mercoledì 8 marzo 2017

Ce. Leaders europei

Ce. Leaders europei

Da David Cameron a François Hollande, da Matteo Renzi agli scandinavi: per molti leader europei, democratici tradizionali d'ogni colore, il 2016 è stato l'annus horribilis.
Francia. Potenzialmente il quadro più pericoloso, tenendo anche conto che Parigi è membro permanente del Consiglio di sicurezza e dispone di potenti forze armate soprattutto con trecento bombe atomiche. Crisi sociale, declino industriale, tensioni etniche ed economiche tra banlieues e centri dei ceti alti, hanno esasperato la mancanza di leadership di François Hollande.
La paura del mondo è che un giorno sieda all'Eliseo, con sul tavolo la valigetta dei codici delle trecento testate nucleari a raggio intercontinentale, Marine Le Pen, leader populista e in parte erede cultural politica di Petain e Laval, insomma di Vichy.
Nel Ps resta il caos, la speranza dei democratici terrorizzati dal Front National è il neogollista iperconservatore François Fillon.
Regno Unito. David Cameron aveva commesso l'errore di scommettere tutto sul referendum della Brexit legando il suo destino ai risultati. Ha sottovalutato i veri umori popolari: paura dei migranti, impoverimento nelle periferie.
Quando Boris Johnson suo rivale nei Tories e a destra Nigel Farage e gli altri dell'Ukip hanno cavalcato la tigre del Brexit, dell'uscita dalla Ue per tornare sovrani, hanno vinto. A lui con un discorso dignitoso ma commosso davanti al cancello numero 10 di Downing Street non è restato che presentare le sue dimissioni.
Spagna. Mariano Rajoy, leader del Partito popolare (membro dei Popolari europei, insomma democristiano) seguendo le ricette d'austerità tedesche e i consigli di Draghi aveva cominciato a rilanciare l'economia spagnola. Ma troppo alta è rimasta la disoccupazione giovanile, troppo pesante il fardello delle conseguenze della bolla immobiliare per milioni di famiglie.
Così alle elezioni, ripetute due volte, non è riuscito a vincere. Alla fine, in un paese diviso tra partiti tradizionali, populisti di sinistra (Podemos) e centristi (Ciudadanos), Rajoy si ritrova a guidare un governo d'emergenza che si regge non sulle proprie forze ma solo sull'astensione di altri gruppi.
Germania. Angela Merkel ha deciso di ripresentarsi ma rischia grosso, con coraggio. Da quando nel 2015 ha deciso di accogliere milioni di migranti in tutto il Vecchio continente, ha suscitato umori e paure xenofobe a casa come in Austria o Scandinavia, dove i migranti passavano o puntavano ad andare. Con Alternative fuer Deutschland è sorto per la prima volta un partito nazionalista e antieuropeo a destra della Cdu-Csu.
Austria. Volo della destra per la paura dei migranti, spazzati via alle presidenziali i partiti storici che governavano insieme col cancelliere socialdemocratico Werner Feymann da decenni, cioè appunto socialdemocratici stessi e cristiano popolari. Volo della Fpoe, la destra radicale di Heinz Christian Strache.
In extremis Alexander van der Bellen, indipendente ex leader verde, ha salvato i valori storici. Vedremo come andrà alle parlamentari attese per l'anno prossimo o per il 2018.
Centroest. Già al potere da prima, nazional conservatori populisti ed euroscettici come il polacco Jaroslaw Kaczynski e l'ungherese Viktor Orbàn hanno approfittato dell'aria generale per consolidare le loro tendenze autoritarie: chiusure di giornali, linea ancor più dura sui migranti, e in Polonia leggi durissime contro le manifestazioni di piazza e controllo in stile turco, iraniano o cinese su chiunque usi internet.
In Polonia la società civile resiste, ma quasi ovunque al centroest prevalgono nazionalismi xenofobi e 'no' alla Ue che pure inonda le ex colonie di Mosca con miliardi di aiuti.
Repubblica Ceca. In ottobre, si vota nella Repubblica Ceca. I sondaggi danno 10 punti di vantaggio sui socialdemocratici a Andrej Babis, una sorta di Berlusconi locale, che guida un partito fondato cinque anni fa, dal nome iperpopulista Azione dei Cittadini Insoddisfatti. Ministro delle finanze, imprenditore miliardario, ha vinto le elezioni regionali e per il Senato conquistando nove delle 13 regioni in lizza, mentre i democratici sociali (Cssd) del premier Bohuslav Sobotka hanno vinto solo in due regioni
Scandinavia. I populisti fin dal 2015 sono in ascesa ovunque. In due paesi cioè Norvegia e Finlandia partiti xenofobi sono junior partner dei governi conservatori rispettivamente guidati da Erna Solberg e Juha Sipila.
In Danimarca i populisti antimigranti del Dansk Folkeparti condizionano dall'esterno al Folketing (Parlamento) le scelte del centrodestra guidato dal premier Lars Lokke Rasmussen.
Tutto ciò in paesi floridi (solo la Finlandia è in recessione e colpita da problemi sociali gravi) ma terrorizzati da migranti e paura di perdita d'identità, e dalla crescente incapacità dei partiti storici di parlare con gli elettori e ascoltarli.
La prova del fuoco saranno le elezioni parlamentari di settembre 2017: i populisti xenofobi ed euroscettici guidati dal giovane Jimmie Akesson, gli SverigeDemokraterna (democratici di Svezia) potrebbero persino divenire primo o secondo partito, spodestare il governo di sinistra riformatore del premier Stefan Loefvén. repubblica.it/esteri/2016/12/05/



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