venerdì 30 giugno 2017

La grande scommessa racconta in un film la crisi finanziaria del 2008


Immaginate che Michael Mann si metta in testa di voler raccontare in un film la crisi finanziaria del 2008: quella legata ai mutui subprime, che ha portato al fallimento di banche d’affari ritenute inscalfibili, ha creato milioni di disoccupati e una depressione di cui sentiamo le conseguenze ancora oggi. E che ha svelato il volto oscuro del capitalismo finanziario.
Immaginate, però, che prima di mettersi al lavoro sul film, Mann abbia battuto la testa, abbandonato la tradizionale serietà (magari spettacolare ma pur sempre sobrio), per diventare un buontempone che, magari, non disdegna un consumo massiccio d’erba.
La grande scommessa è un film a suo modo sovversivo: perché racconta nel dettaglio, e con un linguaggio cinematografico hollywoodiano comprensibile a chiunque, le profonde e perverse storture di un sistema capitalistico andato fuori controllo.
La storia, che segue le vicende parallele e incrociate di diversi investitori e gestori di fondi che scommisero sul crollo delle obbligazioni bancarie sui mutui immobiliari, intuendo prima di tutti l’imminenza di una crisi che andò poi ben oltre le loro previsioni, è infatti raccontata attraverso la voce di uno di loro, interpretato da Ryan Gosling.
Nei punti in cui i tecnicismi finanziari rischiano di mandare in bambola lo spettatore, ecco che McKay tira poi fuori dal cilindro dei siparietti esplicativi, il primo dei quali vede protagonista una Margot Robbie che sorseggia champagne in vasca da bagno - tanto per dare l’idea del tono.
Inaspettatamente, però, gli anarchismi formali di McKay e le leggerezze del film (che ha qualche momento di pura comicità) non sviliscono i suoi contenuti e la loro serietà; perfino la loro drammaticità: al contrario li aiutano e li supportano..
La fusione dei registri de La grande scommessa si concretizza soprattutto nel personaggio (e nell’interpretazione) di Steve Carell, gestore di un fondo di Wall Street reso a tratti esilarante da un cattivo carattere al limite del patologico, dotato di spessore psicologico grazie a un trauma familiare e rappresentante lo sguardo più sconcertato e critico di fronte alla stupidità e alla fraudolenza delle grandi banche (“Tell me the difference between stupid and illegal and I'll have my wife's brother arrested,” gli dice a un certo punto il banchiere interpretato da Gosling.
Di adulto, nel mondo raccontato da Adam McKay, non c’è proprio nulla. Ci sono ragazzini troppo cresciuti che non conoscono il senso di parole come responsabilità, come morale, come etica. Eterni adolescenti incapaci di comprendere le conseguenze dei loro gesti, resi ciechi dalla prospettiva del guadagno, della BMW serie 7, di un aereo privato, di strip club e ville con piscina destinate a rimanere vuote.

Per giocare, c’è il cinema. La finanza e l’economia, quelle, dovrebbero essere qualcosa di più serio. Al cinema posso viaggiare nello spazio o perdere il lavoro, e di conseguenze reali non ce ne solo; mentre per ogni gioco di Wall Street, la vita e i lavori di milioni di persone sono a rischio. Qui c’è Brad Pitt in persona a ricordarlo: e che sia Hollywood a doverlo ribadire, continua a essere un paradosso.

Tasse Spiegazioni

Egr. Direttore
Mi piacerebbe che uno dei i programmi di approfondimento della TV si incentrasse sul sistema tasse. Sulla semplificazione attuata dal nuovo modello Redditi, sulla diminuzione delle tasse nazionali, regionali e comunali, sul fatto che il contribuente trova supporto dagli uffici periferici che lo assistono nella compilazione dei documenti fiscali.
Questo contribuirebbe ad un corretto rapporto cittadino –fisco.
Distinti saluti

Cesare Fedeli 

Risposta
Piacerebbe anche a me sarebbe istruttivo se ci fosse un esperto come il Ministro dell'Economia, speriamo che in un futuro prossimo ci sia qualcuno a spiegarcelo.
Tutto questo gossip privo di senso porterà a spegnere i televisori. 

Migranti. Richieste Italia all’Europa

Migranti. Richieste Italia all’Europa

Nel primo pomeriggio di oggi si è tenuto a Bruxelles un incontro fra il rappresentante permanente dell’Italia nell’Unione Europea, Maurizio Massari, e il Commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos. Secondo alcuni giornali italiani, l’Italia ha fatto sapere ad Avramopoulos che intende chiudere i propri porti alle navi straniere, cioè in sostanza quelle delle ong che soccorrono i migranti nei pressi delle coste africane. Una fonte diplomatica che era presente all’incontro fra Massari e Avramopoulos ha spiegato al Post che non si è parlato esplicitamente di questa possibilità, ma che il governo italiano – che ha dato incarico a Massari di rappresentarlo – ritiene l’attuale situazione insostenibile, e che nel caso non si riuscisse a a trovare una soluzione intende impedire ulteriori sbarchi di migranti nei porti italiani.
Il problema posto dal governo italiano – e da molti critici del meccanismo di gestione dei flussi migratori dell’Unione Europea – è che da diversi anni le navi che soccorrono i migranti nel tratto di mare fra Italia e Nord Africa sbarcano solamente in Italia, lasciando al sistema di accoglienza italiano l’onere di occuparsi di decine di migliaia di persone. La situazione si è aggravata negli ultimi mesi, quando in seguito alla chiusura della “rotta balcanica”, all’inizio del 2016, il tratto di mare fra Italia e Libia è diventato il canale principale della migrazione via mare verso l’Europa.
Nello specifico, il problema di questi mesi nasce dal fatto che tutti gli enti coinvolti nelle operazioni di soccorso sono in qualche modo vincolati a sbarcare in Italia. La Guardia costiera italiana si comporta così perché opera solamente nei porti italiani; le navi di Frontex che compiono operazioni di soccorso tornano in Italia perché esplicitamente vincolate dagli accordi dell’operazione Triton, mentre le ong applicano la cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo, che prevede che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro” – anche dal punto di vista del rispetto dei diritti umani – per prossimità geografica, e quindi scelgono l’Italia.
La fonte diplomatica contattata dal Post ha chiarito che il governo italiano ritiene di avere un problema soprattutto con le navi delle ong internazionali, e non con quelle di Frontex o altre missioni europee (come invece hanno scritto alcuni, fra cui ANSA). Secondo la stessa fonte negli ultimi tempi l’Italia sta cercando soluzioni alternative e si sta concentrando soprattutto sulla possibilità di chiedere ad altri paesi europei di accettare gli sbarchi delle navi che trasportano migranti. Per cambiare le misure della missione Triton di Frontex è necessario un voto all’unanimità del Consiglio Europeo, cosa molto difficile: di conseguenza è probabile che l’oggetto di questi discorsi siano le navi della Guardia Costiera e delle ong. Non è chiaro però in che modo si cercherà di convincere le ong a sbarcare le persone soccorse in porti più lontani di quelli italiani, cosa che andrebbe contro il diritto marittimo e limiterebbe la possibilità di compiere lo stesso numero di operazioni di soccorso.
La possibilità di chiudere i porti paventata dal governo italiano sarebbe una misura senza precedenti e che probabilmente attirerebbe molte critiche da parte delle istituzioni europee e dalle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani.
Di recente la situazione è diventata particolarmente delicata per le autorità italiane: nelle ultime 48 ore, ventidue navi con a bordo complessivamente 12mila migranti sono sbarcate o stanno per sbarcare nei porti italiani. Fino alla settimana scorsa, i migranti arrivati via mare nel 2017 erano stati 78mila, in leggero aumento rispetto allo stesso periodo del 2016. .ilpost.it/2017/06/28/

L'ottimista. Ma fino a 2 giorni fa questa ipotesi sembrava formulata da pazzi incoscienti. Adesso è la cosa più logica da fare. tutto scorre.

Venezia.Si può campeggiare?


Si era piazzato con una tenda nella zona di San Rocco ed è stato multato. I vigili hanno sanzionato un turista inglese quarantenne, residente a Manchester, in quanto aveva montato la tenda e campeggiava, assieme ad un'altra persona, in pieno centro storico.

Al turista inglese è stata comminata una sanzione di 500 euro, cui si aggiunge il sequestro finalizzato a fini di confisca della tenda. .ilgazzettino.it/25.6.2015.

L’Ottimista. Non è vero che la cultura è a disposizione di tutti. Essa è ad uso di chi la rispetta prima ancora di apprezzarla.

Veneto Banca. Manifestazione 30.6.2017

Veneto Banca. Manifestazione 30.6.2017
Tornano in piazza i coordinamenti dei soci (soprattutto piccoli) e dei risparmiatori delle banche venete: ad annunciare una manifestazione a Vicenza venerdì 30 giugno 2017 è il Coordinamento associazioni soci banche popolari venete “Don Enrico Torta”, già protagonista delle manifestazioni del 2016 contro il dissesto e il crollo del valore azionario delle ex popolari.
Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca sono ormai di fatto state assorbite nel gruppo Intesa Sanpaolo, che ha firmato l’atto d’acquisto delle parti sane dei due banche dedicando alla loro gestione una nuova direzione regionale affidata ad interim a Stefano Barrese, con le due nuove unità “ex Banca Popolare di Vicenza” e “ex Veneto Banca” guidati dal manager Gabriele Piccini.
L’appuntamento è convocato per le ore 20 di venerdì in piazza dei Signori a Vicenza, «per difendere i diritti dei cittadini e dei risparmiatori dall’arroganza della grande finanza, per bloccare il colpo di stato operato dal governo che favorisce gli amici banchieri e che scarica il debito pubblico sulle spalle di tutti gli italiani, specialmente del ceto medio» come si legge sul blog del coordinamento presieduto dall’avvocato Andrea Arman. A Vicenza confluiranno pullman dalla zona del trevigiano, storica area di insediamento di Veneto Banca.
Obiettivo del corteo è contrastare la soluzione adottata dal governo Gentiloni che prevede la cessione al prezzo simbolico di 1 euro delle parti sane di BpVi e Veneto Banca a Intesa Sanpaolo, con la liquidazione coatta amministrativa dei due vecchi istituti con “in pancia” i crediti deteriorati e le passività, e 17 miliardi complessivi messi dallo Stato a copertura dell’operazione (5,2 come contributo diretto a Intesa e 12 sotto forma di garanzie sugli impegni che si riveleranno non esigibili).
venetoeconomia.it/2017/06/27
L’Ottimista. Settimo non rubare i soldi dei risparmiatori ed i soldi dei contribuenti.


Mose. Orsoni Giorgio.Colpevole?

Mose. Orsoni Giorgio.Colpevole?
Due anni tre mesi di reclusione e un milione di multa per l'ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, accusato di finanziamento illecito in relazione ai contributi che l'allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, ha confessato di avergli versato nel corso della canpagna elettorale 2010. Sei anni di reclusione per l'ex ministro dell'Ambiente e delle Insfrastrutture, Altero Matteoli, imputato di corruzione per presunte somme e favori che avrebbe ricevuto in relazione ai fondi assegnati al Cvn per il disinquinamento della laguna di Venezia.

Sono le principali richieste di condanna formulate dai pm Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, a conclusione del processo per il cosiddetto "scandalo Mose", in corso di fronte al Tribunale di  Venezia. Complessivamente la Procura ha chiesto per gli otto imputati 27 anni e 3 mesi di carcere.  «Tutti sapevano che Giovanni Mazzacurati, ex presidente e dominus del Consorzio Venezia Nuova, pagava tangenti, ma tutti hanno negato di averle ricevute» ha detto il pm Ancillotto. Oggi in aula, ad ascoltare la requisitoria dei rappresentanti dell'accusa, erano presenti Matteoli, Piva e Cinque.​ ilgazzettino.it/29.6.2017.

L’Ottimista . Non posso credere che uno dei migliori docenti di diritto amministrativo, l’allievo caro a Feliciano Benvenuti sia colpevole!

giovedì 29 giugno 2017

Zanetti Enrico. Critiche all'operazione Vento Banca -Banca Intesa

In Spagna, il Banco di Santander ha comprato a 1 euro Banco Popular, ma tutto: buono e cattivo. Ed infatti si è impegnato a varare un aumento di capitale da 7 miliardi sul mercato, per il suo necessario rafforzamento patrimoniale dopo aver inglobato il netto negativo di Banco Popular. Qui invece si vuole consentire che Banca Intesa metta 1 euro per gli attivi e lo Stato 7 miliardi e più per i passivi e le ulteriori garanzie a favore di Intesa e del fondo esuberi che Intesa userà pure per i propri.
Questa ipotesi, che solo un Ministro all’Economia in totale confusione dopo mesi buttati al vento può proporre al suo Paese, sarebbe ancora più sorprendente se trovasse il via libera della severissima direzione generale UE sulla concorrenza, perché davvero non si può accettare che venga dato via libera a una operazione che implica maggiore concentrazione bancaria invece che maggiore concorrenza, ma soprattutto aiuti pubblici diretti e indiretti a Banca Intesa non inferiori e anzi probabilmente superiori di quelli ostinatamente negati alle due banche venete e al loro progetto di fusione, nel quale lo Stato italiano sarebbe entrato da proprietario anche degli attivi, non solo dei passivi.
Altro che commissione d’inchiesta, qua saremmo davanti a veri e propri favoritismi relazionali sull’asse Roma-Milano-Bruxelles.http://formiche.net/2017/06/23/
L'Ottimista oramai tutto è opinabile. Non c'è più una verità chi comanda dice la sua. 

Zonin Gianni. A passeggio con l’autista. Violazione della privacy?

Zonin Gianni. A passeggio con l’autista
La sua presenza lungo via Montenapoleone, la strada simbolo dello shopping milanese, non è certo passata inosservata. Anzi, c'è chi l'ha pure immortalato con il telefonino. E le foto, postate su internet, stanno già facendo il giro dei social. Lui è Gianni Zonin, per quasi vent'anni presidente della Banca Popolare di Vicenza, indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, ma che oggi,  in compagnia della moglie, si è concesso una mattinata di shopping lungo la via più famosa di Milano.
Immagini che non hanno lasciato indifferenti. Dai semplici cittadini (molti vittime del crac di BpVi) ai politici ognuno ha voluto dire la sua. «Zonin va in via Montenapoleone, i veneti vanno al Monte dei pegni», ha commentato Jacopo Berti, capogruppo del Movimento 5 stelle in Consiglio regionale. Il leader della Lega nord, Matteo Salvini, per Zonin ha invece augurato (in stampatello nella sua pagina Facebook) una «ruspa», non mancando di citare, poi, i «200 mila risparmiatori rovinati e i 20 miliardi di euro andati in fumo». Ancora più forte la presa di posizione dell'ex sottosegretario di Scelta Civica, Enrico Zanetti: «l'immagine di Zonin che fa shopping in via Montenapoleone con la moglie è la foto di un Paese in cui la magistratura non fa il suo lavoro. Tanto vale chiudere il tribunale di Vicenza, perché evidentemente è come se non ci fosse. Vergogna totale». 
A scattare la foto è stato un vicentino che ieri si trovava anche lui a Milano, da semplice turista, con la moglie: «Si sentono tante voci sull'ex presidente di BpVi, che fosse in Argentina, in Africa o in America. Beh, con quelle foto, scattate di getto con il telefonino, ho voluto solo far vedere che invece è qui, in Italia». «L'ho visto all'inizio di via Montenapoleone, poi è salito in auto assieme al suo autista e se n'è andato».ilgiornaledivicenza.it 28.6.2017

L’Ottimista . Le sentenze non si commentano. Le non sentenze e le archiviazioni?

Carreri Cecilia. Aveva tentato di fermare il disastro di veneto Banca?



Rovinata per aver provato a fermare i disastri di Gianni Zonin e salvare gli azionisti della Banca Popolare di Vicenza dal crac. È la storia di ordinaria giustizia italiana di cui è stata protagonista Cecilia Carreri, giudice e autrice del libro-denuncia Non c'è spazio per quel Giudice (edizioni Mare Verticale, 2017), di cui parla anche il Fatto quotidiano.
La Carreri a inizio anni Duemila indagò sull'istituto prima di finire vittima di procedimenti disciplinari per congedo di malattia richiesto per un mal di schiena, con l'accusa di "aver messo sotto sforzo la schiena, affetta da discopatie con attività sportive ritenute estreme". Da allora è fuori dalla magistratura, ma 17 anni fa da Giudice per le indagini preliminari rigettò la richiesta di archiviazione di un'inchiesta della Procura di Vicenza sull'allora presidente Zonin e sulla gestione della banca. Pesantissime le accuse: falso in bilancio, false comunicazioni sociali, appropriazione indebita, truffa e altri reati: "Si capiva perfettamente, leggendo gli atti - scrive Carreri - che il Procuratore non aveva voluto andare avanti, approfondire". Secondo la Carreri l'allora suo capo le fece pressioni per archiviare la pratica, fermandola addirittura in strada. Lo stesso capo andò poi a lavorare per una società controllata al 100% dalla banca di Zonin.
Conflitto d'interessi? Probabile, come quello di Zonin che secondo la Carreri (e le accuse del tempo di Bankitalia) era sospettato di "usare la Banca come cassaforte personale. Balzava evidente l'assoluta mancanza di controlli istituzionali su quella gestione: un collegio sindacale completamente asservito, un Cda che non faceva che recepire le decisioni di quell'imprenditore, padrone incontrastato della banca. Nessuno si opponeva a Zonin, nessuno osava avanzare critiche, contestazioni".  La Carreri dispose con un'ordinanza l'imputazione coatta di Zonin e gli altri vertici della banca, ma l'indagine finì a un altro gip e venne archiviata. Lì inizia il calvario professionale e umano della Carreri, tra procedimenti davanti al Csm, ricorsi e richieste di risarcimento. A "fregarla" una regata transoceanica da Le Havre a Salvador Bahia, affrontata in ferie. Il sospetto della giudice è che quello fu solo il pretesto per il suo allontanamento dalla toga. liberoquotidiano.it/29.6.2017.

L’Ottimista. I funzionari che vogliono rispettare la legge li cacciano e poi si lamentano che il paese va male?
Poi ci dicono che dobbiamo avere paura dei rapinatori?

Immigrati. Italia propone chiusura porti?


Nel primo pomeriggio di oggi si è tenuto a Bruxelles un incontro fra il rappresentante permanente dell’Italia nell’Unione Europea, Maurizio Massari, e il Commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos. Secondo alcuni giornali italiani, l’Italia ha fatto sapere ad Avramopoulos che intende chiudere i propri porti alle navi straniere, cioè in sostanza quelle delle ong che soccorrono i migranti nei pressi delle coste africane. Una fonte diplomatica che era presente all’incontro fra Massari e Avramopoulos ha spiegato al Post che non si è parlato esplicitamente di questa possibilità, ma che il governo italiano – che ha dato incarico a Massari di rappresentarlo – ritiene l’attuale situazione insostenibile, e che nel caso non si riuscisse a a trovare una soluzione intende impedire ulteriori sbarchi di migranti nei porti italiani.
Il problema posto dal governo italiano – e da molti critici del meccanismo di gestione dei flussi migratori dell’Unione Europea – è che da diversi anni le navi che soccorrono i migranti nel tratto di mare fra Italia e Nord Africa sbarcano solamente in Italia, lasciando al sistema di accoglienza italiano l’onere di occuparsi di decine di migliaia di persone. La situazione si è aggravata negli ultimi mesi, quando in seguito alla chiusura della “rotta balcanica”, all’inizio del 2016, il tratto di mare fra Italia e Libia è diventato il canale principale della migrazione via mare verso l’Europa.
Nello specifico, il problema di questi mesi nasce dal fatto che tutti gli enti coinvolti nelle operazioni di soccorso sono in qualche modo vincolati a sbarcare in Italia. La Guardia costiera italiana si comporta così perché opera solamente nei porti italiani; le navi di Frontex che compiono operazioni di soccorso tornano in Italia perché esplicitamente vincolate dagli accordi dell’operazione Triton, mentre le ong applicano la cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo, che prevede che gli sbarchi debbano avvenire nel primo “porto sicuro” – anche dal punto di vista del rispetto dei diritti umani – per prossimità geografica, e quindi scelgono l’Italia.
La fonte diplomatica contattata dal Post ha chiarito che il governo italiano ritiene di avere un problema soprattutto con le navi delle ong internazionali, e non con quelle di Frontex o altre missioni europee (come invece hanno scritto alcuni, fra cui ANSA). Secondo la stessa fonte negli ultimi tempi l’Italia sta cercando soluzioni alternative e si sta concentrando soprattutto sulla possibilità di chiedere ad altri paesi europei di accettare gli sbarchi delle navi che trasportano migranti. Per cambiare le misure della missione Triton di Frontex è necessario un voto all’unanimità del Consiglio Europeo, cosa molto difficile: di conseguenza è probabile che l’oggetto di questi discorsi siano le navi della Guardia Costiera e delle ong. Non è chiaro però in che modo si cercherà di convincere le ong a sbarcare le persone soccorse in porti più lontani di quelli italiani, cosa che andrebbe contro il diritto marittimo e limiterebbe la possibilità di compiere lo stesso numero di operazioni di soccorso.
La possibilità di chiudere i porti paventata dal governo italiano sarebbe una misura senza precedenti e che probabilmente attirerebbe molte critiche da parte delle istituzioni europee e dalle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani.
Di recente la situazione è diventata particolarmente delicata per le autorità italiane: nelle ultime 48 ore, ventidue navi con a bordo complessivamente 12mila migranti sono sbarcate o stanno per sbarcare nei porti italiani. Fino alla settimana scorsa, i migranti arrivati via mare nel 2017 erano stati 78mila, in leggero aumento rispetto allo stesso periodo del 2016. ilpost.it/2017/06/28
L'ottimista. Ma fino a 2 giorni fa questa ipotesi sembrava formulata da pazzi incoscienti. Adesso è la cosa più logica da fare. tutto scorre.
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mercoledì 28 giugno 2017

Fusaro Diego. Pensare altrimenti.Ci vogliono far diventare tutti schiavi e delocalizzati?

Fusaro Diego. Pensare altrimenti.

L'ordine dominante non reprime, oggi, il dissenso. Ma opera affinché esso non si costituisca. Fa in modo che il pluralismo del villaggio globale si risolva in un monologo di massa. Perciò dissentire significa opporsi al consenso imperante, per ridare vita alla possibilità di pensare ed essere altrimenti.
Da sempre, sia pure in forme diverse, gli uomini si ribellano. Difficilmente le rivolte si lasciano ricondurre a un paradigma unitario, ma presentano come orizzonte comune la rivendicata antitesi rispetto a un ordine costituito o a un «comune sentire» che si pretende giusto. La cellula genetica del dissenso corrisponde a un sentire altrimenti che è, già virtualmente, un sentire contro: e che, per ciò stesso, può trapassare nelle figure concrete in cui il dissentire si cristallizza facendosi operativo. Il pensiero ribelle deve costituire oggi il gesto primario contro l'uniformazione globale delle coscienze che si sta registrando nell'orizzonte del nuovo pensiero unico e del falso pluralismo della civiltà occidentale. Diego Fusaro si propone qui di analizzare le figure del pensare altrimenti, le declinazioni storiche del dissenso e la sua fenomenologia.
Come in un romanzo di Chesterton, nella politica di questo secolo maggioranza e opposizione sembrano guardie e ladri che a furia di mescolarsi si confondono. Le differenze dei partiti si colgono ormai soltanto nei volti diversi dei loro leader, l’alternativa è un io, non più un programma, una visione del mondo. Oltre l’immutabile minimo-comun-liberalismo c’è spazio giusto per la rivendicazione di una competenza e un’onestà il cui prevedibile fallimento darà qualcosa da dire all’opposizione. Da anni, con un personalissimo slalom tra Hegel, Marx e Heidegger, Diego Fusaro conduce la sua battaglia contro il «pensiero unico» attraverso i libri, la televisione e l’uso intensivo dei social media. Torna ora al suo tema prediletto con Pensare altrimenti (Einaudi, pp 176, €7,99, da oggi in libreria), un elogio della dissidenza evocata quasi come categoria universale. 
«In principio fu il dissenso», ammicca infatti il titolo del secondo capitolo, anche se poi l’autore chiarisce come il termine dissenso si riferisca all’«ambito delle passioni» e non sia possibile ricondurlo a una categoria politica, pena il doverlo identificare volta per volta nelle sue differenti manifestazioni. Una galleria «necessariamente impressionistica» di personaggi storici e mitologici, da Prometeo ai contestatori delle super antenne del Muos a Sigonella, fissa la storia del mondo animato dal conflitto eterno tra le incarnazioni dell’ordine costituito e i loro doppi ribelli, tra l’essere e il poter essere. Forse per non apparire troppo trasgressivo, Fusaro omette di collocare in cima al pantheon degli oppositori il primo ribelle della tradizione cristiana: Satana, l’angelo ribelle.  
Si capisce subito che Pensare altrimenti è un libro concepito per la politica, un tambureggiante appello al risveglio di un’umanità che l’autore vede funestamente addormentata nel giardino dei consumi. 
Per Fusaro dovrebbe essere proprio il dissenso la scossa che impedisce alla democrazia di assopirsi. Infatti per lui «la democrazia resta un orientamento teleologico (…) una meta a cui tendere, non certo una forma politica già realizzata nelle strutture dell’esistente». Così al homo instabilis e nomade della società della precarietà si contrappone l’uomo radicato che nel posto fisso cerca la creazione di un legame sociale e la possibilità di formare una famiglia. Se si volesse poi capire pervicacemente se Fusaro sia di destra o di sinistra, ecco la risposta: «Le dicotomie oggi imposte dal politicamente corretto, come quella tra destra e sinistra, tra atei e credenti, tra islamici e cristiani, tra fascisti e antifascisti, tra stranieri e autoctoni, rendono invisibile la contraddizione - il nesso di forza capitalistico - e assumono lo statuto di risorsa ideologica e simbolica per l’assoggettamento dell’opinione pubblica al profilo culturale di quella teologia delle diseguaglianze che è l’odierna economia di mercato».  
Al di là della battaglia culturale, se il ribelle vuole realizzare la sua visione dovrà diventare rivoluzionario o quanto meno cercare una dimensione politica collettiva. L’autore fa l’esempio di «Occupy Wall Street» e spiega che «il grande dissenso verso l’integralismo economico globale è chiamato a organizzarsi», ma preferisce non indicare in quali forme politiche la protesta potrebbe oggi incarnarsi. L’«integralismo economico globale» dovrà fare i conti quest’anno con le elezioni in Olanda e Francia dove i partiti «populisti» puntano apparentemente a rovesciare gli equilibri costituiti. E il nuovo presidente americano, per quanto imprevedibile, sembra inaugurare un’inattesa stagione protezionista. Se vorrà incidere, il «pensiero diverso» dovrà scegliere quale tigre cavalcare. lastampa.it/2017/02/02
Il filosofo Diego Fusaro mette in relazione i flussi migratori e la perdita di diritti nel lavoro: "Ci vogliono far diventare tutti schiavi e delocalizzati, affinché non ci possiamo più ribellare al capitale". Si guadagna così l'appellativo di 'Lenin 2.0' da parte di David Parenzo. la7.it/la-gabbia/-04-05-2017.


Ceta. Distrutta la domanda interna le imprese cercano sbocchi all’estero. L’Italia paese di serie B?

Ceta. Distrutta la domanda interna le imprese cercano sbocchi all’estero. L’Italia paese di serie B?


E’ arrivato il CETA, ma non ditelo in giro. Il governo ha approvato il disegno di legge per la sua ratifica ed attuazione, ossia per l’accordo economico e commerciale tra l’Unione europea e il Canada. Ma piano – per favore! – non strillatelo. Eh già, perché il temuto trattato, firmato lo scorso 30 ottobre2016 a Bruxelles e ratificato dal parlamento europeo questo febbraio sta per approdare al parlamento italiano per seguire l’iter legislativo ed essere votato. Chi lo dice? Il consiglio dei ministri che si è riunito mercoledì sera in fretta e furia e senza neanche un minuto di preavviso; quel cdm di cui i rappresentanti solitamente si affrettano a propagandare i risultati e per il quale invece non è stata convocata neanche l’ombra di una conferenza stampa. E come mai, c’è da chiedersi, neanche il più ridicolo e scarso dei media (provare per credere? Fatevi un giro su google) ha dato questa notizia di epocale importanza? Perché è meglio farlo passare in sordina, o perché forse questo “gran valore” economico non lo ha? Per entrambi i motivi. Quanto alle “potenzialità” di esportazione la nostra bella Penisola, da sempre caratterizzata da una grande vocazione all’export, già da tempo ha incrementato la vendita dei propri beni all’estero. Siamo più competitivi? Facciamo cose migliori? Ne più ne meno come prima, semplicemente gli italiani non hanno più una lira (i consumi domestici sono drasticamente calati, grazie a politiche iniziate da Mario Monti che in una celebre intervista ammise di “distruggere la domanda interna”) e quindi le imprese (quelle che non hanno chiuso) si sono arrangiante puntando ancor più sui mercati forestieri; solo pochi giorni fa l’Istat ha registrato nei suoi dati la “morte” della classe media italiana. Nel frattempo, visto che le merci di qualità come quelle nostrane non ce le possiamo permettere, nei nostri negozi arrivano tonnellate di merce a basso costo ma di pessima qualità che viene assoggettata a controlli scarsi o addirittura nulli, poiché già siamo in un’unione di libero scambio, l’Unione europea, che stiamo per estendere al Canada. Inutile dire che simili politiche danneggiano direttamente le nostre imprese, dunque il lavoro e in generale il benessere del nostro popolo. lintellettualedissidente.it/26.5.2017

Troppe tasse per pagare il meccanismo assurdo di riscossione?

Troppe tasse per pagare il meccanismo assurdo di riscossione?

Troppi balzelli, troppi esattori, troppe sigle: l’Italia è ai primi posti della graduatoria mondiale per complessità del sistema fiscale, peggio di Vietnam e India. Basta pensare alle vicissitudini degli acronimi dell’Imu per non stupirsi davanti ai risultati del Financial Complexity Index 2017, redatto dal Tmf Group, che passa in rassegna 94 ordinamenti fiscali nazionali tra Europa, Medio Oriente, Africa, Asia e Americhe. Per contro il posto con il sistema fiscale più semplice del pianeta è, ironia della sorte, un paradiso off shore: le Isole Cayman. Nella Top 10 globale redatta dal colosso internazionale per i servizi di consulenza fiscale e assicurativa il Paese con giurisdizione fiscale più complessa in generale (facendo una media dei risultati sulla base di 4 parametri) è la Turchia, a seguire troviamo il Brasile e poi l’Italia. In quarta posizione la Grecia, poi il Vietnam, la Colombia, la Cina, il Belgio, l’Argentina e l’India. Tornando all’Italia, “nonostante le misure introdotte per ridurre la tassazione e allineare le misure contabili alle regole internazionali, il Paese presenta ancora degli aspetti specifici che contribuiscono ad assegnargli il primo posto in Ue e il terzo al mondo per complessità del sistema fiscale”. Inoltre entrando nel dettaglio dei singoli parametri, la Grecia risulta al primo posto per complessità degli adempimenti; l’Argentina è il Paese con il peggiore sistema ai fini delle dichiarazioni fiscali; il Messico quello con maggiori problemi di contabilità e l’Italia quello con le tasse più complesse.
 “Sia l’Italia che la Grecia hanno complessità molto localizzate – afferma Juraj Gerzeni di Tmf – per esempio in Italia le imposte vengono riscosse a livello nazionale, regionale e comunale, mentre in Grecia le imposte sono suddivise in tre categorie: reddito, proprietà e consumo”. Ne consegue una grande “difficoltà” a barcamenarsi tra “i numerosi esercizi contabili e numerose imposta in Italia e in Grecia” e la necessità di rivolgersi a professionisti del settore per gli adempimenti fiscali”, aggiunge. Tra i fattori chiave che aumentano la complessità fiscale dell’Italia, Tmf indica la contabilità in italiano; libri contabili coerenti con il codice civile; dichiarazioni solo in euro; troppi livelli di riscossione nazionale, regionale e comunale che genera tutta una serie di imposte, rapporti e rimborsi con varie istituzioni che rendono il sistema molto complesso. Altrettanto intricata la giungla tributaria ellenica: vari tipi di Iva e zero coerenza nell’applicazione dell’imposta; troppi regimi fiscali speciali che si applicano alle compagnie di navigazione, compagnie aeree, centri di coordinamento, società di investimento immobiliare e fondi comuni di investimento e un volume e una complessità della legislazione fiscale, sono i punti deboli di un sistema che favorisce l’evasione/elusione o anche semplicemente la violazione involontaria delle regole fiscali. secoloditalia.it/2017/06/11.

L’Ottimista. Ma mai qualcuno di quelli che sovrintendono il funzionamento della p.a. ha letto le istruzioni al Redditi? 

Veneto Banca. Indagati l'ex ad Vincenzo Consoli, l'ex presidente Flavio Trinca.

Veneto Banca. Indagati l'ex ad Vincenzo Consoli, l'ex presidente Flavio Trinca.

«Aggiotaggio» e «ostacolo alla funzione di vigilanza» della Banca d'Italia e di Consob. Con queste ipotesi la Procura della Repubblica di Roma ha chiesto il processo per gli ex vertici di Veneto Banca. Un dissesto finanziario che sarebbe stato reso più devastante da prestiti concessi ad amici e da «false comunicazioni periodiche» sull'ammontare «del patrimonio di vigilanza» risultato «non corrispondente al vero».
La richiesta di processo è stata presentata dal procuratore aggiunto di Roma Rodolfo Sabelli e dai pm Sabina Calabretta e Stefano Pesci per l'ex ad Vincenzo Consoli, l'ex presidente Flavio Trinca per le presunte irregolarità commesse tra il 2012 e il 2014. Tra gli indagati figurano anche Stefano Bertolo, responsabile della direzione centrale amministrazione dal 2008 al 2014, Flavio Marcolin, ex responsabile degli affari societari e legali, Pietro D'Aguì, un lungo periodo al vertice di Banca Intermobiliare, Gianclaudio Giovannone, titolare della Mava SS, Mosè Fagiani, responsabile commerciale dal 2010 al dicembre 2014, e Massimo Lembo, all'epoca capo della Direzione Compliance.
Stando all'accusa i dominus delle operazioni ritenute illecite sarebbero stati Consoli e Trinca. Negli atti si legge che «al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni di vigilanza demandate alla Banca d'Italia, comunicavano falsamente nelle comunicazioni periodiche relative all'ultimo trimestre 2012 (trasmessa alla Banca d'Italia in data 15 marzo 2013) e nelle successive fino al 31 dicembre 2013, un ammontare del patrimonio di vigilanza non corrispondente al reale, in particolare omettevano di decurtare il patrimonio di vigilanza per un ammontare non inferiore a 349 milioni di euro correlato al valore di azioni proprie cedute a terzi previo finanziamento concesso allo scopo ed alle perdite sui crediti».
Gli atti illustrano, inoltre, che gli indagati avrebbero ostacolato «le funzioni di vigilanza» sia di Bankitalia sia di Consob «in sede di richiesta di autorizzazione e di successiva attuazione all'operazione straordinaria di aumento del capitale sociale per un controvalore di 474,276 milioni di euro in ragione sia della indicazione di un ammontare del Pdv superiore a quello effettivo sia del collocamento delle azioni di nuova emissione presso clienti appositamente finanziati dalla banca per un ammontare non inferiore a 37,197 milioni».
Tra le accuse, inoltre, «l'operazione di acquisto di un portafoglio di crediti ipotecari vitalizi da Jp Morgan formalizzato in data 11 febbraio 2015». Secondo i pm, «al fine di ostacolare le funzioni di vigilanza demandate a Banca d'Italia, comunicavano falsamente l'ammontare del patrimonio di vigilanza, omettendo di detrarre dagli elementi del capitale primario di classe 1 (Cet1) dichiarato nella prescritta comunicazione trimestrale (…) le n. 900mila azioni proprie trasferite a Jp Morgan quale parte del corrispettivo dell'operazione per un controvalore di 35,5 milioni di euro a fronte delle quali la stessa Veneto Banca aveva assunto un obbligo di riacquisto».
Infine la Procura di Roma ritiene che avrebbe «diffuso nelle comunicazioni periodiche destinate a Banca d'Italia, nei bilanci annuali e nelle informative al pubblico, dati non corrispondenti al vero, con particolare riferimento all'ammontare del patrimonio di vigilanza in relazione alla qualità del portafoglio crediti, alla stima del sovraprezzo delle azioni, nonché al superamento degli stress test imposti dalla vigilanza europea». ilsole24ore. /2017-06-27/
L’Ottimista.  Il reato di aggiotaggio si prescrive in 6 anni.
Nel reato di ostacolo alla funzione di vigilanza» il termine di prescrizione, che equivale a 7 anni e 6 mesi, si protrae nel tempo. Per cui il giorno in cui fare partire il corso della prescrizione deve individuarsi in quello in cui gli organi preposti alla vigilanza sulla gestione economica ne vennero a conoscenza".
Poiché tre gradi di giudizio durano almeno 15 anni resteranno tutti  a casa.

Immigrazione . Bloccare i porti. Tutto il contrario di prima?

Immigrazione . Bloccare i porti

Negli ultimi 4 giorni sono state salvate 10.500 persone nel Mediterraneo, dai sindaci non sempre c’è disponibilità ad ospitarli sul proprio territorio, ma la conferma che l’emergenza migranti sia oramai esplosiva è il rientro immediato in Italia del ministro dell’Interno.  
Il ministro  ha chiesto e ottenuto un incontro urgente con il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Perché è evidente che, sia sul piano nazionale sia su quello internazionale - soprattutto per fare pressioni su Bruxelles -, occorre un impegno diretto da parte del governo. Molti e spinosi i temi sul tavolo del confronto tra il premier e Marco Minniti. Doppio il fronte di preoccupazioni per quest’ultimo. Da un lato, quello esterno relativo al traffico di esseri umani in corso in Libia. Dall’altro, un capitolo interno di questioni sul tappeto, dal rapporto politico con i sindaci (in particolare quelli della Lega Nord) alla gestione del problema in modo da evitare che la realtà degeneri com’è avvenuto ieri con l’invasione dell’autostrada tra Catania e Gela, da parte dei migranti del Cara di Mineo.   
La situazione è davvero al limite, finora sono sbarcati sulle nostre coste 70 mila migranti, e, considerato che si registra il 26 per cento in più degli arrivi del 2016 (anno in cui arrivarono 180 mila persone ) la stima entro la fine dell’anno si aggira intorno ai 230 mila sbarchi.  
Al momento ci sono 90 mila persone pronte a partire dalla Libia nei prossimi tre mesi che sono i più comodi, per le condizioni climatiche e del mare, alla traversata di chi parte verso la terra promessa. 
Ma la questione principale, al di là dei numeri, è la sempre maggiore complessità nella sistemazione degli extracomunitari sul nostro territorio nazionale. All’esame del ministro ci sono due ipotesi: delle mini tendopoli (due per provincia in modo da non creare dei ghetti, sempre nell’ottica della distribuzione equa e diffusa) al ricorso alle caserme. Non solo: si procederà a una verifica della potenzialità di accoglienza di tutti gli edifici pubblici in disuso, dalle scuole ai capannoni utilizzati in passato come magazzini. 

Mentre sui numeri si dovrà aprire una nuova discussione a livello politico. A dicembre tra il Viminale e l’Anci la quota di accoglienza era stata fissata a 200 mila unità e un eventuale aumento sarà concordato con l’associazione dei Comuni. Fino ad oggi non c’è stata la necessità, ma il numero delle persone accolte si sta pericolosamente avvicinando a quota 200 mila, anzi è destinato a sfiorare i 230 mila e, dunque, non è escluso che nei prossimi giorni ci sia un’iniziativa da parte del ministro in questo senso. 
Il piano d’emergenza, inoltre, prevede altri due punti. Uno riguarda l’intensificazione della collaborazione con la guardia costiera libica, formata da nostro personale e dotata di 10 motovedette ristrutturate dall’Italia, e la guardia libica di frontiera, lungo i 5 mila chilometri al confine con Ciad e Nigeria. L’altro si concentra una maggiore collaborazione a livello europeo per stabilire che chi soccorre in mare deve poi farsi carico anche dall’accoglienza. L’obiettivo del Viminale, insomma, è che anche Spagna, Francia, Malta, ma anche Olanda e Irlanda dopo aver recuperato in mare i migranti facciano la loro parte e li accompagnino sul loro territorio invece che sulle nostre coste meridionali. 
Anche perché il tema diviene ogni giorno più urgente. Soprattutto per la distanza sempre più ravvicinata tra veri e propri esodi. Mentre finora si era infatti registrato un picco ogni due settimane, negli ultimi sette giorni non si è potuto tirare un attimo di respiro. Nel weekend di Pasqua, per fare un esempio, arrivarono in Italia 8700 persone, due settimane dopo quasi 4 mila. E sinora c’erano sempre state due settimane di tempo per trovare una sistemazione ai profughi. 
Ora però la situazione è al limite. E c’è più di un campanello d’allarme di cui si deve tenere conto. A partire dalla Libia, dove i trafficanti di esseri umani dimostrano un’organizzazione logistica sempre superiore e sono diventati un’industria economica che produce milioni di euro.
Fino al nostro Paese, dove serpeggia il timore che a breve possa verificarsi un episodio che esasperi ulteriormente gli animi. Da un incidente in mare (più di un’ecatombe si è verificata negli ultimi anni) a una rivolta di cittadini che non vogliono convivere con i profughi, il rischio di un brutto imprevisto è dietro l’angolo. lastampa.it/2017/06/28.
L'emergenza non è mai stata tanto forte. Negli ultimi giorni le partenze dalle coste libiche sono state continue.
Solo ieri sono arrivati cinquemila migranti. Nelle prossime ore, invece, ne arriveranno altri 8.500. Paolo Romani, presidente dei senatori di Forza Italia, non fatica a definirlo "un esodo biblico". Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati, lancia un appello formale al ministro dell'Interno, Marco Minniti: "Blocchi le navi che stanno facendo rotta verso il nostro Paese e chieda all'Unione europea che vengano dirottate in altri porti del Mediterraneo".
La pressione sulle coste italiane è senza sosta. L'esodo degli immigrati, che partono dalla Libia, è sempre più insistenibile. Nella sola giornata di ieri, al largo delle coste libiche, ne sono stati salvati oltre 5.000, mentre sono complessivamente 8.500 quelli che si trovano a bordo delle navi dei soccorritori che stanno ora facendo rotta ora verso porti italiani. "C'è un'emergenza incredibile - tuona Brunetta - non possiamo più gestire questa situazione". Il capogruppo azzurro lancia, quindi, un appello formale a Minniti affinché "blocchi le navi che stanno facendo rotta verso il nostro Paese" e chieda all'Unione europea di dirottarle "in altri porti del Mediterraneo". "Non si capisce per quale motivo queste navi debbano venire solo ed esclusivamente in Italia - continua - perché non a Malta? Perché non in Spagna? Perché non in Francia? Perché non nella Dalmazia? Le percorrenze non sono poi molto diverse".ilgiornale.it/27.6.2017.
L’Ottimista. E’ evidente la lungimiranza della politica di prevedere le situazioni e di governarle in anticipo in via amministrativa senza corruzione e con buon senso.



Lombardia Referendum autonomia 22 ottobre 2017. Adesioni sindaci PD, e la solidarietà fiscale?

Il centrosinistra lombardo si attrezza in vista del referendum indetto dal governatore Roberto Maroni per il prossimo 22 ottobre (la firma al decreto è stata siglata proprio a Cremona lo scorso maggio) per ottenere maggiore autonomia finanziaria dallo Stato. Un referendum bollato finora dai più alti esponenti del Pd come una mossa puramente propagandistica, ma i cui contenuti estremamente popolari non possono lasciare indifferenti chi amministra le città. E difatti i sindaci dei capoluoghi di centro sinistra, in cima a tutti il bergamasco Giorgio Gori, annunciano la nascita di un comitato per il sì, che si presenterà pubblicamente il prossimo 11 luglio a Varese. Ci sarà anche il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, oltre ai colleghi di  Milano, Brescia, Varese, Lecco, Mantova, Pavia, Sondrio e ovviamente Bergamo.




Un comitato “senza bandiere e aperto al civismo fortemente radicato in Lombardia”, annunciano i proponenti “che nei prossimi mesi illustrerà le ragioni concrete per cui andare a votare Sì al referendum di ottobre. L’autonomia e i benefici per la crescita e il lavoro per tutti non possono essere strumentalizzati da una parte politica che ha isolato fino ad ora la Lombardia. Per questo diciamo un sì convinto e ci organizzeremo perché il referendum sia una vittoria di tutti i lombardi e non una bandierina di una parte.  L’11 luglio verranno spiegate le ragioni della scelta di votare sì”.www.cremonaoggi.it/2017/06/27

martedì 27 giugno 2017

Salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Nessun responsabile?

Salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca

Banca Intesa fa i conti del salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Si prevede di chiudere 600 filiali su 982 e di ricorrere a 3.900 esuberi volontari: 2500 per il gruppo e il resto per le banche venete (11mila gli addetti totali). Uscite che verranno finanziate dallo Stato con 1,285 miliardi. Da subito Intesa inietta 5 miliardi di nuova liquidità per far ripartire la macchina del credito mentre gli analisti prevedono un aumento di utili nel 2020 di almeno 250 milioni, anticipazioni che fanno lievitare il titolo del gruppo del 3,52% in Borsa. Anche i bond senior di Pop Vicenza e Veneto Banca hanno tenuto un buon rialzo per tutta la giornata.
Sul passaggio però pesa una condizione decisiva: l'operazione non si perfezionerà se il decreto pubblicato domenica sera non verrà convertito in legge senza modifiche.
Il presidente Gian Maria Gros-Pietro in ogni caso respinge al mittente le accuse di aver ricevuto un regalo dallo Stato: «Intesa Sanpaolo prende a suo carico depositi e obbligazioni senior delle due banche venete, parliamo di circa 20-30 miliardi. Il prezzo di un euro è un prezzo simbolico. In realtà, le attività che noi riceviamo non sono in grado di coprire l'impegno che prendiamo». Insomma, c'è un rischio in questo che comunque appare come un affare. «L'intervento dello Stato non è a vantaggio di Intesa - aggiunge Gros Pietro - ma solo a pareggio degli oneri. Per questo la Dg Comp europea dice che non c'è distorsione della concorrenza». Quindi il modello piace e potrebbe servire per altre crisi tipo Carige con in campo questa volta Unicredit. ilgazzettino.it/27.6.2017.

L’Ottimista. Sono proprio contento ci guadagnano tutti e non ci sono responsabili. Avrei voluto fare il Dirigente di Banca o il Banchiere anch’io.

Fondo Atlante. C'è ancora qualcuno che si diverte a perdere dei soldi?

Fondo Atlante
Il Fondo Atlante doveva rendere il 6% annuo (prima figura sotto)? Tutti, ma proprio tutti, i grandi quotidiani italiani lo presentarono poco più di un anno fa come un “punto di svolta”
sul fallimento delle due banche venete: Atlante Uno dei principali danneggiati è Atlante, ovvero il veicolo finanziato da banche, fondazioni e assicurazioni italiane. Il fondo guidato da Alessandro Penati è l'azionista pressochè unico dei due istituti, visto che controlla il 99,3% della Popolare Vicenza e il 97,6% di Veneto Banca. Atlante ha versato nel complesso 3,4 miliardi circa nel capitale delle due banche per evitarne il fallimento. Oggi quei fondi sono destinati ad essere azzerati per colmare il capitale mancante. Un'operazione, quest’ultima, che prevede l'intervento dello Stato ma solo a condizione che siano coinvolti azionisti e obbligazionisti subordinati, nel cosiddetto burden sharing. Ciò significa che banche, assicurazioni e fondazioni vedranno andare in fumo l'intero loro investimento. http://www.soldionline.it266.2017.
L'ottimista. Speriamo che gli esperti possano pilotare altre operazioni di salvataggio.

lunedì 26 giugno 2017

Garanzia legale UE. Manutenzioni sostituzioni. Dopo due interventi è obbligatoria la sostituzione?

Garanzia legale UE. Manutenzioni sostituzioni

Il decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005 ha introdotto in Italia il Codice del Consumo, che nei suoi articoli da 128 a 135 regola la garanzia legale e si occupa anche della garanzia convenzionale (commerciale).

Diritti dell’acquirente (art. 130) Il venditore risponde per tutti i vizi esistenti nel prodotto al momento della consegna2. L’acquirente gode di un diritto alla riparazione gratuita del bene o alla sua sostituzione nel caso esso presenti un vizio. È a lui che in linea di principio spetta la scelta tra la riparazione e la sostituzione, a meno che una di queste opzioni risulti impossibile o eccessivamente onerosa rispetto all’altra. Per valutare questo rapporto ci si riferisce al valore che avrebbe avuto la merce in assenza del vizio lamentato e all’entità del vizio, nonché dell’eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Se ad 2 ATTENZIONE: ciò non significa però che il vizio debba veramente sussistere già al momento della consegna perché il venditore ne debba in concreto rispondere. Se infatti il difetto viene scoperto entro i primi 6 mesi dalla consegna, automaticamente si suppone che la merce abbia avuto questo difetto già al momento della consegna. Attenzione: 10 esempio una piccola riparazione fosse in grado di risolvere i vizi lamentati, pretendere la sostituzione completa del bene non sarebbe proporzionato. nella prassi si è ormai consolidato un uso per cui il consumatore deve permettere al venditore di tentare due volte la riparazione prima di poter pretendere da quest’ultimo la sostituzione del prodotto. Se nell’ambito di una riparazione viene sostituito un componente installando un ricambio nuovo di fabbrica, da questo momento per il nuovo componente riparte un nuovo termine di garanzia di 2 anni? Per dare una risposta a questo quesito occorre distinguere 2 situazioni: 1) se la riparazione viene effettuata durante il periodo di garanzia, per il nuovo ricambio non inizia un nuovo termine di garanzia; rimane inalterato il decorso del periodo di garanzia che ha preso avvio dalla data di consegna originaria; 2) se però la riparazione ha luogo dopo lo scadere del periodo di copertura in garanzia, il nuovo ricambio gode di un suo periodo di garanzia di 2 anni dalla consegna del prodotto riparato. Il diritto di garanzia non viene riconosciuto nel caso di vizi ben noti al consumatore nel momento dell’acquisto o comunque così evidenti da non poter essere occultati. La riparazione o la sostituzione devono avvenire entro un “termine congruo”, anche se purtroppo il legislatore non ha meglio specificato cosa sia da intendere come “congruo”. Non di rado si deve allora fare i conti con lunghe attese, tanto da rendere consigliabile indicare per iscritto al venditore un termine ultimo per la riconsegna del bene o la sua sostituzione. euroconsumatori.org/

Patrimonio pubblico degradato. Proposta: Svendere a chi recupera!

Patrimonio pubblico degradato. Proposte

Egregio Direttore
mentre il sistema fiscale o l'aumento delle rendite e con la aggiornamenti catastali e con l'imu sempre aumento rendono difficile il mantenimento del patrimonio edilizio privato. Per contro sono sempre più numerose le case popolari non assegnate per carenze manutentive o per incapacità amministrativa. Peraltro il demanio pubblico non riesci a dare una risposta immediata agli innumerevoli edifici o alle innumerevoli are ormai in degrado. Il bel paese diventa sempre più brutto di questo però non ne parla nessuno ci tengono nascoste le magagne aspettando che i monumenti e le case pubbliche crollino?
La ricetta non può essere che unica .
Ridurre la pressione fiscale sugli immobili privati.
Vendere o svendere il patrimonio pubblico con fideiussioni che ne garantiscano l’utilizzo e quindi una tassazione sugli  immobili recuperati finora destinati alla rovina.
Obbligo degli enti pubblici di pubblicare l’elenco degli immobili inutilizzati.
Distinti saluti
Cesare Fedeli

L’Ottimista nessun amministratore o dirigente pubblico venderà mai un immobile anche se degradato perché è motivo di dibattiti e richiesta di finanziamenti da potere gestire.

Bill of Rights del web.

 Bill of Rights del web.
Come dichiarato dalla Presidente della Camera Boldrini in occasione dell’apertura dell’Internet Governance Forum dello scorso anno e ribadito oggi per la presentazione stampa, i 14 principi sanciti dalla Dichiarazione saranno poi oggetto di una mozione unitaria che vincoli il Governo ad adottarli come propri sia internamente che nel contesto internazionale. 
La Dichiarazione è dunque un testo che pone al centro la persona, il singolo utente del web.
 Quest'ultimo viene difeso e tutelato nei suoi diritti fondamentali: l'accesso al web e alle sue piattaforme (come i Social Network), la privacy, l'anonimato, la protezione dei dati personali, il diritto all'oblio, alla manifestazione del pensiero (“Non sono ammesse limitazioni della libertà di manifestazione del pensiero (Art.13)”) e all'educazione sui temi e le tecnologie del web. È la Magna Carta dell'era digitale, un momento di sintesi dedicato ai Grandi Principi, non alle norme di dettaglio: libertà, eguaglianza, dignità e diversità di ogni persona sono i suoi pilastri che devono ispirare il legislatore e – si spera – anche la comunità internazionale.
Accesso al web è diritto fondamentale della persona
Ciò che emerge dalla lettura dei 14 articoli è che la tutela della persona sia la priorità assoluta. Ecco perché il diritto di accesso a Internet è in assoluto la cosa più importante, il punto centrale di tutto il testo: “L'accesso ad internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo sociale. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.”
Ovviamente qui si apre un mondo di considerazioni pratiche: come potrà lo Stato superare le forme di divario digitale attualmente in essere, al fine di garantire l'efficacia pratica di questo principio? Il testo auspica ulteriori interventi pubblici in tal senso, e poi ribadisce il principio della neutralità della rete (Art.4), che – in sostanza – consiste nel diritto degli individui a inviare e ricevere dati senza discriminazioni o restrizioni relative al contenuto, al mittente o al destinatario.
Il Diritto alla conoscenza e all'educazione in rete, la cui disciplina è stata letteralmente spostata dal penultimo al terzo articolo e rafforzata nei suoi contenuti di principio. Secondo la Commissione, l'acquisizione delle competenze necessarie per l'uso consapevole di Internet è un vero e proprio diritto delle persone e deve essere favorito dallo Stato: "Le istituzioni pubbliche assicurano la creazione, l’uso e la diffusione della conoscenza in rete intesa come bene accessibile e fruibile da parte di ogni soggetto. Debbono essere presi in considerazione i diritti derivanti dal riconoscimento degli interessi morali e materiali legati alla produzione di conoscenze". Si auspicano importanti conseguenze pratiche di cui sopra, nella consapevolezza che la Dichiarazione non è soltanto un atto "pseudo" normativo, ma può essere la base di un'importante evoluzione culturale per il nostro Paese.
Uno dei grandi temi del web è la protezione dei dati personali, poichè ogni giorno compiliamo moduli, form, inseriamo credenziali e offriamo ai colossi dei web i nostri dati su un piatto d'argento; c'è assoluto bisogno di norme e principi chiari che disciplinino un punto sensibile come questo. Come conseguenza dei suoi principi generali, il Documento stabilisce che i dati personali, ovvero quelli che consentono di risalire all'identità della persona, possano essere raccolti o trattati solo con il consenso informato del titolare, consenso che – tra l'altro – potrebbe non bastare qualora vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento. Ogni persona deve poter accedere ad essi per integrarli, rettificarli o cancellarli, e può contare (hacker permettendo, e sappiamo quanto il tema sia di attualità) sul principio dell'inviolabilità dei sistemi e dei domicili informatici, eccezion fatta per il caso di autorizzazione dell'autorità giudiziaria. 
Molto importanti altri due principi sanciti dal Documento, ovvero l'anonimato e il diritto all'oblio. La comunicazione in forma anonima è permessa (“Ogni persona può accedere alla rete e comunicare elettronicamente usando strumenti anche di natura tecnica che proteggano l’anonimato ed evitino la raccolta di dati personali, in particolare per esercitare le libertà civili e politiche senza subire discriminazioni o censure”) con alcune limitazioni giustificate dall’esigenza di “tutelare rilevanti interessi pubblici e risultino necessarie, proporzionate, fondate sulla legge e nel rispetto dei caratteri propri di una società democratica”, mentre il diritto all'oblio è una questione un po' più complessa poiché porta a dover soppesare diversi diritti confliggenti come l'esercizio del diritto di cronaca, la libertà di ricerca e, appunto, il diritto all'oblio stesso.
La Dichiarazione risponde in modo equilibrato tenendo sì in massimo conto la volontà del singolo, ma anche il diritto dell'opinione pubblica ad essere informata: “Ogni persona ha diritto di ottenere la cancellazione dagli indici dei motori di ricerca dei riferimenti ad informazioni che, per il loro contenuto o per il tempo trascorso dal momento della loro raccolta, non abbiano più rilevanza pubblica”, ma poi sostiene che “Il diritto all’oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata”. dday.it/28.7.2015.



Diffamazione col WEB

Molte persone credono che sia sufficiente una stampa di una pagina web o di un commento sui social per acquisire una prova con valore legale, da allegare ad una denuncia per diffamazione. Procedere in questo modo, al contrario, non ha alcun valore legale poichè non è possibile garantire l'orgine del documento e la controparte può disconoscerne la validità sulla base del principio di cui all'art. 2712 cod. civ.
Occorre sapere, invece, che la pubblicazione di immagini o scritti diffamatori in un sito web o sui social network o su una chat di gruppo whatsapp, o la creazione di un sito web a contenuto diffamatorio è stata ricondotta alla fattispecie della diffamazione commessa “con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, di cui all'articolo 595, comma 3 codice penale. Il reato di diffamazione a mezzo di sito web si consuma, inoltre, non al momento della diffusione del messaggio offensivo, ma al momento della percezione dello stesso da parte di soggetti che siano “terzi” rispetto all'agente e alla persona offesa. Se il commento che si trova sui social network o su una chat di gruppo whatsapp è offensivo, la relativa condotta costituisce il reato di diffamazione aggravata (595 c.p.; cfr. sentenzaCassazione penale n. 24431/15). Anche l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria ( C., Sez. V, 16.10.2012, n. 44980).
Requisiti del reato di diffamazione :
  1. assenza dell'offeso (se è presente sussisterà il reato di ingiuria)
  2. offesa all'altrui reputazione
  3. La persona diffamata non deve essere necessariamente indicata nominativamente ma tuttavia deve essere individuabile agevolmente e con certezza. In sostanza è sufficiente che l'offeso possa essere individuato per esclusione, o in via deduttiva.
  4. comunicazione a più persone. Non sussiste quindi il reato di diffamazione nella lesione della reputazione comunicata ad una persona solamente, pur potendo essere ciò sufficiente per richiedere il risarcimento del danno in via civile. Con riguardo alla diffamazione a mezzo Internet la sussistenza della comunicazione a più persone si presume nel momento stesso in cui il messaggio offensivo viene inserito su un sito Internet che, per sua natura, è destinato ad essere visitato da un numero indeterminato di persone in breve tempo. analisideirischinformatici.it/

Google. Diritto all'oblio

Google. Diritto all'oblio

La sentenza del Tribunale di Roma del 3 dicembre 2015 è importante perché applica concretamente i principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella nota decisione “Google Spain”, la quale ha formalizzato il diritto all'oblio quale espressione del diritto alla privacy nelle vicende personali diffuse via web che non siano più di pubblico interesse. 
Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella decisione del 13 maggio 2015, C- 131/12.
Tra i molti importanti principi giuridici, la Corte di Giustizia riconosce il c.d. diritto all'oblio (right to be forgotten) stabilendo che si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati visibili al pubblico a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. In questo senso i diritti fondamentali riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso all’informazione in questione.
Il 17 dicembre 2014 il ricorrente, un avvocato, chiedeva a Google di “deindicizzare” 14 URL risultanti da una ricerca concernente il proprio nominativo con riferimento a vicende giudiziarie nelle quali era stato coinvolto. Si trattava di notizie di cronaca relative a una vicenda giudiziaria risalente agli anni 2012/2013 che lo vedeva implicato insieme ad altri personaggi romani, esponenti del clero e soggetti riconducibili alla c.d. “banda della Magliana” in merito a presunte truffe e guadagni illeciti che sarebbero stati realizzati da costoro.
Il professionista si doleva che tali informazioni riferite dai risultati del motore di ricerca facessero riferimento a “una risalente vicenda giudiziaria nella quale era rimasto coinvolto senza che mai fosse stata pronunciata alcuna condanna” e chiedeva la condanna della controparte al risarcimento derivante da detto illegittimo trattamento dei suoi dati da quantificarsi nella misura non inferiore a 1000,00€. 
Il tribunale romano respinge la domanda: seppure essa sia riconducibile al trattamento dei dati personali e al diritto all'oblio quale parte essenziale del diritto alla riservatezza, i dati trattati risultano da un lato recenti, dall'altro di interesse pubblico. 
Sotto il primo profilo, il trascorrere del tempo dall'accadimento dei fatti in parola, ai fini della lesione del right to be forgotten, si configura come elemento costitutivo essenziale.
Sul punto il giudicante richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto all'oblio esige “che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati” (Cass. civ. Sez. III, 05-04-2012, n. 5525), mentre gli URL per i quali si è causa sono riconducibili al 2013 o, per quelli più risalenti, all'estate 2012, pertanto essi si possono definire recenti e mantengono una loro innegabile attualità, soprattutto in considerazione del ruolo pubblico del ricorrente, professionista legale esercente l'attività di avvocato in Svizzera.
Sotto il secondo profilo, il giudicante osserva che tali notizie sono di interesse pubblico, e pertanto la loro diffusione è tutelata dall'esercizio del diritto all'informazione, costituzionalmente protetto, e ulteriormente sottolinea che quella in parola è una rilevante indagine giudiziaria locale.
A questo proposito, il giudice sottolinea che il ricorrente non ha prodotto adeguata documentazione dimostrativa della conclusione della vicenda, come “archiviazioni, sentenze favorevoli...” e pertanto essa permane d'attualità. Relativamente alle doglianze sulla falsità delle notizie riportate dal motore di ricerca, l'interessato deve agire a tutela della propria reputazione e riservatezza esclusivamente nei confronti dei siti terzi che abbiano pubblicato notizie infedeli o non aggiornate con i successivi sviluppi, eventualmente a lui favorevoli, ma non nei confronti del gestore del motore di ricerca, poiché questo opera meramente quale caching provider ai sensi dell'art. 15 d.lgs. 70/2003. altalex.com



Stefano Rodotà Spazio globale, internet e diritti


Stefano Rodotà Spazio globale, internet e diritti
Vi è un senso comune che ha abituato a considerare il mondo delle tecnologie come il luogo delle innovazioni continue mentre le istituzioni arrancano ed il diritto si presenta come uno strumento lontano ed invecchiato. Negli ultimi 2 mesi questa situazione sembra essersi capovolta grazie ad una serie di interventi che mutano principi e regole dello stare in rete. E’ una parentesi destinata ad essere chiusa perchè troppi sono i contro interessi che premono? O si è aperta una fase nuova che deve essere governata con intelligenza istituzionale e lungimiranza politica? E’ una domanda difficile.
Questra iniziativa è molto importante e forse non ci sarebbe stata se non fosse imminente il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea.
All’interno della presidenza si colloca con particolare rilevanza proprio il dossier che riguarda la garanzia, la protezione dei dati personali ed in dirittuera d’arrivo il regolamento, che è già passato al vaglio del Parlamento.
Molti soggetti in molti posti del mondo stanno tenendo comportamenti che sia pure senza legami espliciti o connessioni dichiarate convergono verso l’indicazione di principi e regole e la individuazione di modalità di azione che danno forma ad una dimensione istituzionale della rete.
E’ un cambiamento significativo, persino inatteso per qualcuno, che aveva forse ceduto o al pessimismo o alla o a una sorta di rassegnata deriva tecnologica.
Negli ultimi anni era stata via via respinta sullo sfondo una ipotesi di lavoro racchiuso nella formula Internet bill of rights che soprattutto tra il 2006 ed il 2008 e con un rilevante contributo italiano, che non era solo un contributo personale, aveva destato attenzione non solo teorica ma anche nei contesti degli annuali tipo Internet Governance Forum delle Nazioni Unite e prima ancora nelle conferenze di Ginevra e Tunisi e che aveva portato anche ad iniziative importanti come il protocollo sottoscritto Internet Governance Forum di Rio de janeiro del 2007 tra il governo brasiliano e quello italiano purtroppo abbandonato, per ragioni misteriose, dai governi successivi.
Lo spazio istituzionale della rete è stato progressivamente occupato dalle logiche della sicurezza e del mercato dai soggetti nazionali e globali che l’incarnano e si certificò una volta di più “la morte della privacy come regola sociale” (parole di mark zuckerberg che riprendono quelle precedenti di Scott McNally “avete zero privacy, rassegnatevi”)
Evidentemente qualcuno non si è rassegnato, perchè questo ritorno di attenzione per l’Internet bill of rights non è stato imposto dalla forza delle cose, non sarebbe avvenuto tutto ciò senza wikileaks prima e l’uso del programma prism da parte della national seccurity agency americana.
Il governo italiano oggi ha una grande opportunità ma anche una responsabilità perchè nell’agenda europea la sicurezza dei dati ha una rilevanza particolare.
C’è un problema politico rilevante di cui bisogna rendersi conto senza discostarsi dalle principali polemiche che hanno accompagnato questo percorso: l’accettazione ed il rifiuto di ogni regola, l’attentato alla natura libertaria che ha portato ad autoreferenzialità, la rete come la spada mitica che riargina le ferite che ha inferto e la confusione tra norme penali ed amministrative che rischiano di limitare la rete e la dimensione costituzionale che rappresenta l’esatto contrario
Aprile è stato un mese molto proficuo per il mondo della rete
8  aprile     Direttiva europea sui dati personali
23  aprile   Marco civil va in gazzetta ufficiale
28 aprile   Multi stakeholder statement San Paolo – net mundial
Questi sono stati passaggi importanti, come importante è stata la cosiddetta sentenza google del 13 marzo della Corte di Giustizia e le dichiarazioni successive dei garanti europei, aspettando inoltre cosa dirà la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Delfi contro Estonia in materia di libertà di espressione. Da tener presente anche l’intervento della Federal Communication Commission sulla Net Neutrality.
Non esiste una linea retta e neutrale sulla istituzionalizzazione della rete ma vanno considerati complessivamente tutti questi step attraversati da governi ed organismi internazionali.
E’ evidente che si stanno ridisegnando le linee dello statuto delle informazioni personali e che tutto questo determina una ridefinizione del rapporto tra le persone e le istituzioni pubbliche ed i grandi soggetti privati che trattano i loro dati. C’è in questo senso una redistribuzione di potere.

Il punto di partenza è certamente la Carta dei Diritti Fondamentali… angelotofalo.com/2014/12/01.
L'Ottimista. Bisogna come Rodotà sapere guardare avanti!

CETA. Le nostre imprese chiudono e non gliene importa a nessuno!

Voltini: “Se l’Italia approvasse il CETA,
danni irreparabili per il Made in Italy
Da Coldiretti appello e proposta di odg ai Comuni del territorio

Non si possono sottovalutare gli impatti economici e sociali del CETA, l’accordo commerciale tra Unione Europea e Canada. Questo accordo di libero scambio con il Canada non solo legalizza la pirateria alimentare, accordando il via libera alle imitazioni canadesi dei nostri prodotti più tipici, dal Prosciutto di Parma al Parmesan, ma spalanca le porte all’invasione di grano duro trattato in preraccolta con il glifosato, vietato in Italia, e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero. Per questo, con forza, sottolineiamo la necessità di analizzare più a fondo i potenziali effetti del trattato sul settore agricolo e agroalimentare, ma anche sull’occupazione, l'uguaglianza di fronte alla legge, i diritti dei consumatori e dei lavoratori, il principio di precauzione, la salute e l’ambiente”. E’ quanto rimarca Paolo Voltini, Presidente di Coldiretti Cremona, nel ribadire le forti preoccupazioni evidenziate dal Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo e dal Vicepresidente Ettore Prandini, rispetto all’impatto delComprehensive Economic and Trade Agreement, il Ceta, l’accordo commerciale tra Unione Europea e Canada “che avrebbe conseguenze devastanti sulla produzione agricola italiana ed europea – prosegue Voltini – consentendo una concorrenza sleale nei confronti degli agricoltori e allevatori italiani, senza dimenticare tutti i rischi per i consumatori, visto che la legislazione canadese ammette pratiche agronomiche e prodotti chimici vietati in Europa da decenni. Non è un caso se in Francia e Spagna i fronti di opposizione al Ceta sono molto agguerriti”.
Coldiretti chiede di aprire un dibattito, pubblico e trasparente, sugli effetti dell’accordo. Posizione espressa dal Presidente nazionale Moncalvo nell’incontro svoltosi nei giorni scorsi con il Presidente del Senato, Pietro Grasso, con la presenza di numerose realtà della società civile, del mondo sindacale, produttivo e dell’ambientalismo che hanno condiviso il documento “Alla ricerca di un commercio libero e giusto”, un libro-bianco già inviato ai Senatori impegnati nell'esame del disegno di legge di ratifica del CETA.
Anche a livello locale stiamo facendo la nostra parte perché non si sottovaluti una partita dal cui esito dipende il futuro di tante aziende, e non solo” prosegue Voltini, che ha scritto a tutti i Sindaci del territorio per chiedere l’appoggio dei Comuni. “Alle amministrazioni locali abbiamo proposto un ordine del giorno che favorisca l’avvio di una vera riflessione sull’argomento, seria e approfondita, così da condividere la preoccupazione per l’impatto economico e sociale di questo accordo”.