioni – non può pretendere di porre rimedio alla conseguente carenza di aree cimiteriali occupando - senza indennizzo alcuno - i beni di privati mediante un provvedimento straordinario la cui urgenza è cagionata non già da sopravvenienze impreviste e imprevedibili, bensì dalla stessa inefficienza gestionale dell'ente.
L'ordinanza contingibile e urgente non può surrogare le procedure espropriative ordinarie e non può rinvenire il suo presupposto di urgenza nell'inerzia della stessa amministrazione.
Se il Comune non ha posto mano per tempo al necessario ampliamento del cimitero comunale espropriando all'uopo le aree soggette a vincolo cimiteriale, è evidente l'inefficienza dell'azione amministrativa comunale.
Tale inefficienza non può ridondare in danno dei cittadini.
L'avvenuta esecuzione di inumazioni nell'immobile occupato - anche in connessione con la perdurante e contestuale procedura ablatoria realizzativa dell'ampliamento cimiteriale - rende poco verosimile la tesi secondo cui le aree sarebbe senz'altro restituibili, decorso il termine semestrale di occupazione previsto nell'atto impugnato.
Nel caso di utilizzo senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, il Comune deve valutare la possibilità di fare ricorso allo strumento ablatorio speciale predisposto dall'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,
Detta norma prevede, in caso di utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico, la facoltà dell'amministrazione che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, valutati gli interessi in conflitto, di disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni.
La palese illegittimità dell'ordinanza contingibile e urgente comporta la fondatezza della domanda risarcitoria.
La determinazione del quantum debeatur dipende essenzialmente dagli sviluppi successivi dell'azione amministrativa e, in particolare, dalla scelta comunale in ordine alla restituzione (previa eventuale bonifica dei suoli), ovvero in ordine alla commutazione della procedura in procedura propriamente ablatoria che prevede la corresponsione di un indennizzo, che va dedotto dall'equivalente pecuniario del danno risarcibile.
Qualora sia esercitata l’azione volta alla restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.
Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno.
Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.
L'art. 35, comma 2, del D.L.vo n. 80 del 1998, prevede che il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine.
Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall'articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, può essere chiesta la determinazione della somma dovuta".
Quanto ai criteri in base ai quali l'amministrazione deve proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma a titolo risarcitorio, occorre conseguentemente distinguere due ipotesi:
Se l'amministrazione decide di procedere ai sensi dell'art. 43, D.P.R. 327/2001, allora, come previsto dal suddetto articolo, l'atto di acquisizione dovrà esso stesso determinare la misura del risarcimento del danno e dovrà disporne il pagamento, entro il termine di trenta giorni, secondo il criterio di quantificazione dettato dal comma 6 dell'art. 43, D.P.R. 327/2001: a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità; b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo; il valore del fondo dovrà essere determinato secondo il criterio dettato dall'art. 32, D.P.R. 327/2001, sulla base delle caratteristiche del bene al momento dell'occupazione, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio e quelli connessi alla realizzazione dell'eventuale opera prevista, tenendo invece conto delle costruzioni, delle piantagioni e delle migliorie, qualora risulti, avuto riguardo al tempo in cui furono fatte e ad altre circostanze, che esse siano anteriori all'occupazione.
Se, invece, l'amministrazione si dovesse determinare nel senso di restituire gli immobili, il Comune deve procedere alla compiuta e integrale bonifica degli immobili utilizzati, restituendoli effettivamente ed oggettivamente nello stato in cui essi si trovavano prima della indebita occupazione; ed il danno risarcibile andrà commisurato esclusivamente al mancato uso del bene per il tempo della illegittima occupazione, oltre ai danni emergenti - quali l’abbattimento di alberi e la distruzione di colture in atto.
Il danno da mancato uso andrà quantificato secondo il criterio di cui all'art. 50 del t.u. espropriazioni per l'indennità di occupazione.
Nel caso di occupazione di un area, è dovuta al proprietario una indennità per ogni anno pari ad un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell'area e, per ogni mese o frazione di mese, una indennità pari ad un dodicesimo di quella annua.
In ogni caso la somma capitale del risarcimento per equivalente andrà maggiorata degli interessi al tasso legale dal dì dell'illegittima occupazione fino all'effettivo pagamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 08 febbraio 2006, n. 1778, in Foro amm. TAR, 2006, 2 685).


4. Il programma triennale dei lavori.

L’art. 128, D. L.vo 12 aprile 2006, n. 163, che approva il Codice dei contratti pubblici afferma che l'attività di realizzazione dei lavori di singolo importo superiore a 100.000 euro si svolge sulla base di un programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono e approvano, nel rispetto dei documenti programmatori - già previsti dalla normativa vigente - e della normativa urbanistica, unitamente all'elenco dei lavori da realizzare nell'anno stesso.
Il programma triennale costituisce momento attuativo di studi di fattibilità e di identificazione e quantificazione dei propri bisogni che le amministrazioni aggiudicatrici predispongono nell'esercizio delle loro autonome competenze e, quando esplicitamente previsto, di concerto con altri soggetti, in conformità agli obiettivi assunti come prioritari.
Gli studi individuano i lavori strumentali al soddisfacimento dei predetti bisogni, indicano le caratteristiche funzionali, tecniche, gestionali ed economico-finanziarie degli stessi e espongono l'analisi dello stato di fatto di ogni intervento nelle sue eventuali componenti storico-artistiche, architettoniche, paesaggistiche e nelle sue componenti di sostenibilità ambientale, socio-economiche, amministrative e tecniche.
In particolare le amministrazioni aggiudicatrici individuano con priorità i bisogni che possono essere soddisfatti tramite la realizzazione di lavori finanziabili con capitali privati, in quanto suscettibili di gestione economica. Lo schema di programma triennale e i suoi aggiornamenti annuali sono resi pubblici, prima della loro approvazione, mediante affissione nella sede delle amministrazioni aggiudicatrici per almeno sessanta giorni consecutivi ed eventualmente mediante pubblicazione sui quotidiani.
Il programma triennale deve prevedere un ordine di priorità.
Nell'ambito di tale ordine sono da ritenere comunque prioritari i lavori di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati, i progetti esecutivi approvati nonché gli interventi per i quali vi sia la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario.
La giurisprudenza ha precisato che l'inclusione di un lavoro nell'elenco annuale è subordinata alla previa approvazione della progettazione preliminare, ex art. 14, comma 6, L. 11 febbraio 1994, n. 109, ora abrogato dal Codice dei contratti pubblici.
Il fatto che il programma triennale porti l'approvazione del progetto preliminare non comporta anche l’approvazione del progetto del cimitero Detta approvazione non è sufficiente a garantire l'osservanza della disposizione dell'art. 55, D.P.R. n. 285 del 1990.
L'inserimento di un'opera pubblica nell'elenco annuale delle opere pubbliche da realizzare non equivale certo alla approvazione del relativo progetto preliminare.

La giurisprudenza sottolinea la differenza fra l’approvazione del progetto è il suo inserimento nell'elenco annuale delle opere da realizzare.
La stessa disposizione della legge sui lavori pubblici prescrive che l'inserimento dell'opera nell'elenco presuppone che il relativo progetto preliminare sia stato previamente approvato (
T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 21 luglio 2003, n. 9298).

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