lunedì 26 ottobre 2015

Alimenti figlio maggiorenne


Corte di Cassazione, sezione I Civile, 
Sentenza 11 dicembre 2014 – 2 febbraio 2015, n. 1798

Con decreto del 9.03-11.05.2012 il Tribunale di Palermo respingeva il ricorso che V.G. aveva proposto ( nel gennaio del 2011) nei confronti dell’ex marito A.A., onde ottenere, in revisione delle condizioni del divorzio, l’aumento dell’assegno a quest’ultimo imposto per il mantenimento della figlia delle parti Laura, maggiorenne e studentessa universitaria, mentre accoglieva la domanda riconvenzionale dell’A., volta alla revoca di tale contribuzione.
Con ordinanza del 21.11-12.12.2012 la Corte di appello di Palermo in accoglimento del reclamo della G. ed in riforma del suddetto decreto, disponeva che per il mantenimento della figlia, convivente con la madre, l’A. corrispondesse alla moglie l’assegno di € 300,00 (trecento) mensili
La Corte territoriale, premetteva anche il richiamo all’orientamento giurisprudenziale per il quale l’obbligo dei genitori di concorrere tra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell’art. 148 c.c. non cessa, ipso facto, con il raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi, ma perdura, immutato, finché il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia
Tanto anche evidenziato, la medesima Corte riteneva che nella specie, non sembrava che la ventisettenne figlia delle parti, la quale aveva al suo attivo, come era dato rilevare dalla documentazione prodotta, un consistente numero di esami universitari, di cui cinque sostenuti nel corso del trascorso anno 2011, avesse tenuto un atteggiamento indolente
Alla stregua di tali considerazioni, si doveva concludere che, almeno allo stato, la reclamante G. fosse meritevole di fruire di un assegno di mantenimento per la figlia maggiorenne Laura con lei convivente, a carico dell’odierno reclamato, nella misura, reputata congrua, di € 300,00 mensili, nonché di fruire di un contributo, da parte dello stesso, nella misura del 50% in ordine alle spese scolastiche e sanitarie non coperte dal SSN.
Avverso questo provvedimento l’A. ha proposto ricorso per cassazione
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso l’A. denunzia:
1. “Violazione o falsa applicazione degli artt. 147, 148, 155 quinquies c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).”.
Censura l’impugnato provvedimento, contestando le connotazioni positive attribuite dalla Corte distrettuale ai contegni tenuti dalla figlia maggiorenne, sottolineando anche che occorre contemperare le regole sul mantenimento dei figli col principio di emancipazione ed autodeterminazione della persona umana ed assumendo che semmai la figlia avrebbe avuto diritto agli alimenti, peraltro non chiesti. Il motivo non ha pregio.
2. “Nullità della sentenza o del procedimento; violazione degli artt. 101, 115, 110, 738 c.p.c. (ex art. 360 n. 4 c.p.c.).”
Il ricorrente sostiene che la Corte d’Appello è incorsa in violazione del principio del contraddittorio, avendo fondato la propria decisione su nuovi documenti prodotti dalla controparte soltanto all’udienza di discussione del 26.10.2012 e non sottoposti al suo esame, giacché la causa era stata trattenuta in decisione nonostante la sua opposizione.
3. “Nullità della sentenza o del procedimento: violazione degli artt. 345, 346 c.p.c.
(ex art. 360 n. 4 c.p.c.), violazione del principio devolutivo dell’appello.” Si duole che la Corte d’Appello abbia valorizzato fatti e prove nuove (documenti relativi agli esami sostenuti), mai introdotte in precedenza.
Anche il secondo ed il terzo motivo del ricorso non meritano favorevole apprezzamento.
Premesso che i fatti nuovi di cui la G. aveva inteso fornire la prova inerivano all’esito positivo dell’impegno che la figlia delle parti aveva nel frattempo continuato a profondere negli studi universitari e quindi si mantenevano nell’ambito delle ragioni del reclamo, nei procedimenti in tema di famiglia retti dal rito camerale, le sopravvenienze e la relativa prova sono ammissibili e valutabili in sede d’impugnazione purché sia rispettato il principio nel contraddittorio.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna dell’A. soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’A. al pagamento, in favore della G., delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 2.500,00 per compenso ed in € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs n. 196 del 2003, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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