La sentenza di condanna e l'ordine di demolizione nella repressione dell'abusivismo
Il
potere attribuito al giudice penale di ordinare la demolizione con la sentenza
di condanna in caso d'inerzia delle amministrazioni comunali nella repressione
dell'abusivismo, come dispone l'art. 7, c. 8 e c. 9, L. 47/1985, sost. art. 31,
c. 8 e 9, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è stato configurato dal legislatore
come potere di supplenza (24).
La
conseguenza più evidente di tale impostazione è che il potere del giudice penale di
emettere l'ordine di demolizione dell'opera abusiva è esercitato per ovviare
all'eventuale inerzia della pubblica amministrazione.
Tale
ordine può essere riesaminato in sede di esecuzione ove può subire modifiche
definitive, ad esempio, per mutamento degli strumenti urbanistici, ovvero
temporanee, per effetto della sospensione dell'ordine di demolizione da parte
del T.A.R.
Il potere autonomo del
giudice penale di ordinare la sanzione di natura amministrativa della
rimessione in pristino dello stato dei luoghi, con la demolizione di un
manufatto abusivo deve essere coordinato con quello altrettanto autonomo della
p.a?
Le
determinazioni delle amministrazioni, se successive alla realizzazione
dell'opera abusiva, sebbene non valgano ad estinguere il reato, possono però
rendere non operativa l'ingiunzione di ripristino pronunciata dal giudice
penale.
Quest'ultimo,
anche in sede cautelare, deve valutare la permanenza in concreto delle ragioni
per disporre o mantenere la misura cautelare del sequestro preventivo in
rapporto alle determinazioni adottate dalla p.a. ove incompatibili perché
univocamente rivolte, quanto agli effetti, alla conservazione del bene, come
nel caso in cui la competente amministrazione ingiunga
al trasgressore, in alternativa alla rimessione in pristino, il pagamento di
una somma equivalente (25).
Il potere attribuito al
giudice penale di ordinare la demolizione con la sentenza di condanna è un
potere autonomo?
Il
legislatore ha posto in primo piano il comune nel governo del territorio, ma
non ne ha fatto il gestore esclusivo; egli ha previsto, in caso di inerzia,
l'intervento sostitutivo del presidente della giunta regionale e quindi quello
del giudice penale quando tutte le risorse amministrative siano rimaste
inefficaci.
Il
potere-dovere attribuito al giudice penale, in caso di condanna per reato
urbanistico, di disporre la demolizione dell'opera abusiva non va considerato
quale potestà residuale ovvero sostitutiva rispetto alla potestà sanzionatoria
dell'amministrazione, ma di completamento di quel meccanismo di deterrenza che,
per la commissione dell'illecito urbanistico, è stato predisposto dalla L. 28
febbraio 1985, n. 47.
Il
precetto di cui all'art. 31, c. 9, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non postula
alcuna regola di stretto coordinamento fra istanza amministrativa ed istanza
giurisdizionale sotto il profilo procedimentale, ma prevede soltanto che
l'esecuzione di una misura sanzionatoria renda non utile l'applicazione
dell'altra.
Non
soltanto non è precluso al giudice penale di ordinare la demolizione in
presenza di un analogo provvedimento amministrativo rimasto ineseguito, ma
l'emissione di tale provvedimento non inficia la legittimità dell'ordine del
giudice penale.
Il
coordinamento tra i due provvedimenti deve, dunque, rilevare, sotto il profilo
fattuale, soltanto nella fase dell'esecuzione e nella concorrenza dei due
titoli: la demolizione dell'opera per effetto di un provvedimento rende inutiliter datum quello rimasto
ineseguito.
Le
conseguenze sono opposte a quelle precedentemente esaminate in quanto l'azione
penale diviene assolutamente disgiunta da quella amministrativa e dalle vicende
giurisdizionali che la condizionano. La sospensiva dell'ingiunzione a demolire
disposta dal giudice amministrativo non è di ostacolo all'adozione, da parte
del giudice penale, dell'ordine di demolizione,
a norma dell'art. 7, c. 9, della L. 28 febbraio 1985, n. 47, dell'opera
eseguita in assenza di concessione, in totale difformità da essa o con variazioni
essenziali, salvo che l'imputato non dimostri che detta sospensiva sia
giustificata da vizio del provvedimento amministrativo di carattere sostanziale
e non formale. (27)
Tale
impostazione viene confermata dal fatto che il giudice dell'esecuzione penale
ha il potere-dovere di rilevare gli eventuali vizi che inficiano il
provvedimento di rilascio di una concessione in sanatoria da parte della p.a.,
ordinando la demolizione del manufatto abusivo.
Nel
caso di specie, la Corte — su ricorso proposto dall'Ente Parco — ha annullato
con rinvio un provvedimento di revoca dell'ordine di demolizione di un
manufatto abusivo posto nel Parco Nazionale d'Abruzzo, a seguito del rilascio
di concessione in sanatoria da parte del comune, ritenendo l'atto illegittimo
perché non preceduto dall'acquisizione del parere favorevole dell'ente
medesimo, come prescritto dalla L. 394 del 1991 (28).
3.1 L'esecuzione
dell'ordine di demolizione
Le
perplessità sollevate circa la effettiva esecuzione dell'ordine di demolizione
da parte del giudice penale sono superate dalla giurisprudenza (29).
Non
si configurano funzioni dell'amministrazione comunale per l'esecuzione
dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale, spettando tale
competenza al p.m. ed al giudice dell'esecuzione.
Si
determina così la giurisdizione del giudice ordinario e non si può ipotizzare
l'affidamento alla p.a. della esecuzione di un provvedimento del giudice, salva
espressa disposizione di legge. (Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 2001, n. 206,
in Riv. giur. ed., 2001, I, 478).
Legittimamente
il giudice penale ordina la demolizione del manufatto abusivo con la sentenza
di condanna allorché non sia stato ancora demolito a quella data.
Non
rileva, infatti, che l'interessato abbia proposto ricorso innanzi alla
giurisdizione amministrativa avverso l'ordinanza sindacale di sospensione dei
lavori e di ripristino dello stato dei luoghi. (Cass. pen., sez. III, 18 giugno
1993, in Mass. pen. cass., 1993, 44).
Il giudice penale deve
valutare la sussistenza dell'interesse alla ordinanza di demolizione nel caso
in cui l'amministrazione giunga a sanzioni alternative?
Le
determinazioni della p.a., se successive alla realizzazione dell'opera abusiva,
sebbene non valgano ad estinguere il reato, possono, infatti, rendere non
operativa l'ingiunzione di ripristino pronunciata o pronuncianda dal giudice
penale; spetta a quest'ultimo, anche in sede cautelare, valutare la permanenza
in concreto delle ragioni per disporre o mantenere la misura cautelare del
sequestro preventivo in rapporto alle determinazioni adottate dalla p.a. ove
incompatibili perché univocamente rivolte, quanto agli effetti, alla
conservazione del bene. Nel caso di specie l'amministrazione ha ingiunto al
trasgressore, in alternativa alla rimessione in pristino, il pagamento di una
somma equivalente, ai sensi dell'art. 164, t.u. beni ambientali (30).
Quali sono i poteri del
giudice dell'esecuzione nel caso di due procedimenti penali sullo stesso reato?
Allorché
due procedimenti penali si instaurino in ordine alla medesima costruzione
abusiva, avendo per oggetto le singole articolazioni di essa, successivamente
realizzate, qualora solo uno dei due processi sia definito con sentenza passata
in giudicato, l'ordine di demolizione non resta automaticamente paralizzato per
la pendenza dell'altro processo riguardante la parte dell'opera proseguita. In
tal caso rientra nella competenza del giudice dell'esecuzione, investito dal
p.m. in seguito all'inadempimento della diffida a demolire, decidere in
coordinamento con gli eventuali provvedimenti emessi nel processo penale
parallelo. (Cass. pen., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 700, in Cass. pen., 2001, 2476).
L'ordine di demolizione può
essere sospeso?
La
sospensione dell'ordine di demolizione può essere ritualmente concessa solo
quando sia razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di
brevissimo tempo, sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale
un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con il detto ordine di
demolizione.
Non
è, invece, sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe
verificare in un futuro lontano o, comunque, entro un tempo non prevedibile.
In
tal senso non può essere ritenuta sufficiente la pendenza di ricorso al T.A.R.
contro il diniego amministrativo di sanatoria edilizia per giustificare
l'invocata sospensione della demolizione (31).
3.1.1 Il
p.m. organo promotore dell'esecuzione
L'ordine
di demolizione adottato dal giudice al pari delle altre statuizioni contenute
nella sentenza definitiva è soggetto all'esecuzione nelle forme previste dal
c.p.p., avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di
sanzione amministrativa.
Nell'affermare
detto principio la giurisprudenza ha precisato che, ai sensi degli artt. 655 e
ss. e 666 ss. del c.p.p., l'organo promotore dell'esecuzione è il p.m. il
quale, ove il condannato non
ottemperi all'ingiunzione a demolire, è tenuto ad investire il giudice
dell'esecuzione perché ne fissi le modalità.
La competenza
può essere attribuita al giudice dell'esecuzione, con le forme dell'art. 666,
c.p.p., solo allorquando insorga una specifica controversia al riguardo, non
anche quando il destinatario dell'intimazione a demolire, emanata dal p.m.
nello svolgimento delle predette funzioni, non vi ottemperi.
In
caso di omessa pronuncia dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo con
la sentenza di condanna o con sentenza ad essa equiparata, per reati edilizi,
non può farsi ricorso né alla procedura di correzione dell'errore materiale né
ad incidente di esecuzione, non rientrando tale competenza tra quelle
attribuite al giudice dell'esecuzione a norma dell'art. 676, c.p.p.
Deve,
pertanto, dichiararsi l'incompetenza funzionale del giudice dell'esecuzione,
col conseguente annullamento senza rinvio dell'ordinanza resa all'esito
dell'incidente d'esecuzione, nel caso in cui il p.m. abbia adito il giudice
perché questi determini le modalità esecutive della demolizione, in assenza
però di una previa contestazione da parte del condannato sulle modalità
esecutive previamente fissate dallo stesso p.m. o sull'esistenza del titolo
dell'esecuzione.
La
cancelleria del p.m. è preposta, inoltre, al recupero delle spese del
procedimento esecutivo, ai sensi dell'art. 181, disp. att. c.p.p. (33).
Nell'ipotesi,
poi, in cui la demolizione ordinata dal giudice sia stata altrimenti eseguita
dalla pubblica amministrazione, l'avvenuta demolizione rende solo inutiliter datum l'ordine di demolizione,
al pari dell'eventuale acquisizione dell'immobile da parte del patrimonio
comunale (34).
3.2 Il
patteggiamento e l'ordine di demolizione
L'imputato
di un abuso edilizio che chieda il patteggiamento ritenendolo più conveniente
non può evitare che il giudice ordini la demolizione dell'opera abusivamente
realizzata stante l'indirizzo giurisprudenziale prevalente che ritiene
obbligatoria l'emissione, con la sentenza di condanna, dell'ordine di
demolizione.
L'ordine di
demolizione di
un manufatto abusivo, emesso dal giudice penale, ha natura di sanzione
amministrativa; ne consegue che esso non può essere oggetto di accordo tra le parti
in caso di patteggiamento ed è
sottratto al disposto di cui all'art. 445, c.p.p. che vieta l'applicabilità di
pene accessorie e di misure di sicurezza con la sentenza che dispone
l'applicazione della pena su richiesta (35).
La
mancata disposizione dell'ordine di demolizione configura errore di diritto che
può essere oggetto di rettifica da parte della Corte di cassazione, ai sensi
dell'art. 619, c.p.p. Quando il giudice di merito abbia omesso di disporre la
demolizione dell'opera abusiva, la Corte può integrare la decisione impartendo
la statuizione de qua, trattandosi di
sanzione di natura amministrativa consequenziale alla sentenza di condanna.
Tale è stata ritenuta la sentenza di patteggiamento.
A
nulla rileva che l'ordine di demolizione non abbia formato oggetto dell'accordo
intercorso tra le parti, in quanto esso costituisce atto dovuto per il giudice,
non suscettibile di valutazioni discrezionali e sottratto alla disponibilità
delle parti stesse, di cui l'imputato deve tener comunque conto nell'operare la
scelta del patteggiamento (36).
Un
orientamento peraltro minoritario rivaluta l'accordo delle parti ritenendo che
il giudice debba, in presenza di un accordo, che escluda la demolizione,
accettarlo o rigettare la richiesta ai sensi dell'art. 444, c. 3, del c.p.p.
Nel
cosiddetto patteggiamento l'operatività della sospensione condizionale della
pena non può essere subordinata, in assenza di un accordo tra le parti, alla
demolizione del manufatto abusivamente realizzato, giacché verrebbero alterati
i dati della concorde richiesta attraverso detta subordinazione, che rientra
fra i poteri del giudice penale ma è soltanto facoltativa.
Restano
integri i poteri delle parti di accordarsi anche su detto punto, del p.m. di
negare il proprio consenso a causa dell'omesso accordo e del giudice di
respingere l'accordo e di procedere con il rito ordinario (37).
L'ordine
di demolizione è previsto per legge e, pertanto, è sottratto al disposto di cui
all'art. 445, c.p.p., che vieta l'applicabilità di pene accessorie e di misure
di sicurezza.
Gli
eventuali contrasti fra imputato e difensore non sono motivo di impugnazione
della sentenza che accoglie il patteggiamento.
L'eccesso
dei limiti del mandato in cui incorra il difensore, consentendo, nel
patteggiamento, che il beneficio della sospensione condizionale della pena sia
subordinato alla demolizione del manufatto abusivo, è un fatto che si esaurisce
nel rapporto tra imputato e difensore e non può spiegare effetti sulla
decisione (38).
L'ordine
di demolizione resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di
applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato
conseguente al decorso del termine di cui all'art. 445, c. 2, c.p.p.
Esso,
infatti, non è qualificabile come sanzione penale accessoria o come effetto
penale della condanna (39).
3.3 La
sospensione condizionale della pena e la demolizione dell'opera abusiva
Il
giudice nel pronunciare sentenza di condanna può sospendere l'esecuzione della
pena per un certo lasso di tempo.
Se il
colpevole commette entro tale periodo un nuovo reato la pena viene eseguita; in
caso contrario la condanna non sortisce alcun effetto.
La
legge pone alcuni requisiti: che la condanna alla reclusione o all'arresto sia
per un tempo non superiore ai due anni, ex
art. 163, c.p.
La
sospensione può, inoltre, essere subordinata, specie nei reati edilizi che
realizzano una dannosa compromissione del territorio, all'eliminazione delle
conseguenze dannose del reato, ex
art. 165 c.p.
In un
primo tempo la giurisprudenza ha ritenuto possibile concedere la sospensione
condizionale della pena anche in mancanza della demolizione dell'opera abusiva.
Essa
ha escluso la titolarità da parte del giudice penale del potere di subordinare
la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena
all'ottemperanza all'ordine di demolizione pronunciato dallo stesso giudice.
Ciò
perché è all'amministrazione che compete istituzionalmente la valutazione del
danno al tessuto urbanistico e i modi per l'eliminazione dello stesso.
L'assenza di una tale legittimazione non è contraddetta né subordinata alla
condizione che la legge non disponga “altrimenti”, neppure dall'art. 7, c. 9,
della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perché l'intervento del giudice penale
previsto da questa disposizione, che deve essere coordinato con gli interventi
dell'autorità amministrativa, è posto in funzione di ovviare all'inerzia dell'autorità
stessa. Lo scopo della norma è quello di rendere ineludibile la tutela
dell'assetto edificatorio, senza che muti il quadro di riserva istituzionale al
sindaco della competenza per materia (40).
Di
parere contrario è la giurisprudenza più recente; essa ha sancito la
possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena alla
demolizione dell'opera abusiva.
È legittima la subordinazione della
sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusivamente
costruita ed
al ripristino dello stato dei luoghi, in quanto costituisce applicazione
dell'art. 165, c.p., il quale prevede la subordinazione del beneficio alla
eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato e perché non può
esservi dubbio che il manufatto abusivamente realizzato costituisca conseguenza
del reato edilizio dannosa per l'assetto del territorio.
Il
giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della
sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in
quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose
del reato (41). La legittimità della subordinazione della
sospensione condizionale della pena alla demolizione del fabbricato abusivo
nelle ipotesi di condanna per reati edilizi è questione ormai chiusa.
La
giurisprudenza ha deciso circa la piena subordinabilità della sospensione
condizionale all'ordine di demolizione, ritenendo che tale ordine si configuri
come un potere concorrente a quello dell'amministrazione, avendo esso una
funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso, individuabile
nell'integrità del territorio.
La
dottrina ritiene che, nel dubbio nascente dalla moltitudine delle contrarie
argomentazioni dalle conseguenze di segno totalmente opposto, non resta che far
tesoro dell'ultimo orientamento possibilista anche in vista di una maggiore
effettività di tutela del territorio (42).
È
stato precisato che, qualora il giudice della cognizione, nel subordinare il
godimento del beneficio della sospensione condizionate della pena alla previa
demolizione del manufatto abusivo, non indichi espressamente il termine entro
il quale il condannato deve adempiere alla condizione suddetta, la clausola in
questione deve integrarsi con il termine legale di sospensione condizionale
previsto dall'art. 163, c. 1, c.p., e cioè — quando si tratti di
contravvenzioni edilizie — con il termine di due anni dal passaggio in
giudicato della condanna (43). Ove nel frattempo la costruzione sia
stata acquisita al patrimonio del comune l'impossibilità di effettuare la
demolizione dev'essere fatta valere dall'interessato in sede di esecuzione (44)
.
3.4 L'affidamento
in prova al servizio sociale
L'art.
47, L. 26 luglio 1975, n. 354, che reca norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, fissa le
condizioni e determina come misura alternativa alla detenzione l'affidamento in
prova ai servizi sociali, per un periodo uguale a quello della pena da
scontare.
Vi è
contrasto giurisprudenziale sulla possibilità che al condannato per un reato
edilizio, affidato in prova al servizio sociale, possa essere posto a carico
l'obbligo di demolizione del manufatto edilizio abusivamente realizzato,
contenuto nel giudicato di condanna, quale strumento di risocializzazione.
Un
indirizzo ritiene legittimo che l'affidamento possa essere
dichiarato con l'obbligo della demolizione nell'ottica del rispetto della legge e della eliminazione delle
conseguenze negative della condotta deviante.
Per
detta giurisprudenza i commi 4 e 5 dell'art. 47, L. Ord. Pen. 354/1975, non
prevedono alcuna limitazione relativamente al contenuto delle prescrizioni.
In
particolare il comma 4 dell'art. 47, L. Ord. Pen. 354/1975, prevede che
all'atto dell'affidamento sia redatto verbale in cui sono dettate le
prescrizioni che il soggetto dovrà seguire in ordine ai suoi rapporti con il
servizio sociale, alla dimora, alla libertà di locomozione, al divieto di
frequentare determinati locali ed al lavoro.
Data
la generalità delle stesse prescrizioni esse, purché non contrarie alla legge e
non immotivatamente afflittive, devono considerarsi legittime se rispondenti
alle finalità normative (45).
Per
altra giurisprudenza la prescrizione concernente la demolizione di un
fabbricato abusivo per il quale è stata emessa condanna deve considerarsi
illegittima perché esula del tutto dalle prescrizioni che, a norma dell'art. 47
Ord. Penit., possono essere imposte all'affidato in prova al servizio sociale.
Una
simile prescrizione, infatti, è al di fuori dello schema legale, in quanto non
riguarda né i rapporti dell'affidato con il servizio sociale né il genere di
vita che dovrà tenere nel corso della misura alternativa né l'astensione da
attività illecite e neppure, per analogia, l'adoperarsi in favore della vittima
del reato, non essendo quest'ultima individuabile in rapporto alla
contravvenzione urbanistica (46).
Le
conseguenze di questo orientamento sono paradossali.
L'imputato
che non può accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena,
perché ha già avuto precedenti condanne, è così graziato dal giudice penale che
non può ordinare la demolizione del manufatto abusivo da lui edificato.
Sembra,
infatti, impossibile concludere che il condannato non possa utilizzare il
beneficio dell'affidamento in prova ai servizi sociali.
3.5 L'acquisizione
dell'opera abusiva da parte della pubblica amministrazione
Nel
caso in cui, invece, il comune abbia proceduto all'acquisizione dell'opera
viene a verificarsi, rispetto all'obbligo di osservare l'ordine del giudice,
una situazione oggettivamente di impedimento.
La
giurisprudenza ha precisato che l'acquisizione dell'immobile non demolito al
patrimonio comunale, conseguente
alla mancata demolizione ad opera dell'interessato, non impedisce l'esecuzione dell'ordine
di demolizione impartito dal giudice penale.
Diversa
è l'ipotesi in cui intervenga una deliberazione del consiglio comunale che
dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici — da specificare in
concreto — alla conservazione dell'opera, sempre che questa non contrasti con
rilevanti interessi urbanistici ed ambientali (47).
L'acquisizione
è finalizzata in via principale alla demolizione e il soggetto condannato può
richiedere al comune divenuto medio
tempore proprietario, l'autorizzazione a procedere alla demolizione a
proprie spese, cosi come può provvedervi, a spese del condannato, l'autorità
giudiziaria (48).
3.6 Il
ricorso contro l'esecuzione
I provvedimenti
del giudice dell'esecuzione sono impugnabili con ricorso per cassazione, ex art.
666, c.p.p.
Il
p.m., parimenti all'imputato, può produrre il ricorso per cassazione, in base
alla previsione dell'art. 111, c. 7, della Costituzione, che si colloca come
norma di chiusura per i provvedimenti definitivi a contenuto decisorio; tale
impugnazione, peraltro, è ammissibile solo se proposta, secondo le regole
generali, nel termine di trenta giorni, ex
art. 585, c. 1, lett. b), c.p.p. Il
termine decorre evidentemente dalla data della comunicazione, ex art. 585, c. 2, c.p.p., visto l'art.
460, c. 3, c.p.p., che impone la comunicazione al p.m. del decreto penale (49). La giurisprudenza ha precisato che anche
la parte civile è legittimata all'impugnazione dei provvedimenti adottati dal
giudice dell'esecuzione (50).
3.6.1 Il
giudice dell'esecuzione e i procedimenti amministrativi di sanatoria
Il giudice dell'esecuzione penale ha il
potere-dovere di rilevare gli eventuali vizi che inficiano il provvedimento di
rilascio di una concessione in sanatoria da parte della p.a., emanato successivamente ad un ordine di
demolizione del manufatto abusivo, impartito con sentenza penale di condanna
divenuta irrevocabile.
Il
sistema delineato dagli artt. 2 e 5, L. 2248 del 1865, all. e), assegna all'autorità giudiziaria
ordinaria un generale potere di sindacato degli atti amministrativi, senza che
possa validamente distinguersi tra quelli che modificano o estinguono diritti
soggettivi in contrapposizione e gli atti che invece costituiscono od espandono
i medesimi diritti; e neppure può affermarsi che detto sindacato debba
limitarsi alla verifica della materiale esistenza del provvedimento e della sua
provenienza dalla p.a.
Non
sono suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art. 32, L. 24 novembre 2003, n.
326, le nuove costruzioni realizzate, in assenza del titolo abilitativo
edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi
paesistici. Tali ipotesi sono escluse dal condono dal comma 26, lett. a), dell'art. 32, cit. Il giudice non
deve applicare la sospensione del procedimento penale, ai sensi degli artt. 38
e 44, L. 28 febbraio 1985, n. 47, in attesa dell'eventuale definizione della
relativa procedura amministrativa, giacché vale il principio generale in forza
del quale il giudice, già prima di sospendere il processo, deve effettuare un
controllo in ordine alla sussistenza delle condizioni legittimanti l'accesso
alla procedura sanante quali, ad esempio, la data di esecuzione delle opere, lo
stato di ultimazione delle stesse, il rispetto dei limiti volumetrici e le
eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento dalla sanatoria.
Mentre nel caso in cui il giudice sospenda il processo in assenza dei
presupposti di legge, la sospensione è inesistente e il corso della
prescrizione non è interrotto (51).
La
giurisprudenza ha affermato che la concessione edilizia in sanatoria non
produce l'effetto estintivo dei reati edilizi quando sia stata rilasciata in
assenza del preventivo parere favorevole dell'ente preposto al vincolo. Né vale
obiettare che, in presenza di un permesso di costruire, il giudice penale non
possa rilevare gli eventuali vizi che la inficiano, dato che egli anzi ha il
potere-dovere di disapplicare l'atto amministrativo illegittimo (52).
3.7 D.L.
28 aprile 2010, n. 62. La sospensione delle demolizioni disposte con sentenza
penale
Per
comprendere il D.L. 28 aprile 2010, n. 62, che dichiara la sospensione
delle demolizioni disposte con sentenza penale bisogna partire dalla
deliberazione della Giunta Regionale Campania 30 settembre 2003, n. 2827 (53).
Questo
provvedimento detta l'integrazione alle linee guida per la Pianificazione
Territoriale Regionale in Campania, delibera Giunta Regionale n. 4459 del 30
settembre 2002, in materia di sanatoria degli abusi edilizi.
L'atto
disapplica la disciplina del condono edilizio — contenuta nell'art. 32 del D.L.
30 settembre 2003, n. 269 — nell'ambito del territorio regionale.
Nell'atto
è approvato un allegato dal titolo “Integrazione alle linee guida per la
pianificazione regionale, in materia di sanatoria degli abusi edilizi. Divieto
di sanatoria”, che stabilisce che, al fine di salvaguardare l'identità e
l'integrità del territorio regionale, non è ammessa la sanatoria delle opere
edilizie realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi, ovvero in
difformità o con variazioni essenziali rispetto a questi ultimi, e che siano in
contrasto con gli strumenti urbanistici generali vigenti; ciò sulla base della
premessa che, al fine di salvaguardare l'identità e l'integrità del territorio
regionale, sempre più compromesso dal dilagante fenomeno dell'abusivismo
edilizio, occorre prevedere che non saranno ammesse ipotesi di condono edilizio
ulteriori rispetto a quelle previste dal Capo IV della L. 28 febbraio 1985, n. 47,
e dall'art. 39 della L. 23 dicembre 1994, n. 724.
La
Corte costituzionale ha successivamente annullato la delibera giuntale della
regione Campania 30 settembre 2003, n. 2827, impugnata con ricorso per
conflitto di attribuzioni da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
Essa ha affermato che è implicitamente escluso dal sistema costituzionale,
anche perché lesivo del canone della leale collaborazione, che la Regione e lo
Stato esercitino le proprie potestà legislative o amministrative allo scopo di
rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato o della
Regione, ritenuta illegittima (o anche solo dannosa o inopportuna), anziché
agire in giudizio innanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 127,
cost. (54).
Le
grida manzoniane dettate dall'esigenza di fare politica piuttosto che da quella
di predisporre una ordinata azione amministrativa non hanno prodotto alcun
risultato nella proclamata lotta all'abusivismo edilizio.
Se
non si voleva condonare il fenomeno dell'abusivismo perché non lo si è
represso?
Le
amministrazioni locali non hanno proceduto secondo il rigore declamato a parole
dalla regione Campania; l'attività amministrativa locale che sembrava dovesse
essere portata avanti con il rigorismo enunciato a parole dalla regione
Campania non c'è stata.
Ci ha
pensato la magistratura penale con la sua attività di supplenza.
L'attivismo
del magistrato penale è ora bloccato dal legislatore nazionale che sta
rimettendo in piedi un nuovo condono di immobili realizzati su aree soggette a
vincolo.
L'art.
1, D.L. 28 aprile 2010, n. 62, dispone la sospensione delle demolizioni
disposte dal giudice penale al 30 giugno 2011 al fine di consentire una
adeguata ed attuale ricognizione dei vincoli di tutela paesaggistica. Il D.L.
non è stato convertito.
Si
tratta di una mini sanatoria di immobili realizzati in
contrasto con la normativa paesaggistica distinguendo fra vincoli statali e regionali e fra
edificabilità assoluta e relativa.
I vincoli
disposti da leggi statali devono essere rispettati e si deve procedere a demolizione; la
sospensione riguarda quelli introdotti dal legislatore regionale come, ad
esempio, i parchi regionali.
I vincoli di
edificabilità assoluta sono quelli che non ammettono la possibilità di alcuna
costruzione e si
deve procedere a demolizione degli immobili che li infrangono.
I
vincoli di inedificabilità relativa ammettono la realizzazione di manufatti
edilizi con precisi limiti e modalità. Resta da vedere in sede di revisione
quali vincoli assoluti diverranno relativi proprio per una immobilità della
attività repressiva che ha permesso all'abusivismo di dilagare.
Sotto
il profilo soggettivo il decreto ammette a sospensione solo i richiedenti che
occupino stabilmente gli alloggi e che siano sforniti di altra abitazione.
Quindi il poveraccio che si è costruito una villettina in un parco regionale
magari a imponibile fiscale zero.
Sotto
il profilo temporale il richiedente deve dimostrare che gli abusi sono stati
realizzati entro il 31 marzo 2003.
Sotto
il profilo oggettivo l'immobile non deve presentare pericoli per la pubblica o
privata incolumità.
4 La confisca
La
facoltà del giudice di ordinare la confisca delle cose che servirono o furono
destinate a commettere un reato è espressamente sancita dalla legge penale,
art. 240 del c. p..
L'applicazione
di tale potere anche nel caso di reati urbanistici è stata ipotizzata dal
giudice ordinario che ha provveduto a confiscare i fabbricati abusivi.
Si è
però osservato che, in tale modo, l'autorità giudiziaria pone in essere un
potere concorrente con quello affidato alla pubblica amministrazione a cui
spetta la vigilanza e la repressione sulle costruzioni abusive.
In
particolare il provvedimento di confisca operato dalla magistratura concreta
una sostituzione fra organi nei compiti istituzionalmente già assegnati dalle
leggi.
La
confisca non è una misura di sicurezza patrimoniale, ma configura — al pari
dell'ordine di demolizione delle opere abusive — una sanzione amministrativa applicata
dal giudice penale
in via di supplenza rispetto al meccanismo amministrativo di acquisizione delle
opere abusive al patrimonio disponibile del Comune (55). È da precisare che la confisca è consentita
espressamente dall'art. 734, c.p., in caso di deturpamento di bellezze
naturali.
4.1 La
confisca nella lottizzazione
La
confisca prevista in materia di lottizzazione abusiva dall'art. 44, c. 2,
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, costituisce una sanzione amministrativa e non una
misura di sicurezza di natura patrimoniale, pur permanendone il carattere
sanzionatorio ai sensi dell'art. 7 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo (56).
La
confisca è obbligatoria.
L'acquisizione
gratuita al patrimonio comunale dei terreni abusivamente lottizzati consegue
obbligatoriamente all'accertamento della sussistenza obiettiva di un reato di
lottizzazione abusiva, indipendentemente
da una pronuncia di condanna.
In
applicazione del principio che definisce obbligatoria la confisca, la corte ha
ritenuto che non violi il divieto di reformatio
in pejus stabilito dall'art.
597, c. 3, c.p.p., la pronuncia del giudice d'appello che, pur se in difetto di
appello del p.m., estenda la confisca ad un'area maggiore rispetto a quella
indicata nella sentenza di primo grado, trattandosi di misura che potrebbe
essere adottata anche in sede esecutiva ove erroneamente pretermessa in fase di
cognizione (58). La confisca delle opere abusive e dei
terreni è una misura repressiva prevista per le sole ipotesi di lottizzazione
abusiva.
La
sanzione amministrativa della confisca può essere irrogata dal giudice penale
anche in sede esecutiva, se erroneamente pretermessa, su istanza di parte e in
contraddittorio e non d'ufficio e con il procedimento de plano.
La
confisca trova applicazione anche in presenza di una sentenza di
proscioglimento, esclusa soltanto l'ipotesi di assoluzione perché il fatto non
sussiste, giacché anche la carenza dell'elemento psicologico comporta
l'accertamento dell'esistenza di una lottizzazione abusiva (59).
Per
il reato di lottizzazione abusiva il giudice penale deve disporre la confisca
del terreno abusivamente lottizzato e delle opere abusivamente costruite ai
sensi dell'art. 19 della medesima legge anche qualora si tratti di sentenza di
patteggiamento.
È
vero che l'art. 445, c.p.p., dispone che questo rito non comporta
l'applicazione di pene accessorie o di misure di sicurezza, fatta eccezione per
la confisca obbligatoria, tuttavia la confisca è diversa da quest'ultima,
poiché è una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale, in funzione
di supplenza rispetto alla p.a. (60).
4.1.1 La
confisca in danno dei terzi di buona fede
La confisca urbanistica opera anche in
danno dei terzi di buona fede, che possono unicamente far valere i loro diritti
in sede civile nei confronti del responsabile.
La
confisca urbanistica non costituisce una misura di sicurezza patrimoniale, ma
una sanzione amministrativa che ha come unico presupposto l'accertamento
giurisdizionale della lottizzazione abusiva, a prescindere dalla pronuncia
effettiva di una condanna a carico del responsabile (61).
La
giurisprudenza ha precisato che l'acquisto derivante dalla confisca della
lottizzazione è limitato al solo terreno.
L'opera
costruita in occasione di lottizzazione abusiva non costituisce un bene in
senso giuridico e non può formare oggetto di diritti, ex art. 810, c.c. È un corpo estraneo all'ordinamento e dunque deve
presupporsi come automatica ed incondizionata la demolizione che è l'effetto
previsto dalla norma sulla lottizzazione abusiva, ex artt. 30 e 48, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Fondamento
della demolizione è il fatto che le opere, per la loro contrarietà al diritto,
costituiscano un tamquam non esset,
privo della qualità di bene secondo l'art. 810, c.c. Discende da qui
l'automaticità ed incondizionabilità della demolizione..
È
stato rilevato che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati nei
confronti dei beni dei terzi acquirenti in buona fede ed estranei al reato
collide, però, con i principi enunciati dalla Corte europea dei diritti
dell'uomo (62). A fronte di una sentenza nazionale che ha
disposto la confisca pur ritenendo insussistente l'elemento soggettivo del
reato di lottizzazione abusiva, è stato affermato, par. 116, che una corretta
interpretazione dell'art. 7 della CEDU esige, per punire, un legame di natura
intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare l'elemento
responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato.
Al
riguardo è opportuno ricordare che la Corte Costituzionale, con le sentenze nn.
347 e 348 del 22 ottobre 2007, ha affrontato la questione relativa alla
posizione ed al ruolo delle norme della CEDU ed alla loro incidenza
sull'ordinamento giuridico italiano, rilevando che dette norme, diversamente da
quelle comunitarie, non creano un ordinamento giuridico sopranazionale e sono
pur sempre norme internazionali pattizie che vincolano lo Stato ma non
producono effetti diretti nell'ordinamento interno. Il nuovo testo dell'art.
117, Cost., comma 1, int. L. cost., 18 ottobre 2001, n. 3, ha reso
inconfutabile la maggiore forza di resistenza delle norme CEDU
(nell'interpretazione ad esse data dalla Corte europea per i diritti dell'uomo)
rispetto alle leggi ordinarie successive, trattandosi di norma costituzionale
che sviluppa la sua concreta operatività solo se posta in stretto collegamento
con altre norme (cd. “fonti interposte”, di rango subordinato alla Costituzione
ma intermedio tra questa e la legge ordinaria), destinate a dare contenuti ad
un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le
leggi in esso richiamate devono possedere.
La
Corte Costituzionale ha escluso che le pronunce della Corte di Strasburgo
siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità
delle leggi nazionali, evidenziando che tale controllo deve sempre ispirarsi al
ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi
internazionali, quale imposto dall'art. 111, Cost., c. 1, e la tutela degli
interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della
Costituzione.
Per
quanto attiene al presente procedimento, comunque, la prospettata questione di
incostituzionalità della previsione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44,
c. 2, si palesa del tutto irrilevante, poiché non sussiste alcuna pronuncia di
estraneità al reato dei ricorrenti, dei quali non è stata ravvisata la buona
fede. (63)La Corte cost. ha poi precisato che spetta
agli organi giurisdizionali comuni l'eventuale opera interpretativa dell'art.
44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 che sia resa effettivamente necessaria
dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo; a tale compito,
infatti, già ha atteso la giurisprudenza di legittimità, con esiti la cui
valutazione non è ora rimessa a questa Corte (64).
4.2 La
revoca della confisca nella lottizzazione
La
giurisprudenza ammette la revoca della confisca.
Tale
provvedimento è ammesso per incompatibilità della sanzione
ablatoria con un provvedimento sanante successivamente adottato dalla p.a.
La
giurisprudenza ha precisato che non è sufficiente il mero avvio dell'iter amministrativo volto ad apportare
in tal senso modifiche di p.r.g., ma è necessario un provvedimento definitivo,
adottato dall'autorità competente al termine del procedimento, che autorizzi
l'intera lottizzazione.
Causa
di revoca del provvedimento giurisdizionale di confisca adottato dal giudice a
norma dell'art. 44, c. 2, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è solo l'adozione di
provvedimenti amministrativi incompatibili con l'effetto ablatorio a danno dei
proprietari, il cui effetto sanante deve tuttavia intendersi limitato ai soli
effetti amministrativi, non comportando l'estinzione del reato edilizio (65).
Il
possibile inserimento della zona abusivamente lottizzata nel piano regolatore
generale tra le cosiddette zone residenziali di espansione non è di per
sé circostanza idonea a legittimare la revoca del provvedimento con il quale il
giudice penale aveva disposto la confisca dell'area abusivamente lottizzata.
Infatti, non sussiste neppure l'interesse ad agire del condannato per la revoca
del suddetto provvedimento (66).
Solo
la successiva adozione di un piano di recupero urbanistico dell'area
abusivamente lottizzata da parte del Consiglio comunale o la successiva
autorizzazione a lottizzare, anche se atti non idonei ad incidere sulla penale
responsabilità dei soggetti coinvolti, impedisce che con la sentenza di
condanna sia disposta la confisca. Se la confisca è stata disposta è dovuta la
revoca, atteso che diversamente il provvedimento giurisdizionale si renderebbe
incompatibile con l'esercizio dei poteri legislativamente attribuiti alla p.a. (67).
5 La sospensione dell'azione penale a seguito di
procedimento amministrativo di sanatoria
Per
l'art. 44, L. n. 47 del 1985, mod. art. 39, c. 1, L. n. 724 del 1994, la
sospensione temporanea dei procedimenti penali ha prodotto gli effetti in via
generale ed automatica con il semplice legame di attinenza al capo della
sanatoria per il periodo transitorio dalla data di entrata in vigore delle norme
sul condono fino alla scadenza dei termini per la domanda.
Successivamente
per le singole fattispecie in conseguenza della presentazione della domanda
di condono-sanatoria,
purché accompagnata dall'attestazione di versamento anche parziale
dell'oblazione, si è prodotta la conseguente sospensione del
procedimento penale e
del procedimento per le sanzioni amministrative (art. 38, primo comma, della
legge n. 47 del 1985), che si protrae fino al termine implicitamente stabilito
della conclusione della procedura di condono-sanatoria.
Per i
reati contravvenzionali, di cui all'art. 38 L. n. 47 del 1985, il legislatore
ha fatto discendere l'estinzione del reato dalla semplice effettuazione
dell'oblazione integralmente corrisposta (sentenza n. 369 del 1988), anche
qualora le opere non possano conseguire la sanatoria per il combinato disposto
dell'art. 38, c. 2, e dell'art. 39, L. 47 del 1985.
Per
gli altri reati, connessi con interventi edilizi abusivi, relativi alle
violazioni di vincoli paesaggistici, ambientali e culturali, ex art. 38, c. 8, della L. 724 del 1994,
non è prevista una specifica sospensione del procedimento penale qualora la
domanda di sanatoria abbia avuto esito negativo in via amministrativa e sia
sorta contestazione avanti al giudice amministrativo sulla legittimità del
rifiuto. Nello stesso tempo l'effetto estintivo per gli anzidetti reati,
attinenti ai vincoli, non deriva dal pagamento dell'intera oblazione (relativa
al reato propriamente edilizio), ma solo — come già sottolineato — dal rilascio
della autorizzazione (in sanatoria) da parte dell'autorità preposta al vincolo
e del permesso di costruire. La Corte costituzionale ha puntualizzato che in
sede di disciplina positiva si è andato affermando il principio della
separazione dei giudici e della autonomia ed indipendenza della giurisdizione
civile, amministrativa e tributaria da un lato e penale dall'altro, con le sole
previsioni di ipotesi derogatorie tassativamente previste dalla legge,
ritenendosi di privilegiare, anche in sede penale, l'esigenza di sollecita
definizione (68).
5.1 Gli
effetti del condono nel caso di condanna
Il condono edilizio non prevede alcuna
estinzione della pena nell'ipotesi di condanna con sentenza definitiva, ma solo particolari effetti stabiliti
dall'art. 38, c. 3, L. 28 febbraio 1985, n. 47.
Del
condono viene fatta, infatti, annotazione sul casellario giudiziale.
Non
si tiene conto della condanna ai fini della recidiva e della concessione del
beneficio della sospensione condizionale della pena.
Gli
effetti estintivi dell'esecuzione della pena non possono trarsi né da una
volontà implicita del legislatore, orientata, invece, in senso contrario, né
dalla normativa stabilita dal codice di rito in tema di estinzione del reato o
della pena in sede esecutiva, perché gli artt. 672 e 673, c.p.p., concernono
ipotesi ben individuate da queste norme, mentre l'art. 676, c.p.p., riguardo
alcune specifiche fattispecie, normativamente contemplate, fra le quali non è
possibile ricondurre la presentazione della domanda di rilascio di concessione
in sanatoria, in base al capo IV della L. 47/85, ed il versamento
dell'oblazione dovuta.
Il
differente trattamento riservato all'imputato non condannato con sentenza
definitiva non contrasta con l'art. 3 cost., poiché vengono poste a confronto
situazioni diverse che devono essere regolate in maniera difforme anche per
rimarcare la differenza tra questa speciale causa di estinzione e l'amnistia e
l'indulto (69).
6 Gli effetti del permesso di costruire sull'azione
penale
La
giurisprudenza ha ritenuta erronea l'equiparazione del permesso di
costruire in sanatoria, ex art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n.
380, all'istituto
della sanatoria delle opere abusive
disciplinato dal capo IV della stessa L. 47/85 e dall'art. 39, L. 23 dicembre
1994 n. 724, comunemente detto di condono edilizio.
La prima
fattispecie non ha, infatti, effetti estintivi.
Essa
è decisamente diversa da quella stabilita dal capo IV, L. 47/1985, in quanto
sono differenti i presupposti, la disciplina, la natura e la struttura.
Il
meccanismo di estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme
urbanistiche, fissato dall'art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,
contrariamente a quanto stabilito per la procedura di “condono”, non si fonda
su un effetto estintivo proprio connesso al pagamento di una somma a titolo di
oblazione.
Esso
si basa, infatti, sul fatto diverso e successivo dell'effettivo rilascio della
concessione sanante da parte dell'amministrazione previo accertamento di
conformità delle opere abusive non assentite con gli strumenti urbanistici
vigenti nel momento di carattere generale qualificato da una fondamentale
verifica di conformità, non disciplinato da disposizioni transitorie e
caratterizzato da peculiari sbarramenti amministrativi e temporali in un
contesto di rigoroso controllo della sostanziale inesistenza di un danno
urbanistico (70).
È
infatti presupposto essenziale della fattispecie del condono il versamento
dell'oblazione dovuta.
Condizioni
necessarie ed essenziali della concessione in sanatoria sono, invece, che
l'opera eseguita sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di
attuazione approvati e che non vi sia contrasto con gli strumenti adottati al
momento della realizzazione dell'opera nonché al momento della presentazione
della domanda. Essa deve essere proposta entro determinati termini, a seconda
delle diverse tipologie di abuso e, comunque, fino all'irrogazione delle
sanzioni amministrative.
Tale
difformità è ancora più evidente nell'ambito di operatività dell'effetto estintivo
che è limitato al solo reato urbanistico.
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