sabato 4 marzo 2017

La nullità del provvedimento amministrativo

1                    5                     La nullità.



La dottrina è stata divisa, fino all’entrata in vigore della l. 15/2005, sulle regole da applicare al regime delle nullità del provvedimento amministrativo in assenza di una disciplina specifica.
Per taluni devono applicarsi le regole previste per il contratto, mentre altri, che costituiscono l'indirizzo prevalente, affermano l’autonomia del diritto amministrativo dalle norme privatistiche.
La norma  consacra l’esistenza della categoria delle nullità del provvedimento amministrativo.
Essa afferma che è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge, ex art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15.
Il legislatore recepisce l’elaborazione giurisprudenziale in materia di nullità dell’atto amministrativo codificando tra le cause di nullità la carenza di potere in astratto e quella particolare ipotesi di carenza di potere in concreto data dalla violazione o dalla elusione del giudicato (Susca A., Invalidità e riesame nel disegno di riforma, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo,  2004, 1689).
Il legislatore riconosce la categoria della nullità strutturale del provvedimento amministrativo annoverando come causa di nullità la mancanza degli elementi essenziali dell’atto.
Il legislatore classifica come nullità ipotesi che sono classificate di norma come inesistenza, nel senso che dette situazioni impediscono la stessa classificazione dell’atto come provvedimento amministrativo.
Spesso la differenza fra nullità ed irregolarità è demandata alle norme interne del procedimento.
Il verbale (o processo verbale) è un documento che dà conto di come si è svolta una determinata attività in forme non scritte (per verba), per la cui incombenza è incaricato un soggetto verbalizzatore, che assume la qualità di soggetto che rende atti di certezza legale. Pertanto l'unico elemento necessario per l'esistenza dell'atto è la sottoscrizione del soggetto che lo forma, mentre la mancata sottoscrizione degli altri membri componenti la commissione, anche se prevista da norme interne (a meno che non ne sia espressamente sancita la nullità), determina soltanto una irregolarità e non certo la illegittimità dell'atto (Cons. St., sez. IV, 4.5.2004, n. 2742).




























1.1              La mancanza degli elementi essenziali.



La prima causa di nullità è ravvisata nel difetto assoluto di attribuzione, il quale rievoca la c.d. « carenza in astratto del potere », cioè la mancanza in astratto della norma giuridica attributiva del potere esercitato con il provvedimento amministrativo. (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 4 .11. 2009, n. 1730).
L’art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241, introduce l’istituto della nullità strutturale che, nell’ottica civilistica, comprende le ipotesi di indeterminatezza, impossibilità ed illiceità del contenuto del provvedimento.
La giurisprudenza ha stabilito che - nel caso non siano presenti una precisa indicazione normativa e gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, la cui mancanza comporta la nullità dello stesso - è necessario fare riferimento alle nozioni di derivazione civilistica. (Cons. Stato , sez. V, 19.9.2008, n. 4522).
Per contro, la teoria finora dominante - definita autonomistica - ritiene che il provvedimento amministrativo costituisca espressione dell’autonomia dell’amministrazione e che, pertanto, ad esso non siano applicabili le concezioni civiliste relative alla nullità; tale teoria riconduce i difetti nell’alveo delle possibilità di un semplice annullamento del provvedimento al fine di salvaguardare, attraverso il regime delle decadenze dalla relativa azione, l’esistenza stessa dei provvedimenti (Caringella F., Corso di diritto amministrativo , 2004, 1708).
La giurisprudenza ha precisato che la nullità delle operazioni di voto può essere ravvisata solo quando, per la mancanza di elementi o requisiti di legge, sia stato impedito il raggiungimento dello scopo al quale l'atto è preordinato.
Non possono comportare l'annullamento delle operazioni stesse i vizi dai quali non deriva alcun pregiudizio di livello garantistico o alcuna compressione della libera espressione del voto, con la conseguenza che sono irrilevanti le irregolarità che non abbiano compromesso l'accertamento della reale volontà del corpo elettorale. (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 5 .2.2010, n. 251).























1.2              Il difetto di attribuzione.



La seconda causa di nullità consiste nel  difetto di attribuzione. Esso si manifesta soprattutto nel vizio dell’incompetenza che si realizza quando una amministrazione pubblica esercita un potere che spetta ad altra amministrazione, ex art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241 (Susca A., Invalidità e riesame nel disegno di riforma, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo,  2004, 1714).
L’incompetenza può essere relativa o assoluta.
L'incompetenza è relativa quando il vizio discende dalle norme relative al riparto delle funzioni nell’ambito della stessa amministrazione. Essa comporta l’annullabilità dell’atto.
Così, ad esempio, è viziato un provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva emanato dal sindaco invece che dal dirigente del servizio.
Diversamente la fattispecie della incompetenza assoluta, che determina la nullità dell'atto amministrativo, si verifica nei casi di espressa previsione della legge o quando vi è una tale estraneità dell'organo che provvede al plesso organizzativo cui compete l'adozione dell'atto in base alla ripartizione corretta delle attribuzioni.
Si pensi ad una espropriazione effettuata dal comune mentre la competenza per quel procedimento spetta allo Stato. È principio consolidato secondo cui le autorità che intervengono nel procedimento espropriativo, ancorché appartenenti a diverse persone giuridiche pubbliche, fanno parte di un plesso unitario, sicché, allorquando intervenga un organo diverso non si configura una fattispecie di difetto di attribuzione o straripamento di potere o incompetenza assoluta, unica a poter determinare la nullità dell'atto amministrativo e la sua conseguente insanabilità (Cons. St., sez. IV, 11.7.2001, n. 3898).
Con riguardo alla mancanza della sottoscrizione dell'atto per la giurisprudenza non si tratta, invero, di un vizio di legittimità - vale a dire di ipotesi concernenti elementi essenziali, che siano presenti ma, tuttavia, si rivelino difettosi o viziati -, ma di un difetto radicale, dato dalla assoluta mancanza di un elemento essenziale, tale da comportare la nullità dell'atto medesimo; per quanto concerne in particolare gli atti amministrativi, la firma in calce al provvedimento è tanto più necessaria in quanto occorre verificare se l'agente che lo ha sottoscritto sia dotato della competenza ad emettere quel determinato tipo di atti o provvedimenti e, ancora prima, se l'emissione di quella data categoria di atti rientri nella sfera di attribuzione dell'organo o dell'ente; ne consegue che il provvedimento è illegittimo e va annullato.
La fattispecie è relativa ad un diniego di concessione in sanatoria privo di sottoscrizione. (T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 13 .11.2009, n. 2883).
Deve ritenersi viziato non da nullità assoluta, ma da invalidità relativa per incompetenza, che non ne inficia però l'efficacia di atto interruttivo della prescrizione del diritto risarcitorio dell'amministrazione e della correlata azione di responsabilità amministrativo-contabile, l'atto di diffida ad adempiere con costituzione in mora del debitore, che, pur avendo natura di atto di gestione, sia stato adottato dal sindaco e non da un dirigente comunale, in violazione delle disposizioni di cui all'art. 51, l. 7.6.1990, n. 141, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 6, l. 15.5.1997, n. 127 (Corte Conti, sez. II, 15.4.2002, n. 128/A).
L’incompetenza relativa può essere sanata. La giurisprudenza ritiene che, in base ai principi di conservazione degli atti ed economia dei giudizi, la competenza sopravvenuta sia equiparabile alla convalida, quanto ad efficacia sanante (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21.2.2002, n. 30).
L'esercizio del potere di ratifica spettante all'organo competente, che trae fondamento dall'art. 6, l. 18.3.1968, n. 249, sana con efficacia retroattiva l'atto viziato da incompetenza relativa, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso giurisdizionale pendente (Cons. St., sez. VI, 19.2.2003, n. 932).





















1.3               La violazione e l’elusione del giudicato.



La terza causa di nullità consiste nel  fatto che il provvedimento sia stato adottato in violazione del giudicato.
La nozione di giudicato, ai fini dell'applicabilità dell'art. 21-septies l. 241/1990, è necessariamente da intendersi in senso tradizionale, come riferita alle esclusive ipotesi in cui il giudice abbia emanato una sentenza non più impugnabile, qualificata come tale dall'elemento della definitività, e non invece alle ipotesi in cui il giudice abbia emanato una misura cautelare non più impugnabile, connotata da un'intrinseca provvisorietà, in quanto modificabile o revocabile. (Gaetani E., La nullità del provvedimento amministrativo per violazione o elusione del cosiddetto giudicato cautelare, in Foro amm. TAR, 2008, 11, 3195).
La giurisprudenza conferma tale impostazione. Nella fattispecie il ricorrente aveva ottenuto in sede cautelare la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato e l'amministrazione aveva tuttavia successivamente adottato un provvedimento contrastante con la decisione cautelare del giudice amministrativo.
Il T.A.R ha assunto una chiara posizione sulla censura di nullità ai sensi dell'art. 21-septies l. 241/1990.
Esso ha evidenziato che l'ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo prevista dalla norma invocata attiene alle ipotesi di contrasto del provvedimento con un giudicato. Ne consegue che la norma stessa non vale a disciplinare le ipotesi in cui il provvedimento contrasta con le statuizioni di un'ordinanza cautelare ancorché non più soggetta a gravame.
La intrinseca provvisorietà delle misure cautelari, che possono essere modificate e revocate, non consente di attribuire alle stesse la definitività nella regolazione del rapporto proprie delle sentenze passate in cosa giudicata. (T.A.R. Liguria, sez. II, 2.2.2007, n. 158).
Un altro caso di nullità per carenza di potere si rinviene nel provvedimento in contrasto con il dispositivo contenuto in una sentenza del giudice amministrativo passata in giudicato, ex art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241.
La giurisprudenza, per ravvisare detta fattispecie, richiede che l’amministrazione ponga in essere la medesima attività ritenuta illegittima con la sentenza passata in giudicato. Affinché ricorra il vizio di violazione o elusione del giudicato - che comporta la radicale nullità dei provvedimenti che ne sono affetti e che sono deducibili direttamente in sede di ottemperanza, indipendentemente dalla loro impugnazione nel termine di decadenza - non è sufficiente che la nuova azione amministrativa posta in essere dall'amministrazione dopo la formazione del giudicato alteri l'assetto degli interessi definito dalla pronunzia passata in giudicato.
E’ necessario che l'amministrazione eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già illegittimamente esercitata, in contrasto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato amministrativo, oppure cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano. Pertanto non è prospettabile tale vizio qualora l'amministrazione incida sull'assetto di interessi definito dal giudicato esercitando, per il fine suo proprio, un potere diverso da quello già esercitato, utilizzando un nuovo istituto giuridico ed al di fuori della figura del manifesto sviamento di potere (Cons. St., sez. IV, 6.10.2003, n. 5820).
La dottrina ritiene inutile la norma poiché la tutela in tal caso avviene attraverso il giudizio di ottemperanza.
In verità la norma appare superflua in quanto si limita ad esplicare quanto è già ricavabile aliunde dal regime del giudizio di ottemperanza.
Infatti, se è vero che il provvedimento che viola il giudicato è adottato in carenza di potere, ne discende che la posizione soggettiva lesa conserva la sua originaria consistenza di diritto soggettivo, giacché ove difetta il potere amministrativo non può darsi degradazione del diritto a mero interesse legittimo. D’altra parte nel nostro ordinamento l’elusione del giudicato del giudice amministrativo è affidata al giudizio di ottemperanza
(Susca A., Invalidità e riesame op. cit., 2004, 1719).
Sul punto la giurisprudenza è pacifica. Il ricorso per ottemperanza è ammissibile in ogni caso, anche dopo l'adozione di atti esecutivi a contenuto discrezionale, senza necessità di operare la tradizionale dicotomia concettuale tra elusione ovvero violazione del giudicato, qualora il petitum sostanziale del ricorso attenga all'oggetto proprio del giudizio d'ottemperanza.
Essa mira a far valere non già la difformità dell'atto sopravvenuto rispetto alla legge sostanziale (in tal caso occorrendo esperire l'ordinaria azione d'annullamento), bensì la difformità specifica dell'atto stesso rispetto all'obbligo (processuale) di attenersi esattamente all'accertamento contenuto nella sentenza da eseguire (Cons. St., sez. VI, 10.2.2004, n. 501).

1.4              La giurisdizione amministrativa.



L’art. 133, n. 5, d.lgs. 104/2010, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di  nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato.
Il principio solleva varie perplessità nel tentativo di ricondurre ad unità la ripartizione di giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario che si è determinata in giurisprudenza.
La giurisprudenza precedente ha affermato che la giurisdizione si stabilisce in dette fattispecie in relazione al fatto che la carenza di potere si verifichi in astratto o in concreto.
La carenza di potere in astratto si individua qualora l’azione amministrativa si sviluppi in ragione di una carenza di un potere, realmente attribuito dalla norma, di azione amministrativa.
Si ha carenza di potere qualora l’amministrazione abbia agito non rispettando le norme di azione amministrativa attraverso comportamenti che non rientrano nella tipicità dei procedimenti amministrativi tassativamente disciplinati per legge.
In tal caso la giurisdizione spetta al giudice ordinario. E’ pacifica la giurisdizione amministrativa che ha affermato che la doglianza con cui si censura l'occupazione da parte dell'amministrazione di una superficie eccedente quella prevista dal progetto di un'opera pubblica non si risolve in un vizio dell'attività provvedimentale dell'amministrazione ma in un comportamento senza potere il sindacato sul quale sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo per rientrare in quella del giudice ordinario. (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 24.2. 2010, n. 168).
La giurisprudenza ha precisato che nelle materie per le quali la legge non abbia attribuito la giurisdizione ad un determinato ordine giurisdizionale, la verifica della sussistenza del potere in capo alla autorità, quale criterio di riparto della giurisdizione, va effettuata sia ricercando se l'ordinamento attribuisca all'amministrazione il potere di emanare un certo tipo di atto sia analizzando se l'atto emanato corrisponda al tipo consentito dalla legge, e quindi in astratto, vale a dire mediante criteri che devono essere al più possibile semplificati e che devono tener conto della portata della legge e della natura del provvedimento.
Una volta verificato che il potere è stato attribuito e che il provvedimento ne è espressione, ogni eventuale violazione di regole dell'ordinamento costituisce violazione di legge.
Al contrario, la categoria della cosiddetta carenza in concreto del potere è priva di fondamento logico e normativo, in quanto con essa si intende distinguere tra violazioni più gravi e meno gravi, ritenendo che debba nel primo caso sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, ma ciò facendo senza supporto normativo e rendendo incerti i criteri di riparto di giurisdizione, in quanto si attribuisce la loro determinazione non già a precisi valori considerati rilevanti dalla legge, bensì a valutazioni soggettive dell'interprete (Cons. St., sez. IV, 30.11.1992, n. 990).


1.5              I termini per l’azione.



Il legislatore non precisa la disciplina dei termini per l’impugnazione dell'atto amministrativo nullo.
La legge 241/1990 non precisa, però, la questione più importante che si pone al riguardo e cioè a quale giudice ed eventualmente entro quali termini possa richiedersi la pronuncia della canonizzata nullità (Caruso G., Svolta per le regole sull’invalidità formale, in Guida Dir.,  2005, 789).
La dottrina civilistica delle nullità prevede che l’atto nullo possa essere sempre soggetto ad impugnazione.
La dottrina autonomistica che ritiene che l’atto amministrativo abbia proprie peculiarità distingue fra atti che ledono diritti soggettivi e quelli che invece colpiscono interessi legittimi (Susca A., Invalidità e riesame op. cit.,  2004, 1740).
Nel caso di lesione di diritti soggettivi la nullità può essere fatta valere in ogni tempo.
Se invece la nullità incide su di un interesse legittimo vale la regola della decadenza dell’impugnazione entro i termini dei sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto.

L’art. 31, d. lgs. 104/2010, dispone che la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di cui all’articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni del Titolo I del Libro IV. 

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