sabato 4 marzo 2017

Il ricorso contro il silenzio

1           L’oggetto del ricorso contro il silenzio.


Il ricorso giurisdizionale contro il silenzio nel ricorso amministrativo, decorso lo spatium deliberandi di novanta giorni ex art. 6, d.p.r. 1199/1971, va presentato contro l’inadempimento dell’amministrazione, ex art. 31, d.lgs. 104/2010 .
Dall'inerzia nel decidere scaturiscono effetti solo processuali.
La dottrina precisa che non si può considerare in simili casi aperta la via all’impugnativa di un atto amministrativo, ma semplicemente la possibilità di richiedere direttamente al giudice la risoluzione della controversia che si era chiesta all’autorità amministrativa (Sandulli A. M., Manuale di diritto amministrativo,  1989, 1238).
Non vi è, infatti, alcun provvedimento da impugnare, ma il trascorrere del tempo abilita l'interessato a riprodurre l'impugnativa in sede giurisdizionale o a mezzo di ricorso straordinario al Capo dello Stato:
Il comportamento omissivo dell'organo adito in via gerarchica, pertanto, poiché inidoneo a tipizzare una decisione di reiezione dell'impugnativa, non è suscettibile di censura per autonomi vizi di legittimità, con la conseguenza che le situazioni soggettive dell'interessato ritenute lese vanno esclusivamente tutelate avverso l'unico ed originario provvedimento che aveva dato luogo al ricorso gerarchico  (T.A.R. Lazio sez. II, 18.12.1996, n. 2182, in T.A.R., 1997,I, 36).
Il ricorrente può anche non impugnare nei termini decadenziali il silenzio, attendendo una decisione tardiva, ma egli si trova esposto all’eventualità di una non decisione:
Il decorso del termine di 90 giorni per la formazione del silenzio rigetto, previsto dall'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, non ha effetti sostanziali bensì effetti processuali, in quanto abilita il ricorrente gerarchico a scegliere tra l'immediata proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei termini di decadenza e la successiva impugnativa dell'eventuale decisione gerarchica, ove lesiva (Cons. St., sez. VI, 4.8.1993, n. 564).
il termine per la impugnativa giurisdizionale comincia a decorrere dalla data di scadenza dello spatium deliberandi.
Trascorsi i 90 giorni scatta l’ulteriore termine di 60 giorni per il ricorso giurisdizionale.
Al decorso del termine di 90 giorni dalla data di presentazione del ricorso gerarchico senza che l'organo adito abbia comunicato la decisione è collegato non già un obbligo di impugnazione, ma piuttosto l'attribuzione di una facoltà di impugnativa, nel senso che il ricorrente ha la facoltà di ricorrere immediatamente in sede giurisdizionale avverso il provvedimento originario ovvero di attendere (come verificatosi nella specie) la pronuncia tardiva sul ricorso gerarchico con connessa eventuale riconsiderazione dei profili di merito della questione (T.A.R. Lazio, sez. III, 9.9.2004, n. 15190).
Tale scadenza non viene riaperta dall’eventuale rigetto tardivo del ricorso gerarchico: tale decisione, infatti, è considerata inutiliter data, in quanto conferma il silenzio rigetto.


2           La consumazione del potere di provvedere. La decisione tardiva.


L’autorità amministrativa ha il dovere giuridico di pronunciarsi sul ricorso presentato e il privato ha il diritto, tutelato dalla legge, che il proprio ricorso sia deciso.
La funzione del  ricorso amministrativo si intende esaurita se, dopo novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza, l’organo preposto non si sia pronunciato; l’interessato può allora proporre ricorso giurisdizionale direttamente contro il provvedimento originario (Galli R. , Corso op. cit., 1996,  500).
La dottrina tradizionale configura il silenzio rifiuto come provvedimento tacito negativo soggetto ai rimedi giurisdizionali; essa attribuisce al silenzio di un organo della amministrazione il valore di una dichiarazione, sia pure tacita, di volontà che non ha alcuna rispondenza con la realtà.
Le conseguenze sono evidenti soprattutto in tema di consumazione del potere di provvedere dell’amministrazione e di aggravamento della posizione del privato che, oltre ad essere danneggiato dal silenzio, si vede oberato di forme gravose di tutela anche sui provvedimenti successivi dell’ente (Galateria L. e Stipo M., Manuale di diritto amministrativo, 1993, 258).
Il fatto che la dottrina e la giurisprudenza concordino nel far derivare dall'inerzia a decidere effetti solo processuali comporta una conseguenza fondamentale in termini di potere decisionale ed in termini di tutela.
L’amministrazione può, infatti, intervenire con una decisione tardiva.
La giurisprudenza conferma che l'inutile decorso del termine di novanta giorni, assegnato dall'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, all'amministrazione per la decisione sul ricorso gerarchico, non ha effetto sostanziale cioè non concretizza un provvedimento di rigetto ma ha effetti processuali .La scadenza del termine legislativamente prescritto non estingue il potere dell'amministrazione di decidere il ricorso amministrativo. Il soggetto interessato ha tuttavia la facoltà di proporre ricorso giurisdizionale avverso il silenzio-rigetto, ovvero di attendere la decisione tardiva dell'amministrazione. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I 6.4.2010, n. 663).





2.1         La decisione tardiva di accoglimento


La decisione di accoglimento del ricorso gerarchico, tardivamente emessa dopo la formazione del silenzio-rigetto, è un provvedimento amministrativo efficace ancorché illegittimo, e deve essere impugnata dagli eventuali controinteressati che intendono rimuovere gli effetti dell'accoglimento; pertanto, ove non sia impugnato, esso è idoneo ad incidere sui rapporti giuridici preesistenti, come se fosse valido.
Trascorso il termine per l'impugnativa giurisdizionale del provvedimento gravato di ricorso gerarchico, respinto con silenzio-rigetto, è inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto avverso la decisione tardiva esplicita di rigetto ancorché emessa per pronunciarsi sulle censure di merito formulate dal ricorrente né può essere concessa all'interessato la rimessione in termini per errore scusabile.
La disciplina dell'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, si applica ad ogni tipo di ricorso amministrativo, fatta eccezione per le norme speciali relative agli atti dei ministri, di enti pubblici ed organi collegiali.
Nella fattispecie la nuova normativa posta dal è stata dichiarata applicabile ai ricorsi dinanzi alla commissione costituita presso i provveditorati agli studi in materia di incarichi di insegnamento.
Nel caso in cui l'autorità adita con ricorso gerarchico emani una decisione esplicita di accoglimento dopo la scadenza del termine, questa decisione equivale ad una revoca di quella tacita di rigetto, con l'effetto che, quando non vi siano controinteressati che intendano far valere l'illegittimità dell'anzidetta decisione, e l'accoglimento sia pieno, può essere dichiarata la cessazione della materia del contendere sul ricorso giurisdizionale eventualmente proposto contro il silenzio-rigetto, ai sensi dell'art. 23, ultimo comma, l. 6.12.1971, n. 1034. Mentre, ove vi siano controinteressati, questi possono esperire, nell'ordinario termine di decadenza, il rimedio giurisdizionale contro la nuova decisione, in quanto emanata dopo la consumazione del potere di reiezione avvenuta in forma tacita e, se la decisione non sia impugnata, questa diventa inoppugnabile.
La decisione tardiva dell’autorità può essere positiva stabilendo l’accoglimento dell’istanza con l’emissione del provvedimento richiesto.
Tale decisione, quale atto di ritiro del silenzio rigetto intervenuto nel corso del procedimento, fa cessare la materia del contendere. La giurisprudenza ha confermato che l'eventuale decisione di accoglimento emessa dall'autorità investita dal ricorso gerarchico - oltre il termine fissato dall'art. 6, d.p.r. 24.11.1971, n. 1199 - e successivamente alla proposizione del ricorso giurisdizionale contro il silenzio-rigetto, determina la cessazione della materia del contendere ai sensi dell'art. 23, 7° co., l. 6.12.1971, n. 1034, soltanto se non vi siano controinteressati, giacché questi, se esistenti, sarebbero legittimati ad impugnare una decisione gerarchica ormai non più consentita; tuttavia, in forza del generale potere di autotutela, l'autorità competente può in ogni momento disporre, nel concorso dei presupposti di legge, l'annullamento d'ufficio del provvedimento impugnato in sede giurisdizionale (Cons. St., A. P., 24.11.1989, n. 16, in Cons. St., 1989, 1305).
Contro tale decisione tardiva gli eventuali controinteressati che ne siano danneggiati possono proporre ricorso giurisdizionale per motivi sostanziali e non solo denunciare il ritardo della delibera.
La decisione gerarchica tardiva di accoglimento, che abbia un contenuto totalmente satisfattivo dell'interesse del ricorrente, determina la cessazione della materia del contendere relativamente al ricorso giurisdizionale da lui proposto avverso il silenzio-rigetto, in assenza di controinteressati, o legittima questi ultimi, se presenti, alla sua impugnazione in sede giurisdizionale e straordinaria nei comuni termini di decadenza (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 15.12.2004, n. 19144).





2.2         La decisione tardiva di rigetto.


Nel caso in cui l'autorità adita con ricorso gerarchico emani una decisione esplicita di rigetto dopo il decorso del termine, il provvedimento decisorio non può che considerarsi meramente confermativo di quello di rigetto tacito, con l'effetto che, ove l'interessato non abbia tempestivamente esperito il rimedio giurisdizionale contro quest'ultimo, la sopravvenuta pronuncia esplicita non vale a riaprire il termine per la via giurisdizionale, salvo che dalla motivazione della pronuncia de qua non emerga la lesione di altre situazioni soggettive che possano legittimare un'autonoma impugnativa.
L'art. 24 cost., assicura ai cittadini la sola tutela giurisdizionale di legittimità, mentre quella attinente ai profili di merito è attuabile unicamente nei limiti ritenuti dal legislatore ordinario; pertanto, è irrilevante che la scadenza del termine anzidetto precluda all'amministrazione sopraordinata di pronunciare sul merito del ricorso gerarchico. (Cons. St., A. P., 7.2.1978, n. 4).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato propone, quindi, attraverso una interpretazione difficilmente condivisibile della legislazione ordinaria, la sostanziale eliminazione della tutela contro i vizi di merito poiché non assistita da garanzia costituzionale; ma essa omette di considerare che l’enunciato è in contrasto con i principi fissati dal d.p.r. 24.11.1971, n. 1199, art. 5.
Per la dottrina questa tesi non può accogliersi senza qualche perplessità, ove si consideri che il sistema dei ricorsi amministrativi assolve appunto alla funzione di consentire un riesame degli atti delle autorità inferiori appunto per la tutela del cittadino, e tale tutela non può essere vanificata per effetto della inadempienza dell’organo gerarchico, il quale, omettendo la decisione dei ricorsi, pone in essere comunque un comportamento illegittimo (Brignola F., Silenzio della pubblica amministrazione (diritto amministrativo), in Enc. Giur 1992, 12).
La dottrina è sostanzialmente favorevole alle posizioni espresse dal supremo consesso della giustizia amministrativa (Caianello V.,  I ricorsi amministrativi, in NovissDIA, VI, 1986, 754).
Contro la decisione tardiva dell’autorità si possono esperire i normali rimedi amministrativi o giurisdizionali:

Per la giurisprudenza al possibile esercizio della potestà di decidere espressamente in ordine al ricorso gerarchico - oltre il termine di novanta giorni - ed alla legittimità del provvedimento con tale ricorso impugnato deve pur corrispondere la facoltà dell'interessato di gravare il rigetto espresso con il rimedio del ricorso giurisdizionale ovvero di quello straordinario, abbia costui o meno impugnato il silenzio-rigetto (Cons. Giust. Amm. Sicilia, 2.11.1992, n. 325).

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