giovedì 29 dicembre 2016

Disastri ambientali Nigeria Shell


Disastri ambientali Nigeria Shell

La multinazionale petrolifera olandese Shell ha perso una battaglia giuridica contro la comunità di pescatori di Bodo, nel Delta del Niger iniziata nel 2008. Il Consiglio di Amministrazione della Shell Pertroleum Nigeria ha incontrato i rappresentanti della comunità a Port Harcourt venerdì primo aprile per discutere i dettagli del risanamento ambientale di due pozzi abbandonati dalla compagnia in quanto avevano esaurito i giacimenti petroliferi. All’incontro hanno partecipato una delegazione dell’Ambasciata Olandese in Nigeria, dei rappresentanti del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (PANU), di Amnesty International e Steven Obodekwe del Centro Ambientale, Diritti Umani e Sviluppo della Nigeria, attivista noto a livello nazionale. La multinazionale petrolifera ha accettato di iniziare le costosissime operazioni di risanamento ambientale tra il luglio e l’agosto 2015.
Nel 2006 Shell fermò le operazioni di estrazione del greggio presso Bodo abbandonando le infrastrutture senza nemmeno fermare i pozzi, infrangendo gli obblighi contrattuali relativi alle clausole di responsabilità sul risanamento ambientale delle aree di estrazione. La fine delle attività estrattive richiedono un particolare e costosissimo trattamento dei residui di idrocarburi e degli agenti chimici spesso ignorato dalle multinazionali. Per ridurre i costi questi agenti chimici vengono semplicemente riversati nei fiumi o raccolti in discariche a cielo aperto mentre i pozzi vengono semplicemente abbandonati. Inutile dire che i prodotti tossici si infiltrano nei terreni e nelle acque acquifere entrando nel circuito alimentare degli animali e degli umani. Per otto anni i residui del greggio dei pozzi di proprietà della Shell hanno continuato a riversarsi sui terreni e sul fiume Niger contaminando le falde acquifere e distruggendo la fauna fluviale e terrestre della regione di Bodo. Le attività di pesca (principale fonti di reddito per la comunità) sono drasticamente diminuite sia per la decimazione dei pesci sia per l’impossibilità di vendere i rari prodotti pescati sul mercato in quanto inquinati da agenti chimici altamente tossici normalmente utilizzati per l’estrazione del greggio. L’impatto economico sulla regione è stato devastante. Nella zona di Bodo l’inquinamento creato dalla Shell ha ridotto del 60% la produzione di cereali e del 84% le attività di pesca creando una drammatica insicurezza alimentare ed un aumento del 24% dei casi di malnutrizione infantile.
Uno studio eseguito dal governo nigeriano nel febbraio 2013 e pubblicato sulla rivista scientifica “Nigerian Medical Journal” dimostra che il greggio che fuoriesce dai pozzi (anche durante le estrazioni) e gli agenti chimici utilizzati contaminano le acque di superficie, quelle sotterrane, l’aria e il terreno con residui di idrocarburi, sostanze cancerogene e radioattive quali il policiclico aromatico, il cadmio e il bezopirene e metalli quali ferro, zinco, rame e magnese. Questi ultimi elementi naturali rientrano nella dieta comune e quindi facilmente assimilabili dall’organismo umano se presenti a concentrazioni di 0,31 milligrammi per litro. Nella zona di Bodo la concentrazione di ferro, zinco, rame e magnese ha superato i 6,2 milligrammi per litro causando patologie mortali.
Le sostanze tossiche prodotte dal greggio e dagli agenti chimici utilizzati per l’estrazione entrano facilmente in contatto con gli esseri umani sia tramite la catena alimentare (contaminata) che per inalazione. Gli agenti cancerogeni e radioattivi entrano nel corpo umano anche attraverso i pori della pelle se avviene un contatto con oggetti, terreni e acque contaminate. I bambini di età inferiore ai 2 anni sono a rischio di gravissime disfunzioni renali e febbri convulse. Negli adulti si verificano mortali manifestazioni di diarrea acuta, varie malattie epidermiche, congiuntiviti, mucosi, ulcere intestinali, e serie malattie respiratorie. Esperimenti effettuati sugli animali hanno dimostrato che l’inquinamento petrolifero porta a varie forme di cancro, infertilità maschile e femminile, e alterazione del DNA, principale causa di deformazioni fetali e della nascita di veri e propri mostri. Gli effetti sui cittadini di Bodo sono stati di proporzioni bibliche. Il numero di abitanti che hanno sviluppato gravi malattie legate alla contaminazione petrolifera è stimato a 15.600 tra cui 8.500 decessi legati a varie forme tumorali, 6.500 casi di infertilità maschile e femminile, e 2.312 gravi malformazioni genetiche di neonati.
Nel 2006 la Shell riusci’ ad abbandonare i pozzi e a non adempiere agli obblighi contrattuali di risanamento ambientale grazie alla complicità della autorità locali e del governo centrale grazie alla corruzione che si rivelò più economica dei costi di risanamento ambientale. Il governo dell’ex presidente Jonathan Goodluck è stato incolpato dai media nazionali che hanno evidenziato la complicità con la multinazionale olandese. L’esposizione a sostanze cancerogene e radioattive della regione di Bodo è stata superiore a qualsiasi esposizione registrata a livello mondiale, compresa quelle dei pozzi di Shetland (in Scozia) e di Sea Empress (nel sud ovest del Wales), noti per per aver causato seri danni ambientali e sulla salute dei cittadini. La macroscopica differenza è dovuta dal mancato intervento del governo nigeriano per fare rispettare le procedure di trattamento dei rifiuti tossici, risanamento ambientale e dalla totale mancanza di informazione alla popolazione dei rischi collegati.
La comunità di Bodo è stata costretta ad avviare una battaglia giuridica presso il tribunale internazionale di Londra poiché la magistratura nigeriana fin dal 2007 si è rifiutata di prendere in carico il caso e aprire un dossier giudiziario contro la multinazionale olandese. Il ricorso al tribunale di Londra è stato possibile grazie ai finanziamenti ricevuti da associazioni internazionali in difesa dell’ambiente e dei diritti umani tra cui Amnesty International che hanno permesso di assumere uno tra i migliori avvocati europei specializzati in cause ambientali contro le multinazionali: l’inglese Leigh Day.
Durante i tre lunghi anni del processo la linea di difesa della multinazionale è stata quella di scaricare la colpa del disastro ambientale e delle relative malattie alle opere di furto del greggio e alle collegate attività di raffinerie illegali di cui il fotoreporter italiano, basato in Uganda, Damiano Rossi, ha ampiamente documentato in uno dei suoi più famosi fotoreportage pubblicato da Parallelozero: “Nigeria. The Delta Burns”. Un reportage fatto come tributo personale del Rossi a Ken Saro Wiwa, ex leader della resistenza Ogoni contro il governo nigeriano e le multinazionali. L’avvocato Leigh Day ha pazientemente dimostrato con l’aiuto di verifiche sul terreno e di esperti ambientali che le attività illegali dei “ladri di greggio” nigeriano hanno contribuito al disastro ambientale per il 20,74%. Il 60,42% è imputabile direttamente alla multinazionale olandese causa mancato rispetto delle norme internazionali del trattamento di rifiuti tossici e radioattivi e a disfunzioni meccaniche avvenute durante l’estrazione del greggio. Il rimanente 18,84% è dovuto a cause ignote.
Dinnanzi alle prove scientifiche portate la giuria e la Corte del tribunale di Londra hanno reputato la Shell il principale responsabile del danno subito alla comunità, condannandola a sborsare 25 milioni di euro come risarcimento agli abitanti di Bodo vittime dell’inquinamento provocato. Ogni vittima ha ricevuto 1.600 euro, equivalenti a tre anni di salario medio in Nigeria. L’accordo raggiunto il primo aprile relativo al risanamento ambientale della regione prevede un costo di 52 milioni di euro. Un grave danno economico per la Shell già costretta dagli Stati Uniti a sostenere le costosissime operazioni di risanamento del Golfo del Messico. Da indiscrezioni ottenute la compagnia olandese ha accettato di firmare l’accordo di risanamento ambientale per timore che un suo rifiuto compromettesse la firma dei rinnovo delle licenze di esplorazione ed estrazione, rinnovo avvenuto questa settimana.
Il nuovo presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha resa pubblica la volontà di varare la nuova legge sulle attività petrolifere (Petroleum Industry Bill) bloccata nel 2012 dalla precedente amministrazione di Jonathan Goodluck. La nuova legge è tesa a sfruttare meglio le risorse del primo produttore continentale di petrolio e gas naturale a favore dello sviluppo del paese. Muhammadu Buhari ha promesso di riformare l’Ente Idrocarburi Nigeriano e l’Ente di Protezione Ambientale licenziando tutti i direttori e funzionari che si trovano nei registri delle buste paga delle multinazionali straniere (ENI compresa). Questo provvedimento è ritenuto necessario per dare credibilità al governo rispetto alla gestione delle risorse petrolifere nazionali.
Le buone intenzioni del presidente Buhari possono rappresentare uno storico cambiamento nel Paese dove la manna petrolifera non si è tramutata in benessere per la popolazione ed ha creato orrendi disastri ambientali e guerre civili, come quella combattuta dagli Ogoni nel Delta del Niger. Oggi esiste la concreta possibilità di rivedere la politica petrolifera mettendola al servizio della nazione. Una possibilità che deve sottostare a precise condizioni, come osserva Tarila Marclinst Ebiede, ricercatore presso il Centro di Ricerche per la Pace e lo Sviluppo dell’Università di Louvain, Belgio. “Il nuovo governo deve sfruttare le promesse di riforma dell’industria petrolifera nigeriana includendo il controllo delle comunità. Deve inoltre rivedere seriamente le leggi di tutela ambientale per obbligare le multinazionali ad applicare alla lettera le procedure ambientali e risarcire i cittadini per le passate negligenze” afferma il professore Ebiede in un suo saggio recentemente pubblicato: “Riuscirà Muhammadu Buhari a portare pace, sviluppo e sicurezza nel Delta del Niger?”. Attenzione però. La rivoluzione nella gestione petrolifera promessa dal presidente Buhari nasconde un compromesso: il piano di riforma fiscale (che danneggerebbe direttamente le multinazionali a favore del fisco nigeriano) sarà probabilmente rinviato alle calende greche con la scusa di concentrarsi sulla riorganizzazione e sulla trasparenza degli enti statali predisposti alla gestione degli idrocarburi e tutela ambientale, come informa un comunicato della Reuters dello scorso 15 aprile.
La condanna del tribunale di Londra, che ha aperto le porte al risarcimento delle vittime, e l’accordo di risanamento ambientale delle zone contaminate rappresentano due importanti episodi non solo per la comunità di Bodo o per la Nigeria ma per il Continente e per i paesi del cosiddetto Terzo Mondo. La sconfitta della Shell ha creato un importante precedente giuridico e dimostra che con una tenace pressione dell’opinione pubblica e volontà di giustizia anche comunità indifese e prive di mezzi possono ottenere importanti e storiche vittorie contro le multinazionali. Una piccola ma significativa conquista ottenuta contro lo strapotere di queste holding che stanno distruggendo l’esistenza di milioni di esseri umani e il nostro pianeta nel nome di un profitto non certamente ridistribuito. Il caso Shell in Nigeria infrange la regola non scritta ma sempre applicata: “i profitti alle multinazionali e i danni alle comunità locali”.
lindro.it/



Nessun commento:

Posta un commento