domenica 12 febbraio 2017

La dichiarazione di pubblica utilità.

13. La dichiarazione di pubblica utilità.

La dichiarazione di pubblica utilità costituisce un subprocedimento necessario che definisce una qualificazione giuridica del bene, rendendolo oggetto del procedimento ablatorio.
Alla sua emanazione provvede l’autorità competente al procedimento ablatorio ma essa può essere sollecitata dal soggetto anche privato che è interessato alla realizzazione dell’opera pubblica predisponendo gli elaborati previsti dall’art. 16, D.P.R. 8.6.2001, n. 327.
La dichiarazione di pubblica utilità può essere emanata sulla base di diversi atti formali purché l’opera prevista sia conforme alle previsioni dello strumento urbanistico o della sua variante.
Riprendendo quanto affermato dalle disposizioni normative in materia di pianificazione che attribuiscono efficacia di dichiarazione di pubblica utilità all’approvazione degli strumenti urbanistici attuativi l’art. 12, 1° co., D.P.R. 8.6.2001, n. 327, contempla fra gli atti che comportano la dichiarazione di pubblica utilità: a) all’approvazione del progetto definitivo dell’opera pubblica, al piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, al piano di recupero urbano, al piano di ricostruzione, al piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi e al piano di zona.
Tale effetto non è riconosciuto agli strumenti urbanistici generali, ma a quelli attuativi ai quali è espressamente attribuita tale qualità al momento della loro approvazione, come, ad esempio, al piano particolareggiato o al piano di zona per l’edilizia economico popolare. Cass. civ., sez. I, 11.6.1993, n. 6546, in Giust. Civ. Mass., 1993, 1024.
La corrispondenza fra pianificazione urbanistica e dichiarazione di pubblica utilità deve essere piena.
Il potere conformativo attribuito ai piani urbanistici non consente una localizzazione contrastante con la zonizzazione senza un preventivo adeguamento delle disposizioni di piano. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 8.1.1997, n. 4, T.A.R., 1997, 1010.

14. Termini. Proroga.

Il limite all’emanazione della dichiarazione di pubblica utilità è la decadenza del vincolo quinquennale dall’approvazione dello strumento urbanistico generale; mentre per le aree interessate dalla pianificazione attuativa il limite è la relativa scadenza dei piani, ad esempio, decennale per i pano particolareggiato, ex art. 13, 1° co., D.P.R. 8.6.2001, n. 327.
Il provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità può stabilire il termine entro il quale il decreto di esproprio deve essere eseguito.
Manca la distinzione fra termine relativo alle espropriazioni e termine relativo ai lavori che caratterizzava la dizione dell’art. 13, L. 25.6.1865, n. 2359 e che comportava la dichiarazione di illegittimità nel caso di mancata indicazione espressa dei termini distintamente per le due attività. Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 28.1.1998, n. 21, in Foro Amm., 1998, 1147).
Se manca l’espressa determinazione del termine di esecuzione del decreto di esproprio può essere eseguito entro il termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui diventa efficace l’atto che dichiara la pubblica utilità dell’opera.
A differenza del disposto dell’art. 13, L. 25.6.1865, n. 2359, viene richiesto unicamente l’indicazione del termine finale premesso che il termine iniziale è determinato automaticamente fino alla scadenza della possibilità di emettere la dichiarazione di pubblica utilità. Cons. St., sez. IV, 24.10.1997, n. 1228, in Urb. App., 1998, 201. Cons. St., sez. IV, 17.4.1998, n. 645, in Foro Amm., 1998, 1034. Cons. St., sez. IV, 16.10.1998, n. 1313, in Riv. Giur. Ed., 1999, 330.
L’art. 13, 5° co., D.P.R. 8.6.2001, n. 327, consacra il principio fissato dalla giurisprudenza che consente la proroga dei termini nei casi di forza maggiore e per altre giustificate ragioni.
I requisiti della proroga sono tassativi essa deve essere disposta prima della scadenza del termine e non avere durata maggiore dei due anni.
La giurisprudenza ha in precedenza ammesso la proroga dei termini che doveva essere, secondo i principi generali, congruamente motivata e approvata prima della scadenza.
E’ stato affermato che i termini possono essere prorogati per i casi di forza maggiore  e per altri motivi indipendenti dalla volontà dell'espropriante, ma sempre fissando la relativa scadenza; l'inadeguata motivazione è fonte di illegittimità del relativo provvedimento.
Non  può ammettersi  una  proroga implicita  del  termine per l'espropriazione, da desumersi dalla sola proroga del termine per l'inizio ed il compimento dei lavori. Cons. St., sez. IV, 21.7.1997, n. 724, in Cons. Stato, 1997, 1008. Cons. St., sez. IV, 8.10.1985, n. 416, in Riv. Giur. Ed., 1986, 189.
Solo in presenza di un accertato sopravvenuto evento che abbia rappresentato un obiettivo impedimento al completamento del procedimento ablatorio si può giustificare la proroga che rappresenta altrimenti una ingiustificata ulteriore compressione al diritto dei proprietari.
La proroga dei termini già scaduti è illegittima poiché essa è in conflitto col principio costituzionale, fissato dall’art. 42 cost., che prevede per la proprietà solo limiti a tempo determinato o comunque oggetto di indennizzo.
E’, invece, esclusa la possibilità di regolarizzazione di un provvedimento, nel quale sia omessa l'indicazione dei termini per l'inizio e il compimento dei lavori e delle procedure espropriative. Cons. St., Ad. Pl., 26.8.1991, n. 6, in Riv. Amm., 1991, 1800. Con. St., sez. IV, 15.4. 1997, n. 395, in Foro Amm., 1997, 1069. Cass. civ., Sez. U., 4.3.1997, n. 1907, in Riv. Giur. Ed., 1997, 504.
L’atto amministrativo può naturalmente essere rinnovato.
In tal caso la dichiarazione di pubblica utilità deve contenere una  nuova indicazione dei termini svincolati da quelli originari, impone la riproduzione di tutti gli atti successivi alla precedente dichiarazione, secondo l'ordine logico del procedimento espropriativo, ma non anche di quelli precedenti. Trib. sup. acque, 29.11.1997, n. 84, in Cons. Stato, 1997, II, 1829. Cons. St., sez. IV, 14.7.1997, n. 715, in Foro Amm., 1997, 1941.

15. Impugnazione.

Il subprocedimento è automaticamente impugnabile, senza necessità di attendere il successivo decreto di espropriazione.
Il ricorso è teso ad acclarare la legittimità del procedimento di esproprio nella fase programmatoria che deve essere seria ed attendibile:
La giurisprudenza ha affermato che è illegittima l'espropriazione di aree di proprietà privata non occorrenti alle attuali esigenze di pubblico interesse ma finalizzate ad  obiettivi di là da venire per i quali non sussiste allo stato alcuna  progettazione neppure di larga massima e tanto meno l'impegno delle necessarie risorse finanziarie.  T.A.R. Piemonte, sez. II, 4.4.1997, n. 180, in Foro Amm., 1997, 3150.
Nell’impugnazione non si può censurare il merito del provvedimento a meno che il vizio si manifesti nella assoluta carenza di logicità delle scelte effettuate dall’amministrazione. Così, ad esempio, la scelta delle aree da espropriare è rimessa all'apprezzamento della  pubblica amministrazione e non è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità, salvo che il giudice non consideri l'illogicità ovvero l'inutilità ictu oculi della scelta effettuata. Cons. St., sez. IV, 14.7.1997, n. 715, in Cons. Stato, 1997, I, 1002.
L'annullamento in sede giurisdizionale della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera ha, infatti, effetti caducanti e non già invalidanti sugli atti ablatori successivamente assunti, quali il decreto di occupazione o il decreto di espropriazione, anche se non impugnati.
Sotto il profilo sostanziale la compressione effettuata dal procedimento espropriativo non estingue il diritto del proprietario.
Il termine di impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità differisce a seconda che essa provenga ex lege o sia esplicita.
Qualora venga approvato uno strumento urbanistico la dichiarazione implicita di pubblica utilità deve essere impugnata avendo a riferimento i termini per la approvazione, mentre nel caso di dichiarazione esplicita il termine decorre dal momento della notifica del provvedimento.

Cons. St., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2874, in Foro amm. CDS, 2007, 5, 1488.

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