lunedì 26 ottobre 2015

appropriazione di denaro. truffa. peculato

Corte di Cassazione, sezione VI Penale
Sentenza 24 febbraio – 29 aprile 2015, n. 18015
fatto
  1. Con sentenza del 22 novembre 2013, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del 10 luglio 2009, con la quale il Gup del Tribunale di Nola ha condannato, a seguito di rito abbreviato, A.G. alla pena di anni sei di reclusione per i reati di peculato continuato (capo 1) e falso (capo B), commessi fino al gennaio 2009 (per essersi l’imputata, impiegata presso la Polizia Municipale del Comune di (omissis) , appropriata di somme di denaro consegnatele dagli utenti per pagare le multe,
  2. In risposta ai motivi d’appello, la Corte ha evidenziato: a) che A. non si limitava a svolgere una mansione meramente materiale ma, a prescindere dalla qualifica formale, svolgeva un’attività di tipo impiegatizio che comportava la cura del settore dei pagamenti delle sanzioni amministrative; b) che, in ogni caso, l’appellante appariva agli utenti titolata a ricevere le somme corrispondenti all’importo delle sanzioni elevate c) che non ricorrono i presupposti del falso grossolano – prospettata fra l’altro del tutto genericamente -, dal momento che i bollettini non apparivano ictu oculi contraffatti; d) che la pena base e gli aumenti per la continuazione sono congrui; e) che correttamente il giudice ha applicato gli aumenti per i reati ai quali è applicabile l’indulto dal momento che l’istituto estingue la sanzione ma non il reato; f) che non sussistono i presupposti per la circostanza attenuante del risarcimento del danno.
    2. Nel ricorso avverso la sentenza, l’Avv. Aniello Salvi, difensore di fiducia di A.G. , chiede l’annullamento della sentenza per violazione degli artt. 62 n. 6, 81 cpv e 314 cod. pen., per violazione della legge n. 241 del 2006 nonché per manifesta infondatezza, insufficienza e contraddittorietà della motivazione ed erronea applicazione di legge penale.
    3. Avverso la sentenza ha presentato ricorso anche l’Avv. Consiglia Fabbrocini, difensore di fiducia di A.G. , e ne ha chiesto l’annullamento per le seguenti ragioni:
    3.1. violazione di legge processuale in relazione all’art. 420-quater cod. proc. pen., per avere la Corte rigettato l’istanza del 5 novembre 2013 di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento nonostante lo stesso difensore avesse documentato un concomitante impegno professionale con imputati detenuti;
    3.2. violazione del diritto di difesa, per essere stata l’imputata erroneamente dichiarata “assente” e non “contumace”, con conseguente diritto della stessa ad avere la notifica dell’avviso di deposito della sentenza;
    3.3. violazione di legge penale in relazione agli artt. 62 n. 6, 81 cpv e 314 cod. pen., facendo difetto sia la qualifica soggettiva, sia la condotta materiale del reato di peculato;
    3.4. eccessiva gravosità della pena inflitta ed assenza di motivazione in ordine all’entità degli aumenti per la continuazione nonché omesso riconoscimento della circostanza attenuante dell’art. 62 n. 6 cod. pen., a fronte dell’offerta di risarcimento del danno rigettata dall’ente pubblico.
    4. In udienza, il Procuratore generale Dott. E. V. Scardaccione ha chiesto che il ricorso sia rigettato..
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato con limitato riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
2. Infondato è il primo motivo di natura processuale con il quale la ricorrente ha eccepito la nullità della sentenza per omesso rinvio dell’udienza camerale del giudizio abbreviato d’appello per legittimo impedimento del difensore, in quanto impegnato quale patrocinante in altro procedimento con detenuti.
3. Al riguardo giova rammentare che, secondo i consolidati principi di questa Corte regolatrice, il legittimo impedimento del difensore, quale causa di rinvio dell’udienza, non rileva nei procedimenti in camera di consiglio, per i quali è previsto che i difensori, il pubblico ministero e le altre parti interessate, siano sentiti solo se compaiono, sicché, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio, é sufficiente che vi sia stata la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza.
4. Inammissibile è il motivo con il quale il ricorrente ha eccepito la violazione del diritto di difesa, per essere stata l’imputata dichiarata erroneamente “assente” anziché “contumace”, con conseguente diritto dell’appellante a ricevere la notifica dell’avviso di deposito della sentenza.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel giudizio di appello contro le sentenze pronunciate con rito abbreviato non trova applicazione l’istituto della contumacia dell’imputato che, in caso di assenza, è rappresentato dal suo difensore; con la conseguenza che il termine per impugnare la decisione decorre, anche per l’imputato che non vi abbia presenziato, dalla data della lettura del dispositivo e della motivazione contestuale.
5. Infondati sono anche i motivi con i quali il ricorrente contesta l’integrazione della fattispecie di peculato ponendo in luce, per un verso, che in capo ad A.G. difetta la qualifica di pubblico ufficiale ovvero di incaricato di un pubblico servizio; per altro verso, che la condotta fraudolenta era strumentale ad ottenere disponibilità del denaro oggetto del reato e costituisce dunque un antecedente rispetto all’appropriazione, di tal che nella specie risulterebbe integrato il reato di truffa.
6. Con riguardo al primo profilo di doglianza, va posto in luce come, secondo i consolidati principi di legittimità, il reato di peculato è configurabile nella ipotesi in cui l’agente si appropri di somme di pertinenza della pubblica amministrazione che siano da lui riscosse dai privati, indipendentemente dalle modalità di riscossione ed anche a prescindere dall’irritualità del mezzo di pagamento perché in contrasto con le disposizioni normative ed organizzative dell’ufficio, laddove a costituire il possesso “per ragioni di ufficio” è sufficiente un qualsiasi rapporto che, comunque, si ricolleghi, anche di fatto, alle mansioni esercitate dall’agente.
Sotto diverso profilo, questa Corte ha evidenziato che il delitto di peculato, quale reato istantaneo, si consuma nel momento stesso in cui l’agente, in possesso di un bene altrui per ragioni di ufficio, ne dispone “uti dominus
Ancora, si è ribadito che il reato impossibile di cui al comma secondo dell’art. 49 cod. pen. è configurabile allorché la difformità dell’atto dal vero risulti riconoscibile “ictu oculi”, ovvero in base alla mera disamina dello stesso (Cass. Sez. 2, n. 5687 del 06/12/2012, P.G. in proc. Rahman Ataur, Rv. 255680; Cass. Sez. 2, n. 36631 del 15/05/2013, Procopio, Rv. 257063).
12. Manifestamente infondato è anche il motivo concernente l’omesso riconoscimento della circostanza attenuante dell’art. 62 n. 6 cod. pen., a fronte della motivazione svolta dal giudicante di merito sul punto, da ritenere adeguata e non sindacabile in questa Sede. Ed invero, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, ai fini della concessione dell’attenuante del risarcimento del danno, la riparazione deve essere integrale (ex plurimis Cass. Sez. 5, n. 13282 del 17/01/2013 – dep. 21/03/2013, Sanchez Jimenez, Rv. 255187).
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13. Fondato è invece il motivo concernente la dosimetria della pena, con specifico riguardo alla determinazione degli aumenti per la continuazione.
Nel commisurare la pena, i giudici di merito hanno fissato la pena base in anni tre e mesi due di reclusione; hanno ridotto detta pena per le circostanze attenuanti generiche in anni due e mesi cinque di reclusione; hanno poi aumentato la pena di un mese per il falso e, quindi, di mesi due per ciascun episodio in continuazione per complessivi anni sei e mesi sei, pervenendo alla pena complessiva di anni nove, poi ridotta per la diminuente del rito abbreviato.
Secondo il chiaro disposto normativo dell’art. 81, primo e secondo comma, cod. pen., ai fini della determinazione della pena del reato continuato, si deve innanzitutto procedere alla commisurazione della pena per il reato più grave – id est la cosiddetta pena base – e su di essa si deve poi operare l’aumento sino al triplo (della pena individuata quale base) per i cosiddetti reati satelliti. È ovvio che il concetto di “pena base” per l’illecito più grave si riferisca alla sanzione come determinata tenendo conto delle eventuali circostanze aggravanti o attenuanti concorrenti nel reato maggiore.
Ne discende che, nel caso di specie, fissata la pena base per il reato più grave in anni due e mesi cinque di reclusione, il decidente di merito non avrebbe potuto determinare l’aumento per i cosiddetti reati satelliti in misura superiore al triplo, vale a dire in misura complessivamente superiore a sette anni e tre mesi.
La sentenza deve pertanto essere annullata sul punto con rinvio alla Corte d’appello di Napoli per nuova determinazione della pena.
15. Trattandosi di annullamento limitatamente alla determinazione della pena e di rigetto nel resto del ricorso, con conseguente consolidamento del giudizio di penale responsabilità per i reati in contestazione da cui discende la responsabilità civile, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile; comune di …………. , spese che liquida in complessivi 2800 Euro, oltre a IVA e CPA.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli; rigetta nel resto il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile(comune di ……, spese che liquida in complessivi 2800 Euro, oltre a IVA e CPA.

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