venerdì 16 ottobre 2015

risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di intervento chirurgico

Corte di Cassazione sezione III Civile
sentenza 5 maggio – 29 settembre 2015, n. 19212

Con sentenza del 13/11/2012 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dalla sig. E.C.J. in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 39600/03, di rigetto della domanda proposta di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di intervento chirurgico effettuato presso la clinica (OMISSIS), oltre che come convenuto al ginocchio destro lesionato in conseguenza di caduta su pista da sci, anche a quello sinistro, non lesionato e per il quale non aveva prestato consenso.

Motivi della decisione
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 1324, 2722 c.c., 12 disp. prel. c.c., in relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Si duole che la corte di merito abbia posto a fondamento dell’impugnata decisione prove testimoniali erroneamente assunte, in quanto volte a provare patti aggiunti o contrari a quelli in precedenza concordati in ordine all’intervento chirurgico da effettuarsi.
I motivi  sono fondati e vanno accolti p.q.r. nei termini e limiti di seguito indicati.
Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamento per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).
Ai sensi dell’art. 32, 2 co., Cost. (in base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), dell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica) e dell’art. 33 L. n. 833 del 1978 (che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.) esso è a carico del sanitario, il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.
Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, e in particolare in ordine alla possibilità che ne consegua (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638) un aggravamento delle condizioni di salute del medesimo, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444).
Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854).
Si è al riguardo ulteriormente precisato che l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di relativa mancata prestazione da parte del paziente (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854. Cfr. altresì Cass., 16/05/2013, n. 11950, che ha ritenuto preclusa ex art. 345 c.p.c. la proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, in quanto costituente domanda nuova rispetto a quella – proposta in primo grado – basata sulla mancata prestazione del consenso informato, differente essendo il rispettivo fondamento).
Trattasi di due distinti diritti.
Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, 2 co., Cost.).
Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1 co., Cost.) (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060, e da ultimo Cass., 6/6/2014, n. 12830).
Si è al riguardo precisato che, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente, è onere del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 20/8/2013, n. 19920).
In mancanza di consenso informato l’intervento del medico – al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – è pertanto sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791).
Presuntiva può essere invece la prova che un consenso informato sia stato effettivamente ed in modo esplicito prestato, ed il relativo onere ricade sul medico (cfr. Cass., 27/11/2012, n. 20984).
Si è da questa Corte ad esempio ritenuto non validamente prestato un consenso ottenuto mediante la sottoposizione al paziente, ai fini della relativa sottoscrizione, di un modulo del tutto generico, non essendo in tal caso possibile desumere con certezza che il paziente abbia ricevuto le informazioni del caso in modo esaustivo (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791).
A tale stregua deve allora ritenersi a fortiori inidoneo un consenso come nella specie dalla paziente asseritamente prestato oralmente.
 Sotto altro profilo, quanto alla domanda risarcitoria diretta a far valere la responsabilità professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, in accordo con quanto osservato anche in dottrina va ribadito che il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata alla natura dell’attività esercitata (secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni tecniche il debitore rimanga esentato dall’adempiere l’obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell’attività esercitata); mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore di attività (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222).
Al professionista (e a fortiori allo specialista) è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12995) e allo standard professionale della sua categoria.
L’impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativo della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222; Cass., 9/10/2012, n. 17143).
La condotta di adempimento della dovuta prestazione medica va allora valutata sotto i segnalati profili della diligenza qualificata e della buona fede o correttezza, dovendo al riguardo altresì accertarsi se le conseguenze dannose verificatesi all’esito dell’evento lesivo siano, sotto il profilo del più probabile che non (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi alla detta condotta causalmente astrette (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
Orbene, i suindicati principi risultano essere stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
In particolare là dove ha affermato che “un primo elemento – di carattere presuntivo, avuto riguardo alla evidente riconoscibilità dell’atto operatorio contrastante con la tesi dell’appellante, va individuato nella mancata contestazione della prestazione asseritamente infedele nella immediatezza dell’intervento o in occasione della consegna del foglio di dimissione o, ancora, dell’acquisizione della cartella clinica, nonché nella successiva, almeno temporanea, acquiescenza all’intervento, che inducono a ritenere l’esistenza della consapevolezza, da parte della paziente, circa l’eventualità di intervenire anche sull’altro ginocchio”; e che “ai fini informativi e di acquisizione del consenso” non è “richiesta indispensabilmente la forma scritta”.
Affermazioni invero erronee alla stregua di quanto più sopra rilevato ed esposto, nonché contraddittorie e illogiche, non risultando al riguardo dalla corte di merito spiegato come mai, avendo ricevuto dalla paziente il consenso scritto per l’operazione al ginocchio destro, il chirurgo si sia indotto ad operare (anche) quello sinistro, sulla base di un consenso asseritamente acquisito verbalmente dalla paziente, che non conosceva nemmeno l’italiano.
Dell’impugnata sentenza, assorbiti ogni altro profilo e diversa questione, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

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