lunedì 6 marzo 2017

La responsabilità del dirigente e quella dell’amministrazione


1.                  La responsabilità del dirigente e quella dell’amministrazione.


La giurisprudenza amministrativa ha raggiunto le seguenti conclusioni sull'elemento soggettivo che va ricondotto alla nozione di colpa d'apparato.
L'azione amministrativa costituisce, normalmente, il risultato dell'apporto di più organi ed uffici, cosicché, la circostanza che la norma da applicare promani dallo stesso Ente chiamato ad applicarla non implica tra le due azioni il rapporto di necessaria coerenza sopra ipotizzato, ben potendo queste essere compiute da agenti diversi. Nella valutazione dell'elemento soggettivo del fatto che ha provocato il danno lamentato, il giudice deve riferirsi all'Ente riguardato nella sua complessiva struttura ovvero come apparato. (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 2.4.2008, n. 436).
A parametro del giudizio sulla colpa occorre, allora, assumere la stessa regola disciplinatrice dell'azione dell'Amministrazione .
Tale nozione deve essere correttamente intesa osservando che il giudice deve formulare il giudizio sulla colpevolezza dell'amministrazione, affermandola quando la violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato e, viceversa, negandola quando l'indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.( Cons. St., 5500/2004).
L'onere probatorio relativo all'elemento soggettivo è particolarmente tenue per il preteso danneggiato, dovendo l'amministrazione dimostrare che l'illegittimità provvedimentale rimonta etiologicamente ad un errore scusabile.
Il privato danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetta a quel punto all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.(Cons. Stato, sez. VI, n. 6607/2006).
La responsabilità per danni dei dirigenti comunali sussiste sono per i provvedimenti da essi emanati.
Bisogna quindi distinguere se la responsabilità del diniego è del dirigente o di un atto preparatorio disposto da altra autorità.
La giurisprudenza ha sempre tenuto distinta la posizione del dirigente da quella degli altri organi consultivi quali ad esempio la commissione edilizia.
La domanda di risarcimento del danno per illegittimità del diniego di permesso di costruire non è ammissibile nel caso in cui non si abbia la certezza che il provvedimento autorizzatorio debba essere rilasciato; né l'esistenza di un siffatto obbligo può essere dichiarata dal g.a., dal momento che la sua giurisdizione esclusiva in materia non si estende al merito amministrativo.
Nel caso di specie, poiché il diniego è stato annullato a causa di un difetto di motivazione del parere presupposto, sussiste l'obbligo per le amministrazioni interessate di riesaminare la relativa domanda con salvezza degli ulteriori provvedimenti, di conseguenza non è ancora possibile affermare che il richiesto permesso di costruire debba essere effettivamente rilasciato (T.A.R. Marche, 9.5.2002, n. 363, in  Foro Amm. T.A.R., 2002, 1591).
Nel caso di un provvedimento autorizzatorio di competenza Ministero dei beni culturali nessun addebito può essere formulato per il mancato rilascio del provvedimento autorizzatorio finale del comune.
La giurisprudenza ha sancito che la pronuncia di illegittimità del decreto con cui il Ministero dei beni culturali annulla il nulla osta rilasciato dalla Regione ai sensi dell'art. 7, l. 1497 del 1939, per la rimozione del vincolo paesistico che condiziona l'espansione dello ius aedificandi del privato, costituisce il fondamento dell'elemento colposo della responsabilità aquiliana della stessa amministrazione, posto che la dichiarata illegittimità dell'atto corrisponde alla accertata violazione da parte dell'amministrazione del corretto esercizio del potere di annullamento ad essa attribuito dall'art. 82, 9° co., d.p.r. n. 616 del 1977.
Non può individuarsi alcun profilo di colpa, invece, riguardo all'amministrazione comunale che, per il rapporto di pregiudizialità che intercorre tra nulla osta regionale e permesso di costruire, è tenuta a sospendere il provvedimento concessorio a seguito del decreto ministeriale di annullamento, senza che per essa residui alcun ambito di discrezionalità (Trib. Milano, 16.3.2000, in Urb. App., 2000, 1104).
La quantificazione del danno spetta al ricorrente che non ha, però, l’onere di fornire la prova del risarcimento del danno e della sua quantificazione già nel ricorso introduttivo.









2.                  L’equa riparazione nel ritardo processuale disposta dalla l. 89/2001.


La l. 89/2001 - la così detta Legge Pinto - disciplina la previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica l’art. 375 del c.p.c.
Tale normativa ha decretato la possibilità di essere tutelati nell’ambito della magistratura interna.
Il cittadino che ha subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in riferimento al mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione, ha diritto a un’equa riparazione, art. 2, l. 24.3.2001, n. 89.
In caso di un eccessivo protrarsi del processo, oltre il così detto termine ragionevole, con l’entrata in vigore della l. 89/2001, gli interessati possono richiedere l’accertamento e la condanna al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, nei confronti del Ministro della Giustizia per quanto riguarda i processi che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario, che la norma individua nella Corte d’appello, ex art. 3, l. 24.3.2001, n. 89.
La Corte deve formulare la propria decisione applicando la procedura camerale, con decreto immediatamente esecutivo, impugnabile in Cassazione.
La giurisprudenza ha precisato che il ritardo non deve essere determinato da procedimenti dilatori mesi in atto con il consenso del ricorrente.
Correttamente il giudice dell'equa riparazione tiene conto in detrazione alla durata complessiva del processo del dispendio temporale cagionato dalle richieste di rinvio delle parti, quale che sia la parte che abbia fatto istanza di differimento.
Ben può, infatti, la parte che nel giudizio di merito si senta danneggiata dal prolungamento temporale, opporsi al rinvio richiesto da altri soggetti in causa, sicché, se abbia, anche implicitamente, acconsentito al rinvio richiesto da controparte, non può poi dolersene, pretendendo di ascrivere il ritardo che ne è conseguito, al mancato esercizio dei poteri conduzione e quindi valutarlo in termini di irragionevolezza (Cass. Civ., sez. I, 5.3.2004, n. 4512).
La decisione della Corte Europea può coesistere con quella del giudice nazionale qualora il danno, che è stato già oggetto di risarcimento, prosegua nel tempo.
La giurisprudenza ha precisato che ove la Corte europea dei diritti dell'uomo abbia già accertato che il ritardo non giustificato nella definizione di un processo, in violazione dell'art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, abbia prodotto conseguenze non patrimoniali in danno del ricorrente, e abbia quindi riconosciuto in suo favore un'equa riparazione ex art. 41 della convenzione, da tale pronuncia deriva un obbligo per il giudice nazionale adito ai sensi della sopravvenuta l. 24.3.2001, n. 89 .
Il giudice nazionale una volta che abbia accertato, con riferimento allo stesso processo presupposto, il protrarsi della medesima violazione nel periodo successivo a quello considerato dai giudici di Strasburgo - deve indennizzare, in applicazione della citata legge, l'ulteriore danno non patrimoniale subito dalla medesima parte istante.
Detto danno deve essere  liquidato prendendo come punto di riferimento la liquidazione già effettuata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo dalla quale è peraltro consentito differenziarsi, sia pure in misura ragionevole.
Nè detta indennizzabilità può essere esclusa sul rilievo dell'esiguità della posta in gioco nel processo presupposto: sia perché la Corte europea ha ritenuto sussistente il danno non patrimoniale per il ritardo nello stesso processo; sia perché, più in generale, l'entità della posta in gioco nel processo ove si è verificato il mancato rispetto del termine ragionevole non è suscettibile di impedire il riconoscimento del danno non patrimoniale.
L'ansia ed il patema d'animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco, onde tale aspetto può avere un effetto riduttivo dell'entità del risarcimento, ma non totalmente escludente dello stesso (Cass. Civ., sez. un., 26.1.2004, n. 1339, in Giur. It., 2004, 944).


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