lunedì 6 marzo 2017

La tutela cautelare sul silenzio.


1           La tutela cautelare sul silenzio.


Il ricorso giurisdizionale non ha effetto sospensivo sul provvedimento impugnato.
A tutela del ricorrente è ammessa la possibilità di chiedere la sospensione del provvedimento impugnato.
L'istanza è proposta o nello stesso ricorso giurisdizionale o con separata istanza che deve essere notificata e depositata.
Il tribunale deve verificare la sussistenza dei presupposti che rendono ammissibile il giudizio cautelare.
Il ricorso deve, infatti, avere il fumus boni iuris, ossia dimostrarsi fondato ad un primo esame, e dimostrare il pericolo di un danno grave ed irreparabile per il ricorrente derivante dall'immediata esecuzione del provvedimento. In questa sede il giudice amministrativo può disporre i provvedimenti cautelari, ex art. 55, d.lgs. 104/2010.
La dottrina ha riconosciuto esperibile la tutela cautelare nei confronti del silenzio e quindi la sospensione della sua efficacia (Brignola F., Silenzio della pubblica amministrazione (diritto amministrativo), in Enc. Giur., 1992,  XXVIII, 1992, 7).
Il giudice può sospendere gli atti negativi obbligando l’amministrazione a provvedere in via provvisoria.
La giurisprudenza ha affermato che il silenzio-inadempimento di amministrazione ospedaliera sull'istanza di riammissione in servizio del dipendente, successiva alla conclusione di procedimento disciplinare, può essere sospeso, stante l'obbligo della amministrazione di riesaminare la posizione del ricorrente (T.A.R. Campania, 27.4.1983, n. 374).
Il giudice non può sostituirsi all’amministrazione, poiché l’amministrazione conserva la discrezionalità del contenuto del provvedimento, fatta salva la possibilità di dare degli indirizzi sul contenuto del provvedimento finale.
L’ordinanza può però dettare all’ente i criteri giuridici cui l’amministrazione deve attenersi al fine di garantire in via provvisoria al ricorrente quella tutela del suo interesse, che la sentenza definitiva potrebbe dargli(Satta F., Giustizia amministrativa, 1997, 367).
La giurisprudenza distingue, anche nella fase cautelare, l’autonomia dell’amministrazione dai contenuti della pronuncia giudiziale.
E’ stato ritenuta inammissibile l'istanza cautelare con la quale sia esplicitamente chiesto di assegnare all'amministrazione un termine per provvedere su di una domanda di ripianificazione di un'area, poiché in tal modo sarebbe introdotto, nell'ordinario giudizio amministrativo demolitorio, lo specifico ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione espressamente disciplinato dall'art. 2, l. 21.7.2000, n. 205.
Nella specie, in evidente contrasto con l'azione impugnatoria proposta, in via principale, proprio avverso il provvedimento esplicito emesso dall'amministrazione comunale di Bologna in risposta alla specifica richiesta degli interessati di provvedere (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 22.9.2004, n. 3453).
La giurisprudenza che consente, in caso di inadempienza ai dettati dell’ordinanza di sospensiva, la possibilità di ammettere in sede cautelare la nomina di un commissario.
Il giudice amministrativo è competente ad emanare i provvedimenti cautelari idonei ad assicurare l'effettiva esecuzione del provvedimento di sospensiva non spontaneamente attuato dall'amministrazione, in tutte le ipotesi in cui la sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato ed oggetto dell'istanza cautelare non sia di per sé idonea al conseguimento della tutela interinale. Spetta pertanto al giudice amministrativo adito in sede cautelare disporre, con ulteriore ordinanza, la nomina di un commissario ad acta, perché in via sostitutiva proceda alla emanazione degli atti necessari alla realizzazione della sospensione dell'atto amministrativo impugnato (Cons. St., sez. VI, 14.5.1993, n. 349, in Cons. St, 1993, 705).













2                    Il procedimento. La sentenza.


L’art. 87, lett. c), d.lgs. 104/2010,  precisa che  si trattano in camera di consiglio i giudizi in materia di silenzio.  (Centofanti N. e Centofanti P.,  Il formulario del diritto amministrativo, 2010 189).
Salva l’ipotesi del giudizio cautelare, tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, esclusi quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Così ad esempio il deposito del ricorso è di quindici giorni dall’ultima notificazione, ex art. 45, d.lgs. 104/2010.
La camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate.
Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.
La trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione.
Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata.
In caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni.
Per la giurisprudenza precedente sussistono i presupposti per l'emanazione di una sentenza in forma semplificata ove il contraddittorio sia integro, non si ravvisino ragioni per accertamenti istruttori e i difensori presenti nella Camera di Consiglio siano stati interpellati in proposito e non abbiano opposto alcuna obiezione, tanto perché il ricorso è manifestamente inammissibile per carenza di interesse. (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 7.6.2010, n. 12692 ).
Il ricorso manifestamente fondato ben può essere deciso con sentenza in forma semplificata essendo ciò consentito dall'oggetto della causa, dall'integrità del contraddittorio e dalla completezza dell'istruttoria. (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 7.5.2010, n. 3013 ).
Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata.
Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.







3                    L’esame sulla fondatezza della pretesa sostanziale.


La dottrina si è posta il problema se il giudice amministrativo sia tenuto ad esaminare la legittimità del comportamento omissivo o se debba, invece, accertare l’obbligo a provvedere sulla domanda del privato all’amministrazione inadempiente. ( Lignani P.G., Silenzio (diritto amministrativo), in Enc. Dir., 1990, XLII, 559).
L’oggetto del giudizio è, in primo luogo, la dichiarazione di illegittimità del comportamento dell’amministrazione, in secondo luogo l’accertamento positivo o negativo dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere nella fattispecie portata in giudizio.
Un filone giurisprudenziale ritiene inammissibile che il giudizio sul silenzio contempli anche l’accertamento della legittimità della richiesta sostanziale del ricorrente. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 26 novembre 2004, n. 8290).
Per altra giurisprudenza, dopo l’entrata in vigore della l. 205/2000, il giudizio sul silenzio rifiuto serbato dalla pubblica amministrazione non si deve più limitare al mero accertamento dell’inadempimento dell’obbligo a provvedere sulle istanze dei privati, ma si deve estendere all’accertamento del contenuto del suddetto obbligo, nel senso che il giudice deve emettere una pronuncia che determini il contenuto dell’atto che l'amministrazione è tenuta ad adottare. La norma accorda al giudice facoltà di esaminare funditus la pretesa del ricorrente (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 7.6.2010, n. 15657 ).
Il processo instaurato innanzi al giudice amministrativo a seguito del silenzio rifiuto serbato dalla p.a. intimata ha per oggetto non la legittimità dell'inerzia in sé, ma l'accertamento della fondatezza sostanziale della pretesa posta dal privato a base della sua istanza e portata in giudizio.
Ogni questione sul silenzio resta assorbita dalle valutazioni direttamente inerenti al merito della controversia, dal quale dipende, in ultima analisi, l'accoglimento o il rigetto del ricorso, indipendentemente dalla natura, discrezionale o vincolata, dei poteri che la p. a. può esercitare in relazione al bene della vita oggetto della richiesta.
L’art. 31, 3 ° co.,  d. lgs. 2.7.2010, n.104,  ripropone la norma contenuta nella l. 80/2005.
Essa dispone che  il giudice possa pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. (Gallo C.E., Il codice del processo amministrativo: una prima lettura, in Urb. app. 2010,  1013).
La norma ha un effetto dirompente sull’obbligo alla decisione, spostando l’esame direttamente dall'illegittimità del diniego al contenuto dell’istanza.
La dottrina ritiene che la norma affidi al giudice, che deve rilevare margini di esercizio di attività discrezionale da parte della p.a.,  compiti di amministrazione attiva in contrasto con quanto affermato dall’art. 34, 2° co., d. lgs. 104/2010, secondo il quale il giudice non può pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati. (Forlenza O., Individuate quattro azioni di cognizione contro la p.a., in Giuda Dir., 2010, n. 32, 48).
La giurisprudenza conferma che  se, nel giudizio sul silenzio-rifiuto, si riconoscesse al g.a. il potere di pronunciarsi in ogni caso sulla fondatezza della pretesa fatta valere, quindi, anche nei casi di esercizio della potestà discrezionale o nei casi in cui l'attività vincolata comporti valutazioni complesse, si finirebbe per ammettere una completa sostituzione del giudice alla p.a., in contrasto sia con i principi generali riguardanti i poteri del g.a. sia con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della decisione che deve definirlo e che deve essere solo succintamente motivata. (T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 13.2.2010, n. 40).




3.1         I poteri del giudice sul  provvedimento amministrativo vincolato e discrezionale.


La disposizione comunque non fa altro che recepire un orientamento giurisprudenziale secondo il quale la norma dà la facoltà (ma non obbliga) a conoscere della fondatezza della pretesa, nei casi in cui lo stesso giudicante la ritenga facilmente valutabile. Ciò accade, ad esempio, nelle ipotesi di manifesta fondatezza discendente dal carattere vincolato del provvedimento, che non postuli accertamenti valutativi complessi; ovvero, nei casi di evidente infondatezza, laddove risulta diseconomico condannare la p.a. a provvedere se l'atto espresso non potrà che essere di rigetto. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 28 .1.2010, n. 135).
Per la giurisprudenza detta previsione non deve essere interpretata come imposizione dell'obbligo di provvedere in ogni caso sulla fondatezza dell'istanza, ma esclusivamente quale opzione rimessa al giudice che, alla luce della disciplina in materia di impugnazione del silenzio rifiuto, va circoscritta alle ipotesi di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa sostanziale azionata in giudizio.
Il potere del giudice di conoscere della fondatezza dell'istanza può ammettersi nei soli casi in cui l'inerzia riguardi un'attività vincolata, oppure sussista un comportamento processuale della p.a. di non contestazione della pretesa del ricorrente, o, ancora, vi sia certezza in relazione alla definizione della controversia sulla base di semplici accertamenti di fatto e di diritto; al contrario, siffatto potere non è esercitabile ogniqualvolta sia necessario instaurare un procedimento istruttorio più complesso, e dunque nelle ipotesi di attività discrezionale, al cui novero vanno ascritti i procedimenti per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno, fatta eccezione per le ipotesi - ad esempio, la condanna dello straniero in ordine ad uno dei reati ostativi indicati dall'art. 4, 3° co., d. lgs. n. 286/98 - in cui i margini di discrezionalità siano stati interamente consumati dal legislatore. (T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 22.6.2010, n. 2030).
il giudice può spingersi fino all'accertamento della pretesa sostanziale non semplicemente quando l'Amministrazione debba porre in essere un'attività vincolata, ma unicamente nel caso in cui, in presenza di attività vincolata, la fondatezza della pretesa appaia ictu oculi e di immediata evidenza, risultando solo in tale ipotesi, anche con riferimento alla ratio e alle caratteristiche del nuovo istituto processuale previsto dall'art. 21 bis, l. 241 del 1990, irragionevole e contrario ai principi di economia processuale rimettere ad un successivo giudizio la definizione di una controversia allo stato già risolvibile. (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12.5.2010, n. 10900).
L’interpretazione esclude tale opzione laddove l'amministrazione risulti titolare di un potere discrezionale rispetto al provvedimento preteso dall'istante.
Qualora l'amministrazione debba compiere per legge valutazioni di carattere discrezionale oppure nelle ipotesi in cui sia necessario effettuare accertamenti complessi durante l'iter procedimentale, il g.a. non può valutare la fondatezza dell'istanza volta a censurare il silenzio serbato dall'Amministrazione o ordinare all'amministrazione l'emanazione di un certo provvedimento. Una diversa interpretazione delle norme porterebbe ad una "confusione" tra la funzione amministrativa e quella giudiziaria e sarebbe certamente incompatibile con la celerità del rito previsto per il ricorso contro il silenzio della p.a.
Al giudice adito non è concesso di sindacare il merito del procedimento amministrativo non portato a compimento, dovendo egli limitarsi a valutare l'astratta accoglibilità della domanda del privato, senza sostituirsi agli organi di amministrazione attiva circa gli apprezzamenti e le scelte discrezionali, che restano di esclusiva competenza di questi ultimi. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 7.4.2010, n. 961).
Ad esempio, nel caso in cui sia richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari atteso che, giusta quanto disposto dall'art. 5, 6° co., t.u. 25 .7.1998, n. 286, la relativa determinazione presuppone una valutazione di natura eminentemente discrezionale circa la sussistenza di seri motivi, in particolare di carattere umanitario, atti a giustificare la permanenza dello straniero nel territorio nazionale. (T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 23 .1.2009, n. 212).
Parimenti, in ragione dell'indubbia discrezionalità che caratterizza il potere da esercitarsi in caso di richiesta di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica, il giudice amministrativo non può conoscere della fondatezza sostanziale dell'istanza  a fronte dell'impugnativa del silenzio formatosi. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 9.4.2010, n. 1869 ).




4                    La nomina del commissario ad acta


Ove la istanza presupponga una conoscenza tecnica il giudice amministrativo ha sempre la possibilità di nominare un commissario ad acta che superi direttamente l’inerzia dell’amministrazione.
La giurisprudenza considera che il Commissario "ad acta", che è possibile nominare a fronte del silenzio serbato dall'Amministrazione, è una figura che sotto il profilo sostanziale deve essere inteso non già come un collaboratore del giudice, ma come un organo amministrativo, sostitutivo dell'Amministrazione inadempiente, e, pertanto, dotato di piena autonomia decisoria. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 11.3.2010, n. 538 ).
Il giudice può nominarlo direttamente mentre precedentemente era sempre necessaria l’istanza di parte affinché procedesse in luogo dell’amministrazione (Corrado A., D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
Tale possibilità di precedere alla nomina del commissario prima dell’accertamento del mancato pronunciamento dell’amministrazione era peraltro previsto dalla giurisprudenza che evidenziava due distinte fasi processuali: una relativa all'ordine all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in caso di inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la nomina di un Commissario ad acta. Tuttavia è  apparso del tutto coerente con la ratio legis ritenere che, quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in sede di impugnazione del silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento di detto ricorso, anche alla contestuale nomina del Commissario, al fine di evitare all'interessato l'inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza giurisdizionale. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 14.4.2010, n. 1971)











5           La decisione tardiva dell’amministrazione.



La dottrina ritiene che in ogni caso il potere di decidere rimanga all’amministrazione, condizionando a posteriori l’esito dello stesso giudizio ((Sempreviva M.T., L’accesso ai documenti amministrativi, in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo,  2004, 1292).
Non va confuso l'obbligo di pronuncia e del clare loqui gravante sull'amministrazione, a mente dell'art. 2, l. 241 del 1990, ed il correlato interesse legittimo di carattere pretensivo-procedimentale del privato, con l'interesse sostanziale introdotto nel procedimento consistente nella pretesa al bene della vita. Logico corollario di tale premessa è che l'adozione di qualsivoglia atto da parte dell'amministrazione, in risposta alla diffida dell'interessato, fa venire meno il presupposto dell'azione di condanna indipendentemente dal soddisfacimento dell'interesse sostanziale sottostante (Cons. St., sez. IV, 10.6.2004, n. 3741).
Il provvedimento di accoglimento del ricorso, infatti, fa cessare la materia del contendere rendendo, a posteriori, inammissibile o improcedibile il ricorso (Galli R. , Corso di diritto amministrativo, 1996, 497).
La giurisprudenza ha precisato che i termini imposti al procedimento dall'art. 2, l. 7.8.1990 n. 241, hanno natura acceleratoria, non contenendo lo stesso alcuna prescrizione in ordine alla loro perentorietà, né alla decadenza della potestà amministrativa né all'illegittimità del provvedimento illegittimamente adottato. Ciò significa, sul piano strettamente processuale, che il presupposto per la condanna dell'amministrazione è che, quantomeno al momento della pronuncia del giudice, perduri l'inerzia dell'amministrazione. Pertanto l'adozione, da parte di quest'ultima, di un qualsivoglia provvedimento esplicito in risposta dell'interessato rende il ricorso: 1) inammissibile, per carenza originaria di d'interesse ad agire, se il provvedimento, ancorché non comunicato, intervenga prima della proposizione del ricorso medesimo; 2) improcedibile, per carenza sopravvenuta di interesse ad agire, se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio
(Cons. St., sez. IV, 10.6.2004, n. 3741, in Foro Amm. Cons. St., 2004, 1665).
Resta il problema delle spese del giudizio che devono essere addebitate all’amministrazione o al responsabile del procedimento se ha funzioni costitutive del provvedimento.






6           Gli atti soprassessori


Con i provvedimenti cosiddetti "soprassessori", l'ente pubblico assume una determinazione di rinvio della decisione sull'istanza del privato, in ragione della circostanza che, allo stato del procedimento, non sussistono le condizioni di fatto o di diritto per assumere un provvedimento definitivo. In concreto, si ritiene necessario attendere l'esito di un'altra vicenda connessa.( Giuliani B., Quando l'ente rinvia in realtà dice no Atti soprassessori impugnabili subito, in Dir. e giust., 2005, 31, 78).
La dottrina precisa che nessun affidamento può, per tale via, essere ingenerato nel privato istante in merito all'esito finale, di accoglimento o di rigetto, del procedimento: l'unica certezza è l'obbligo del resto ormai previsto dalla legge per la pubblica amministrazione di addivenire ad un provvedimento espresso. (Brignola S., Gli atti soprassessori, in Foro amm., 1984, 1624).
La giurisprudenza ha precisato che i diversi atti soprassessori adottati dalla p.a., lungi dal definire il procedimento, secondo l'obbligo imposto dall'art. 2 l. 241/90, hanno solamente indebitamente procrastinato la conclusione dell'istruttoria.
L'impugnazione degli atti che determinano arresto procedimentale costituisce una mera facoltà per gli interessati, senza naturalmente comportare alcuna decadenza né per l'esercizio dell'azione di accertamento del silenzio rifiuto né per quella demolitoria dei provvedimenti finali.
Diversamente opinando, vi sarebbe una irragionevole elusione dell'obbligo imposto dall’art. 2, l. 241/1990 e di concludere il procedimento mediante adozione di un provvedimento espresso, in contraddizione con la valorizzazione del suesposto obbligo ad opera della l. 18.6.2009, n. 69, recante al nuovo art. 2-bis una fattispecie espressa di responsabilità risarcitoria per danno da ritardo.
L'assoluta e ingiustificata inerzia dell'amministrazione a, che a fronte di ripetute istanze, non ha ancora adempiuto al dovere di dare risposta, integra oltre la responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale in relazione al pagamento delle spese del giudizio, la responsabilità penale per il reato di cui all'art. 328 c.p. (Cass. Pen., 2.4.2009, n. 14466).
A partire dall'entrata in vigore della l. 18 giugno 2009 n. 69, soccorre la eventuale responsabilità risarcitoria per il danno da ritardo in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, per la quale vi è giurisdizione del g.a., ex art. 2-bis, l. 241/1990, mod. l. 18.6.2009 n. 69. (T.A.R. Puglia Bari, sez. II 17.92009 n. 2100).




7                    L’impugnazione del provvedimento tardivo di diniego. I motivi aggiunti.


L’art. 117, 5° co., d.lgs. 104/2010, dispone che se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il previsto per il nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito.
Tale orientamento legislativo risponde a criteri di economia processuale e si pone in contrasto col precedente indirizzo giurisprudenziale secondo il quale l’adozione da parte della amministrazione di un provvedimento esplicito in risposta alla domanda dell’interessato fa cessare la materia del contendere poiché preclude al ricorrente ogni possibilità di conseguire un risultato utile dall'eventuale accoglimento del gravame. (Corrado A., D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
La dottrina ritiene che in ogni caso il potere di decidere rimanga all’amministrazione, condizionando a posteriori l’esito dello stesso giudizio. (Caringella F., Corso di diritto amministrativo, 2004, 1292.
La giurisprudenza precedente ha, quindi, dichiarato improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto serbato dall'amministrazione sull'istanza di un privato nel caso in cui, nelle more del giudizio, la stessa amministrazione abbia adottato un provvedimento esplicito di rigetto dell'istanza (Cons. St., sez. IV, 14.7.1997, n. 710, in Cons. St., 1997, I, 1000).
Il ricorso per motivi aggiunti deve essere notificato al convenuto, ex art. 43 ,  D.L.vo 2 luglio 2010, n.104.
Detto ricorso per motivi aggiunti resta inserito nel giudizio speciale sul silenzio senza modificare tale rito, ma trasformandolo in un normale giudizio di legittimità.
Tale proposizione dei motivi aggiunti consentirà di non vanificare le risultanze istruttorie già eventualmente acquisite (V. GRECO, Per un giudizio di accertamento compatibile con la mentalità del giudice amministrativo, in Dir. Proc. Am, 2002, 481).
Tale indirizzo trova il sostegno di un orientamento giurisprudenziale che riafferma la necessità del rispetto dei termini e delle modalità stabilite per il rito ordinario. (Cons. St., sez. V, 10.4.2002, n. 1974, Foro Amm. Cons. St., 2002, 924).
Si tratta di rendere tecnicamente possibile la concentrazione dei processi in tutti quei casi nei quali procedimenti e provvedimenti diversi sono tuttavia soggettivamente ed oggettivamente connessi, nonché teleologicamente collegati da una comune finalità dell'azione amministrativa.
Il carattere speciale del rito può dunque essere risolto e convertito nella disciplina processuale generale tutte le volte che, attraverso la proposizione di motivi aggiunti, si riporta nel thema decidendum un provvedimento che si pone in rapporto di connessione diretta, oggettiva e soggettiva, con il comportamento asseritamente omissivo della p.a.
L'unità della giurisdizione amministrativa tende a concentrare i poteri di cognizione del giudice intorno alla complessiva vicenda dei rapporti giuridici che tutelano un determinato interesse o bene della vita del soggetto privato nei confronti dell'azione della pubblica amministrazione.










8           Gli effetti del tempo sul giudicato.


Il giudicato si basa sostanzialmente sulla interpretazione di una norma che può nel tempo avere delle modificazioni.
La dottrina pone quindi il problema se debba prevalere il rispetto dell’attuazione del giudicato cristallizzato nel suo moneto storico che è quello dell’accertata lesione del diritto del ricorrente o se debba prevalere la nuova legge in vigore al momento dell’esecuzione del giudicato medesimo. Sicuramente la diversità della fattispecie non consente di trarre una regola generale.
L’opzione tra l’una o l’altra soluzione sembra dipendere da elementi prima face imponderabili, insuscettibili di una definizione rigorosa (Satta F., Giustizia amministrativa,1997, 484).
In determinate materie il decidere da parte della p.a. in situazioni temporali differenti ha effetti diversi nei confronti delle richieste avanzate dal operatore.
La tutela dell’annullamento del silenzio rigetto in materia di rilascio di permesso di costruire trova un notevole ostacolo dal fatto che, nel frattempo, la disciplina urbanistica sia mutata in senso ovviamente restrittivo impedendo la realizzazione di opere consentite precedentemente.
La giurisprudenza prevalente si è attestata ad affermare che il provvedimento del sindaco deve tenere conto delle norme in vigore al momento della notifica della sentenza di annullamento.
L'amministrazione deve provvedere rispettando queste norme senza adottare successivamente nuove disposizioni programmatorie in contrasto col giudicato amministrativo.
Al fine di riconoscere una effettiva tutela al giudicato si è riconosciuto in capo al ricorrente un interesse pretensivo, da fare valere con apposita istanza all’autorità titolare del potere di pianificazione (Mengoli G.C.,
 Manuale di diritto urbanistico, 2009, 1008).
I principi costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa affermano che ove il diniego di concessione edilizia sia stato annullato in sede giurisdizionale, l'amministrazione comunale dovrà nuovamente pronunciarsi sulla istanza in base alla normativa di piano regolatore sopravvenuta, non essendo opponibili al privato soltanto le modifiche degli strumenti urbanistici posteriori alla notificazione della sentenza di annullamento del diniego (Cons. di St., Ad. Plen., 8.1.1986, n. 1).
Ove poi la disciplina urbanistica vigente al momento della notificazione della sentenza di annullamento del diniego di concessione edilizia risulti - come nel caso di specie - modificata in pejus per il ricorrente, questi vanta un interesse pretensivo, da far valere con apposita istanza, a che l'autorità titolare del potere di pianificazione urbanistica riveda in parte qua il piano vigente, al fine di valutare se ad esso possa essere apportata una deroga - in pratica, una variante - che recuperi, in tutto o in parte e compatibilmente con l'interesse pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava originariamente la domanda (T.A.R. Liguria Genova, sez. I 25.1.2010, n. 193).
Il comune ha quindi l'obbligo di rivedere il piano vigente adeguandolo alla notifica della sentenza.
L'attività procedimentale posta in essere in esecuzione di un giudicato non può ignorare o eludere i riferimenti normativi e le disposizioni sopravvenute. L'amministrazione, nella cura costante dell'interesse pubblico, deve tenere conto della situazione di fatto esistente nel momento in cui provvede e deve provvedere in conformità della normativa vigente è altrettanto vero che, in applicazione del principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale l'annullamento in sede giurisdizionale del diniego di concessione edilizia comporta l'obbligo per il Comune di riesaminare l'originaria domanda applicando la disciplina urbanistica vigente al momento in cui la sentenza è stata notificata o comunicata in via amministrativa, con la conseguenza che se, da un lato, occorre tenere conto dell'eventuale disciplina pianificatoria sopravvenuta in corso di giudizio, dall'altro, sono inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute alla notificazione o alla comunicazione in via amministrativa della sentenza di annullamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 17.5.2004, n. 8803).
Diversamente la giurisprudenza ha concluso in materia di tutela dell’annullamento del silenzio rifiuto sull'istanza di attribuzione di qualifica.
La diversa interpretazione data nel caso di inquadramento per successione fra enti non produce, infatti, effetti sull’esecuzione del giudicato. E’ stato ritenuto che la l. r. Sicilia 18.6.1977, n. 42, nel dettare genericamente in sede di interpretazione autentica della precedente l. r. 8.3.1971, n. 5, una disciplina retroattiva del rapporto di lavoro del personale dei soppressi centri sperimentali, non ha inteso riferirsi a quegli specifici rapporti la cui qualificazione era coperta da giudicato e per i quali l'assemblea regionale non poteva ormai liberamente esercitare la propria competenza legislativa esclusiva, senza preclusioni di ordine costituzionale (Cons. St., A. P., 14.10.1986 n. 12).


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