martedì 20 giugno 2017

Don Primo Mazzolari.

Don Primo Mazzolari.

Don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani. Due preti del Novecento che hanno lasciato "una traccia luminosa, per quanto 'scomoda', nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio". Così Francesco questa mattina, poco dopo essere atterrato in elicottero a Bozzolo dove si è soffermato a pregare sulla tomba di don Mazzolari, prima tappa di un breve pellegrinaggio che lo porterà anche a Barbiana, dove riposa don Milani.
I due preti sono stati per Francesco "i volti di un clero non clericale", e in quanto tali sono stati capaci di dare vita "ad un vero e proprio 'magistero dei parroci', che fa tanto bene a tutti".
Il Papa è cosciente delle persecuzioni che i due sacerdoti hanno subìto dalle gerarchie. Ma il suo pellegrinaggio odierno non è una riabilitazione, quando un ripercorrere il grande lascito di questi due sacerdoti per troppi anni incompresi. Volevano una Chiesa povera e per i poveri, in scia al Concilio Vaticano II, ma non vennero capiti. Come disse il Beato Paolo VI: 'Camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro! E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. È il destino dei profeti'".
Per Francesco sono tre gli scenari che hanno caratterizzato la vita di don Mazzolari: il fiume, la cascina e la pianura. "Il fiume - ha detto il Papa - è una splendida immagine, che appartiene alla mia esperienza, e anche alla vostra... Don Mazzolari, parroco a Cicognara e a Bozzolo, non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente, che lo ha plasmato come pastore schietto ed esigente, anzitutto con sé stesso. Lungo il fiume imparava a ricevere ogni giorno il dono della verità e dell'amore, per farsene portatore forte e generoso".
 Predicando ai seminaristi di Cremona, ricordava: "L'essere un "ripetitore" è la nostra forza. [...] Però, tra un ripetitore morto, un altoparlante, e un ripetitore vivo c'è una bella differenza! Il sacerdote è un ripetitore, però questo suo ripetere non deve essere senz'anima, passivo, senza cordialità. Accanto alla verità che ripeto, ci deve essere, ci devo mettere qualcosa di mio, per far vedere che credo a ciò che dico; deve essere fatto in modo che il fratello senta un invito a ricevere la verità".
 Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l'amore appassionato e la dedizione incondizionata".
Mazzolari aveva presente che tre strade non conducono nella direzione evangelica: "La strada del 'lasciar fare': è quella di chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani. Ci si accontenta di criticare, di 'descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori' del mondo intorno. Questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano perché porta a tirarsi fuori, con spirito di giudizio, talvolta aspro. Manca una capacità propositiva, un approccio costruttivo alla soluzione dei problemi".
Il secondo metodo sbagliato è quello dell'attivismo separatista. "Ci si impegna a creare istituzioni cattoliche (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole...). Così la fede si fa più operosa, ma - avvertiva Mazzolari - può generare una comunità cristiana elitaria. Si favoriscono interessi e clientele con un'etichetta cattolica. E, senza volerlo, si costruiscono barriere che rischiano di diventare insormontabili all'emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide rispetto a quello che unisce. È un metodo che non facilita l'evangelizzazione, chiude porte e genera diffidenza".
Il terzo errore è il "soprannaturalismo disumanizzante". "Ci si rifugia nel religioso per aggirare le difficoltà e le delusioni che si incontrano. Ci si estranea dal mondo, vero campo dell'apostolato, per preferire devozioni. È la tentazione dello spiritualismo. Ne deriva un apostolato fiacco, senza amore. 'I lontani non si possono interessare con una preghiera che non diviene carità, con una processione che non aiuta a portare le croci dell'ora'. Il dramma si consuma in questa distanza tra la fede e la vita, tra la contemplazione e l'azione".
L'idea di Chiesa di Mazzolari fu la medesima di Francesco, una Chiesa in uscita. Don Mazzolari - dice Francesco - "è stato un parroco convinto che 'i destini del mondo si maturano in periferia', e ha fatto della propria umanità uno strumento della misericordia di Dio, alla maniera del padre della parabola evangelica, così ben descritta nel libro La più bella avventura". Egli è stato giustamente definito il "parroco dei lontani, perché li ha sempre amati e cercati, si è preoccupato non di definire a tavolino un metodo di apostolato valido per tutti e per sempre, ma di proporre il discernimento come via per interpretare l'animo di ogni uomo".
Infine la pianura. Spiega Francesco: "Alla carità pastorale di don Primo si aprivano diversi orizzonti, nelle complesse situazioni che ha dovuto affrontare: le guerre, i totalitarismi, gli scontri fratricidi, la fatica della democrazia in gestazione, la miseria della sua gente. Vi incoraggio, fratelli sacerdoti, ad ascoltare il mondo, chi vive e opera in esso, per farvi carico di ogni domanda di senso e di speranza, senza temere di attraversare deserti e zone d'ombra. Così possiamo diventare Chiesa povera per e con i poveri, la Chiesa di Gesù. Quella dei poveri è definita da don Primo un'esistenza scomodante, e la Chiesa ha bisogno di convertirsi al riconoscimento della loro vita per amarli così come sono: 'I poveri vanno amati come poveri, cioè come sono, senza far calcoli sulla loro povertà, senza pretesa o diritto di ipoteca, neanche quella di farli cittadini del regno dei cieli, molto meno dei proseliti'".
repubblica.it/cronaca/2017/06/20.
L'ottimista. L'esempio di don Mazzolari porterà una chiesa più vicina ai poveri e più attenta ad indirizzare i potenti ad una maggiore attenzione verso i problemi dei più umili.

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