giovedì 31 marzo 2016

Status di rifugiato. Il Servizio Centrale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati.

Il Servizio Centrale di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati è stato istituito dal Ministero dell'Interno Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e affidato con convenzione ad ANCI. A sua volta ANCI, per l’attuazione delle attività, si avvale del supporto operativo della Fondazione Cittalia.
Al Servizio centrale spettano i compiti di:

Status di rifugiato . Richiesta

Puoi richiedere lo status di rifugiato se:
Nel tuo Paese sei stato oggetto di persecuzioni dirette e personali per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a determinati gruppi sociali o per le tue opinioni politiche o se hai fondato e provato motivo di ritenere che potresti essere perseguitato in caso di ritorno in patria (in base alla Convenzione di Ginevra) .
Non puoi chiedere lo status di rifugiato in Italia se:
· sei già stato riconosciuto rifugiato in un altro Stato; 
· provieni da uno Stato, diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla Convenzione di Ginevra e nel quale, avendo soggiornato per un significativo periodo di tempo, non hai richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato; 
· hai subìto in Italia condanne per delitti contro la personalità o la sicurezza dello Stato, contro l'incolumità pubblica, ovvero reati di riduzione in schiavitù, furto, rapina, devastazione e saccheggio, o comunque connessi alla vendita e al traffico illegale di armi o di sostanze stupefacenti, o, infine, di associazione mafiosa o di appartenenza a organizzazioni terroristiche; 
· hai commesso reati di crimini di Guerra ovvero contro la Pace o contro l'Umanità. 

DOVE RICHIEDERE
· All'Ufficio di Polizia di Frontiera, al momento dell'ingresso in Italia o 
· all'Ufficio immigrazione della Questura competente per territorio laddove sul posto non sia presente un Ufficio di Polizia di Frontiera.
COME SI RICHIEDE
Puoi presentare la richiesta all'Ufficio di Polizia, che ti fornirà dei moduli già predisposti ove dovrai:
· spiegare le motivazioni per le quali chiedi lo status di rifugiato; 
· fornire ogni altra informazione o documentazione in tuo possesso, a sostegno dei motivi della richiesta. 
· Dovrai altresì allegare copia di valido documento di identificazione personale (passaporto, carta d'identità, ecc.) se posseduto, ovvero fornire le tue generalità all'autorità di polizia, indicando l'eventuale domicilio ove far pervenire le comunicazioni di interesse.
La Questura ti rilascerà copia sia della richiesta che della documentazione prodotta e provvederà a foto-segnalarti.
CHI DECIDE SULLA TUA DOMANDA
La domanda, corredata della documentazione necessaria, verrà tempestivamente inoltrata dalla Questura alla competente Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato che deciderà se riconoscerti lo status. In Italia ve ne sono 7 (Gorizia, Milano, Roma, Foggia, Siracusa, Crotone e Trapani). La data della convocazione presso la Commissione ti sarà comunicata dalla Questura al domicilio che avrai indicato al momento della presentazione della domanda.
E' importante che tu comunichi alla Questura ogni variazione di indirizzo per ricevere tutte le comunicazioni di tuo interesse. Ricordati che l'audizione è per te molto importante per spiegare bene la tua situazione e prospettare bene i tuoi timori di persecuzione; perciò, se non ti presenti alla convocazione, la Commissione potrà decidere limitandosi all'esame della documentazione disponibile senza ascoltarti.
Quali decisioni la commissione può adottare
La Commissione Territoriale, entro 3 giorni successivi alla data dell'audizione, adotta una delle seguente decisioni:
· riconosce lo status di rifugiato;
· rigetta la domanda, ma, pur non ravvisando i requisiti richiesti per lo status di rifugiato, può valutare autonomamente la pericolosità di un tuo rimpatrio e chiedere al Questore di rilasciarti un permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria. Questo tipo di permesso di soggiorno ha la durata di un anno, rinnovabile, e ti consentirà di lavorare;
· rigetta la domanda: in tal caso il Questore ti inviterà a lasciare il territorio nazionale. 

Se non conosci l'italiano
Se non conosci la lingua italiana potrai richiedere l'assistenza di un interprete o anche di un mediatore culturale per compilare e redigere, ove possibile, nella tua lingua, ovvero in una delle lingue più conosciute (INGLESE, FRANCESE, SPAGNOLO, ARABO), il modello informativo e le dichiarazioni inerenti le motivazioni della richiesta.
Che succede dopo la presentazione della richiesta
· In caso di verifica da parte dell'Autorità di Polizia della regolarità della documentazione presentata, viene rilasciato, dal Questore della provincia in cui è stata presentata la domanda, un permesso di soggiorno della validità di tre mesi, rinnovabile sino alla decisione della Commissione Territoriale competente. 
· Se sei giunto in Italia senza alcun documento che attesti la tua nazionalità e le tue generalità, o se la tua richiesta di riconoscimento si basa su elementi che necessitano di verifica, sarai ospitato, per un periodo massimo di 20 giorni, in un Centro di identificazione. Se entro tale termine la tua richiesta non sarà stata ancora decisa dalla Commissione Territoriale, potrai lasciare il Centro che ti ospita e ti verrà rilasciato un permesso di soggiorno valido per 3 mesi, rinnovabile fino alla definizione del procedimento.
Se non hai le risorse per mantenerti da solo, puoi chiedere alla Prefettura competente, tramite l'Ufficio di Polizia ove hai presentato la domanda, di essere ospitato presso apposite strutture comunali di accoglienza, che ti daranno ospitalità per tutto il periodo di esame della tua domanda di asilo.
Ricordati che nel centro di Identificazione
· ti saranno garantite le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti; 
· potrai ricevere senza particolari condizioni visite di familiari, del tuo avvocato, dell'ACNUR e di organismi o enti di tutela dei rifugiati riconosciuti dal Ministero dell'Interno; 
· non esiste obbligo di soggiorno, a parte le ore notturne, nel rispetto comunque dei criteri individuati dall'apposito regolamento dell'ente gestore del Centro. Inoltre, per particolari motivi (famiglia, salute), potrai anche richiedere di assentarti per periodi prolungati, oltre gli orari stabiliti nel regolamento, previa autorizzazione del funzionario preposto al Centro; 
· l'allontanamento prolungato, non autorizzato e comunque non sufficientemente motivato, dal Centro, equivale a una rinuncia da parte tua alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.
Che rimedi hai per opporti alla decisione negativa
Se sei ospitato presso un Centro di identificazione, puoi presentare, entro 5 giorni dalla decisione negativa, una richiesta di riesame della tua istanza al Presidente della Commissione Territoriale, fondata su elementi sopravvenuti rispetto alla decisione della Commissione o su fatti preesistenti non emersi nel corso della prima audizione. La tua istanza di riesame sarà decisa entro 15 giorni.
In ogni caso puoi presentare, entro 15 giorni dalla notifica della decisione della Commissione, un ricorso al Tribunale ordinario competente per territorio (se non sei in Italia potrai farlo tramite rappresentanza diplomatica).
In entrambi i casi potrai richiedere al Prefetto della provincia dove sei domiciliato di autorizzarti a permanere sul territorio nazionale fino alla data di decisione del ricorso. La decisione del Prefetto ti sarà comunicata entro 5 giorni dall'istanza e, in caso di accoglimento, ti comunicherà anche le modalità di permanenza in Italia.
Che cosa succede in caso di riconoscimento
· La Commissione ti riconoscerà lo status di rifugiato e ti rilascerà un tesserino attestante l'avvenuto riconoscimento dello status. 
· Insieme al tesserino, la Questura competente ti consegnerà anche un documento personale che ti consentirà, ove tu voglia, eventuali spostamenti all'estero e di fare rientro in Italia (con validità temporale pari a quella del permesso di soggiorno). 
· Per ottenere documenti di identità dovrai rivolgerti al Comune dove hai fissato la tua residenza. 
· Ti sarà riconosciuto un permesso di soggiorno di durata biennale. 
· Avrai tutti i diritti e sarai soggetto agli stessi doveri dei cittadini italiani, con esclusione di quelli che presuppongono la cittadinanza italiana (esempio, il diritto di voto, la partecipazione a concorsi per l'accesso ai pubblici impieghi, ecc.). 
· Qualora per esercitare in Italia un diritto tu debba procurarti determinati documenti o certificati dal tuo Paese di origine, le autorità italiane si adopereranno affinché ti siano forniti, ovvero provvederanno a sostituirli con propri atti che sostituiranno a tutti gli effetti quelli del tuo Paese. 
· Per nessun motivo potrai fare rientro al tuo Paese di appartenenza. Questa circostanza, infatti, potrebbe determinare la cessazione del tuo riconoscimento, in quanto manifestazione di volontà di tornare ad avvalerti della protezione del tuo Paese d'origine. Analogamente, verrà interpretata come volontà di avvalerti della protezione del tuo Stato una eventuale richiesta di passaporto presso le rappresentanze diplomatiche in Italia del tuo Paese. 
· Il documento personale che ti consegnerà la Questura ti consentirà di recarti all'estero per un periodo di tempo non superiore a tre mesi, senza necessità di visto. Qualora, invece, tu abbia necessità di stabilirti all'estero per periodi più lunghi, ad esempio per motivi di lavoro, dovrai chiedere il visto alla rappresentanza diplomatica del Paese dove vuoi recarti, e poi avviare, presso il nuovo Stato che ti ospiterà, la procedura per il trasferimento di responsabilità.

Il riconoscimento dello status di rifugiato dà diritto a un permesso di soggiorno di durata quinquennale. Dopo almeno cinque anni è possibile richiedere la cittadinanza italiana.
Ai titolari dello status di protezione sussidiaria è rilasciato un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria con validità quinquiennale rinnovabile previa verifica della permanenza delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della protezione sussidiaria. Tale permesso di soggiorno consente l’accesso al lavoro e allo studio ed è convertibile per motivi di lavoro, sussistendone i requisiti.
Le spese di gestione per migrante
Le spese di gestione per migrante, valutate in media intorno ai 35 euro pro capite al giorno, possono subire dunque delle variazioni da regione a regione, secondo il costo della vita del posto e l’affitto delle strutture. Questi soldi però, dai 35 ai 40 euro al giorno, non finiscono in tasca agli ospiti dei centri ma vengono dati alle cooperative, di cui i comuni si avvalgono per la gestione dell’accoglienza. E servono a coprire le spese per il vitto, l’alloggio, la pulizia dello stabile e la manutenzione. Una piccola quota copre anche i progetti di inserimento lavorativo.
Della somma complessiva, solo 2,5 euro in media – il cosiddetto pocket money – è la cifra che viene data ai migranti per le piccole spese quotidiane (dalle ricariche telefoniche per chiamare i parenti, alle sigarette, alle piccole necessità come comprarsi una bottiglia d’acqua o un caffè).


I soldi per l’accoglienza vengono presi dal fondo ordinario che il ministero dell’interno ha a disposizione per l’immigrazione e l’asilo. L’accoglienza dei richiedenti asilo è una risposta alla convenzione dei diritti dell’uomo e alla nostra costituzione.
Innanzitutto i 40 euro al giorno non vengono dati in nessuno modo ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Sono soldi erogati per la gestione dei centri, che vanno a chi si prende la responsabilità di gestirli. Servono dunque a pagare gli operatori, l’affitto ai privati degli immobili, i fornitori di beni di consumo. Una piccola quota va per gli interventi di riqualificazione professionale, come i tirocini, orientati a permettere ai migranti di vivere in autonomia una volta usciti dal sistema di accoglienza. E solo una quota residua viene data direttamente a loro. Si tratta del pocket money, pochi euro per le piccole spese quotidiane. Queste risorse fanno parte di un fondo ordinario del ministero. Non sono spese straordinarie.
Rete Sprar 
Lo Sprar dispone di una rete di centri di "seconda accoglienza": in principio non sarebbe finalizzato (come i Cda o i Cara) a un'assistenza immediata di chi arriva in Italia, ma all'integrazione di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale. 
Oggi però anche lo Sprar fa la prima accoglienza: dopo l'emergenza Nord Africa e l'aumento dei flussi migratori infatti il ministero dell'Interno ha cominciato a trasferire i richiedenti asilo appena arrivati direttamente nello Sprar, senza passare per i Cara sovraffollati.
Cosa succede veramente
Cosa è la rete Sprar? 
Lo Sprar dispone di una rete di centri di "seconda accoglienza": in principio non sarebbe finalizzato (come i Cda o i Cara) a un'assistenza immediata di chi arriva in Italia, ma all'integrazione di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale. Oggi però anche lo Sprar fa la prima accoglienza: dopo l'emergenza Nord Africa e l'aumento dei flussi migratori infatti il ministero dell'Interno ha cominciato a trasferire i richiedenti asilo appena arrivati direttamente nello Sprar, senza passare per i Cara sovraffollati.
Cosa è la rete Sprar? 
Lo Sprar dispone di una rete di centri di "seconda accoglienza": in principio non sarebbe finalizzato (come i Cda o i Cara) a un'assistenza immediata di chi arriva in Italia, ma all'integrazione di soggetti già titolari di una forma di protezione internazionale. Oggi però anche lo Sprar fa la prima accoglienza: dopo l'emergenza Nord Africa e l'aumento dei flussi migratori infatti il ministero dell'Interno ha cominciato a trasferire i richiedenti asilo appena arrivati direttamente nello Sprar, senza passare per i Cara sovraffollati.

Cosa ne pensa Maria Rosaria Calderone avvocato esperto di diritto dell’immigrazioneMaria Rosaria è coordinatrice del centro di accoglienza per rifugiati di Marino (RM) gestito da GUS – Gruppo Umana Solidarietà e CPA – Centro per le Autonomie all’interno del progetto Accoglienza Prefettura della provincia di Roma. 
Pensi che i fondi destinati all’accoglienza migranti siano sufficienti?
Penso che sarebbero sufficienti se supportati da strutture pubbliche che funzionino.
Pensi che i fondi destinati all’accoglienza migranti possano essere spesi più efficacemente in altro modo?
Sicuramente si: centralizzando l’accoglienza. Io non ho mai capito perché i centri di accoglienza non sono gestiti direttamente dallo stato e sono invece esternalizzati a cooperative. Perfino il CIE, che è un luogo quasi detentivo, si può dire che sia un carcere privato, viene gestito da cooperative.
Secondo te quali sono i problemi principali del sistema di gestione dell’accoglienza migranti e come potrebbe essere migliorato?
La sfida principale è quella di non creare assistenzialismo, per questo io prevedrei la possibilità per i richiedenti asilo di lavorare da subito e non solo dopo sei mesi. Naturalmente va valutato lo stato psicofisico della persona perché molti non sono in grado di mettersi  subito a lavorare, ma a parte questi casi il lavoro è il principale mezzo di integrazione e non ha alcun senso impedirlo.
Inoltre inserirei l’obbligatorietà dell’apprendimento della lingua, che al momento di fatto non c’è. Nel progetto della prefettura bisogna prevedere lo studio della lingua, ma non c’è una effettiva definizione del programma di studio con scadenze ed esami, e questo comporta che molti migranti dopo un anno di permanenza in Italia ancora non parlino italiano: questo non è ammissibile.
Inoltre è difficilmente gestibile la situazione di convivenza in cui i migranti di culture diversissime vengono messi: le strutture sono spersonalizzanti. I migranti non hanno la possibilità di cucinare, non hanno alcuna responsabilità nella gestione della coabitazione, solo su iniziativa di chi porta avanti la struttura possono avere delle responsabilità nella gestione dell’alloggio, magari organizzando turni di pulizia, ma generalmente è previsto che i centri abbiamo un servizio di pulizia esterno. Un sistema più autogestito permetterebbe invece di migliorare il livello di integrazione e coinvolgimento dei migranti, ed anche il loro stato psicofisico e la percezione della propria situazione.
http://www.lenius.it/accoglienza-migranti/

mercoledì 30 marzo 2016

Affido condiviso. Definizione casa familiare

La Corte di Cassazione – sentenza n. 3331/2016 –  aderisce alla prospettazione della Corte territoriale . Secondo il ricorrente, la sentenza di appello non avrebbe considerato le risultanze della CTU che aveva descritto la madre come “poco sincera, ansiosa, perplessa ipervigile rigida, irritabile, critica, polemica eccitata psicomotoriamente, affetta da tremori ed irrequieta, demotivata e facilmente affaticabile”.
La Corte avrebbe inoltre omesso di considerare che il minore avesse trascorso i primi anni di vita senza la madre e che il padre possedesse migliori qualità genitoriali.
Secondo la Cassazione il giudice, con valutazione di fatto del tutto incensurabile, ha invece ritenuto, che elemento determinante dovesse essere considerata la maggiore capacità della madre di garantire continuità di rapporto con entrambi i genitori.
Il secondo e innovativo principio enucleato dalla Cassazione riguarda la definizione di casa familiare ai fini del provvedimento di assegnazione ad uno dei genitori nell’’interesse del figlio.
L’uomo, infatti, lamentava che il figlio non avesse mai abitato la casa familiare e pertanto non ci sarebbe stato interesse alla conservazione dell’habitat precedente al disgregamento familiare.
In effetti, l'art. 337 sexies c.c. indica il criterio dell'interesse dei figli per stabilire a quale dei genitori dovrà essere attribuito il godimento dell'abitazione, ma non determina quali caratteristiche debba avere l’abitazione per risultare destinato a ciò.
La questione è rilevante nei casi in cui non risulti in modo inequivoco che la situazione preesistente alla crisi della coppia, sia caratterizzata da una stabile e continuativa utilizzazione dell’immobile come abitazione del nucleo familiare.
Nel caso di specie, tuttavia, i genitori del minore hanno destinato di comune accordo e con impegno economico comune, un immobile a loro abitazione familiare e vi hanno anche convissuto stabilmente prima della cessazione della convivenza.
La casa “familiare” preesisteva alla nascita del figlio minore e il temporaneo allontanamento dovuto al conflitto del nucleo genitori-figli non ha modificato la preesistente destinazione.

Sembra quindi prevalente il nesso logico: la casa è assegnata al coniuge quindi ad esso va assegnato anche il figlio.

martedì 29 marzo 2016

Politica di distruzione del ceto medio

- A- A+

Se si fa un’analisi storica degli ultimi secoli della Storia europea la grande rivoluzione sociale è stata la stratificazione di un largo ceto medio che ha permesso ai settori più bassi di elevarsi con l’impresa artigiana e il lavoro qualificato, alle libere professioni di conquistare spazi importanti nella società, alla piccola e media impresa di costruire il benessere sociale diffuso attraverso un rapporto personale tra lavoratori dipendenti, quadri e titolari, realizzando sistemi virtuosi di grande qualità e innovazione. 

La bussola ideologica dell’Unione Europea è invece concentrare, potare il piccolo, anzi metterlo in condizioni di arrendersi, creare grandi concentrazioni di capitali che assumono la guida di tutte le produzioni e i servizi, schiacchiando ogni competizione fra diseguali, imponendo la concorrenza solo tra mega sistemi spersonalizzati, che tra l’altro spesso implodono con fallimenti epocali e disastri sociali. Questa è la linea, che comincia dalla filiera del credito attraverso le famose direttive di Basilea, che sostanzialmente rendono inacessibile il credito ai non consolidati e decapitano la concorrenza emergente, mantenendo il monopolio obbligano a regole insostenibili nei controlli burocratici, creano percorsi rigidi ed ingovernabili nell’accesso ai fondi comunitari; di fatto vogliono un controllo dall’alto di tutti i settori sociali ed economici, demotivando la libera iniziativa, la creatività, la crescita dal basso dei popoli e delle persone, imponendo una dittatura apparentemente neutra, non ideologica, ma di fatto il nuovo governo totalitario.


Lo stesso è sulla cultura che cristallizza il passato come superato e da conservare solo nei musei o nella ricerca storica, ma determinando una cultura senza contenuti, oggetto fragile della conquista da parte di altre culture primitive ma aggressive.
Tra tutte l’Islam, ma non solo. Dentro la nostra Unione sorgono culture e tendenze devianti, nichiliste, autodistruttive che portano solo i nostri popoli a soccombere, a rinunciare alla cultura della vita e all’orgoglio della nostra civiltà, che è cresciuta in millenni di sviluppo intellettuale, scientifico, giuridico, artistico. In pratica le politiche dell’Unione Europea sono il più grande volano di creazione delle nuove povertà, agevolate anche dalla crisi del lavoro determinata dalla massiccia automazione manifatturiera e dai processi informatici di internet con una nuova stratificazione sociale, anche umana, una piccola oligarchia economica, culturale e sociale; una grande massa di persone senza senso di futuro e di prospettive, se non quelle assistenziali dello Stato e del cosiddetto Welfare, che per salvarsi l’anima è ampiamente implementato da Onlus, Org e Volontariato di Associazioni compassionevoli. Cioè si distrugge l’intelaiatura autoreferente dal basso (se pensiamo nei secoli le mutue sociali, le banche popolari e le casse di risparmio, le opere pie, le istituzioni di beneficienza fino al banco dei pegni), tutte sostituite oggi da organismi pubblici che lucrano sul bisogno. Basta pensare alla vicenda incredibile delle cooperative che assistono profughi e rifugiati, che sono un gigantesco business sul bisogno assoluto, pagato dallo Stato ma in cui si arricchiscono gli erogatori monopolisti del servizio sulla pelle dei poveri disgraziati. Tutto in ossequio alla corretta applicazione delle “nuove regole sociali”. Tra qualche decennio si creerà un gigantesco proletariato senza speranza e un ristretto gruppo di privilegiati, perchè in possesso dei beni, del credito, dei servizi, della giustizia, dell’erogazione degli appalti pubblici, delle concessioni demaniali o non demaniali, in pratica tutti quelli che stanno negli snodi giusti e che decideranno su tutti quelli che stanno sotto senza alcun controllo popolare, cioè l’uccisione della Politica sull’altare delle regole politicamente corrette e non opinabili. Questa Unione Europea è antagonista delle uniche tre politiche che dopo la prima guerra mondiale in Italia, ma direi anche in altri paesi europei e negli Stati Uniti, ed anche dopo la seconda guerra mondiale, a cominciare dall’Italia hanno consentito boom economico e come immediata conseguenza il benessere diffuso e cioè l’intervento dello Stato nell’economia attraverso imprese economiche, l’avvio di grandi opere pubbliche e forti interventi sociali a sostegno delle fasce deboli. Nulla a che fare con i conti in ordine e i compiti a casa dell’Unione Europea. I compiti a casa sono al contrario questi qui. Così si salvarono gli Stati Uniti dopo la crisi economica e sociale del ’29, così si salvò l’Italia dopo le macerie umanitarie della prima guerra mondiale e le distruzioni strutturali ed industriali della seconda guerra mondiale

Ecco come l’Unione europea sta distruggendo il ceto medio di martedì 22 marzo 2016



Egr avv.

Grazie ai parametri fiscali ho dovuto chiudere una attività che mi avrebbe consentito di avviare mio figlio ad una professione liberale, avendo pagato le tasse fino all'ultimo centesimo.
Grazie stato!
GR


Risposta
mi sembra che la distruzione del ceto medio porterà ricchezza e benessere solo per chi riesce a destabilizzare il mercato del lavoro nel nostro pese importando prodotti a basso costo e lucrando cifre enormi sul lavoro malpagato nei paesi in via di sviluppo, finché troverà consumatori
L'allargamento del mercato procura solo una caduta in basso sei salari e una contrazione dei consumi su cui guadagnano solo chi gestisce gruppi ben strutturati che riescono con la concorrenza internazionale e a ridurre il costo del lavoro e il numero degli occupati.
La prospettiva è quindi un aumento del numero dei lavoratori con bassi salari e della disoccupazione.

giovedì 24 marzo 2016

Cambio di residenza. Controlli sicurezza


Ho chiesto un cambio di residenza su di un alloggi o appena acquistato su cui sto facendo piccoli lavori naturalmente autorizzati. 
Sono stato oggetto di stringenti controlli che hanno coinvolto anche il comune di residenza. 
Naturalmente la residenza mi é stata negata causa i lavori e la pratica sarà ripresa tra un mese a conclusione lavori vigili urbani indaffaratissimi sul  controllo . 
Complimenti questa sì che é sicurezza. 

mercoledì 23 marzo 2016

Metodologie di lotta al terrorismo

Metodologie di lotta al terrorismo
Venerdì si arresta il terrorista
Si fissa l’interrogatorio di garanzia al giovedì successivo
Nel frattempo il suo avvocato si prodiga nell'affermare che il suo cliente è disponibile a collaborare e chiede una legge sui pentiti
Martedì mattina un nuovo attentato.

Abbiamo un sistema di sicurezza europeo?
Comunque una premiazione al responsabile è necessaria, sempre che si riesca  a trovarlo.
Un appaluso incondizionato all'Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera e di sicurezza comune

martedì 22 marzo 2016

Referendum. processi di privatizzazione del servizio idrico

BENI COMUNI – Il movimento per l’acqua ha condiviso di promuovere un referendum abrogativo della norma contenuta nella legge 190/2014, cosiddetta legge stabilità 2015, che stabilisce che i proventi della cessione delle partecipazioni in società che svolgono servizi pubblici locali sono esclusi dai vincoli del patto di stabilità interno (lettera d, comma 609). Di fatto, si tratta della norma maggiormente simbolica e pericolosa tra i provvedimenti mediante i quali il Governo intende rilanciare i processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali, servizio idrico compreso.


Referendum sulle TRIVELLAZIONI

Oggi in Italia non si possono ottenere permessi di ricerca o prospezione né concessioni di coltivazione di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla costa. Eppure in quelle aree off limits alcune società continuano le loro attività. Lo consente il comma 17 dell’articolo 6 del decreto legislativo 152 del 2006, sostituito dal comma 239 dell’articolo 1 della legge di Stabilità (del 28 dicembre scorso) che permette a chi ha già ottenuto una concessione di rinnovarla continuando l’attività ‘per la durata di vita utile del giacimento’. Se prima le concessioni di coltivazione avevano una durata di 30 anni (prorogabile per periodi di 10 e 5 anni) e i permessi di ricerca di 6 anni (anche questi prorogabili), la legge di Stabilità ha decretato che i titoli già rilasciati non abbiano più scadenza.
PERCHE’ LA LEGGE IN VIGORE E’ FAVOREVOLE ALLE SOCIETA’ PETROLIFEREUn particolare non di poco conto. Perché dismettere un impianto comporta costi altissimi per le società concessionarie, che quindi puntano a estrarre il minimo indispensabile per il maggior arco di tempo possibile. Questo modus operandi, inoltre, ha anche un’altra spiegazione, tutta economica: le franchigie. Le società petrolifere, infatti, non pagano le royalties se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. Ma rivendono tutto a prezzo pieno. E se si superano le soglie, ecco che scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata. Morale: il 7% delle royalties viene pagato solo dopo le prime 50mila tonnellate di greggio estratto e neppure per intero. “Sistema comodo per le società, che possono mantenere in vita impianti da cui producono quantità modeste di petrolio”, spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Boraschi, responsabile della Campagna Energia e Clima di Greenpeace. “Smantellare costa di più – aggiunge – meglio continuare a produrre anche poco, sotto la soglia della franchigia, senza pagare le royalties”. In Italia, inoltre, sono esentate dal pagamento le produzioni in regime di permesso di ricerca. Ecco perché per chi estrae è fondamentale quella “durata di vita utile del giacimento“.
NUOVE TRIVELLE? SI’, ECCO PERCHE’
Che non scongiura la possibilità di costruire nuovi impianti entro le 12 miglia, specie se previsto nel programma originario delle concessioni già rilasciate. Se il giacimento può essere ancora sfruttato, infatti, le aziende potranno rinnovare gli impianti e aumentare la produzione estrattiva, chiedendo di portare a termine il programma. E potrebbero anche avere bisogno di nuove piattaforme e nuovi pozzi. Quindi nuove trivelle. Sta accadendo inSicilia, con il progetto della Vega B (è prevista la realizzazione dei primi 4 pozzi, a cui se ne aggiungeranno altri 8), che potrebbe sorgere all’interno della concessione per la Vega A.  Situazione simile a quella di Rospo Mare (di fronte all’Abruzzo) per la quale si parla di altri 4 pozzi.
COSA SI VA A VOTARE: IL QUESITO
Che cosa, quindi, i cittadini italiani potranno cambiare in concreto con il loro voto? Potranno decidere se abrogare (con il ‘sì’) questa parte di norma e far valere, anche per i titoli già rilasciati, il divieto di ‘operare’ entro le 12 miglia dalla costa, facendo cessare le attività in corso in mare. Non immediatamente, ma alla data di scadenza ‘naturale’ della concessione. Anche se ci fossero ancora petrolio o gas da estrarre. Se passa il ‘no’, invece, si va avanti fino all’esaurimento. In Italia sono state rilasciate 35 concessioni per estrazione di idrocarburi (coltivazione) in mare che interessano anche aree entro le 12 miglia dalla costa. Ventisei sono quelle produttive tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi. L’attuale norma salva anche i permessi di ricerca già rilasciati: sono dodici, compreso quello che riguarda Ombrina Mare. Partendo dai nodi attorno a cui si sviluppa il dibattito, ilfattoquotidiano. it ha chiesto le ragioni del ‘sì’ e quelle del ‘no’ rispettivamente a Enrico Gagliano, tra i fondatori del coordinamento nazionale NoTriv e primo promotore del referendum, e a Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione italiana nucleare. Fatto Quotidiano

QUESITO “TRIVELLE ZERO” – La campagna contro la devastazione e il saccheggio, lanciata all’assemblea svolta ad Ancona il 4 Ottobre 2015, alla riunione tenutasi a Termoli il 17 Gennaio scorso ha deciso di promuovere un quesito referendario sull’art.4 della legge 9/1991 che produrrebbe un’opzione “TRIVELLE ZERO” in terraferma e mare producendo un divieto esteso su tutto il territorio nazionale e sulle aree marine sottoposte all’esclusivo sfruttamento da parte dello Stato Italiano, interessando quindi anche i procedimenti oltre le 12 miglia. All’Art.4 della Legge 9/1991 (Divieto di prospezione, ricerca e coltivazione) che recita attualmente “1. La prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi e’ vietata nelle acque del Golfo di Napoli, del Golfo di Salerno e delle Isole Egadi, fatti salvi i permessi, le autorizzazioni e le concessioni in atto, nonché nelle acque del Golfo di Venezia, nel tratto di mare compreso tra il parallelo passante per la foce del fiume Tagliamento e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po.” verrebbero tolti i riferimenti geografici ottenendo, in caso di raggiungimento del quorum, questo testo “Art. 4 (Divieto di prospezione, ricerca e coltivazione) 1. La prospezione, la ricerca e la coltivazione di idrocarburi e’ vietata, fatti salvi i permessi e le concessioni in atto.

ricorso straordinario controil decreto direttoriale con cui è stato incluso nella Rete Nazionale dei Gasdotti il tratto Interconnessione TAP

la Regione Puglia ha impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il decreto direttoriale del Ministero dello Sviluppo Economico del 20 ottobre 2015, con cui è stato incluso nella Rete Nazionale dei Gasdotti il tratto “Interconnessione TAP” senza il necessario coinvolgimento della Regione.
Il progetto di gasdotto in questione attraversa due province e diversi comuni per quasi 60 km, da Melendugno a Mesagne. Il ricorso è stato notificato al MiSE ed alle società controinteressate SNAM Rete Gas e Trans Adriatic Pipeline, nonché all’Autorità per l’Energia elettrica ed il Gas e al Comune di Melendugno. Il ricorso è stato ritualmente depositato presso il Mise per l’istruttoria di legge.