lunedì 26 ottobre 2015

Tentato omicidio Legittima difesa

 Corte di Cassazione, sezione I Penale
sentenza 12 – 26 febbraio 2015, n. 8566
 fatto
1. Con sentenza emessa il 05/06/2012 il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Venezia, procedendo con rito abbreviato, condannava L.B. alla pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione, ritenendolo colpevole di concorso nel tentato omicidio mediante accoltellamento, contestato al capo A) della rubrica, di M.M. ed S.E. ,  al capo B), si contestava anche il porto e la detenzione del coltello utilizzato per accoltellare le vittime.
Nella sentenza si accertava che l’imputato si rendeva responsabile dei delitti contestati, nell’ambito di una progressione criminosa sfociata nell’accoltellamento del M. e del S. . In conseguenza del ferimento,
Secondo il giudice di primo grado, , improvvisamente, il M. si scagliava contro la B. , spintonandola e dando origine a una colluttazione, che coinvolgeva il V. , il quale interveniva in difesa della donna e, dopo essere stato colpito con pugno al volto dall’aggressore, lo gettava a terra, dapprima colpendolo con calci e pugni e successivamente sferrandogli una coltellata alle spalle.
Nel corso delle indagini, venivano esaminate sia la B. che le persone offese dal reato, che consentivano di accertare che l’incontro di (…) non era casuale, ma funzionale a un chiarimento tra la B. , il S. e il L. , con il quale la B. aveva da poco intrapreso una relazione sentimentale, in concomitanza con la fase conclusiva del suo preesistente rapporto con il S. . Tale incontro, dunque, doveva servire a chiarire i rapporti tra i tre soggetti, ma si sviluppava in modo inaspettato, per effetto della reazione del L. e del V. , che si scagliavano contro i contendenti, dopo che il M. aveva dato inizio allo scontro fisico.
Per ricostruire tali frangenti, la B. veniva esaminata in diverse occasioni – (omissis) , il (omissis) e il (omissis) – fornendo una ricostruzione dell’accaduto ritenuta dal giudice di primo grado lineare nei suoi tratti essenziali e compatibile con le emergenze processuali.
Venivano, inoltre, esaminati il M. e il S. , i quali fornivano una ricostruzione del loro ferimento compatibile con la versione fornita dalla B. .
Sulla scorta di tali elementi probatori, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Venezia perveniva al riconoscimento della responsabilità del L. nei termini richiamati.
2. Avverso tale sentenza L.B. , a mezzo del suo difensore, proponeva appello, deducendo quattro motivi.
Si censurava, innanzitutto, l’inquadramento dell’ipotesi delittuosa contestata al L. al capo A) della rubrica, riconducibile alla rissa o alle lesione personali aggravate e non già al tentato omicidio.
Si censurava, inoltre, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da M.M. ed S.E. nel corso delle indagini preliminari, atteso che costoro dovevano considerarsi compartecipi della rissa e non già vittime del tentato omicidio contestato al L. al capo A), con la conseguenza che il loro esame doveva avere luogo con le forme dell’art. 63 cod. proc. pen..
Si censurava ulteriormente la ricostruzione dell’elemento soggettivo del tentato omicidio ascritto al L. , atteso che le evidenze processuali non consentivano di ipotizzare alcuna premeditazione nella condotta aggressiva dell’imputato.
Si censurava, infine, il mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa di cui all’art. 52 cod. pen., che doveva ritenersi sussistente quantomeno nella forma putativa.
3. Con sentenza emessa il 18/10/2013 la Corte di appello di Venezia, in riforma parziale della sentenza impugnata, esclusa l’aggravante dell’art. 577, n. 4, cod. pen. e concesse le attenuanti generiche, rideterminava la pena irrogata a L.B. in anni tre, mesi nove e giorni dieci di reclusione.
4. Avverso questa sentenza, a mezzo dell’avv. Claudio Galletti, L.B. ricorreva per cassazione, proponendo quattro motivi di ricorso.
Quale primo motivo si eccepiva l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., cui si collegava l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione.
Si deduceva, in particolare, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal M. e dal S. , ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., in conseguenza del fatto che dovevano considerarsi compartecipi della rissa e non già vittime del tentato omicidio contestato, già dal momento in cui si procedeva al loro esame nel corso delle indagini preliminari.
Quale secondo motivo, enucleato nel punto B1) del ricorso, si eccepiva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’obliterazione dei motivi di appello nella parte in cui si censurava la ricostruzione dell’episodio delittuoso in contestazione, con particolare riferimento all’incontro avvenuto l'(omissis) e all’atteggiamento psicologico dei partecipanti all’incontro.
Quale terzo motivo si eccepiva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), e), cod. proc. pen., per errata applicazione della legge penale, in relazione all’ipotesi della desistenza volontaria, cui si collegava l’insufficienza della motivazione nella parte dedicata a tale profilo valutativo.
Quale quarto motivo, infine, si eccepiva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b, e), cod. proc. pen., in relazione all’erronea applicazione della legge penale, nella parte in cui la corte territoriale escludeva la scriminante della legittima difesa ex art. 52 cod. pen., anche nella forma putativa, cui si collegava l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, limitatamente a tale profilo.
I motivi di ricorso proposti nell’interesse di L.B. imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Quale primo motivo si eccepiva l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 63 cod. proc. pen., cui si collegava l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione.
Si deduceva, in particolare, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal M. e dal S. , ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., in ragione del fatto che i due soggetti dovevano considerarsi compartecipi della rissa e non vittime del tentato omicidio contestato al capo A), già dal momento in cui si procedeva alla verbalizzazione del loro esame nel corso delle indagini preliminari.
Questo motivo di ricorso, già proposto in sede di appello, veniva correttamente affrontato dalla corte territoriale, che escludeva la sussistenza del reato di rissa, rilevando che tale ricostruzione alternativa dei fatti, si fondava unicamente su un’annotazione di polizia giudiziaria redatta dai carabinieri della Compagnia di Mestre il 01/05/2011, in cui si rappresentava che erano intervenuti sul luogo del delitto sulla base della segnalazione di alcuni passanti, nemmeno individuati, che avevano riferito ai componenti di una pattuglia che si trovava nei pressi di piazza (omissis) , che era in corso di svolgimento una rissa nelle vicinanze del centro commerciale (omissis) .
A fronte di tale originario spunto investigativo,  le dichiarazioni rese dalla B. – nelle date del (omissis) , del (omissis) e del (omissis) – non consentono di ricondurre i fatti delittuosi contestati al ricorrente al capo A) al reato di cui all’art. 588, comma 2, cod. pen..
Ricostruita, in questi termini, la vicenda delittuosa, non è possibile censurare le modalità di escussione delle vittime dell’aggressione del L. , le cui dichiarazioni, non potendo costoro essere ritenuti parti attive della rissa in cui risultavano coinvolti l’imputato e il V. , non potevano essere sanzionate ex art. 63, comma 2, cod. proc. pen., conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: “In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità” (cfr. Sez. un., n. 15208 del 25/02/2010, dep. 21/04/2010, Mills, Rv. 246584).
Queste considerazioni processuali impongono di ritenere infondato il primo motivo di ricorso.
2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, di cui devono essere valutate separatamente le doglianze difensive indicate nei punti B1) e B2).
2.1. Quanto alla doglianza di cui al punto B1) del ricorso, deve rilevarsi che, in tale ambito, si eccepiva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione all’obliterazione dei motivi di gravame nella parte in cui si censurava la ricostruzione dell’episodio delittuoso in esame con particolare riferimento all’incontro avvenuto l'(OMISSIS) e all’atteggiamento psicologico dei presenti.
Deve, in proposito, rilevarsi che l’assunto processuale da cui muove la difesa del ricorrente risulta destituito di fondamento, atteso che la corte territoriale esaminava correttamente i profili afferenti alle condizioni psicologiche della B. rispetto alla vicenda delittuosa in esame sotto il profilo dei suoi rapporti sentimentali con il S. e con il L. , questi ultimi esaminati, a loro volta, in relazione agli SMS inviati dalla teste all’imputato
La completezza del percorso valutativo compiuto dalla corte territoriale sul punto viene ulteriormente attestata dalla sentenza, che, nella prospettiva processuale recepita dalla corte territoriale, chiariva le modalità con cui l’aggressione veniva portata avanti nei confronti delle vittime e la determinazione che caratterizzava, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il loro atteggiamento aggressivo.
Queste considerazioni processuali impongono di ritenere infondata tale doglianza.
2.2. Parimenti infondata deve ritenersi la doglianza di cui al punto B2), strettamente collegata, secondo la ricostruzione difensiva, a quella di cui al punto che precede, in relazione all’inquadramento del tentato omicidio contestato al L. , con specifico riferimento all’omessa valutazione delle conclusioni medico-legali rassegnate dal Dott. C. .
la valutazione compiuta nella sentenza impugnata con riferimento agli esiti della consulenza medico legale eseguita nel corso delle indagini preliminari dal Dott. C. – pur dovendo evidenziare una maggiore puntualità nella sua disamina da parte del giudice di prime cure – deve ritenersi immune da censure (cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Quanto, infine, all’oggetto dell’accertamento medico-legale condotto dal Dott. C. , si tratta di questione riguardante un giudizio di fatto, sul quale, in presenza di un’adeguata motivazione, certamente riscontrabile nel caso di specie, è precluso ogni sindacato di legittimità, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 08/01/2013, Cena e altri, Rv. 254226).
Queste considerazioni processuali impongono di ritenere infondata anche tale doglianza del secondo motivo di ricorso.
3. Parimenti infondato deve ritenersi il terzo motivo di ricorso, con cui si censurava la motivazione del provvedimento impugnato, che avrebbe trascurato che l’evento mortale non si concretizzava a causa della decisione del L. che, dopo il ferimento delle vittime, non portava a termine la sua azione criminosa, sulla base di una sua autonoma determinazione, che prescindeva dall’intervento dei carabinieri accorsi sul posto.
Le emergenze processuali, infatti, orientano il materiale probatorio in una direzione contrapposta a quella posta a fondamento di tale doglianza, evidenziando che l’intervento dei carabinieri risultava decisivo per l’interruzione, quando peraltro il tentativo era ormai compiuto, dell’aggressione armata del L. e del V. , i quali si allontanavano da piazza Barche non appena si rendevano conto del sopraggiungere delle forze dell’ordine. Tale condotta vale certamente a escludere la ricorrenza dei presupposti della desistenza volontaria invocati dalla difesa del ricorrente ai sensi dell’art. 56, comma 3, cod. pen., non sussistendo nel caso di specie un’interruzione volontaria dell’aggressione, ma unicamente l’allontanamento degli aggressori imposto dalla necessità di evitare l’arresto da parte dei carabinieri intervenuti sul posto (cfr. Cass., Sez. 1, n. 43036 del 23/10/2012, dep. 07/11/2012, Ortu, Rv. 253616).
Queste considerazioni impongono di ritenere infondata anche tale ulteriore doglianza difensiva.
4. Anche il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse del L. deve ritenersi infondato.
Deve, in proposito, rilevarsi che, tenuto conto delle modalità incontroverse con cui si sviluppava l’aggressione armata oggetto di contestazione nei confronti del M. e del S. – i quali risultavano entrambi disarmati al contrario dei loro contendenti – non è possibile ritenere la condotta delittuosa posta in essere dal L. giustificabile ai sensi dell’art. 52 cod. pen., nemmeno sotto il profilo dell’eventuale eccesso colposo, alla stregua dei parametri canonizzati dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo la quale: “I presupposti essenziali della legittima difesa sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima: mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa.
L’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti a quest’ultima collegati, sicché, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad un’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 cod. pen., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante” (cfr. Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 233352).
Nemmeno è possibile, proprio in conseguenza della mancanza di armi riscontrata in capo alle vittime, ritenere sussistenti i presupposti della legittima difesa putativa – espressamente invocata dalla difesa del ricorrente – alla luce dei parametri ermeneutici elaborati da questa Corte, secondo la quale: “La legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con la sola differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente ma è supposta dall’agente sulla base di un errore scusabile nell’apprezzamento dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di un’offesa ingiusta; sicché, in mancanza di dati di fatto concreti, l’esimente putativa non può ricondursi ad un criterio di carattere meramente soggettivo identificato dal solo timore o dal solo stato d’animo dell’agente” (cfr. Sez. 1, n. 3898 del 18/02/1997, dep. 28/04/1997, Micheli, Rv. 207736).
Queste considerazioni processuali impongono di ritenere infondato anche tale motivo di ricorso.
5. Le ragioni che si sono esposte inducono a ritenere infondato il ricorso proposto nell’interesse di L.B. , con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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