venerdì 20 gennaio 2017

Italiani Illustri. Ambrosoli Giorgio

Italiani Illustri. Ambrosoli Giorgio

Nel settembre 1974 fu nominato dall'allora governatore della Banca d'Italia Guido Carli commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, guidata sull'orlo del crack finanziario dal banchiere siciliano Michele Sindona, al fine di esaminarne la situazione economica prodotta dall'intricato intreccio tra la politica, alta finanza, massoneria e criminalità organizzata siciliana.
I sospetti sulle attività del banchiere siciliano nascono già nel 1971, quando la Banca d'Italia, attraverso il Banco di Roma, inizia a investigare sulle attività di Sindona nel tentativo di evitare il fallimento degli istituti di credito da lui gestiti: la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria.
L'allora governatore Guido Carli, chiaramente motivato dalla volontà di non provocare il panico nei correntisti, decide quindi di accordare un prestito a Sindona, anche in virtù della benevolenza dell'amministratore delegato dell'istituto romano Mario Barone.
Quest'ultimo fu cooptato come terzo amministratore, modificando appositamente lo statuto della banca stessa, che ne prevedeva solo due: nel caso specifico, Ventriglia e Guidi.
Tale prestito fu accordato con tutte le modalità e transazioni necessarie e fu incaricato il direttore centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, di occuparsi della vicenda.
Le banche di Sindona vennero fuse e prese vita la Banca Privata Italiana di cui Fignon divenne vicepresidente ed amministratore delegato.
Contro tutte le aspettative, Fignon andò a Milano a rivestire la carica e comprese immediatamente la gravità della situazione.
Stese numerose relazioni, ricostruì le operazioni gravose e il sistema societario messi in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori e ne ordinò l'immediata sospensione.
In effetti Sindona, falsificando le scritture contabili e usando la Fasco AG come uno schermo per le sue avventure finanziarie, aveva usato indebitamente la liquidità depositata presso le due Banche milanesi (Banca unione e Banca privata finanziaria) che all'epoca in cui venne nominato Ambrosoli erano state da poco fuse nella Banca privata italiana.
Nel settembre del 1974, Fignon consegnò a Giorgio Ambrosoli la relazione sullo stato della Banca.
Ciò che emerse dalle investigazioni indusse, nel 1974, a nominare un commissario liquidatore che venne individuato nella figura di Giorgio Ambrosoli.
Ambrosoli aveva ricevuto dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli l’incarico di commissario liquidatore.
Telefonando alla moglie Annalori per comunicarle la notizia, dirà: «Sono solo». Un solo commissario liquidatore per un fallimento da centinaia di miliardi.
Ambrosoli all’epoca aveva 41 anni e un’unica esperienza nel settore fallimentare. corriere.it/2016/07/09.
In questo ruolo, Ambrosoli assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, principiando dalla controllante società "Fasco", l'interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo.
Nel corso dell'analisi svolta dall'avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritturazioni contabili, oltre alle rivelazioni dei tradimenti e delle connivenze di ufficiali pubblici con il mondo opaco della finanza di Sindona.
Contemporaneamente a questa opera di controllo Ambrosoli cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione.
Queste miravano sostanzialmente a ottenere che avallasse documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d'Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile.
Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi.
Nel corso dell'indagine emerse, inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti di un'altra banca, la statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie.
L'indagine, dunque, vide coinvolta non solo la magistratura italiana, ma anche l'FBI. Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere.
Nella sua indagine sulla banca di Sindona, Ambrosoli poté contare solo su Ugo La Malfa come referente politico, mentre il maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre gli fece da guardia del corpo.
Nonostante le minacce di morte, infatti, ad Ambrosoli non fu accordata alcuna protezione da parte dello Stato.
In Bankitalia, poté contare sul sostegno di Paolo Baffi, il governatore, e di Mario Sarcinelli, capo dell'Ufficio Vigilanza, ma solo fino al marzo del 1979, quando entrambi furono incriminati per favoreggiamento personale e interesse privato in atti d'ufficio nel corso di un'inchiesta sul mancato esercizio della vigilanza sugli istituti di credito legata al caso Roberto Calvi-Banco Ambrosiano.
Entrambi furono però integralmente prosciolti in istruttoria nel 1981.
Baffi si dimise il 16 agosto 1979, lasciando l'incarico di Governatore a Carlo Azeglio Ciampi, mentre per Sarcinelli fu eseguito il mandato di arresto in carcere.
In questo periodo Ambrosoli ricevette una serie di telefonate intimidatorie anonime nelle quali il suo interlocutore, gli intima di ritrattare la sua testimonianza resa ai giudici statunitensi che indagavano sul crack del Banco Ambrosiano, fino a minacciarlo di morte.
Ambrosoli avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979.
La sera dell'11 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, Ambrosoli fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto. Questi si scusò e gli esplose contro quattro colpi 357 Magnum.
Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali di Ambrosoli, ad eccezione di alcuni esponenti della Banca d'Italia.
Nel 1981, con la scoperta delle carte di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi, si ebbe la conferma del ruolo della loggia massonica P2 nelle manovre per salvare Sindona.
Il 18 marzo 1986, a Milano, Michele Sindona e l'italo-americano Robert Venetucci furono condannati all'ergastolo per l'uccisione dell'avvocato. Wikipedia. Michele Sindona due giorni dopo viene trovato morto in cella per avvelenamento da cianuro di potassio. http://www.rainews.it.

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