sabato 10 giugno 2017

Foglio matricolare. Palazzo Tintoretto

Palazzo Tintoretto.

 
Angelo nel gennaio del 1921 aveva deciso che era giunto il momento di ritornare, visto che la guerra era finita  e che a Venezia vi erano  condizioni di lavoro più favorevoli, per il maggior benessere della sua famiglia.
I Gherardi possedevano una vecchia casa a Cannaregio in Fondamenta dei Mori dove si era liberato un appartamento.
Quella Venezia minore piaceva molto soprattutto alla Roma; era lontana dai turisti ed era abitata solo dai veneziani.
I veneziani erano allegri “ciacoloni” sempre pronti a ridere e a scherzare soprattutto davanti ad un’ombra di vino bianco.
I  Gherardi erano diventati  proprietari di questa augusta dimora un po' decaduta, ma molto veneziana con la sua trifora al secondo piano che si affacciava al Rio della Sensa.
In quella casa aveva vissuto Jacopo Robusti, un famoso pittore veneziano del millecinquecento.
Ad Angelo piaceva la casa del Tintoretto; sapeva vagamente che  Robusti era stato un famoso pittore ed aveva abitato e tenuto bottega proprio in quella casa.
Era andato a vedere le grandi tele dipinte dal Tintoretto alla Madonna dell’Orto e alla Scuola Grande di San Rocco, su pressione della Roma, ed era onorato di vivere in quella casa, ma non se ne vantava.
Ad Angelo piaceva soprattutto affacciarsi sul pergolo, che guardava sul canale, al tramonto e fissare il sole che degradava sulla striscia d’acqua del rio. Era per lui un momento magico con quella luce calda che poteva seguire lontano fino ai margini della laguna e ancora più in là verso spazi tutti da immaginare.
Gli piacevano di Venezia l’odore dei canali, le risa delle persone, la confusione dei bacari dove si fermava volentieri per bere un ombra in compagnia degli amici, il vociare festoso dei turisti che cominciavano ad affluire in città. Non era più solo nelle valli Bergamasche, isolato, lontano dai centri più abitati della pianura.
Angelo era entrato anche nella gestione del negozio di famiglia dei Gherardi.
Vendevano generi alimentari: farine, formaggi, salami, prosciutti, avevano poi delle olive nere buonissime .
A Giani piacevano tanto; quando andava al negozio immancabilmente se ne mangiava qualcuna tanto che la Roma lo burlava: “ Ti me magni tute le olive ostrega!”.
Il negozio era sotto la casa in campo dei Mori proprio: “Casa e botega.”
Si diceva così quando il posto di lavoro era vicinissimo all’abitazione.
Quella attività aveva consentito alla famiglia di prosperare. Loro erano dei piccoli commercianti che col lavoro di una generazione avevano trovato uno spazio nella città.
La vita economica a Venezia era ripresa con la Biennale d’arte iniziata nel 30.
Grazie ai finanziamenti nazionali la città aveva acquistato un rilievo importantissimo fra le manifestazioni culturali dell’epoca.
Soprattutto con l’avvio della mostra del Cinema, che era nata nel 32 per iniziativa del Conte Volpi di Misurata, il creatore di Porto Marghera, le prenotazioni dei turisti al Lido avevano ripreso a  salire dando impulso al turismo nella città del Leone.
Tutti erano in fermento per l’inaugurazione della Mostra del cinema che si diceva avrebbe riportato i turisti nella città del Leone.
All’oratorio della Madonna dell’Orto Giani giocava  a calcio.
Il parroco era proprio bravo aveva realizzato nell’oratorio per i ragazzi un campo di calcio che per la città era proprio una rarità.
I ragazzini potevano scatenarsi a prendere a calci il pallone tutto il santo giorno.
Angelo invece si era inserito nella banda municipale dove aveva trovato subito posto colla sua tromba.
Angelo era orgoglioso del suo strumento che la Roma teneva sempre lucido accarezzandolo tutti i giorni con una pelle di daino.
Giani andava d’accordo col fratello Bepi che era un po’ più grande di lui e sicuramente meno tranquillo.
Giuseppe aveva due passioni: le donne e le moto.
Dopo che era riuscito ad acquistare a poco prezzo una G.T., la famosa Norge che aveva compiuto l’impresa del raid a capo Nord, Bepi era sempre in giro a correre per la provincia di Venezia e aveva uno straordinario successo con le ragazze.
Giani non si preoccupava e non si faceva un cruccio se doveva supplire qualche volta anche ai suoi turni di lavoro.
Giani era buono.
“ Ti xe tre volte bon” gli diceva la Roma sottolineando che la sua generosità sconfinava  quasi nella dabbenaggine.
Lui non si curava delle critiche ed agiva come il suo cuore gli comandava.

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