venerdì 23 giugno 2017

Englaro. Risarcimento del danno ingiusto

Englaro. Risarcimento del danno ingiusto

Un risarcimento di 133mila euro a favore di Beppino Englaro, il padre di Eluana, la giovane morta nel 2009 dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo in seguito a un incidente stradale. E’ la cifra che la Regione Lombardia dovrà pagare in seguito a una sentenza del Consiglio di Stato; il verdetto quanto era già stato stabilito dal Tar della Lombardia. La decisione scaturisce dal rifiuto della lombardia in una struttura dove Eluana avrebbe dovuto essere accompagnata alla morte o la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione forzate che la tenevano in vita.
E a differenza del suo predecessore Roberto Formigoni, ora il governatore lombardo Roberto Maroni, annuncia un cambio di rotta. «Daremo corso alla sentenza» ha detto Maroni a margine di un appuntamento istituzionale. La regione rinuncia così a un appello in Cassazione e accetta di risarcire la famiglia Englaro. La battaglia legale
Nel 2009, dove una interminabile battaglia giudiziaria, Beppino Englaro aveva ottenuto il sì da parte della magistratura a spegnere le macchine che tenevano in vita sua figlia che era ricoverata in una casa di cura di Lecco. A quel punto però, sia la casa di cura (un istituto religioso) sia la Regione si erano opposti all’applicazione della sentenza. I familiari di Eluana erano stati così costretti a trasferire la ragazza alla casa di cura «La quiete» di Udine; qui Eluana era morta il 9 febbraio del 2009. Beppino Englaro riuscì a dimostrare davanti ai giudici che sua figlia, quando ancora era in vita e sana, aveva manifestato il desiderio, in caso di un incidente o una malattia, di non essere tenuta in vita artificialmente. Ma la Regione Lombardia si era opposta all’applicazione della volontà della famiglia Englaro.
«Non poteva ragionevolmente porsi in dubbio l’obbligo della Regione di adottare tramite proprie strutture le misure corrispondenti al consenso informato espresso dalla persona» hanno scritto i giudici amministrativi di secondo grado. E ancora: «Non potevano sussistere seri dubbi circa la portata dell’obbligo della Regione di provvedere a fornire la necessaria prestazione sanitaria, nel rispetto dell’accertato diritto della persone assistita all’autodeterminazione terapeutica, presso una delle strutture sanitarie regionali». La Lombardia «pertanto, era tenuta a continuare a fornirle la propria prestazione sanitaria, in modo diverso rispetto al passato, dando doverosa attuazione alla volontà espressa dalla stessa persona assistita, nell’esercizio del proprio diritto fondamentale all’autodeterminazione terapeutica». corriere.it/cronache/17_giugno_21/



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