lunedì 13 febbraio 2017

Immigrazione. Decreto Minniti

Immigrazione. Decreto Minniti

Il Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2017 ha varato due decreti legge: uno sull’immigrazione e uno sulla sicurezza urbana, mai messi in relazione nella conferenza stampa successiva eppure certo non casuali perché il segnale che si vuole mandare è ordine e sicurezza.
Un concetto da sempre considerato “di destra” e che invece da sempre è un pallino di Minniti.
La sicurezza urbana “è un grande bene pubblico” ha detto il ministro negando che ci sarà un “sindaco sceriffo”.
I sindaci avranno più poteri di ordinanza sulla vendita di alcolici, sugli esercizi pubblici e sul decoro urbano: si vuole mettere un freno alla movida notturna che nelle città è causa di violenze e incidenti.
Le questure potranno impedire a soggetti che hanno deturpato beni pubblici o sono stati condannati per spaccio di droga a non frequentare determinate zone per un anno o più. Ci sarà una maggiore cooperazione tra prefetti e comuni e, nel caso delle città metropolitane, nascerà un Comitato metropolitano con a capo il sindaco.
Dopo l’annuncio delle misure prese in Consiglio, lo stesso Calderoli e altri esponenti dell’opposizione hanno calcato la mano sulla necessità di fermare le partenze, vero tasto dolente: i 6 miliardi dati dall’Ue alla Turchia sono lì a ricordarlo.
Trasformare il fenomeno dell’immigrazione da irregolare e gestito da criminali a regolare, cioè arrivando in modo sicuro e controllato, è l’ambiziosissimo obiettivo del decreto legge così come spiegato dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Finora, dei 40 mila da ricollocare entro settembre 2017, l’Ue ne ha presi solo 3.200 anche se la Germania, disse Minniti in quell’audizione, ne accetterà 500 al mese.
I punti centrali sono due: l’istituzione dei Cpr, più piccoli e facili da gestire e dove il Viminale potrà fare ispezioni per verificarne la gestione, e la velocizzazione delle pratiche sulle richieste di asilo. Ci saranno norme per rendere più rapide ed effettive le espulsioni e su questo, naturalmente, sarà fondamentale stipulare accordi con altri paesi di provenienza oltre ai pochi già in vigore.
Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha spiegato che le procedure davanti alle commissioni territoriali per verificare il diritto o meno all’asilo saranno modificate con l’introduzione di una sorta di rito camerale e la videoregistrazione dell’interrogatorio: in caso di ricorso, viene abolito l’appello e si potrà ricorrere in Cassazione se anche il Tribunale dovesse negare il diritto.
I tempi per la decisione prima di ricorrere in Cassazione vengono ridotti da sei a quattro mesi. Oggi il 44 per cento delle domande viene respinto e la prospettiva, secondo il ministro, è che velocizzando l’iter le pratiche diminuiranno perché molti migranti oggi presentano la domanda anche se sanno che non sarà mai accolta, ma lucrando una lunga permanenza.
I Comuni, utilizzando i fondi europei destinati all’immigrazione e all’asilo, possono favorire lavori con finalità sociali da parte dei migranti, ma volontari e gratuiti.
Questa è una pecca perché, come avviene in altri Paesi europei, sarebbe stato giusto prevedere l’obbligo di un’attività in cambio dell’accoglienza pur se temporanea: l’immigrato di buona volontà già svolge lavori in tanti piccoli Comuni, chi invece non ha voglia di lavorare e spera solo nella buona sorte continuerà a bivaccare nei centri di accoglienza e nelle città.
Cambiare l’approccio interno sarà importante, ma poco utile se sul fronte internazionale non si sbloccherà la situazione libica e se l’Ue non si farà carico di molte migliaia di migranti come promesso. La Libia rappresenta un groviglio diplomatico quasi inestricabile e se i libici non lo chiederanno apertamente (come non hanno intenzione di fare) è del tutto inutile continuare a polemizzare in Italia sulla necessità della cosiddetta fase 2-B dell’operazione Eunavfor Med: non possiamo entrare nelle loro acque territoriali senza permesso. formiche.net/2017/02/11/

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