lunedì 26 ottobre 2015

stalking

Corte di Cassazione sezione V Penale
sentenza 20 maggio – 10 luglio 2015, n. 29859
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 31 ottobre 2014, ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia dell’11 aprile 2014 che aveva condannato N.Y. per il delitto di atti persecutori in danno dell’ex compagna e madre del loro figlio D.M.L..
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, personalmente, lamentandone una violazione di legge e il difetto di motivazione in merito alla effettiva ricostruzione dello svolgimento dei fatti e alla affermazione della penale responsabilità per il contestato delitto di cui all’articolo 612 bis cod.pen..
Considerato in diritto
  1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato il relativo motivo.
    2. Può, preliminarmente, affermarsi come al Giudice di legittimità resti tuttora preclusa, in sede di controllo della motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto.
    Inoltre, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, sia ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il Giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice (v. Cass. Sez. IV 3 febbraio 2009 n. 19710).
    Nel caso di specie, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al Tribunale e, dopo avere preso atto delle censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione della responsabilità dell’imputato.
    3. Come è noto, poi, il reato di cui all’articolo 612 bis cod.pen., introdotto dal D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, articolo 7, convertito nella L. 23 aprile 2009, n. 38, delitto abituale di evento, secondo la costante e prevalente giurisprudenza di legittimità, condivisa dal Collegio è configurabile quando, come previsto dalla menzionata disposizione normativa, il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, abbia cagionato nella vittima o un grave e perdurante stato di turbamento emotivo
    Nella specie, la Corte territoriale con accertamenti in fatto, incensurabili in quanto logicamente motivati ha chiarito come le condotte persecutorie ascritte all’odierno ricorrente fossero corroborate da numerose testimonianze dettagliate
  2. bastando, inoltre, ad integrare la reiterazione quale elemento costitutivo del suddetto reato come dianzi affermato, anche due sole condotte di minaccia o di molestia (v. Cass. Sez. V 1 dicembre 2010 n. 8832, Sez. V 11 gennaio 2011 n. 7601 e Sez. V 09 maggio 2012 n. 24135).
    Trattasi, in tutta evidenza, di un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è, dunque, idonea ad integrarlo (v. Cass. Sez. V 19 maggio 2011 n. 29872),
  3. Anche sotto il profilo delle condizioni soggettive della persona offesa, le doglianze difensive non appaiono condivisibili, avendo la Corte territoriale ben espresso il disagio psicologico della persona offesa e il condizionamento delle abitudini di vita.
    Trattandosi di reato abituale di evento, è sufficiente ad integrare l’elemento soggettivo il dolo generico, quindi la volontà di porre in essere le condotte di minaccia o di molestia, con la consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente necessari per l’integrazione della fattispecie legale
  4. 4. II ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
    Oscuramento dei dati personali e identificativi nel caso di diffusione del presente provvedimento.
P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione dei presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

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