martedì 13 ottobre 2015

Costituisce reato l'omissione del rilascio di un permesso di costruire o la mancanza di provvedimenti sanzionatori da parte dell'amministrazione comunale?

Costituisce reato l'omissione del rilascio di un permesso di costruire o la mancanza di provvedimenti sanzionatori da parte dell'amministrazione comunale?
Costituisce abuso d'ufficio il rilascio di provvedimenti autorizzativi in contrasto con la normativa di piano?

 1  Il reato di omissione di atti nel procedimento di rilascio di permesso a costruire
Il procedimento di rilascio del permesso di costruire è previsto dall'art. 20, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
In attuazione a tali criteri di semplificazione procedurale è stato creato lo sportello unico per l'edilizia che deve essere istituito dalle amministrazioni comunali (1).
Esso ha il compito di fornire al cittadino tutte le informazioni in materia di costruzioni e, soprattutto, di curare i rapporti tra l'amministrazione comunale, il privato e le altre amministrazioni chiamate a pronunciarsi sull'intervento edilizio, ex art. 5, 2° co., lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
L'art. 5, c. 4, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, identifica gli atti di assenso che devono essere acquisiti dall'ufficio dello sportello unico come, ad esempio, l'autorizzazione regionale per le costruzioni in zone sismiche o gli atti di assenso previsti dal T.U. sui beni culturali ed ambientali.
Fra i pareri obbligatori non è più contemplato quello della commissione edilizia la cui formazione è condizionata dalle disposizioni del regolamento edilizio comunale.
Lo sportello unico comunica entro dieci giorni il nominativo del responsabile del procedimento.
La fase preparatoria al provvedimento è affidata al responsabile del procedimento che deve valutare la conformità del progetto alla normativa vigente e formulare una proposta di provvedimento entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda, ex art. 20, c. 3, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Viene ribadito che l'esame delle domande si svolge secondo l'ordine di presentazione.
Tale impostazione appare in linea con quanto disposto dall'art. 107 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che attribuisce ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dall'organo politico, secondo le modalità stabilite dallo statuto e dai regolamenti dell'ente.
Rientrano in tali compiti i provvedimenti di assenso, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, comprese le autorizzazioni e i permessi di costruire.
Il responsabile deve richiedere d'ufficio le modifiche necessarie a rendere conforme il progetto alla normativa vigente.
Il termine relativo all'emanazione del provvedimento può essere interrotto una sola volta per richiedere integrazioni alla domanda.
La fase consultiva, ove sia necessaria, viene realizzata attraverso la convocazione di una conferenza di servizi.
Essa deve esser convocata anche su richiesta del richiedente entro i termini previsti dall'art. 14, L. 241/1990.
I termini per la conclusione del procedimento sono tassativi.
Il responsabile del procedimento ha sessanta giorni dal momento della presentazione della domanda ovvero dalla data di integrazione della documentazione per curare l'istruttoria e formulare la proposta di provvedimento.
La integrazione istruttoria può essere richiesta una sola volta ed entro 15 giorni dalla domanda; il termine appare di carattere ordinatorio, se fosse tassativo si incentiverebbe la presentazione di progetti carenti di documentazione.
La fase costitutiva è demandata al responsabile del procedimento che deve valutare i pareri formulati dalle altre amministrazioni nella conferenza di servizio.
Entro quindici giorni dalla scadenza del termine della formulazione della proposta o dall'esito della conferenza di servizio il responsabile del procedimento deve emanare il provvedimento conclusivo.
Sembra esclusa ogni possibilità di diniego che non trovi motivazione in una tassativa disposizione di legge.
Le ipotesi sono due: o entro il termine dei settantacinque giorni — sessanta per formulare la proposta e quindici per redigere il provvedimento — si addiviene alla rituale fase costitutiva con la firma del provvedimento da parte del responsabile e la notifica al richiedente o, scaduto il termine, si inizia la fase di tutela giurisdizionale o la fase sostitutiva da parte della regione.
Il silenzio sulla richiesta a provvedere non ha effetti costitutivi in ordine alla nascita di un diritto a costruire, ma consente l'avvio della tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo o di procedure sostitutive.
Decorso il termine per l'adozione del provvedimento la domanda di permesso di costruire si intende rifiutata, art. 20, 9° co., D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con la possibilità di impugnare il silenzio rifiuto richiedendo l'eventuale risarcimento del danno.
Scaduto il termine per la emanazione del provvedimento il richiedente può attivare l'intervento sostitutivo della regione, inoltrando apposita domanda allo sportello unico affinché il responsabile del procedimento si pronunci entro quindici giorni.
Tale domanda deve essere comunicata al sindaco al fine di consentirgli la verifica procedimentale onde evitare l'intervento sostitutivo.
Decorso inutilmente anche questo termine l'interessato può inoltrare richiesta di intervento sostitutivo al competente organo regionale il quale, nei successivi quindici giorni, nomina un commissario ad acta che deve provvedere entro sessanta giorni.
Trascorso detto termine si intende rifiutata anche la domanda di intervento sostitutivo, con conseguente possibilità di impugnativa giurisdizionale, ex art. 21, c. 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Rimane la possibilità di esercitare l'azione penale.
L'ipotesi praticabile è quella dell'art. 328, c. 2, c.p., che sanziona l'omissione per il mancato rilascio di un permesso di costruire senza motivazioni, pur dopo la diffida ad adempiere ritualmente notificata a mezzo di ufficiale giudiziario, trattandosi di pubbliche amministrazioni.
Il giudice ha condannato alla pena di euro 140 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto il soggetto attivo del reato, quale responsabile del servizio edilizia privata del Comune, non aveva provveduto a definire il procedimento amministrativo relativo alla domanda di permesso di costruire avanzata né ha esposto le ragioni del ritardo, nonostante la formale richiesta notificatagli dall'interessato.
La prova della responsabilità penale dell'imputato derivava dai documenti acquisiti agli atti, dalle dichiarazioni dell'imputato e da quelle delle persone informate sui fatti, essendo stata acclarato che l'imputato, pur avendo sollecitato un geometra dell'ufficio affinché accertasse se fosse pervenuta la richiesta documentazione integrativa, non concluse la procedura amministrativa né comunicò le ragioni del ritardo entro il termine di trenta giorni dalla intimazione dell'interessato né successivamente (2).
La giurisprudenza, peraltro, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, richiede la prova della consapevolezza del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta all'intimazione del privato; indagine che deve essere particolarmente accurata in presenza di tempestive iniziative adottate ai fini della istruzione della pratica, di cui il privato sia stato messo a conoscenza. Nella fattispecie gli impedimenti di carattere formale che non avevano permesso la definizione della procedura essendoci discordanze tra le planimetrie presentate e dati catastali, di cui era stato messo a conoscenza l'istante. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, l'art. 328 c.p., c. 2 richiede la prova della consapevolezza del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio di avere ingiustificatamente omesso di dare risposta all'intimazione del privato, indagine che deve essere particolarmente accurata in presenza di tempestive iniziative adottate ai fini della istruzione della pratica, di cui il privato sia stato messo a conoscenza (3).
La giurisprudenza ha escluso che i provvedimenti in materia edilizia ed urbanistica possano considerarsi emessi per ragioni di giustizia, possedendo tale ragione esclusivamente quegli atti che ineriscono obiettivamente ad una funzione giudiziaria per la pronta attuazione del diritto obiettivo e diretti a rendere possibile o più agevole l'attività del giudice, del p.m. o degli ufficiali di polizia giudiziaria. La configurazione del reato di omissione prevede, pertanto, obbligatoriamente la preventiva diffida ad adempiere (4).
 2  Il reato di omissione nell'attività comunale di vigilanza sugli abusi edilizi
Ben più severa è la posizione della giurisprudenza nei confronti delle eventuali omissioni degli amministratori nell'attività comunale di vigilanza sugli abusi edilizi.
In tal caso si rientra nell'ipotesi di cui all'art. 328, c. 1, c.p., poiché l'atto di controllo è atto che per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene o sanità deve essere compiuto senza ritardo, come recita l'art. 328, c.p., mod. dall'art. 16, L. 86/1990.
Il reato si realizza immediatamente.
L'accusa deve provare in primo luogo la conoscenza da parte dell'amministrazione della situazione di abusivismo perché, ad esempio, la stessa è stata comunicata da una o più persone o sia nota per atti che provengono dagli stessi uffici, ed in secondo luogo che il rifiuto ad adempiere o la mancata risposta per esporre le ragioni del ritardo si sia protratto oltre i tempo tecnico che richiede l'intervento repressivo.
La giurisprudenza ha precisato che il dirigente dell'ufficio — che è l'autorità a cui è conferito per legge il potere di vigilanza — ha l'obbligo giuridico di intervenire con urgenza, tale intervento non può essere inquadrato nell'attività discrezionale bensì è imposto dalla legge come atto dovuto (5).
In caso di annullamento di un permesso di costruire da parte del T.A.R. l'emanazione, da parte del sindaco, dell'ordine di demolizione della costruzione abusiva costituisce atto dovuto per ragioni di giustizia, il cui compimento deve quindi avvenire senza ritardo, ai sensi dell'art. 328, c. 1, c.p.
Deve, pertanto, ritenersi consumato il reato previsto da tale disposizione normativa quando l'adempimento in questione, in assenza di un termine stabilito nella decisione del giudice amministrativo, venga procrastinato oltre la data della prima riunione della giunta comunale dopo il ricevimento formale della notizia di detta decisione ed il decorso dei termini per l'eventuale impugnazione; tempi, questi, da ritenere ragionevolmente esauribili, al massimo, in 180 giorni.
È invece da escludere che il momento in cui il reato si consuma possa essere individuato in quello in cui il sindaco cessa dalla sua carica, atteso che una tale interpretazione potrebbe legittimare sine die il rifiuto di compiere l'atto d'ufficio per tutto il tempo della durata in carica del pubblico ufficiale (6).
La giurisprudenza ha, invece, sancito che non integra il reato di omissione di atti d'ufficio, ai sensi dell'art. 328, c. 2, c.p., la mancata ottemperanza da parte del sindaco alle sollecitazioni dell'assessorato regionale territorio e ambiente in ordine agli interventi repressivi e sanzionatori di violazioni edilizie commesse nel territorio comunale. E entrambe le amministrazioni coinvolte sono tenute ad una collaborazione nell'assicurare la vigilanza sull'attività edilizia, non potendosi ravvisare in capo all'assessorato regionale un interesse giuridicamente qualificato nei confronti dell'amministrazione comunale.
Fattispecie nella quale è stato escluso che ricorresse il reato in esame a carico di un sindaco che, secondo l'ipotesi accusatoria, aveva omesso di dare risposta alle reiterate richieste di un assessorato provinciale in merito agli atti adottati per la repressione di violazioni edilizie (7).
 3  Il reato di abuso d'ufficio
Il reato di abuso in atti di ufficio, previsto dall'art. 323 del c.p., è stato modificato dalla L. 12 aprile 1990, n. 86 che ha fatto confluire in un unico reato le originarie figure di peculato per distrazione, interesse privato e abuso innominato.
Il reato è punito a titolo di dolo specifico sicché, alla cosciente e volontaria condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio di abusare del suo ufficio, deve accompagnarsi la cosiddetta finalizzazione della condotta stessa, integrante appunto la specificità del dolo.
L'art. 323 del c.p. è stato modificato dalla L. 234 del 1997. La norma dispone che salvo che il fatto non costituisca un più grave reato il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.
La ratio della L. 234 del 1997 è di limitare l'ambito di applicabilità dell'art. 323 del c.p., al fine di evitare abusi nell'accertamento del reato di abuso, attraverso una precisa determinazione del fatto punibile.
La modifica è stata richiesta da più parti, per porre un freno al dilagare delle incriminazioni per abuso d'ufficio e, di conseguenza, al moltiplicarsi dei procedimenti penali che spesso si concludono con l'assoluzione dell'imputato.
Il legislatore ha ritenuto necessario dare certezza all'azione amministrativa; i ritardi o addirittura i blocchi di attività, soprattutto nei settori subordinati alla discrezionalità della pubblica amministrazione, erano attribuiti al terrore della firma, provocato dall'eccesso di interventi del potere giudiziario nell'ambito della pubblica amministrazione.
Il reato è configurabile solo qualora si concretizzi un danno effettivo provocato dall'abuso.
Esso può consistere nell'avere procurato a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o nell'avere causato ad altri un danno ingiusto.
Interpretando la dizione precedente di cui all'art. 323, c. 2 c.p., la giurisprudenza ha precisato il contenuto del vantaggio patrimoniale, affermando che per l'integrazione del reato di abuso di ufficio è necessario che il vantaggio avuto dall'agente risulti apprezzabile in termini patrimoniali.
Il vantaggio deve avere un connotato di intrinseca patrimonialità, essendo irrilevante che esso possa essere rivolto o strumentalizzato dal soggetto favorito a conseguire utilità valutabili solo indirettamente sotto l'aspetto patrimoniale.
La mera eventualità della natura patrimoniale del vantaggio non è idonea a caratterizzare, teleologicamente, con certezza e concretezza, il dolo specifico dell'autore della condotta. (Cass. pen., sez. VI, 19 gennaio 1996, in Giust. pen., 1997, II, 157).
Il legislatore, nel delineare la nuova fattispecie, dà carattere di concretezza ad una condotta da ritenersi punibile, individuandone gli aspetti tipici ed evitando così “abusi” ed eccessi nell'interpretazione giurisprudenziale.
L'elemento del dolo che prima è stato elemento essenziale ora perde la sua consistenza.
Il nuovo abuso d'ufficio è un reato di danno.
Non si tratta più, quindi, del contenuto del dolo specifico consistente nell'avvantaggiare sé o altri o nel danneggiare qualcuno.
L'abuso non patrimoniale mantiene rilevanza penale solo qualora venga arrecato un danno ad altri intenzionalmente; è abrogato, invece, il tipo di abuso che mira a procurare un vantaggio non patrimoniale, rendendo così particolarmente difficili i controlli sui cosiddetti microabusi.
Il reato di abuso d'ufficio è stato modificato dal legislatore da delitto a consumazione anticipata e a dolo specifico a delitto di evento.
Il reato non sussiste più quando si manifesta solo l'intenzione di avvantaggiare o di danneggiare, ma esso consiste nell'effettiva produzione di un vantaggio o di un danno.
Tale vantaggio, inoltre, deve essere patrimoniale; ne consegue che l'abuso si concretizza solo se l'imputato ha procurato a sé o ad altri un beneficio economicamente valutabile.
Qualora, pertanto, si tratti di abuso volto a procurare un ingiusto vantaggio non patrimoniale — ai sensi dell'abrogato art. 323, c. 1, c.p. — si verifica una vera e propria abolitio criminis e, quindi, comportamenti di questo tipo non costituiscono più reato e debbono cessare gli effetti penali delle condanne ad essi relative.
 3.1  Il rilascio di provvedimenti autorizzatori
L'abuso d'ufficio può consistere nel rilascio di provvedimenti autorizzatori in contrasto con la normativa di piano.
Affinché la violazione di legge o di regolamento possa integrare, insieme con gli altri elementi richiesti dall'art. 323, c.p., il delitto di abuso di ufficio occorrono due presupposti.
Il primo di essi è che la norma violata non sia genericamente strumentale alla regolarità dell'attività amministrativa, ma vieti puntualmente il comportamento sostanziale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio.
Il secondo presupposto è che l'agente violi leggi e regolamenti che di questi atti abbiano i caratteri formali ed il regime giuridico, non essendo sufficiente un qualunque contenuto materialmente normativo della disposizione trasgredita.
Integra il delitto di abuso d'ufficio, trattandosi di condotta che viola specifiche norme di legge, il rilascio da parte del responsabile del procedimento di un permesso di costruire contrario alle disposizioni del vigente piano regolatore.
Simile conclusione non collide con il principio di legalità poiché, se è vero che il piano regolatore non può equipararsi al regolamento richiamato dallo stesso art. 323 c.p., la condotta sopra descritta viola direttamente la legge e precisamente le norme della L. n. 1150 del 1942. La norma statuisce che i pareri e gli atti del pubblico ufficiale in relazione a domande di permesso di costruire debbano essere conformi a quanto previsto dai piani regolatori; in tal caso, infatti, il provvedimento amministrativo svolge una funzione integrativa rispetto agli elementi normativi del fatto (8).
È configurabile il reato di abuso di ufficio nell'ipotesi di rilascio di permesso edilizio in contrasto con gli strumenti urbanistici generali — e, segnatamente, al piano integrato di recupero e riqualificazione urbana — stante la loro natura di atti da ritenersi equiparati alle norme regolamentari la cui violazione è richiesta ai fini della configurabilità dell'art. 323 c.p.
Il rilascio di titolo abilitativo illegittimo costituisce il presupposto di fatto della violazione della normativa primaria in materia edilizia alla quale deve comunque farsi riferimento quale dato strutturale della fattispecie criminosa (9).
Il rilascio del permesso di costruire in violazione dello strumento urbanistico generale — che subordinava l'utilizzazione delle aree in causa alla previa formazione dello strumento attuativo — lede il disposto dell'art. 31, L. 17 agosto 1942, n. 1150, che prescrive la conformità della stessa concessione alle previsioni dello strumento urbanistico in vigore nel territorio comunale. La condotta illecita del sindaco che violi dette disposizioni si configura, senza che si possa ritenere violato il principio di stretta legalità vigente in materia penale, come violazione di legge in quanto le prescrizioni di piano alle quali detta legge si richiama rappresentano solo dei presupposti di fatto della violazione della legislazione in materia di edilizia. La violazione integra un elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 323 c.p. (10).
Integra gli estremi del reato di abuso di ufficio, secondo la formulazione di cui all'art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234, il comportamento dell'amministratore comunale che rilasci autorizzazioni in precario per la realizzazione di manufatti non connotati dal requisito della provvisorietà o da quello della pertinenzialità (11).
La giurisprudenza ritiene che ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio può costituire violazione di legge anche quella che si traduca nel vizio di incompetenza cosiddetta relativa, quale previsto dall'art. 21 octies L. n. 241/1990.
Nel caso di specie il soggetto attivo avrebbe richiesto adempimenti non dovuti e non di sua competenza. Nella specie il reato era stato ipotizzato a carico di un assessore comunale e di un dirigente amministrativo cui veniva fatta risalire la responsabilità di una delibera di Giunta. La materia era riservata, invece, al Consiglio comunale. Il dirigente, inoltre, aveva indebitamente imposto ad un privato, come condizione per il rilascio di una concessione edilizia, la presentazione e l'approvazione di un preliminare di piano di sistemazione urbanistica (12).
 3.2  Il rilascio di provvedimenti autorizzatori in sanatoria
L'abuso d'ufficio può consistere nel rilascio di provvedimenti autorizzatori in sanatoria in contrasto con la normativa di piano ovvero nell'omessa vigilanza sull'attività edilizia.
Un orientamento giurisprudenziale ha affermato che integra la violazione di legge, rilevante ai fini della configurabilità del reato, il rilascio di una concessione edilizia in sanatoria da parte del responsabile del settore urbanistico del Comune per un'opera non conforme agli strumenti urbanistici generali in vigore nel territorio comunale. Fattispecie in tema di rilascio di concessione edilizia in sanatoria per opere realizzate in zona inedificabile nella quale la Corte ha altresì affermato che costituisce ingiusto vantaggio patrimoniale l'incremento del valore commerciale dell'immobile (13).
Nel caso di specie è stato ravvisato il rato di abuso di ufficio nell'ambito di una procedura di sanatoria edilizia che si assume illegittima, attuata allo scopo di procurare ai richiedenti un ingiusto vantaggio di natura patrimoniale. In particolare la condotta integrante la regiudicanda è scandita dalla adozione di due atti amministrativi che perimetrano la illegittimità della sanatoria edilizia. Da un lato un parere favorevole al rilascio di concessione in sanatoria in favore della parte privata beneficiaria della teleologica deviazione dell'attività amministrativa emesso dalla commissione edilizia comunale. Il parere è stato espresso dai pubblici ufficiali in dispregio della normativa urbanistica. Dall'altro lato e consecutivamente nella emissione da parte del dirigente dell'ufficio tecnico comunale della concessione edilizia in sanatoria (14).
La giurisprudenza ha, però, sottolineato che, ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo del delitto di abuso d'ufficio, l'esistenza di una collusione tra il privato ed il pubblico ufficiale non può essere dedotta dalla mera coincidenza tra la richiesta dell'uno e il provvedimento adottato dall'altro, essendo invece necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra i predetti soggetti ovvero altri dati di contorno dimostrino che la domanda del privato sia stata preceduta, accompagnata o seguita dall'accordo con il pubblico ufficiale o, comunque, da pressioni dirette a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo. Fattispecie relativa all'illegittimo rilascio di una concessione edilizia in sanatoria (15).
 3.3  Il rilascio di provvedimenti autorizzatori da parte del commissario ad acta
Può incorrere nel reato anche il commissario ad acta scelto dal giudice amministrativo per sostituirsi al comune inadempiente. Nel caso di specie si trattava della decisione relativa al rilascio di un permesso di costruire per ampliamento di un albergo.
Anche la funzione giurisdizionale — quale è indubbiamente quella svolta dal commissario, in qualità di organo del giudice dell'ottemperanza, chiamato a dare esecuzione al giudicato — si presta, infatti, a dolose strumentalizzazioni realizzate per finalità proprie o altrui; in ordine al caso specifico del commissario ad acta occorre valutare il tipo di attività svolta e l'entità del potere discrezionale di cui dispone e le forme attraverso cui questo viene esercitato.
Qualora nello svolgimento delle sue funzioni il commissario ad acta adotti dolosamente un atto contra legem al fine di recare vantaggio al destinatario di esso, si considera integrato il reato di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p.. Il reato è oggetto della competenza giurisdizionale del giudice penale il quale può incidentalmente sindacare la legittimità del provvedimento medesimo sotto ogni profilo, superando altresì, in senso negativo, la presunzione di conformità che ad esso si accompagna (16).
 3.4  Il rilascio di provvedimenti autorizzatori contrastanti con la legge quadro sulle aree protette
L'abuso d'ufficio può consistere nell'illecito rilascio di provvedimenti assentivi contrastanti con la legge quadro sulle aree protette.
Costituisce violazione di legge la condotta dell'assessore comunale che autorizza un privato a esercitare l'attività di deposito autovetture in area sita in zona C) sita all'interno del Parco Ticino.
Tale provvedimento contrasta, infatti, con l'art. 11 c. 3, L.R. Lombardia 22 marzo 1980, n. 33, che vieta nella predetta zona del parco l'insediamento di nuovi impianti produttivi; non rileva la diversa previsione del p.r.g. del comune interessato, posto che in forza dell'art. 2 della L.R. 33/1980, la normativa relativa al Parco Ticino prevale sulle difforme prescrizioni degli strumenti urbanistici.
La predetta condotta, inoltre, è in contrasto con l'art. 13, L. 6 dicembre 1991, n. 394, che subordina il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative a interventi nell'area del parco al preventivo nulla osta dell'Ente Parco (17).
 3.5  L'omessa vigilanza sull'attività edilizia
L'abuso d'ufficio può consistere nell'omessa vigilanza sull'attività edilizia.
La giurisprudenza afferma che risponde di abuso d'ufficio il dirigente dell'ufficio tecnico di un comune che, informato dell'inizio dei lavori prima del rilascio del titolo abilitativo, non si adoperi per la sospensione degli stessi e la revoca del provvedimento.
A nulla rileva la circostanza che la conoscenza della violazione è avvenuta successivamente al rilascio del permesso di costruire poiché ciò che importa è appunto il dato di fatto che le opere erano state iniziate prima del rilascio del provvedimento e quindi in palese assenza delle stesse sicché dovevano ritenersi illegittime (18).
 3.6  La illecita partecipazione a deliberazioni di adozione di provvedimenti pianificatori
La sola partecipazione a delibere di approvazione di piano regolatore qualora vi siano interessi personali integra il reato di abuso di ufficio.
Il consigliere comunale non ha il dovere di astenersi da delibere di approvazione di piani regolatori generali, trattandosi di atto finale di un procedimento complesso in cui confluiscono e si compensano molteplici interessi, collettivi o individuali, sicché il voto espresso dal singolo amministratore non riguarda una specifica prescrizione ma il contenuto generale dell'atto. Sussiste invece il dovere di astensione, ed è conseguentemente configurabile il reato in caso di mancata astensione, qualora si tratti di partecipazione a delibere su opposizioni al piano regolatore generale riconducibili a interessi personali sia propri dell'amministratore sia di un prossimo congiunto (19).
La giurisprudenza ha precisato che anche dopo la riforma dell'art. 323, c.p., introdotta con l'art. 1, L. 16 luglio 1997, n. 234, sotto il profilo della violazione di legge, ex art. 279, T.U. 1934, n. 383, con specifico riferimento all'inottemperanza del dovere di astensione, la condotta dell'amministratore comunale che partecipi alla deliberazione di approvazione di variante di piano regolatore configura il reato di abuso di ufficio.
È necessario che si ravvisi un interesse concreto proprio o di un prossimo congiunto, nonostante l'atto in questione abbia la natura di atto amministrativo di carattere generale.
Nella specie, a seguito dell'approvazione della variante, divenivano edificabili alcuni terreni di proprietà dei congiunti dell'amministratore comunale (20).

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