martedì 20 ottobre 2015

Concussione

CAss. Pen. Sentenza 10 febbraio – 23 marzo 2015, n. 12520Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 10.12.2014 il Tribunale di Cagliari ha disposto nei confronti di quest’ultimo la custodia in carcere, aderendo alla qualificazione giuridica proposta dall’accusa di sussistenza di plurimi episodi di concussione da parte del predetto insegnante di matematica ai danni di sue allieve, costrette a prestazioni di natura sessuale contestate nei capi B), E), G), I), M) sub art. 609 bis e quater cod. pen.,
2. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore del M. deducendo inosservanza delle norme processuali e di altre norme giuridiche e mancanza ed illogicità manifesta e/o carenza di motivazione in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pena mancando quella necessaria esposizione delle specifiche esigenze cautelare e, in particolare, il pericolo di recidivanza, il pericolo di fuga e quello di inquinamento probatorio, ritenuti sussistenti in base a mere congetture e , comunque, apoditticamente, risultando provato in atti che dagli episodi contestati e risalenti al 2006 il ricorrente non aveva più avuto approccio diverso con gli alunni. Mancherebbe, quindi, il necessario apprezzamento della esclusiva adeguatezza della misura carceraria imposta.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
2. Ritiene la Corte che è ineccepibile il giudizio espresso dal Tribunale adito che del tutto correttamente ha applicato il più autorevole e recente arresto del massimo organo di nomofilachia secondo il quale il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita
 si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.(Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, Maldera e altri, Rv. 258470).
In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta. In particolare, ha spiegato la Corte, « non mancano casi in cui, per assicurare la corretta qualificazione giuridica del fatto come concussione piuttosto che come induzione indebita, non si può prescindere dal confronto e dal bilanciamento tra i beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale: quello oggetto del male prospettato e quello la cui lesione consegue alla condotta determinata dall’altrui pressione. Può accadere, infatti, che il privato, nonostante abbia conseguito, prestando acquiescenza all’indebita richiesta del pubblico agente, un trattamento preferenziale, si sia venuto sostanzialmente a trovare in uno stato psicologico di vera e propria costrizione, assimilabile alla coazione morale di cui all’art. 54, comma terzo, cod. pen., con conseguente decisiva incidenza negativa sulla sua libertà di autodeterminazione. Il riferimento è a quelle situazioni in cui l’extraneus, attraverso la prestazione indebita, intende soprattutto preservare un proprio interesse di rango particolarmente elevato (si pensi al bene vita, posto in pericolo da una grave patologia); oppure, di fronte ad un messaggio comunque per lui pregiudizievole e al di là del danno ingiusto o giusto preannunciato, sacrifica, con la prestazione indebita, un bene strettamente personale di particolare valore (libertà sessuale), e ciò in spregio a qualsiasi criterio di proporzionalità, il che finisce con l’escludere lo stesso concetto di vantaggio indebito.».
2.2. Invero, all’esito di una ampia, analitica ed articolata disamina delle emergenze indiziarie sottostanti ai diversi episodi, il Tribunale ha qualificato i fatti nell’ambito della ipotesi concussiva ritenendo che la volontà delle allieve fu pesantemente coartata oltre che dall’abuso di potere, dall’implicita o esplicita prospettazione che, non aderendo alle pretese di favori sessuali, avrebbero avuto ripercussioni nella vita scolastica e privata, così – senza possibilità di scelta – sacrificando la propria libertà sessuale.
4. Anche i motivi afferenti al profilo delle esigenze cautelare ed al giudizio di adeguatezza della misura adottata sono inammissibili perché generici ed in fatto.
5. Invero, con motivazione del tutto scevra da vizi logici e giuridici, il Tribunale – pur considerando il cospicuo decorso del tempo dai fatti – ha fatto leva sulla gravità dei fatti e sull’attualità del pericolo concreto di reiterazione della condotta con altre violazioni analoghe nonché sul pericolo di inquinamento probatorio. In particolare, ha considerato la natura seriale della sistematica condotta di accerchiamento delle vittime, scelte oculatamente tra quelle non in grado di ribellarsi: l’indagato approfittava della loro condizione di inferiorità psichica per soddisfare la sua concupiscenza ossessivamente presente nel discorrere scolastico quotidiano
6. Quanto alla inadeguatezza della misura domiciliare, la ordinanza ha fatto correttamente leva sulla insensibilità del ricorrente ai vari procedimenti disciplinari ed alle proteste dei genitori, considerandole espressione della incapacità di autodisciplina; in uno alla inadeguatezza dello stesso domicilio per gli strumenti informatici a disposizione, alla tutela delle esigenze ravvisate nella specie volte alla efficace recisione di ogni possibilità di contatto con le parti offese e con l’ambiente che l’indagato ha dimostrato di saper condizionare pesantemente.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

Nessun commento:

Posta un commento