sabato 4 marzo 2017

Il procedimento disciplinare.

1           Il procedimento disciplinare.



Il potere disciplinare incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo caso il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio. (Cavallo Perin R. e Gagliardi B., Status dell'impiegato pubblico, responsabilità disciplinare e interesse degli amministrati, in Dir. amm., 2009, 1, 53).
La tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.
La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari.
 Resta salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali e' prevista la sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell'addebito e comunque prima dell'irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente determinata all'esito di tali procedure non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l'infrazione per la quale si procede e non e' soggetta ad impugnazione. I termini del procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura conciliativa che ne determinano l'inizio e la conclusione, ai sensi dell’art. 55, 3° co., d.lgs. 165/2001, mod. dall'art. 68, 1° co.,, d.lgs. 27 .10.2009, n. 150.  
Il procedimento disciplinare deve seguire la procedura della preventiva contestazione.
L’art. 55, sexies, d.lgs. 165/2001, ins. art. 69, 1° co.,, d.lgs. 27 .10.2009, n. 150, disciplina la responsabilità+ disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione
La norma dispone che la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove gia' non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all'entità del risarcimento.
Si tratta di ipotesi di infrazioni disciplinari che trovano il proprio fondamento nella valutazione del rendimento lavorativo il quale diventa metro dell'inadempimento e della relativa responsabilità. (Ursi R., Alcune considerazioni sul nuovo regime delle sanzioni disciplinari dopo il decreto brunetta, in  Lav. nelle p.a., 2009, 5, 0759).
Come è noto, sulla scorta della nota sentenza della cassazione n. 500/1999, per la condanna dell'amministrazione la giurisprudenza amministrativa, continua ad utilizzare largamente come criterio di imputazione la c.d. colpa di apparato.
Se il giudice amministrativo non riscontra un errore scusabile del responsabile del procedimento o del dirigente e condanna l'amministrazione al risarcimento del danno, dal punto di vista disciplinare la colpa del funzionari coinvolti nella serie procedimentale sarebbe in re ipsa.
In questa prospettiva, o la sanzione disciplinare di cui all'art. 55-sexies , d.lgs. 165/2001, viene irrogata in via automatica, oppure occorrerà procedere ad una valutazione della condotta del dipendente senza tenere conto di quanto accertato dal giudice amministrativo in relazione alla condanna dell'amministrazione e procedere ad un'indagine sull'elemento soggettivo.
In questo caso, si deve ritenere in coerenza con quanto disposto dall'art. 13 e 18 del d.p.r. n. 3/1957 e dall'art. 1 della l. 20/1994 per la responsabilità erariale che per l'irrogazione della sanzione disciplinare in esame occorra il requisito del dolo o della colpa grave.
In caso contrario, si verificherebbe un medesimo fatto da luogo a forme di responsabilità tendenti alla tutela del medesimo bene della vita, ma basate su criteri di imputazione differenti.




2           . Le sanzioni amministrative rapportate al silenzio.



I comportamenti inadempienti dei pubblici funzionari possono costituire oggetto di autotutela da parte della stessa pubblica amministrazione, da cui il funzionario dipende, tramite l’applicazione di sanzioni disciplinari.
La assoluta genericità nel sistema della applicazione delle sanzioni ne fa uno strumento ad uso discrezionale dell’autorità che deve provvedere, senza che sia possibile alcuna partecipazione, neppure di segnalazione, dei soggetti estranei all’amministrazione.
La giurisprudenza considera il silenzio della amministrazione come una semplice irregolarità non viziante che costituisce elemento valutabile ai fini della responsabilità dirigenziale, in sede di verifica dei risultati della gestione (Cons. St., sez. VI, 19.2.2003, n. 939).
La privatizzazione del pubblico impiego, pur non prevedendo espressamente uno specifico provvedimento disciplinare per i mancati adempimenti, impone una verifica sul risultato dell’attività dei dirigenti.
L’art. 21, d.lgs. 165/2001, mod.dall'articolo 41, 1° co., lett. a), d.lgs. 27 .10.2009, n. 150, afferma che il mancato raggiungimento degli obiettivi accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo II del decreto legislativo di attuazione della l. 4 .3. 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilita' di rinnovo dello stesso incarico dirigenziale.
In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui all'art. 23, d.lgs. 165/2001, ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo .
Al dirigente nei confronti del quale sia stata accertata, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti collettivi nazionali, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, la retribuzione di risultato è decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della violazione di una quota fino all'ottanta per cento .
Si tratta di una norma di carattere generale tesa soprattutto a verificare il risultato in rapporto alle relazioni interne all’amministrazione.
La giurisprudenza ha precisato che i dirigenti, oltre ad una responsabilità disciplinare, sono soggetti ad un tipo di responsabilità specifica ed aggiuntiva, la quale sorge per l'inidoneità del dirigente a conseguire gli obiettivi indicati dagli organi di governo nell'esercizio delle loro funzioni di indirizzo politico-amministrativo. L'una e l'altra forma di responsabilità vanno accertate, secondo quanto disposto dalla indicata disposizione, secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, valutata, la responsabilità dirigenziale, sia sotto il profilo del mancato raggiungimento degli obiettivi che sotto quello dell'inosservanza delle direttive (Trib. Trapani, 26.11.2003).
La disposizione valuta i comportamenti in ordine al rispetto delle direttive impartite: essa tralascia ogni valutazione in ordine ai rapporti esterni con i soggetti passivi dei provvedimenti amministrativi.
L’operato dei dirigenti deve essere stimato in rapporto agli obiettivi da perseguire e alle risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente rese disponibili.
E’ la stessa autorità che ha assunto con contratto a termine il dirigente basandosi su un rapporto fiduciario che deve procedere ad una sua valutazione.
Per evidenti ragioni di compatibilità con la scelta effettuata l’amministrazione non può divergere sulle linee di operatività del dirigente, c’è anzi da supporre che l’inadempimento rispecchi le linee stesse dell’amministrazione.
La giurisprudenza conferma che la revoca dell'incarico dirigenziale può avvenire solo in relazione alla gravità dei casi.
Occorre che sussistano i presupposti di fatto della responsabilità dirigenziale (mancato raggiungimento degli obiettivi, inosservanze di direttive, illeciti disciplinari) e che questi raggiungano una soglia di apprezzabile gravità tale da essere proporzionale alla più radicale misura della revoca dell'incarico. In ogni caso, a garanzia del dirigente, gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità dell'art. 21, comma 1, secondo periodo, cit. Quanto poi alle conseguenze della revoca illegittima dell'incarico dirigenziale la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici non è quella dell'art. 2118 c.c., propria dei dirigenti privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti con qualifica impiegatizia. Pertanto, in caso di revoca illegittima dell'incarico dirigenziale ne consegue che l'Amministrazione è tenuta a ripristinare l'incarico dirigenziale illegittimamente revocato ed a corrispondere le differenze retributive. (Cass. Civ., sez. un., 1.12.2009, n. 25254, in  Lav. nelle p.a. , 2009, 6, 1085).

3           Il potere di sostituzione dei dirigenti.


La dottrina ritiene che la suddivisione operata dalla l. 29/1993 e dal d.lgs. 165/2001 in ordine alla distinzione dei poteri di indirizzo riservato agli amministratori e di esecuzione degli atti riservato ai dirigenti comporti una modificazione dell’originario potere di avocazione del Ministro in rapporto agli atti dei dirigenti.
Si preferisce affermare che ora si tratta di un potere di sostituzione (Ciro S. ,Il rapporto di lavoro alle dipendenze della p.a. dopo la privatizzazione, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1091).
In caso di inerzia o ritardo da parte del dirigente statale  riguardo ad atti su richiesta di parte o dovuti ex officio il Ministro può individuazione  un commissario ad acta.
Il Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga, o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente competente, che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro può nominare un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento.
Resta salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità, ex  art. 14, 3° co., d.lg. 165/2001.




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