Andreotti Giulio
Giulio Andreotti dopo la
liberazione di Roma nel giugno del 1944 diviene delegato nazionale dei gruppi
giovanili della Democrazia Cristiana e nel 1945 entra a far parte della
Consulta Nazionale.
Deputato dell'Assemblea
Costituente nel 1946 è stato confermato in tutte le successive elezioni della
Camera dei Deputati nella circoscrizione di Roma-Latina-Viterbo-Frosinone, dove
è stato eletto per la dodicesima volta nel 1987.
E' stato anche eletto per due
volte al Parlamento Europeo.
Il giorno 1 giugno 1991 il
Presidente della Repubblica Francesco Cossiga lo
nomina Senatore a vita.
L'attività di governo inizia a 28
anni come sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel quarto
governo De Gasperi.
Diventa per la prima volta
presidente del Consiglio nel 1972.
L'incarico gli viene affidato di
nuovo nel luglio del 1976 nella stagione del compromesso storico tra DC e PCI.
I comunisti si astengono e il monocolore democristiano può nascere.
Ci sono da affrontare due
drammatiche emergenze: la crisi economica e il terrorismo che insanguina
l'Italia. L'accordo tra Enrico Berlinguer e Aldo Moro diventa sempre più stretto.
Quest'ultimo è presidente della
DC ed è anche l'uomo che negli anni precedenti ha aperto le stanze del potere
ai socialisti e adesso sta per tentare l'operazione con il PCI.
L'occasione è il governo di
solidarietà nazionale che nel 1978 Andreotti si accinge a formare e che prevede
non più l'astensione bensì il voto favorevole anche dei comunisti (che però non
avrebbero incarichi di governo).
Aldo Moro viene rapito dalle brigate rosse il 16
marzo, il giorno della nascita del nuovo esecutivo.
La notizia dell'agguato e
dell'uccisione degli uomini della scorta piomba in Parlamento proprio al
momento del voto di fiducia al governo Andreotti.
Il governo non cede al ricatto
brigatista - chiedono la liberazione di alcuni terroristi in carcere - e
Andreotti sposa la linea della fermezza contro le Br, così il PCI e i
repubblicani. Aldo Moro viene trovato morto il 9
maggio 1978 in una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, nel centro di Roma,
simbolicamente a metà strada tra Botteghe Oscure e Piazza del Gesù, le sedi
rispettivamente di PCI e DC.
Francesco Cossiga, allora
ministro dell'Interno, si dimette dall'incarico. I veleni legati al memoriale
scritto dal presidente della DC durante il suo sequestro affioreranno in mezzo
a storie di servizi segreti, ricatti e tragiche vicende che coinvolgeranno
anche Giulio Andreotti.
Il governo di solidarietà
nazionale dura poco, fino al giugno del 1979.
Poi Berlinguer torna
all'opposizione e dichiara finita la stagione del compromesso storico.
Arnaldo Forlani diventa presidente del
Consiglio e Andreotti non partecipa all'esecutivo; la sua temporanea uscita di
scena dura fino al governo Craxi (1983), quando assume la carica
di ministro degli Esteri.
Si tratta del primo esecutivo a
guida socialista.
Bettino Craxi viene confermato a capo
della Farnesina nel secondo governo e negli esecutivi di Fanfani, Goria e De Mita.
Esperto degli equilibri di
geopolitica, Giulio Andreotti fa della distensione l'asse portante
della politica estera italiana, insieme all'appoggio alla strategia atlantica.
Ha un ruolo incisivo nelle
tensioni medio-orientali, lavora alla composizione del conflitto Iraq-Iran,
sostiene i Paesi dell'Est nel loro processo di democratizzazione e l'opera
coraggiosa di Mikhail Gorbaciov in
URSS, dà il sì italiano all'installazione degli euromissili della NATO.
Gli anni '80 si chiudono con il
patto di ferro con Craxi e Forlani (CAF, dalle iniziali
dei tre): Andreotti sale a Palazzo Chigi e Forlani alla segreteria
democristiana.
Nel 1991 Andreotti forma un nuovo
esecutivo, l'ultimo perché la DC viene travolta dall'inchiesta di Tangentopoli.
A metà degli anni '90 i
magistrati umbri lo accusano di essere il mandante dell'omicidio del
giornalista Mino Pecorelli, il direttore dell'Op, ucciso il 20 marzo 1979 e che
avrebbe ricattato Andreotti, tra l'altro, proprio per le verità del
memoriale Moro.
L'11 aprile 1996 comincia il
processo il 24 settembre 1999 viene pronunciato il verdetto che lo assolve
"per non aver commesso il fatto".
Ma un'altra accusa scuote
l'imperturbabile Andreotti: quella di essere colluso con la mafia.
La notizia fa il giro del mondo e, se provata, darebbe un duro colpo
all'immagine dell'Italia: per cinquant'anni la Repubblica sarebbe
stata guidata da un politico mafioso.
Il 23 marzo del 1993 l'ufficio di
Giancarlo Caselli inoltra al Senato la richiesta di autorizzazione a procedere
per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i magistrati Andreotti
avrebbe favorito la mafia nel controllo degli appalti in Sicilia attraverso la
mediazione di Salvo Lima.
Il processo di primo grado si
chiude il 23 ottobre 1999: Giulio Andreotti viene assolto perché
"il fatto non sussiste", ma la Procura di Palermo decide comunque di
ricorrere in appello.
Risolte le questioni giudiziarie,
a oltre ottant'anni, il "Divo Giulio" ritorna in politica. Lascia il
PPI e fa il suo rientro sulla scena con un nuovo partito fondato insieme all'ex
leader della CISL Sergio D'Antoni e all'ex ministro dell'Università Ortensio
Zecchino. Alle elezioni politiche 2001 la nuova formazione si presenta
svincolata dai due poli e ottiene solo il 2,4 per cento dei voti non superando
la soglia di sbarramento.
Il 30 ottobre 2003 Andreotti è
stato assolto dalla Cassazione in via definitiva dall'accusa di essere stato il
mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Mentre la sentenza di primo grado
(23 ottobre 1999) lo aveva assolto per insufficienza di prove, questa sentenza
di appello, distinguendo il giudizio per i fatti fino al 1980 e quelli
successivi, ha stabilito che Andreotti aveva «commesso» il «reato di
partecipazione all'associazione per delinquere» (Cosa Nostra), «concretamente
ravvisabile fino alla primavera 1980», reato però «estinto per prescrizione».
Per i fatti successivi alla primavera del 1980 è stato invece assolto.
Si è spento nella sua abitazione
a Roma il 6 maggio 2013, all'età di 94 anni. Biografie online.it
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