giovedì 31 ottobre 2013

Ambiente. Ordinanza . Annullamento.

Ambiente. Ordinanza . Annullamento.

Uno degli strumenti messi a disposizione per la bonifica e il ripristino di siti contaminati è quello dell'ordinanza da emanare ai sensi dell'art. 244 del d.lgs 152/06, la quale è stata appunto impiegata dalla amministrazione intimata .
L'asse portante del sistema normativo degli interventi in questione è costituito dal principio di matrice comunitaria " chi inquina paga", richiamato dalla norma che apre il titolo dedicato alla bonifica dei siti contaminati nel contesto del cd codice dell'ambiente.
Il principio chi inquina paga deve essere posto a base , in particolare, di interventi come quello divisato dall'amministrazione provinciale perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo il quale si apra ad ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui.
È questo il senso della norma in forza della quale la provincia può emanare l'ordinanza ex art. 244 d.lgs 152/06 " dopo aver svolto opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento ".
Il potere di ordinanza affidato all'ente provinciale poggia dunque sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella sanzionatoria.
Esso non può dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito perché ciò vuol dire aprire uno spiraglio ad un regime di autentica responsabilità oggettiva.
È dunque necessario che il proprietario del sito sia chiamato in causa solo quando emergono profili quantomeno di compartecipazione colposa alla condotta inquinante .
Nella specie è invece accaduto che l'ordine di attuare misure di prevenzione e di varare un piano di caratterizzazione è stato notificato al ricorrente " in qualità di soggetto titolare dell'area , in passato destinata ad attività estrattiva, all'interno della quale sono stati smaltiti , senza la prevista autorizzazione , rifiuti speciali e che, in relazione a quanto riportato in narrativa, che qui si intende interamente riportato, " hanno determinato una condizione di potenziale stato di inquinamento dell'area con particolare riferimento alle acque di falda"
Ma il riferimento alla titolarità passata di una attività estrattiva , sul quale l'amministrazione provinciale mostra di fare assegnamento per individuare la possibile fonte di corresponsabilità, non è assolutamente sufficiente .
Non si tiene conto, infatti, di alcune importanti circostanze che sono emerse nel corso della attività istruttoria : a) l'attività estrattiva mettente capo alla s.r.l. è stata dismessa da circa un decennio; la tipologia di rifiuto rinvenuta nel sito appare riconducibile ad altro genere di attività produttiva; c) i carabinieri , nel rapporto che ha dato origine alla attività amministrativa controversa , hanno evidenziato che i rifiuti sono stati rinvenuti lungo una scarpata posta al confine con un impianto di produzione di conglomerato bituminoso; d) l'inquinamento della sottostante falda acquifera appare, a sua volta, riconducibile, in relazione alla localizzazione del sito contaminato, a rifiuti ben diversi da quelli provenienti da una attività imputabile alla s.r.l.
Si può perciò ritenere che la s.r.l. sia stata chiamata in causa effettivamente a titolo di responsabilità solidale ma oggettiva e, cioè poggiante esclusivamente sulla qualità di ente proprietario del sito contaminato.
Ciò è però contrario ai principi e alle regole che , come si è cercato di spiegare, caratterizzano l'esercizio della potestà di ordinanza ex art. 244 del codice ambiente. Ne deriva che la stessa ordinanza impugnata è illegittima e va annullata. T.A.R. Puglia Lecce, sez. I 02/11/2011 n. 1901.

In base al disposto degli art. 242 e 244, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, l'obbligo di bonifica di un sito è posto in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare e di individuare, mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica. Il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata deve essere accertato applicando la regola probatoria del "più probabile che non": pertanto, il suo positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, quali la tipica riconducibilità dell'inquinamento rilevato all'attività industriale condotta sul fondo. T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 13/05/2011, n. 318.

Ambiente. Bonifica siti inquinati . Rivalsa sul proprietario incolpevole.


Ambiente. Bonifica siti inquinati . Rivalsa sul proprietario incolpevole.

In base all'interpretazione complessiva del disposto degli art. 244, 245, 250 e 253 del d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, si desume che, nell'ipotesi in cui il responsabile dell'inquinamento non esegua gli interventi di bonifica ambientale o lo stesso non sia individuabile da parte dell'Amministrazione pubblica, e sempre che non vi provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati, le opere di bonifica ambientale devono essere eseguite dalla p.a. competente, che ha il diritto di rivalersi sul soggetto proprietario del sito nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 16/12/2011, n. 1239.
A carico dell'incolpevole proprietario di un'area inquinata non incombe alcun obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza ed emergenza, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi, tenendo presente che dal combinato disposto degli artt. 244, 245, 250 e 253 D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152 si ricava che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano volontariamente né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dalla pubblica amministrazione competente, che può rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (cfr Cons. Stato, V Sez., 16/6/2009 n. 3885; T.A.R. Toscana, II sez., 3/3/2010, n. 594).

Nel caso di specie non è stata compiuta alcuna verifica tesa ad individuare il responsabile dell'inquinamento, mentre l'ordine di porre in essere misure di messa in sicurezza d'emergenza risulta posto a carico della ricorrente sulla base del solo fatto che la medesima fosse, all'epoca dell'adozione dell'impugnato decreto ministeriale, proprietaria dell'area contaminata.

Ambiente. Bonifica siti inquinati .

Ambiente. Bonifica siti inquinati .

Anche il mare e il fondo marino rientrano novero dei siti che possono essere oggetto di bonifica al verificarsi delle condizioni previste dalla legge, né potrebbe ammettersi che gli stessi assumano rilevanza solo in presenza di siti di interesse nazionale.  T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 29/06/2012, n. 907.
L'art. 240 comma 1 lett. a) d.lgs. 152/06 definisce il sito come: "l'area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiali di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti".
Tale nozione appare unitaria e riferibile all'intero ambito della disciplina di riferimento, con la conseguenza che il concetto di sito resta invariato pur a fronte delle diverse qualificazioni che lo stesso può assumere (di interesse nazionale o meno).
Tale dato è confermato dall'art. 252 comma 1 d.lgs. 152/06 secondo il quale: "I siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali", con ciò evidenziando come la nozione di sito non cambi ma siano solo le caratteristiche dello stesso a ricondurlo alla categoria di sito interesse nazionale.
La normativa relativa ai siti di interesse nazionale rende evidenti come nell'ambito degli stessi sia ricompreso anche il mare ed i suoi fondali.
In questo senso depongono l'art. 252, comma 2 lett. b) d.lgs. 152/06 che stabilisce che: "a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale".
In questo senso depone anche l'art. 5 comma 11 - bis l. 84/1994, introdotto dall'art. 1 l. 27 dicembre 2006 n. 296 ( rilevante ratione temporis per la fattispecie) secondo cui:"Nei siti oggetto di interventi di bonifica di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il cui perimetro comprende in tutto o in parte la circoscrizione dell'Autorità portuale, le operazioni di dragaggio possono essere svolte anche contestualmente alla predisposizione del progetto relativo alle attività di bonifica".
Le norme trascritte sono chiare nel ricomprendere anche nel mare e nei suoi fondali nel concetto di sito. Conseguentemente, stante l'unitarietà della nozione di sito sopra richiamata, non potrebbe ammettersi che il mare e i suoi fondali assumano rilevanza solo in presenza di siti di interesse nazionale.
Simile contraddizione oltre ad essere contraria alla lettera della norma - deve, infatti, rilevarsi come la lettera dell'art. 240 d.lgs. 152/06 non escluda di per se il mare dal novero dei siti - sarebbe irragionevole.
Peraltro l'inclusione del mare e dei suoi fondali nel novero dei siti potenzialmente oggetto di procedure di bonifica è conforme alla disciplina comunitaria.

L'art. 2 della direttiva 21 aprile 2004 n. 35/2004/ CE in materia di danno ambientale ricomprende nel concetto di danno ambientale anche il danno alle acque così come definite dalla direttiva 23 ottobre 2000 n. 2000/60/CE che, a sua volta, ricomprende le acque costiere.

Ambiente. Bonifica siti inquinati . Responsabilità del proprietario.


Ambiente. Bonifica siti inquinati . Responsabilità del proprietario.

Come questa Sezione ha più volte avuto modo di affermare ( T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 665), tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l'art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa: l'obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II 19/10/2012 n. 1664.
L'Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento (così, nel vigore della precedente disciplina, T.A.R. Veneto, Sez. II, 2 febbraio 2002, n. 320).
L'enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione, sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta, come detto, confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l'addossamento dell'obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell'inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell'area interessata (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009, cit.).
Il principio "chi inquina, paga" vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d'emergenza, alle quali si riferiscono le Conferenze di Servizi per cui è causa, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall'art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l'adozione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell'inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
Si deve sottolineare che a carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398).

Gli art. 240 ss. del d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 non consentono all'Amministrazione di imporre ai privati non responsabili del fenomeno contestato, individuati solo quali proprietari o gestori o in ragione della mera collocazione geografica del bene, l'obbligo di porre in essere interventi di messa in sicurezza di emergenza, di rimozione e di smaltimento di rifiuti e, in generale, di riduzione al pristino dello stato dei luoghi, essendo tale obbligo posto unicamente in capo al responsabile dell'inquinamento che le Autorità hanno l'onere di ricercare e individuare. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 19/09/2012, n. 1551.

Ambiente. Bonifica siti inquinati .

Ambiente. Bonifica siti inquinati .

In mancanza di un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo luogo, la natura inquinante del granulato plastico effettivamente utilizzato per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi imporrebbe - ai sensi dell'art. 239, comma 2. lett. a) d.lg. n. 152 del 2006 - di procedere alla caratterizzazione dell'area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale appaiono illegittimi i provvedimenti adottati dal Comune che ha previsto, previa delimitazione dell'area, la rimozione e lo smaltimento del materiale presso una discarica autorizzata. T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 24/11/2009, n. 5144
Il processo ha  evidenzitoa la carenza di istruttoria in ordine alla natura del materiale impiegato che non avrebbe dovuto essere classificato come rifiuto, dato che rientrerebbe nel novero delle materie prime secondarie.
Non potrebbe assumere a tale proposito valore dirimente la verifica effettuata dall'ARPA di Bergamo due anni dopo l'acquisto del materiale da parte della ricorrente su materiale diverso che avrebbe avuto in comune con il precedente soltanto la provenienza.
Come già affermato con riferimento al  granulato plastico prodotto dal ricorrente- gli accertamenti effettuati dall'ARPA, che hanno fondato in provvedimenti impugnati, hanno riguardato materiale diverso rispetto a quello utilizzato dalla ricorrente, visto che le analisi sono state effettuate circa due anni dopo il suo acquisto e non hanno riguardato quello utilizzato presso la sede dell'Azienda.

Ne consegue che, "in mancanza di un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo luogo, la natura inquinante del granulato plastico effettivamente utilizzato per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi imporrebbe - ai sensi dell'art. 239, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 152/06 - di procedere alla caratterizzazione dell'area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale" appaiono illegittimi i provvedimenti adottati dal Comune che ha previsto, previa delimitazione dell'area, la rimozione e lo smaltimento del materiale presso una discarica autorizzata (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, IV, 27 luglio 2009, n. 4464).

Ambiente. Tariffa gestione rifiuti .

Ambiente. Tariffa gestione rifiuti .

Dal combinato disposto degli art. 238 commi 1 e 11 e 264, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 si ricava che, fino alla emanazione del regolamento disciplinante la cd. "Tia (tariffa d'igiene ambientale) 2" e al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa, continuano ad applicarsi, anche contemporaneamente, i sistemi di prelievo della Tarsu ("tassa per lo smaltimento dei r.s.u.") e della Tia 1 anche successivamente alla data del 31 dicembre 2009 prevista per la loro soppressione; invero, le delibere comunali istitutive e disciplinanti la Tia o la Tarsu rientrano nell'espressione di "discipline regolamentari vigenti" la cui persistente applicazione è fatta salva dall'art. 238 comma 11, d.lg. n. 152, cit. al fine di escludere ogni possibile soluzione di continuità fino agli adempimenti richiesti da quello relativo alla Tia. T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 11/04/2013, n. 312.
Dalla ricostruzione della normativa pertinente, emerge che il regime di prelievo adottato da ciascun comune, quindi anche quello relativo alla TA.R.S.U., è rimasto invariato fino a tutto il 2009. Detto altrimenti il termine per la soppressione della "tassa per lo smaltimento dei r.s.u." e la sua sostituzione con la "tariffa d'igiene ambientale" è stato prorogato fino al 31 dicembre 2009, momento al quale deve anche riferirsi la possibile e contemporanea applicazione del duplice sistema, stante l'accordata - ai comuni - facoltà di deliberare l'istituzione della "tariffa d'igiene ambientale".
In siffatta situazione nella quale il legislatore si è premurato per escludere ogni possibile soluzione di continuità, si inserisce il D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152 che all'articolo 238, comma 1, ultimo periodo, ha previsto che "La tariffa di cui all'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall'entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11." per il quale, "Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l'applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti."
L'articolo 264, comma 1, poi nel contemplare, alla lettera i), l'abrogazione del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recita: "Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto;".
La possibile esistenza, al 31 dicembre 2009, di un duplice sistema non può che rilevare in connessione alla norma per la quale (articolo 238, comma 11, del D. Lgs. 152/2006) fino agli adempimenti richiesti da quello relativo alla "tariffa integrata ambientale", continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti, espressione questa che include anche quelle riconducibili alle delibere comunali istitutive e disciplinanti la "tassa per lo smaltimento dei r.s.u." o la "tariffa d'igiene ambientale".

L'abrogazione della normativa primaria sulla TA.R.S.U. e sulla T.I.A. 1, proprio in ragione delle esigenze espressamente evidenziate dal legislatore, non implica che i relativi sistemi di prelievo non siano più efficaci. Ed, infatti, poiché non è stato ancora adottato il regolamento disciplinante la T.I.A. 2 ed in via transitoria è stata ammessa la contemporanea applicazione della TA.R.S.U. e della T.I.A. 1, detto composito sistema deve ancora ritenersi rilevante in quanto alla predetta abrogazione (della disciplina legislativa) si accompagna la persistente efficacia del sistema adottato con la pertinente regolamentazione comunale.

Ambiente. Relitti. Imbarcazioni .

Ambiente. Relitti.  Imbarcazioni .

Con riferimento alla realizzazione delle opere e dei lavori occorrenti per consentire lo stoccaggio dei relitti e delle imbarcazioni degli immigrati che approdano sull'isola di Lampedusa, è possibile, anche a fronte di un giudizio di compatibilità ambientale negativo, che gli interventi o i progetti oggetto di verifica siano "autorizzati", laddove ricorrano quei pregnanti ed eccezionali motivi di interesse pubblico espressamente indicati nell'O.P.C.M. n. 3410 del 4 marzo 2005.
Spetta  ai soggetti preposti all'autorizzazione dell'opera la ponderazione degli interessi e il giudizio di prevalenza, mentre all'ente che ha adottato la V.I.A. negativa la facoltà di imporre alle p.a. procedenti la presentazione di un progetto di recupero ambientale del sito.

Con riferimento alla realizzazione delle opere e dei lavori occorrenti per consentire lo stoccaggio dei relitti e delle imbarcazioni degli immigrati che approdano sull'isola di Lampedusa, l'O.P.C.M. n. 3410 del 4 marzo 2005 ha incluso, tra le norme derogabili, anche l'art. 27, d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, sicché l'autorizzazione all'immediata realizzazione delle predette opere è da ritenersi consentita anche in assenza di V.I.A., in deroga al principio della sua previetà, non potendo l'Agenzia Regionale per la Tutela dell'Ambiente rifiutarsi di emettere una V.I.A. postuma. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 20/01/2010, n. 583.

Ambiente. Veicoli fuori uso .

Ambiente. Veicoli fuori uso .

A norma del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 46, applicabile ratione temporis alla fattispecie, peraltro sostanzialmente riprodotto nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 231, il proprietario di un veicolo a motore che intendeva ed intende procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione. Tali centri di raccolta sotto la vigenza del decreto Ronchi, potevano "ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore" e dovevano comunque essere autorizzati ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28. I veicoli "fuori uso" assumevano il carattere di rifiuti fin dal momento in cui venivano dismessi dal proprietario. Si consideravano fuori uso i veicoli ufficialmente privati delle targhe d'immatricolazione, anche prima della materiale consegna ad un centro di raccolta, se in stato di abbandono ancorchè in un'area privata. L'inosservanza del disposto dell'art. 46 con il conseguente abbandono del veicolo da parte del proprietario configurava il reato di cui al Decreto Ronchi, art. 14 che era punito a norma dell'art. 51, comma 2 se commesso, come nella fattispecie, da titolare d'impresa o responsabile di ente ed è ora punito a norma del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2.
Il 22 agosto 2003, è entrato in vigore il D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) con cui è stata introdotta in Italia una nuova normativa concernente il recupero e il riciclaggio di materiali provenienti da veicoli fuori uso la quale non contiene, ai fini che qui interessano, disposizioni più favorevoli del Decreto Ronchi. Poichè la disciplina comunitaria non contemplava tutte le categorie dei veicoli, con il D.Lgs. n. 152 del 2006 si è reso necessario predisporre l'art. 231 quale necessario complemento della particolare disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 209 del 2003 al fine di evitare carenze della disciplina complessiva. L'art. 231 del D.Lgs. citato che, come accennato, riproduce quasi integralmente il Decreto Ronchi, art. 46, trova applicazione nelle ipotesi non disciplinate dal D.Lgs. n. 209. Quest'ultimo decreto all'art. 3 considera rifiuto il veicolo "fuori uso", privato delle targhe, sia quando il proprietario abbia deciso di disfarsene consegnandolo ad un centro di rottamazione, sia quando lo abbia depositato privo di targhe in un'area privata (cfr. Cass. 21963 del 2005; 33789 del 2005).
I veicoli privi di targa abbandonati su suolo di proprietà del prevenuto costituivano quindi chiaramente dei rifiuti. L'eventuale utilizzazione di qualche pezzo di ricambio da parte dell'imputato non fa venir meno la natura di rifiuto dell'autoveicolo dismesso. Anzi, a norma del Decreto Ronchi, art. 46, comma 8, le parti di ricambio attinenti alla sicurezza dei veicoli potevano essere cedute solo agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione e potevano essere utilizzate solo se sottoposte ad operazioni di revisione singola.
Gli altri oggetti rinvenuti sul terreno di proprietà dell'imputato costituivano dei rifiuti perchè, come accertato dal tribunale con motivazione esente da vizi logici, si trovavano in evidente stato di abbandono.

Cassazione penale, sez. III 15/05/2007 n. 23790.

Ambiente. Pneumatici fuori uso .

Ambiente. Pneumatici fuori uso .

La gestione degli pneumatici fuori uso è attualmente disciplinata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 228 il quale richiama, in premessa, le disposizioni speciali in materia di veicoli fuori uso (D.Lgs. n. 209 del 2003) e quelle generali di cui agli artt. 179 e 180 allo scopo di ottimizzarne il recupero anche tramite attività di ricerca, sviluppo e formazione e per ridurne la formazione anche attraverso la ricostruzione.
Diversamente da quanto indicato nell'originaria indicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, che faceva riferimento agli "pneumatici usati", la qualifica di rifiuto è stata successivamente ristretta ai soli pneumatici "fuori uso", perchè la L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 23, comma 1, lett. l), richiamato dai ricorrenti, ha disposto che "all'allegato A (del D.Lgs. n. 22 del 1997) le parole: "16 01 03 pneumatici usati" sono sostituite dalle seguenti: "16 01 03 pneumatici fuori uso".
Si è dunque operata una duplice classificazione degli pneumatici, distinguendo quindi quelli "usati" ricostruibili da quelli "fuori uso".
Pur mancando una chiara definizione delle due categorie come sopra individuate, pare comunque evidente come nella categoria degli pneumatici fuori uso possano senz'altro collocarsi quelli che, per le condizioni di decadimento o altre ragioni abbiano perso la loro funzione originaria e non siano ricostruibili, mentre in quella degli pneumatici usati andranno invece considerati quelli ancora utilizzabili, ad esempio perchè rispondenti ai requisiti di efficienza tecnica previsti dalle vigenti disposizioni in materia di circolazione stradale e quelli ricostruibili.
Il complessivo tenore del provvedimento non lascia adito a dubbi sulla volontà di sottrarre dal novero dei rifiuti gli pneumatici ricostruibili.
Di ciò ha peraltro già dato conto la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 8679, 1 marzo 2007) pur essendosi in altra occasione affermato che, fermo restando quanto disposto dalla citata L. n. 179 del 2002, "...esulano dalla nozione di rifiuto solo i materiali residuali di produzione o di consumo che siano effettivamente riutilizzati senza subire alcun trattamento preventivo, ovvero subendo un trattamento preventivo che non importi un'operazione di recupero, mentre i pneumatici usati, dei quali il detentore si disfa o che vende a terzi perché siano riutilizzati previa rigeneratura o ricopertura, costituiscono rifiuti, stante fa loro destinazione ad un'operazione di recupero" (Sez. 3, n. 46643, 14 dicembre 2007) richiamando così il contenuto di altre precedenti decisioni (Sez. 3, n. 23494, 6 luglio 2006; Sez. 3, n. 4702, 9 febbraio2005).
Il Collegio ritiene di condividere l'orientamento espresso con la citata sentenza n. 8679/07, in quanto maggiormente aderente alla lettera delle disposizioni in precedenza menzionate, chiaramente indicative dell'intento del legislatore di limitare l'applicazione della disciplina dei rifiuti ai soli pneumatici fuori uso, mentre la sentenza 46643/07, pur dando atto dell'intervento innovativo del legislatore, si limita a richiamare le precedenti (che però non attribuiscono alcun rilievo alle disposizioni nel frattempo emanate e si fondano su altri riferimenti normativi) senza fornire alcuna ulteriore specificazione.

I pneumatici "usati", intendendosi come tali quelli ricostruibili o utilizzabili direttamente e rispetto ai quali non risulti l'obiettiva volontà di disfarsene da parte del detentore, non rientrano nel novero dei rifiuti a differenza degli pneumatici "fuori uso", che invece il legislatore espressamente individua come tali e che, per degrado o altre condizioni, abbiano perso la loro funzione originaria. Cassazione penale, sez. III, 30/05/2012, n. 25358.

Ambiente. Rifiuti . Recupero. Divieto.

Ambiente. Rifiuti . Recupero. Divieto.

Ai sensi dell'art. 216 comma 4, d.lg. n. 152 del 2006, la Provincia, qualora accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone, con provvedimento motivato, il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dall'Amministrazione., La Provincia, allorché abbia riscontrato una violazione delle condizioni di cui al comma 1 (cioè delle norme tecniche e delle prescrizioni specifiche di cui all'art. 214 commi 1 e 2, che a loro volta, richiamano le norme che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi possono essere effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero di cui all'Allegato C alla parte quarta del presente decreto), può sia immediatamente inibire la prosecuzione dell'attività, sia — ove ritenga che la stessa possa essere ricondotta a legalità — fissare un termine all'interessati affinché si adegui.
Nel primo caso, sarà il destinatario del provvedimento, se del caso, che chiederà il termine per l'eventuale adeguamento. Non è tuttavia illegittimo imporre la cessazione dell'attività senza previa diffida, specie in casi come quello di specie, in cui l'unico adeguamento possibile consiste in una diversa classificazione del materiale. T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 27/06/2012, n. 267.

La compatibilità dell'attività di recupero dei rifiuti con la destinazione urbanistica dell'area a tal fine utilizzata, benché non espressamente contemplata dagli art. 216 comma 2 lett. a), d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 e art. 1 comma 3, d.m. 5 febbraio 1998, non può non costituire presupposto per il legittimo esercizio dell'attività stessa, atteso che deve essere qualificata sicuramente pericolosa per la preservazione dell'ambiente circostante un'iniziativa che, sebbene rispetti le specifiche tecniche del caso, si ponga in dissonanza con la destinazione urbanistica dell'area. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 03/11/2011, n. 1048

Ambiente. Rifiuti . Autorizzazione raccolta. Sospensione.

Ambiente. Rifiuti . Autorizzazione raccolta. Sospensione.

Nella fattispecie rilevato che la ditta era stata già diffidata per la presenza nell'impianto di cumuli costituiti da scarti di lavorazione, era stata disposta l'attuazione degli interventi necessari a ripristinare una corretta gestione dell'impianto e, comunicando l'avvio del procedimento sanzionatorio, la ditta era stata diffidata dall'effettuare operazioni di gestione dei rifiuti in difformità da quanto stabilito dalla determinazione di autorizzazione, con intimazione ad eliminare le difformità segnalate entro 30 giorni e con facoltà di presentare controdeduzioni nel termine di 7 giorni.
Posto che la suddetta diffida assegnava il termine di trenta giorni per l'eliminazione delle irregolarità segnalate, il provvedimento sanzionatorio doveva essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, dando così modo all'impresa di presentare le proprie osservazioni.
Non possono essere accolte le argomentazioni difensive della Regione, posto che non può essere assegnata valenza ex art. 7 l. 241/90 alla suddetta diffida, visto che si tratta di due distinti provvedimenti ciascuno con i propri effetti in quanto scaturenti di autonomi procedimenti, pur se attinenti al medesimo oggetto.
Né può ritenersi il carattere meramente formale dell'omissione, e pertanto irrilevante ai fini della legittimità dell'atto ex art. 21octies L. 241/90, considerato che la ricorrente ha evidenziato l'esecuzione di una serie di lavori ritenuti in grado di ricondurre l'impianto alle condizioni di regolarità, circostanze, queste, che aveva interesse a rappresentare nell'ambito del procedimento sanzionatorio ai fini della loro valutazione.
Il carattere sostanziale dell'omissione è altresì rinvenibile nel tipo di misura adottata, visto che ai sensi dell'art. 208, comma 13, d.lg. 152/2006, richiamato in provvedimento, la sanzione della sospensione è collegata all'inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione "ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e l'ambiente" (lett. b), ed appare evidente che l'impresa aveva interesse ad evidenziare l'insussistenza delle suddette condizioni con proprie osservazioni.
In accoglimento di tale assorbente motivo il ricorso va quindi in questa parte accolto con annullamento della sospensione. T.A.R. Abruzzo L'Aquila, sez. I 29/07/2011 n. 416.

Ai sensi dell'art. 208 d. lg. n. 152/2006 (cd. codice dell'ambiente), il provvedimento che dispone la sospensione o la revoca dell'attività autorizzata di gestione di un impianto di smaltimento e di recupero dei rifiuti deve in ogni caso essere preceduto da una diffida, che ha lo scopo di rimettere l'interessato nelle condizioni di eliminare le violazioni riscontrate, nonché, ai sensi delle norme sul procedimento amministrativo, dalla comunicazione di avvio del procedimento volto a contestare i singoli episodi rilevati nel corso degli accertamenti, in relazione ai quali l'interessato deve essere messo nelle condizioni di fornire il proprio apporto procedimentale. T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 07/07/2008, n. 1947.

Ambiente. Rifiuti . Autorizzazione raccolta.

Ambiente. Rifiuti . Autorizzazione raccolta.

L'autorizzazione unica regionale disciplinata dall'art. 208 comma 6, d.lg. n. 152 del 2006 costituisce anche titolo abilitativo edilizio alla realizzazione dell'impianto di smaltimento o recupero dei rifiuti, posto che le autonome e specifiche attribuzioni in materia spettanti all'Amministrazione Comunale ai sensi dell'art. 5, d.P.R. n. 380 del 2001 rifluiscono nella prevista Conferenza di Servizi, in cui si vede coinvolta la stessa Amministrazione Comunale e che rappresenta luogo procedimentale di complessiva valutazione del progetto presentato. Nel provvedimento in parola sono state, cioè, riunite e concentrate dal legislatore tutte le competenze amministrative di verifica e di controllo di compatibilità con le varie prescrizioni urbanistiche, di pianificazione settoriale, nonché l'accertamento dell'osservanza di ogni possibile vincolo afferente alla realizzazione dell'impianto in armonia con il territorio di riferimento, così come desumibile dalla richiamata disposizione dell'art. 208 comma 6, d.lg. n. 152 del 2006, che assegna al provvedimento regionale conclusivo del procedimento una funzione sostitutiva di tutti gli atti e provvedimenti ordinariamente di competenza di altre autorità territoriali, ivi compresa un'eventuale variante urbanistica. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 01/09/2011, n. 4272
Nella fattispecie l'autorizzazione dell'impianto è stata effettuata previa variante al piano regolatore generale, dopo una attenta istruttoria che ha avuto ad oggetto anche la destinazione agricola di parte del lotto della controinteressata, destinazione che deve considerarsi modificata in industriale proprio con la variante in questione.
I  ricorrenti si dolgono, in sostanza, che l'autorizzazione impugnata sia stata resa in esito ad un istruttoria difettosa e carente e comunque in violazione delle norme tecniche di attuazione del P.R.G., secondo cui gli interventi edilizi in zona D2 presuppongono una pianificazione "mediante piani degli insediamenti produttivi o mediante piani particolareggiati".
L'Amministrazione resistente si è difesa eccependo che l'avvenuto rilascio di apposita variante allo strumento urbanistico avrebbe escluso in radice la necessità di aspettare un piano particolareggiato.
L'eccezione deve essere condivisa.
E' noto, infatti, che la variante urbanistica può rispondere ad esigenze diverse, sicché si distingue tra varianti normative, che concernono soltanto le norme di attuazione del piano regolatore generale, le varianti specifiche che riguardano soltanto una parte del territorio comunale (e rispondono quindi all'esigenza di fare fronte a sopravvenute necessità urbanistiche parziali e localizzate) e varianti generali che dettano una nuova disciplina generale dell'assetto del territorio, resesi necessarie perché il piano regolatore generale ha durata indeterminata e quindi deve essere soggetto a revisioni periodiche (C.d.S,. Sez. IV 29/08/2002 n. 4340).
Ne consegue che è ben possibile che la variante al piano regolatore generale venga, in ragione di sopravvenuti interessi pubblici, adottata in modifica delle norme di attuazione dello stesso, tanto con portata specifica quanto con portata generale.
Partendo da tale presupposto e valutando siccome prioritario l'interesse pubblico alla realizzazione di un impianto di smaltimento rifiuti, l'Amministrazione deliberante, dopo apposita istruttoria sul punto, ha deciso di adottare una variante che può considerarsi normativa nella misura in cui incide sulle norme di attuazione del p.r.g. e specifica nella misura in cui tale incisione vale con riferimento al singolo lotto in questione.
Nel procedimento di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e gestione di nuovi impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti disciplinato dall'art. 208, d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, la gestione costituisce oggetto di valutazione necessariamente contestuale all'approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione dell'impianto.
 La Conferenza di servizi che precede la decisione finale ha natura istruttoria; pertanto, il provvedimento deve imputarsi alla p.a. che lo adotta e la legittimazione passiva a resistere all'impugnazione dell'autorizzazione spetta unicamente all'amministrazione che ha emesso l'atto finale, non avendo le altre che hanno partecipato alla conferenza di servizi svolto un ruolo esoprocedimentale. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 27/01/2012, n. 200.
La giurisprudenza ha  ritenuto illegittimo un provvedimento emesso ai sensi dell'art. 208 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 allorché in sede di conferenza di servizi sia intervenuto un soggetto sfornito di rappresentanza dell'organo dell'Ente competente all'adozione del provvedimento richiesto .

Nella specie trattasi di rappresentante non delegato dal Consiglio comunale, organo cui spetta l'approvazione della variante al p.r.g., nell'ipotesi in cui detta variante sia stata approvata. Consiglio di Stato, sez. V, 16/09/2011, n. 5193.

Ambiente. Rifiuti raccolta differenziata. Deroghe.


Ambiente. Rifiuti raccolta differenziata. Deroghe.

L'art. 26, comma 2, della legge reg. Piemonte n. 10 del 2011, che ha introdotto il comma 5-bis dell'art. 13 della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24 (Norme per la gestione dei rifiuti). Tale disposizione prevede: «La giunta regionale, sentita la Commissione consiliare competente, può consentire ai comuni montani ed ai comuni ad alta marginalità con popolazione inferiore ai 1.500 abitanti una deroga al raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, stabilendo i relativi criteri e modalità».
Lo Stato ha impugnato la suddetta norma in quanto avrebbe introdotto una disciplina difforme da quella contenuta nell'art. 205, comma 1-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), secondo cui le deroghe agli obiettivi della raccolta differenziata possono essere autorizzate, su richiesta del Comune interessato, dal Ministro dell'ambiente. Corte Costituzionale, 22/06/2012, n. 158.
La regione ha affermato che gli obiettivi della raccolta differenziata sono stabiliti nella programmazione regionale, mentre la norma statale richiamata dal ricorrente si limiterebbe a prevedere il rispetto di percentuali minime di raccolta differenziata da parte di ciascun ambito territoriale ottimale. Da ciò deriverebbe che la Regione potrebbe autorizzare deroghe in favore di singoli Comuni, a patto di mantenere inalterata la percentuale complessiva di raccolta differenziata in rapporto all'ambito territoriale di riferimento.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa regionale, l'attività di programmazione attribuita alle Regioni, per la delimitazione degli ambiti territoriali ottimali (art. 200, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006), non implica che le stesse Regioni possano autorizzare deroghe per singoli Comuni rispetto alle percentuali di raccolta differenziata da raggiungere. La possibilità di realizzare "compensazioni" tra le percentuali di raccolta differenziata conseguite dai diversi Comuni all'interno del medesimo territorio costituisce, ai sensi dell'art. 205, comma 1-bis, del d.lgs. n. 152 del 2006, una delle modalità attraverso cui il Comune richiedente intende conseguire gli obiettivi indicati dall'art. 181, comma 1, del medesimo decreto. La suddetta compensazione è quindi uno dei possibili contenuti dell'accordo di programma, che deve essere stipulato tra Ministero dell'ambiente, Regione ed enti locali interessati prima dell'autorizzazione alla deroga, da concedersi da parte del Ministro dell'ambiente.

La potestà di concedere deroghe ai Comuni, nel caso in cui non sia realizzabile il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata, appartiene allo Stato - titolare di competenza legislativa esclusiva in materia di ambiente, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. - e si inserisce nell'ambito di un'attività di programmazione, che coinvolge anche la Regione. Quest'ultima pertanto non può disciplinare unilateralmente la concessione delle suddette deroghe, come invece stabilisce, in modo costituzionalmente illegittimo, la norma regionale censurata.

mercoledì 30 ottobre 2013

Ambiente. Piani di gestione dei rifiuti.

Ambiente. Piani di gestione dei rifiuti.

La Comunità europea ha, nel corso del tempo, evidenziato la necessità di programmare le politiche e gli interventi in materia, adottando una specifica disciplina in tema di rifiuti: direttiva 75/442/Cee, modificata e integrata dalla direttiva 91/156/Cee; direttiva 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi; direttiva 94/62/Ce sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggi; direttiva 99/31/Ce relativa alle discariche.
Per razionalizzare le disposizioni succedutesi nel corso del tempo è stata adottata la direttiva 2006/12/Ce, che ha sostituito la direttiva quadro precedente, riproducendone, sostanzialmente, i contenuti e, poi, la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Dal complesso delle norme comunitarie, si evince l'ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: - prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella normativa comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di 'programmazione', da cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone, per la sua complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio possibile. Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi dell'oggetto dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed economici in cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si pongono quelli di 'prossimità' (in base al quale, ogni bacino deve gestire, riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di 'autosufficienza' (che tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di responsabilità nella produzione dei rifiuti).
A livello nazionale, per quel che interessa in questa sede, va rilevato che la disciplina generale in tema di rifiuti è contenuta nel D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale, nella Parte IV, contiene disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, recando nel Titolo I (Gestione dei rifiuti), tra le altre, disposizioni generali (cfr. Capo I: artt. 177 - 194), norme in tema di competenze (cfr. Capo II: artt. 195 - 198) e la disciplina del Servizio di gestione integrata dei rifiuti (cfr. Capo III: artt. 199 - 207) recante regole inerenti specificatamente il Piano di gestione dei rifiuti regionale.
Per ciò che interessa in questa sede, va, altresì, citato il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante norme di attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
A livello regionale, poi, la legge della Regione Lazio del 9.7.1998 n. 27 , contiene la disciplina regionale della gestione dei rifiuti.
Ciò posto, va rilevato che il Piano impugnato nasce al dichiarato scopo di uniformare e razionalizzare la programmazione che si è susseguita nel tempo, di rispondere a quanto richiesto dalla Comunità Europea (di cui si dirà al punto che segue) e di adeguarsi al mutato quadro normativo nazionale definito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dalla Direttiva Europea sui rifiuti 2008/98/CE.
Con specifico riferimento ai Piani di gestione dei rifiuti, va ricordato che, ai sensi dell'art. 199, D.Lgs. n. 152/2006, cosi come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010, i piani regionali di gestione dei rifiuti comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistenti nell'ambito geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l'efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006.
Ai sensi di quanto stabilito dall'art. 199 del codice dell'ambiente, i piani di gestione dei rifiuti devono obbligatoriamente prevedere: a) tipo, quantità e fonte dei prodotti all'interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell'evoluzione futura dei .flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale, fermo restando quanto disposto dall'articolo 205; b) i sistemi di raccolta dei rifiuti e gli impianti di smaltimento e recupero esistenti, inclusi eventuali sistemi speciali per oli usati, rifiuti pericolosi o flussi di rifiuti disciplinati da una normativa comunitaria specifica; c) una valutazione della necessita di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e, se necessario, degli investimenti correlati; d) informazioni sui criteri di riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario; e) politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione; f) la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m), d.lgs. n. 152/2006; g) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 del d.lgs. n. 152/2006, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti; h) la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali, attraverso strumenti quali una adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a tal fine, le regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo; i) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani; l) i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento del rifiuti, nel rispetto del criteri generale di cui all'articolo 195, comma 1, lettera p), d.lgs. n. 152/2006; m) le iniziative volte a favorire, il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale ed energia, ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne derivino; n) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani; o) la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all'articolo 195, comma 2, lettera a), d.lgs. n. 152/2006, di disposizioni speciali per specifiche tipologie di rifiuto; p) le prescrizioni in materia di prevenzione e gestione degli imballaggi e rifiuti di imballaggio di cui all'articolo 225, comma 6, d.lgs. n. 152/2006; q) il programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36; r) un programma di prevenzione della produzione dei rifiuti, elaborato sulla base del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all'art. 180, che descriva le misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate. Il programma fissa anche gli obiettivi di prevenzione. Le misure e gli obiettivi sono finalizzati a dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti. Il programma deve contenere specifici parametri qualitativi e quantitativi per le misure di prevenzione al fine di monitorare e valutare i progressi realizzati, anche mediante la fissazione di indicatori.
Costituiscono parte integrante del piano regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate.
Rappresentano oggetto di specifica attività di pianificazione, le fasi della gestione dei rifiuti che riguardano la produzione e la raccolta dei rifiuti urbani, il trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani indifferenziati, nonché lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento.
Con riferimento alle discariche ove vengono conferiti gli scarti da trattamento meccanico-biologico e da termovalorizzazione, il Piano descrive la situazione della produzione di rifiuti ed il relativo fabbisogno di impianti.
La Commissione Europea richiamò l'attenzione delle Autorità italiane in merito all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare riferimento agli artt. 7 n. 1 e 6, segnalando come diverse Regioni non avessero redatto i Piani di gestione ivi previsti.
Ne seguì, in data 13 luglio 2005, un parere motivato, in cui la Commissione evidenziò, tra l'altro, come il Piano di gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi della Regione Lazio non fosse conforme a quanto stabilito dall'art. 7, n. 1, quarto trattino, della Direttiva 75/ 442/ CEE, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto all'indicazione dei luoghi adatti per lo smaltimento.
Quindi, la Corte di Giustizia CE, con sentenza 14 giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato la Repubblica Italiana, ex art. 226 del Trattato, ai sensi delle citate norme evidenziando, tra l'altro, la circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti (un Piano di gestione del rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un piano di individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione), i tre documenti non consentivano di individuare i luoghi o gli impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti.

La giurisprudenza ha rilevato che a fronte della previsione dell'art. 199 comma 3, lett. c), d.lg. n. 152 del 2006, che stabilisce che i piani di gestione dei rifiuti devono contenere «una valutazione della necessità dei nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182 bis e se necessario degli investimenti correlati», dal Piano di gestione dei Rifiuti per il periodo 2011-2017 emerge, da una parte, l'insufficienza della capacità degli impianti regionali dedicati al TMB, rispetto ai quantitativi di rifiuti indifferenziati prodotti e, dall'altra, l'omessa considerazione di tutti gli impianti esistenti dei quali è prevista la chiusura e, in particolare, della discarica di Malagrotta. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 09/01/2013, n. 121. 

Ambiente. Trasporto rifiuti. Responsabilità.

Ambiente. Trasporto rifiuti. Responsabilità.

Al fine di delimitare gli ambiti di responsabilità, il valore della controfirma posta dal trasportatore, in materia di reati ambientali, equivale a assunzione di responsabilità relativa al mero trasporto di cose. Né sembra possibile imporre al trasportatore di accertarsi della natura reale del rifiuto, sottoponendolo ad esami analitici prima di ogni carico.
L'art. 193 t.u. ambiente, prescrive che durante il trasporto effettuato da enti o imprese, i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione, onerando il conferitore della redazione del formulario di identificazione ed esonera pertanto, così come modificato dal D.l.vo 205/2010, da responsabilità gli autisti in relazione ai dati contenuti nel FIR a meno che non vi siano difformità rilevabili con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Il trasportatore, infatti si limita a controfirmare un modello predisposto dal detentore, qualificandosi la propria firma in un'attestazione di ricevimento del carico.
L'art. 193 TU ambiente prescrive che durante il trasporto effettuato da enti o imprese i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati:
a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore;
b) origine, tipologia e quantità del rifiuto;
c) impianto di destinazione;
d) data e percorso dell'istradamento;
e) nome ed indirizzo del destinatario.
Il formulario di identificazione deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore o dal detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni.
La disciplina vigente, quindi, onera il conferitore (e non il singolo autista - trasportatore) della redazione del formulario di identificazione .
Il trasportatore si limita, infatti, a contrifirmare un modello predisposto, appunto, dal detentore, che attribuisce agli oggetti del conferimento anche il codice identificativo del rifiuto (e quindi la sua natura pericolosa o non pericolosa).

La controfirma del trasportatore deve, allora, essere interpretata alla stregua di un'attestazione di ricevimento del carico. Colui che svolge il ruolo di autista trasportatore all'interno di una ditta che gestisca illecitamente rifiuti, in assenza di apposita autorizzazione, e si limiti ad eseguire disposizioni del datore di lavoro, effettuando unicamente i singoli trasporti fino all'azienda, non risponde del reato di cui all'art. 260 t.u.ambiente, in quanto non risulta configurabile il dolo specifico tipico che, è quello di trarre profitto dalla gestione illecita di rifiuti. Ufficio Indagini preliminari Catanzaro, 13/06/2011. 

Ambiente. Abbandono rifiuti. Responsabilità proprietario.

Ambiente. Abbandono rifiuti. Responsabilità proprietario.

È escluso che al proprietario delle aree inquinate possa essere legittimamente impartito un ordine di rimozione dei rifiuti sulla base della generica culpa in vigilando.
Il consolidato orientamento giurisprudenziale ha escluso che al proprietario delle aree inquinate possa essere legittimamente impartito un ordine siffatto sulla base della generica "culpa in vigilando". T.A.R. Potenza, sez. I 501/2012.

In fatti l'art. 192, d.lgs. n. 152 del 2006 ai fini dell'imputabilità della condotta del divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti sul suolo, richiede, a carico del proprietario o dei titolari di diritti reali o personali sul bene, un comportamento a titolo di dolo o di colpa , così come richiesto per l'autore materiale e quindi collegato da nesso causale diretto alle operazioni materiali da cui è originato il deposito in loco dei rifiuti, che non è assolutamente ravvisabile nella totalmente diversa fattispecie del loro mancato asporto durante previe operazioni di pulizia effettuate da altri responsabili o comunque a seguito della segnalazione della loro presenza, che è in sostanza quanto addebitato dal Comune alla Regione nel caso di specie T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 07/02/2013, n. 56.

Ambiente. Divieto di abbandono. Competenza del Sindaco.

Ambiente. Divieto di abbandono. Competenza del Sindaco.

La giurisprudenza ammesso la competenza sindacale, e non dirigenziale, in relazione all'ordine di rimozione dei rifiuti, emesso dal dirigente comunale ex art. 192 del d.lgs. 152/2006.
Stabilisce, infatti, il comma 3 dell'art. 192 del d.lgs. 152 del 2006 che chiunque viola i divieti di abbandono e deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo, "è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate."
Tale norma, che sancisce la competenza sindacale in luogo di quella dirigenziale, viene interpretata, dalla giurisprudenza maggioritaria, quale norma speciale rispetto all'art. 107 del T.U. enti locali che affida ai dirigenti i compiti relativi alla gestione delle attribuzioni amministrative dell'ente locale. Cons. St., sez. V, 29 agosto 2012, n. 4635.
Infatti, non può essere accolta la tesi, ormai minoritaria in giurisprudenza, in base alla quale essendo tale norma, in parte qua, riproduttiva del precedente art. 14, d.lgs. n. 22 del 1997, essa andrebbe applicata nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza che attribuisce la relativa potestà ordinatoria ai dirigenti, in base all'ordine di competenze, fra livello dirigenziale e politico, delineato dall'art. 107 T.U. Enti locali.
Tale costrutto logico non è condivisibile (cfr. Cons. St. 3675/2009) perché:
a) è insuperabile il dato testuale dell'art. 192, co. 3, secondo periodo, che fa riferimento espresso al " Sindaco";
b) trova applicazione, per il caso di conflitto apparente di norme, il tradizionale canone ermeneutico lex posterior specialis derogat anteriori generali;

c) lo stesso art. 107, co. 4, ha cura di precisare che "Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'art. 1, co. 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative", che è quanto verificatosi a seguito dell'entrata in vigore della norma sancita dall'art. 192, co. 3, cit., sicuramente speciale rispetto all'ordine generale di competenze previsto dall'art. 1, co. 4, e 107, co. 2, T.U. enti locali. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II 04/06/2013 n. 1218.

Ambiente. Potere di Ordinanza.

Ambiente. Potere di Ordinanza.

Il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 191, prevede che: "1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui alla L. 24 febbraio 1992, n. 225, art. 5 istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze,per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente.
Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'art. 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi."
L'art. 191, comma 4 nella originaria formulazione, stabiliva inoltre che "4. Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessita1, il Presidente della regione d'intesa con il Ministro dell'ambiente può adottare, sulla base di specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini.
Ciò posto è incontestato che il D.L. 23 del 2008, art. 9, comma 8 ha modificato l'art. 191, comma 4 sostituendo l'espressione "Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte" con quella "Le ordinanze di cui al comma 1 possono essere reiterate per un periodo non superiore a 18 mesi per ogni speciale forma di gestione dei rifiuti".
Sostiene il ricorrente la legittimità dell'intervento del sindaco in quanto: a) vi era ancora margine temporale per disporre nuove proroghe in via d'urgenza avendo il legislatore chiarito con il suo intervento che l'aspetto rilevante era unicamente il rispetto del limite complessivo dei 18 mesi di efficacia delle deroghe; b) sussisteva comunque in capo al sindaco il potere di disporre nel senso indicato.
La corte d'appello ha escluso la sussistenza delle condizioni di intervento del sindaco sotto un duplice profilo. Per un verso sostiene, infatti, la mancanza di un potere in tal senso per le ragioni in precedenza esposte e per altro verso l'assenza delle condizioni indispensabili per il conferimento dei rifiuti in discarica.
Il tenore letterale della disposizione dell'art. 191 non lascia dubbi sul fatto che al presidente della Regione, a quello della Provincia ed al sindaco il potere di disporre in via di urgenza per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, debba essere riconosciuto nell'ambito delle rispettive competenze.
Nella specie correttamente la corte di merito ha evidenziato tale aspetto sottolinenando che l'autorità competente a provvedere in via ordinaria sull'urgenza era certamente il Presidente della Provincia il quale, infatti, a riprova di ciò aveva già emesso due provvedimenti d'urgenza, esaurendo così ogni sua ulteriore possibilità di intervento.
Sempre dal tenore letterale della disposizione si rende poi evidente che, a fronte del diniego di quest'ultimo di emettere un ulteriore provvedimento di proroga del conferimento in discarica, così come richiesto dal Comune, la strada era obbligata nel senso che, come previsto dall'art. 191, comma 4 e come correttamente indicato dalla Provincia al Comune, della questione si sarebbe dovuto investire il Presidente della regione
Questo, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, avrebbe potuto adottare, sulla base di specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i termini ivi stabiliti.
Nessun potere interinale è previsto per il sindaco dall'art. 191 ed a fortiori si deve escludere il potere di agire di quest'ultimo nel caso in cui - come nella specie - il Presidente della Provincia abbia legittimamente ritenuto, in base alle disposizioni all'epoca vigenti, di non potere ulteriormente intervenire in via d'urgenza.
E' del tutto ragionevole, infatti, che il vaglio circa le ragioni dell'urgenza e la necessità di derogare alle limitazioni previste per la regolamentazione d'urgenza, in considerazione della natura dei rischi e dei pericoli da fronteggiare, debba necessariamente essere affidato ad una valutazione congiunta di Regione e Ministero dell'Ambiente per la delicatezza degli interessi da tutelare.

Le innovazioni apportate con il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 191, comma 1 pur ricalcando la precedente disposizione in ordine alla competenza degli organi deputati a provvedere in via d'urgenza, la nuova disposizione pone come limite generale al potere di intervento non più, come indicato dall'art. 13, la condizione che non vi siano "conseguenze di danno o di pericolo per la salute e per l'ambiente", bensì quella che sia garantito "un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente." E' logico ritenere, quindi, che la valutazione circa le conseguenze sulla salute debbano essere affidate alla competenza della Regione che agisce d'intesa con lo Stato. Cassazione penale, sez. III, 16/05/2012, n. 30125.

Ambiente. Responsabilità del produttore finché i rifiuti non siano conferiti a soggetti autorizzati .

Ambiente. Responsabilità del produttore finché i rifiuti non siano conferiti a soggetti autorizzati .

In tema di abbandono di rifiuti, è ipotizzabile a carico del produttore dei rifiuti un titolo di responsabilità concorsuale omissiva nella condotta commissiva dell'autore dell'abbandono, in ragione della violazione colposa degli obblighi di sorveglianza nascenti dalla posizione qualificata di garanzia connessa, appunto, alla produzione dei rifiuti e sorretta, in termini generali, dalla previsione dell'art. 188 d.lg. n. 152/2006, che, in ossequio al fondamentale principio "chi inquina paga", sancisce la responsabilità del produttore e detentore iniziale dei rifiuti per l'intera catena di trattamento degli stessi, fino a quando i rifiuti medesimi non siano conferiti al servizio pubblico di raccolta, ovvero a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento. T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 05/10/2011, n. 1443.
 Integra il reato previsto dall'art. 259 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 la spedizione di rifiuti all'estero senza che il soggetto esportatore ed originatore di essi, responsabile del carico fino all'arrivo a destinazione, sia munito della apposita licenza ASQIQ di registrazione per le imprese straniere fornitrici dei rifiuti destinati all'importazione. Cassazione penale, sez. III, 04/07/2012, n. 11837.
La responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti grava su tutti i soggetti coinvolti nella loro produzione, detenzione, trasporto e smaltimento, essendo detti soggetti investiti di una posizione di garanzia in ordine al corretto smaltimento dei rifiuti stessi.
La responsabilità può gravare anche sul soggetto che ha svolto unicamente il ruolo di trasportatore dei rifiuti presso un impianto di stoccaggio, laddove detto impianto sia risultato privo delle prescritte autorizzazioni. Occorre tener conto, infatti, dei principi generali di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nel ciclo afferente alla gestione dei rifiuti, ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 178 e 188, d.lg. n. 152/2006, e più in generale dei principi dell'ordinamento nazionale e comunitario, con particolare riferimento al principio comunitario "chi inquina paga", di cui all'art. 174, par. 2, del trattato, e alla necessità di assicurare un elevato livello di tutela dell'ambiente, esigenza su cui si fonda, appunto, l'estensione della posizione di garanzia in capo ai soggetti in questione.

E’ legittima l'ordinanza sindacale rivolta a tale società, affinché provveda alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti dalla stessa abbandonati, in quanto la ratio ispiratrice della norma è quella di evitare la contaminazione dell'ambiente a causa del contatto diretto con il rifiuto, prevedendo l'obbligo della rimozione e del ripristino da parte del responsabile dell'illecito (nella fattispecie, ad una società incaricata di trasportare rifiuti è stata rivolta un'ordinanza di sgombero e smaltimento degli stessi per averli abbandonati, in quanto li aveva conferiti in un impianto privo delle autorizzazioni previste). T.A.R. Veneto Venezia, sez. III, 24/11/2009, n. 2968.

Ambiente . Sottoprodotto .

Ambiente . Sottoprodotto .

La definizione normativa di «sottoprodotto», quale strumento per sottrarre dal regime dei rifiuti alcuni materiali e sostanze altrimenti da considerare come tali, è stata per la prima volta introdotta nel nostro ordinamento con l'art. 183, comma 1, lett. n) del D.Lgs. 152/2006 (T.U. ambiente).
Si tratta di uno dei (pochi) casi in cui il legislatore italiano è riuscito ad anticipare quello comunitario, se si pensa che la nozione di sottoprodotto la si rinviene per la prima volta solo nella direttiva quadro 2008/98/CE in materia di rifiuti.
Attualmente, per il combinato disposto degli artt. 183, comma 1 lett. qq) e 184 bis del T.U. ambiente (aggiunti dall'art. 12, comma 1 del D.Lgs. 205/2012), è sottoprodotto qualsiasi sostanza o oggetto che soddisfa tutte le condizioni elencate nel citato art. 184 bis, comma 1, dovendosi altresì ricordare che, in base al comma 2 dello stesso articolo, «possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti.
All'adozione di tali criteri si provvede con uno o più decreti del Ministro dell'ambiente in conformità a quanto previsto dalla disciplina comunitaria».
In base alla definizione di sottoprodotto l'utilizzo del materiale in un nuovo ciclo produttivo deve essere certo sin dal momento della sua produzione, dovendosi dimostrare una preventiva organizzazione alla sua riutilizzazione, circostanza che non sussiste in caso di utilizzo meramente eventuale e non integrale di materiali eterogenei derivanti da attività di produzione non industriale. Integra il reato previsto dall'art. 256 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152 l'abbandono incontrollato di residui da demolizione, che vanno qualificati come rifiuti speciali e non materie prime secondarie o sottoprodotti.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la correttezza dell'affermazione della responsabilità penale, non essendo stato dimostrato che i materiali abbandonati - quali pietrame, impianti elettrici ed igienico-sanitari, elementi ferrosi e legnosi, nonché pneumatici usurati - fossero destinati, sin dalla loro produzione, all'integrale riutilizzo per la riedificazione senza trasformazioni preliminari o compromissione della qualità ambientale. Cassazione penale, sez. III, 17/01/2012, n. 17823.

Per qualificare le terre e le rocce da scavo come sottoprodotto, l'art. 186 del d.lg. 3 aprile 2006 n. 152, a seguito dell'abrogazione disposta dall'art. 39, comma 4, del d.lg. 3 dicembre 2010 n. 205, ha assunto la natura di norma transitoria, destinata ad applicarsi ai fatti commessi fino all'entrata in vigore del prescritto d.m. di attuazione. Cassazione penale, sez. III, 04/07/2012, n. 33577.