lunedì 6 marzo 2017

Il giudice penale e l’accesso al procedimento amministrativo.

1            Il giudice penale e l’accesso al procedimento amministrativo.


La rilevanza penale del comportamento omissivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio conserva la sua autonomia rispetto alla giustizia  amministrativa.
Il giudice di legittimità, pur partendo dalla premessa secondo cui la norma penale dell’ art. 328, c.p. e quella amministrativa dell’art. 25, 4° co., l. n. 241/1990, sono in perfetta sintonia tra loro, non ne trae i conseguenziali corollari, e finisce con il ritenere, sul piano degli effetti giuridici, che la disciplina amministrativa e quella penale rappresentino un doppio binario tendente alla tutela, sotto diversi profili, del cittadino.
L'inosservanza del precetto penale consente all'interessato di adire il giudice penale, mentre la mancanza di un diniego espresso di accesso legittima, ai sensi dell'art. 25, 5° co., l. n. 241/1990, il ricorso al giudice amministrativo. (Tenore V., Omissione di atti d'ufficio ed omessa risposta ad istanza d'accesso: una criticabile sentenza della Cassazione , Nota a:Cassazione penale , 27/02/1997 n. 1672, sez. VI ,  in Foro Amm., 1998, 6, 1674).
L’esperimento della procedura dell’accesso non comporta una automatica messa in atto della diffida ad adempiere, che è necessaria per potere realizzare la fattispecie prevista dal reato di omissione previsto dall’art. 328, 2° co., c.p.; il reato di omissione di cui all’art. 328, 1° co., si realizza senza la necessità di preventiva diffida.
Non può sostenersi che, se il termine di trenta giorni dalla richiesta coincida con il termine stabilito per il maturarsi del silenzio–rifiuto, ex art. 25, l. 241 del 1990, non sussista il reato di cui all'art. 328, 2° co., c.p., se il pubblico ufficiale non compia l'atto richiesto e non risponda al richiedente, perché con il silenzio-rifiuto si avrebbe, sia pure una presunzione, il compimento dell'atto.
Il silenzio - rifiuto, riferibile impersonalmente alla p.a., è una mera fictio iuris, alla quale si fa ricorso per ovviare ad una situazione di stallo e porre il cittadino nella condizione di sbloccare tale situazione e di ottenere comunque una decisione sulla sua richiesta di accesso ai documenti.
A monte del silenzio - rifiuto rimane sempre la condotta omissiva del pubblico ufficiale, la quale connota d'illiceità lo stesso silenzio - rifiuto.
L'assunto sopra prospettato condurrebbe alla conclusione che, in materia di accesso ai documenti, la cosciente e volontaria inerzia del pubblico ufficiale che tale accesso deve garantire rimarrebbe sempre priva di rilevanza penale, solo perché la normativa amministrativa, ex art. 25 l. n. 241 del 1990, appresta il rimedio verso il silenzio della p.a., il che confligge con il chiaro dettato dell'art. 328, 2° co., c.p. (Trib. Milano, 16.4.1999, in  Foro Ambr., 1999, 273).
Le funzioni dei due procedimenti perseguono comunque finalità diverse; mentre la norma penale ha un chiaro intento repressivo, quella amministrativa tende a realizzare dei mezzi di tutela che consentano il raggiungimento degli interessi del richiedente.
Per la giurisprudenza l'effetto penale obbedisce all'esigenza di reprimere quei comportamenti del pubblico ufficiale che contravvengono al principio di correttezza e buon andamento dell'attività della amministrazione; il rimedio amministrativo, invece, assicura la possibilità di dare forza ed effettiva attuazione al suo diritto di accesso ai documenti (Cass. pen., sez. VI, 8.1.1997, in Cass. Pen., 1997, 3019).
La dottrina rileva come il dettato della l. 241/1990 non è coordinato con la norma penale (Fiandaca F. e Musco E., Diritto penale. Parte speciale 1997, 262).
Il reato è determinato dall’inadempimento di un comportamento previsto dalle leggi del procedimento solo in casi tassativamente determinati, ma nella sua previsione più generale il reato è subordinato ad una particolare messa in mora dell’amministrazione che ha l’obbligo a provvedere (Cerulli Irelli V., Corso di diritto amministrativo, 1997, 478).
La necessità di esperire, oltre al procedimento amministrativo, anche il procedimento penale è sancito anche dalla giurisprudenza penale se si vuole concretizza la fattispecie prevista dal reato.
Essa afferma che per aversi omissione di atti di ufficio rilevante ai sensi dell'art. 328, 2° co., c.p., in caso di richiesta di accesso a documenti amministrativi, sono necessari la richiesta dell'interessato, l'inerzia del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio obbligato a provvedere, la quale si sia protratta oltre trenta giorni dalla richiesta. A tal punto sono necessari un'ulteriore richiesta dell'interessato con valore di messa in mora e l'inutile decorso di altri trenta giorni da tale ultima istanza senza che il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio abbia provveduto o, quantomeno, risposto per esporre le ragioni del ritardo  (Trib. Avellino, 6.11.1997, in Giur.Merito, 1998, 474).








2           Il rifiuto di atti da compiere d’ufficio senza ritardo.


La fattispecie penale contempla due distinte ipotesi che concretizzano il reato di omissione.
La prima ravvisa il reato nel mancato compimento di atti che devono essere compiuti senza ritardo  dal soggetto investito del potere immediatamente, poiché risponde ad esigenze di carattere preminente.
La norma sanziona il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica o di ordine pubblico o di igiene o sanità deve essere compiuto senza ritardo con la reclusione da sei mesi a due anni, ex art. 328, c.p., mod. art. 16, l. 86/1990. (Romano M., I delitti contro la pubblica amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali, sub artt. 314-335 c.p., in Commentario sistematico, 2006,  324).
Nella prima ipotesi il reato si realizza immediatamente nelle fattispecie espressamente contemplate dalla norma. Essa delinea una fattispecie caratterizzata da un doppio meccanismo limitativo in funzione di due limiti tassativi espressi, nel difetto dei quali il rifiuto, sebbene continui ad essere qualificabile come illecito ai fini amministrativi e/o civilistici, diviene penalmente irrilevante: 1) deve trattarsi di atti qualificati, ossia di comportamenti che ineriscono materie tassative, quelle della giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità: 2) ulteriore qualifica dell'oggetto materiale della condotta è l'indilazionabilità dell'atto: solo gli atti non ritardabili, indifferibili sono tali, se concernenti le anzidette materie tassative, da far scattare la tutela penale rafforzata dell'art. 328, 1° co., c.p.
La fattispecie di inottemperanza da parte del curatore fallimentare all'ordine del giudice delegato del rendimento del conto della gestione a seguito della sua revoca, non integra gli estremi del delitto di cui all'art. 328 c.p., sia perché non costituisce un atto qualificato, sia perché nessuna norma penale o extrapenale qualifica tale esibizione come indilazionabile o indifferibile (Trib. Bari, 1.6.2004).
La giurisprudenza ha utilizzato un criterio restrittivo nell’identificare le materie che devono ottenere un immediato adempimento e che quindi non necessitano di diffida.
Per atto di ufficio che per ragione di giustizia deve essere compiuto senza ritardo si intende qualunque ordine o provvedimento autorizzato da una norma giuridica per la tempestiva attuazione del diritto obiettivo e diretto a rendere possibile o più agevole l'attività del giudice, del pubblico ministero o degli ufficiali di polizia giudiziaria.
La ragione di giustizia si esaurisce con l'emanazione del provvedimento di uno degli organi citati, non estendendosi agli atti che altri soggetti sono tenuti eventualmente ad adottare in esecuzione del provvedimento dato per ragione di giustizia. Ne consegue che non attiene a una ragione di giustizia la mancata adozione, da parte di un sindaco, dei provvedimenti di natura amministrativa relativi a contravvenzioni stradali. (Cass. Pen., sez. VI, 25.1.2010, n. 14599 , in CED Cass. pen. , 2010, rv 246655).







3           Il rifiuto di atti d’ufficio previa diffida.


La seconda ipotesi di reato per concretizzarsi necessita di una preventiva diffida scritta cui non è stata data risposta né in termini provvedimentali né per notiziare degli sviluppi procedimentali.
La norma sanziona  il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro.
Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa, ex art. 328, c.p., mod. art. 16 l. 86/1990.
Per la dottrina la norma configura, pertanto, un delitto di messa in mora (Fiandaca F. e Musco E., Diritto penale. Parte speciale, 1997, 262).
La giurisprudenza ha precisato che la diffida ad adempiere, trattandosi di "richiesta ricevuta" dal funzionario pubblico, per rilevare ex art. 328, 2° co., c.p., oltre a doversi distinguere, ontologicamente e temporalmente, dall'istanza diretta ad ottenere il provvedimento, va correttamente "veicolata": è essenziale, quindi, che sia indirizzata all'articolazione dell'amministrazione competente a provvedere e che risulti giunta, con certezza, alla conoscenza del funzionario responsabile, sicché è onere del denunciante allegare alla denuncia la prova dell'inoltro della diffida e della materiale ricezione di questa da parte del funzionario competente a provvedere.
Affinché sorga per il pubblico funzionario l'obbligo di provvedere nel senso richiesto dal privato, e dunque risulti "indebito" il comportamento omissivo o ritardato del pubblico funzionario, è necessario che l'atto domandato sia un atto dovuto, cioè vincolato, con esclusione di qualsiasi scelta sulla possibilità di renderlo come di non renderlo, sia sui tempi sia sui modi della sua emanazione. (Trib. Trani, 28.10.2004).
La giurisprudenza precisa che per ravvisare il reato di omissione di atti d'ufficio, deve essere stato omesso un atto dovuto, mentre nessuna violazione penale può configurarsi nel caso in cui l'atto che si assume omesso o ritardato rientrasse nell'ambito della discrezionalità amministrativa.
Finché ci si muove nell'ambito della discrezionalità amministrativa gli amministratori effettuano scelte delle quali rispondono in sede politica e amministrativa, ma che sono esenti da sindacato penale (Trib. Trapani, 28.5.2003, in Giur. Merito, 2004, 760).
L’entrata in vigore della modifica apportata dalla l. 86/1990 ha ridotto le fattispecie punibili.
Anche i fatti compiuti precedentemente, pur essendo punibili in base alla legge del tempus commissi delicti, divengono non punibili, in forza dell’art. 2 c.p., in base al novum ius (Cass. pen., sez. VI, 11.3.1992, in Giust. Pen., 1992, II, 593).
L’omissione sanzionata dall’art. 328, 2° co., c. p., richiede la diffida ad adempiere ritualmente notificata, trattandosi di pubbliche amministrazioni, a mezzo di ufficiale giudiziario.
La giurisprudenza ha precisato che integra il reato di omissione di atti d'ufficio la condotta del segretario comunale che, a fronte della richiesta di un consigliere comunale di accesso agli atti, ometta di fornirgli e di rispondere nei termini di legge, essendo irrilevante che gli atti richiesti non rientrino nelle competenze deliberative del Consiglio.
In motivazione, la Corte ha chiarito che il potere di sindacato ispettivo, di stimolo e controllo sull'attività degli organi comunali previsto dall'art. 42 t.u.e.l. dà diritto ai consiglieri di ottenere qualsiasi informazione necessaria per il suo esercizio. (Cass. Pen., sez. VI, 8.4.2009, n. 21163 , in Cass. pen. , 2010, 5, 1806).
Il cattivo coordinamento colla l.241/1990 presuppone un procedimento di diffida del tutto autonomo con decorrenze diverse.
Per la dottrina l’interessato può formulare la richiesta solamente dal momento in cui sia spirato il termine previsto dalla legge per il regolare e valido compimento dell’atto (Putinati S., Omissione. Rifiuto di atti d’ufficio, in Dig. Disc. Pen., 1994, VIII,, 580).
Per la giurisprudenza , invece, ai fini della integrazione del delitto di omissione di atti d'ufficio, è irrilevante il formarsi del silenzio-rifiuto entro la scadenza del termine di trenta giorni dalla richiesta del privato. Ne consegue che il "silenzio-rifiuto" deve considerarsi inadempimento e, quindi, come condotta omissiva richiesta per la configurazione della fattispecie incriminatrice.
La fattispecie è relativa ad un'istanza presentata da un medico convenzionato all'A.S.L., al fine di ottenere il pagamento delle proprie competenze retributive. (Cass. Pen., sez. VI, 24/11/2009, n. 7348 , in CED Cass. pen. , 2010, rv 246025).
Integra il reato di omissione d'atti di ufficio la mancata comunicazione, da parte della p.a., entro trenta giorni dalla richiesta dell'interessato, a norma dell'art. 5 della l. 241 del 1990, dell'unità organizzativa competente e del nominativo del responsabile del procedimento.
La Corte ha precisato che siffatta intervenuta nomina del responsabile non esime il superiore gerarchico dall'obbligo di comunicazione di cui sopra (Cass. Pen., sez. VI, 23.4.2009, n. 32837 , in CED Cass. pen. 2009, rv 244605).
Nel caso in cui il ritardo sia addebitabile ad un organo collegiale la responsabilità penale può configurarsi nei confronti dei singoli componenti e presuppone una richiesta di messa in mora formulata ai singoli componenti (Cass. pen., sez. VI, 28.11.1997, n. 2320, in  Guida Dir. 1998, n.14, 90).
Ben più severa è la posizione della giurisprudenza nei confronti delle eventuali omissioni degli amministratori nell’attività comunale di vigilanza sugli abusi edilizi.
In tal caso si rientra nell’ipotesi di cui all’art. 328, 1° co. del c.p., poiché l’atto di controllo è atto che deve essere compiuto senza ritardo.
Il reato si realizza immediatamente. Si deve provare la conoscenza da parte del sindaco della situazione di abusivismo, perché ad esempio la stessa gli è stata comunicata da una o più persone o sia a lui personalmente nota per atti che gli provengono dagli stessi uffici, e che il rifiuto ad adempiere o la mancata risposta per esporre le ragioni del ritardo si sia protratto oltre il tempo tecnico che richiede l’intervento repressivo.
Per la giurisprudenza il sindaco è l’autorità cui è conferito per legge il potere di vigilanza ed ha l’obbligo giuridico di intervenire con urgenza, tale intervento non può essere inquadrato nell’attività discrezionale, bensì è imposto dalla legge come atto dovuto (Cass. pen., sez. VI, 8.4.1986, in Cass. Pen., 1987, 1525).








4           I limiti all’azione penale.



La giurisprudenza ha posto degli ulteriori limiti all’azione penale richiedendo, ai fini della configurabilità del reato di rifiuto di atti d'ufficio nell'ipotesi prevista dall'art. 328, 2° co., c.p., che l'atto d'ufficio non compiuto - in relazione al quale non siano fornite nel termine di legge, a specifica richiesta della parte interessata, le ragioni del ritardo - sia un atto dovuto, e quindi idoneo ad esprimere utilmente, e non in modo superfluo, la posizione della p.a. nel rapporto con il privato.
Ne consegue che non ogni richiesta di atto da parte del privato è idonea ad attivare il meccanismo che può dar luogo alla configurabilità del reato de quo, dovendosi tale idoneità riconoscere solo a quelle richieste che siano funzionali ad un effettivo e doveroso dinamismo della p.a., si estrinsechi esso in atti facoltativi, vincolati o comportanti una certa discrezionalità, sempre che trattisi di atti costituenti comunque espressione di un preciso dovere legale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio.
Per la giurisprudenza il reato previsto dall'art. 328, 2° co., c.p., è da escludere quando - come nel caso della richiesta di accesso a documenti disciplinati dall'art. 25, d. l. n. 241 del 1990 - la mancata risposta alla richiesta del privato nel medesimo termine previsto dalla norma penale (30 giorni), dia luogo a silenzio - rifiuto perché quest'ultimo equivale, sia pure per presunzione, al compimento dell'atto e viene comunque a determinare una situazione concettuale incompatibile con l'inerzia della p.a.
Vi è la necessità, quindi, di una messa in mora della stessa da parte del privato, il quale è posto in grado di apprezzare concretamente il risultato dell'attività amministrativa alla quale è interessato e di assumere le eventuali iniziative del caso.
Nella specie, in applicazione di detti principi, la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la configurabilità del reato a carico di taluni dirigenti di una USSL i quali non avevano dato riscontro alle ripetute richieste di una dipendente volte ad ottenere chiarimenti ed atti concernenti la sua posizione giuridica, segnatamente con riguardo alle mansioni che le erano state affidate da lei ritenute non compatibili con il suo profilo professionale  (Cass. pen., sez. VI, 6.10.1998, n. 12977, in Dir. Pen. Proc, 1999, 1145).
Tale impostazione tende a negare la tutela penale laddove sia possibile esercitare l’azione amministrativa ad exhibendum di modo che l’esercizio dell’azione amministrativa diventa alternativo a quello dell’azione penale.
L’orientamento non è condiviso dalla migliore dottrina che ritiene come la possibilità di un’azione amministrativa non possa escludere l’esercizio di quella penale trattandosi di azioni che sono completamente autonome aventi presupposti del tutto diversi.
Essa rileva che diversamente si  debba concludere per quanto afferisce al caso di cui all’art. 25, 4° co., l. 241/1990.
La norma al pari dell’istituto del silenzio di cui all’art. 2, l. 241/1990, forgia il silenzio come rimedio all’arbitraria violazione dell’obbligo di pronunciarsi espressamente da parte degli amministratori ai soli fini di consentire al privato l’immediata tutela giustiziale e giurisdizionale amministrativa.
Viene in sostanza in rilievo una semplice fictio iuris che nulla sposta in merito all’offensiva penale della condotta.
Una diversa opzione interpretativa attribuirebbe al funzionario adito la comoda possibilità di trincerarsi dietro il congegno finzionistico del silenzio quand’anche si tratti in concreto di richiesta di accesso costituente esplicazione di diritto soggettivo nella fattispecie sorretta da tutti gli elementi giustificativi (Sempreviva  M.T., L’accesso ai documenti amministrativi, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1995).
La rilevanza penale non è, però, esclusa dall’esperimento del rimedio amministrativo qualora l’inadempimento del pubblico ufficiale sia fatto valere nei termini della preventiva diffida a provvedere per atti di cui l’istante abbia interesse.
La rilevanza penale del comportamento omissivo del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio non viene, per così dire, vanificata dalla previsione del rimedio amministrativo anche contro il semplice silenzio e conserva la sua autonomia rispetto a tale rimedio.
L'effetto penale obbedisce all'esigenza di reprimere quei comportamenti del pubblico ufficiale che contravvengono al principio di correttezza e buon andamento dell'attività della p.a.
Il rimedio amministrativo, invece, assicura la possibilità di dare forza ed effettiva attuazione al suo diritto di accesso ai documenti  (Cass. pen., sez. VI, 8.1.1997, in Cass. Pen., 1997, 3019).



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