LE SANZIONI CIVILI E FISCALI PER IMMOBILI ABUSIVI
1 Le sanzioni civili
La
nullità degli atti giuridici relativi ad opere eseguite in assenza di permesso
di costruire è stata regolata dall'art. 46, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (1).
Il
ricevimento o l'autenticazione di atti nulli da parte del notaio costituisce,
inoltre, violazione all'art. 28 della Legge notarile n. 89/1913, che prevede il
divieto di ricevere atti proibiti dalla legge.
1.1 La
nullità degli atti giuridici
È
nullo il contratto di vendita di un immobile che difetti, in violazione
dell'art. 46, D.P.R. n. 380 del 2001, della indicazione del permesso di
costruire o del permesso in sanatoria,
anche se è indicato nell'atto di trasferimento l'intervenuto parere favorevole
della commissione, in quanto è necessario indicare gli estremi formali
dell'ottenuto permesso di costruire (2).
Sotto
il profilo oggettivo la giurisprudenza ha precisato che la nullità degli
atti di trasferimento di edifici costruiti senza permesso di costruire si
estende al trasferimento delle accessioni di tali immobili (3).
La
nullità prevista dagli artt. 17 e 40 della L. 47 del 1985 riveste carattere
formale, e non meramente virtuale, riconducibile nel sistema generale delle
invalidità per l'effetto dell'art. 1418, c. 3, c.c., attesa la funzione di
tutela dell'affidamento dell'acquirente.
È
sufficiente perché l'atto sia nullo che si riscontri la mancata indicazione
nell'atto stesso degli estremi del permesso di costruire, senza che occorra
interrogarsi sulla sua reale esistenza. Con la conseguenza, ancora, che per
ottenere la eventuale conferma si deve redigere un nuovo e distinto atto,
mediante il quale si provveda alla comunicazione dei dati mancanti o
all'allegazione dei documenti, avente i medesimi requisiti formali del
precedente ed in forme che non ammettono equipollenti (4).
L'art.
40, c. 2, L. 47/1985, afferma che non possono essere stipulati gli atti aventi
ad oggetto beni se non risultano per dichiarazione dell'alienante gli estremi
del permesso di costruire ovvero se non viene allegata copia conforme della
domanda in sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate
dell'oblazione ovvero la dichiarazione, inserita in atto, che la costruzione è
iniziata anteriormente al 2 settembre 1967.
È
nullo ai sensi dell'art. 40, L. 28 febbraio 1985, n. 47, il contratto di
compravendita di edificio abusivo al quale non sia allegata copia conforme
della domanda di concessione in sanatoria, ma nel quale si confermi
semplicemente la avvenuta presentazione della stessa.
La sanzione della nullità di
vendita di immobili abusivi si applica ai contratti preliminari?
La
sanzione di nullità stabilita dall'art. 40 della L. 28 febbraio 1985, n. 47,
per i contratti relativi a trasferimenti immobiliari che non contengano l'ivi
prevista dichiarazione concernente la regolarità della situazione dell'edificio
di cui trattasi rispetto alla disciplina urbanistica, si applica con esclusivo
riguardo ai contratti con effetti reali, non anche a quello con effetti
obbligatori, come i contratti preliminari di vendita (5).
I
contratti dalla efficacia meramente obbligatoria, quale un preliminare di
vendita, restano, pertanto, disciplinati dall'art. 15, L. 10 del 1977, secondo
il quale la nullità di tali contratti, se relativi ad immobili privi di concessione,
può essere fatta valere in giudizio solo ove il promissario acquirente risulti
essere stato a conoscenza della circostanza della mancata concessione, e tale
conoscenza emerga inequivocamente dal contenuto dall'atto (6).
Nell'ipotesi
di acquisto di immobile in sede di esecuzione, il termine di presentazione
dell'istanza di condono edilizio resta aperto per espressa voluntas legis; sicché è precluso alla p.a. procedere, in via
sanzionatoria, circa eventuali abusi edilizi (7).
1.2 Gli
effetti del rilascio della concessione in sanatoria sulla nullità degli atti
Gli
effetti del rilascio della concessione in sanatoria sulla nullità degli atti
sono precisati dall'art. 2, c. 57 e c. 58, della L. 23 dicembre 1996, n. 662.
L'art.
2, c. 57, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, prevede due distinte ipotesi.
La
prima ipotesi si verifica qualora la nullità non sia ancora stata dichiarata,
nel qual caso gli atti acquistano validità di diritto ed il giudice nel corso
del processo deve acclarare tale nuova condizione giuridica ex lege.
Si ha la validità di diritto degli atti di disposizione tra vivi di costruzione
difforme dalla licenza, ovvero trasformata senza autorizzazione, se,
successivamente al negozio, è stata rilasciata la concessione in sanatoria — ai sensi dell'art. 39, L. 23 dicembre
1994, n. 724, come integrato dall'art. 2, da c. 37 a 59, L. 23 dicembre 1996 n.
662 — e la nullità comminata dagli art. 17 e 40, c. 2, L. 28 febbraio 1985, n.
47, non è ancora stata dichiarata con sentenza passata in giudicato; se
costituisce ius superveniens si
applica in ogni stato e grado del giudizio, anche in Cassazione.
La
giurisprudenza ha ritenuto necessario, sul piano processuale, per applicare lo ius superveniens, che si impone in ogni
stato e grado del giudizio, consentire la produzione di documenti o effettuare
accertamenti di fatto, non ottenibili o non indispensabili nella vigenza della
precedente disciplina, ed invece rilevanti ed idonei per quella successiva alla
sentenza impugnata.
Nella
specie è stata cassata con rinvio la decisione di appello dopo l'entrata
in vigore della L. 23 dicembre 1996 n. 662, che all'art. 2, c. 57, dispone la
validità di diritto degli atti di disposizione tra vivi di costruzione difforme
dalla licenza ovvero trasformata senza autorizzazione, poiché, successivamente
al negozio, è stata rilasciata la concessione in sanatoria e la nullità non è
ancora stata dichiarata con sentenza passata in giudicato (8).
La
seconda ipotesi si verifica qualora la nullità sia stata dichiarata con
sentenza passata in giudicato e trascritta.
La
sanatoria retroattiva può essere richiesta solo su accordo delle parti, con
atto successivo contenente gli allegati di cui all'art. 40, L. 47/1985.
La
sanatoria è inibita da successive trascrizioni intervenute a favore di terzi.
L'art.
2, c. 58, L. 23 dicembre 1996, n. 662, modifica i requisiti per la valida
rogazione degli atti di fabbricati o loro porzioni privi di concessione.
Dall'atto
notarile, pena la nullità, devono risultare:
— gli
estremi della domanda di condono con gli estremi di versamento dell'intera
somma dovuta a titolo di oblazione o di contributo concessorio;
— il
parere favorevole dell'autorità preposta al vincolo, ove la sanatoria sia
subordinata ad esso.
Nel
caso di mancato rilascio il silenzio equivale a diniego e può essere impugnato
al T.A.R., qualora il parere relativo non sia emesso entro 180 giorni dalla
domanda, ai sensi dell'art. 2, c. 44, L. 23 dicembre 1996, n. 662.
Nel
caso in cui si verifichi il silenzio assenso, disciplinato dall'art. 39, c. 4,
della L. 23 dicembre 1994, n. 724, nei predetti atti devono essere indicati, a
pena di nullità, i seguenti elementi costitutivi dello stesso: data della
domanda, estremi del versamento di tutte le somme dovute, dichiarazione
dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli nei casi di cui al periodo
precedente, dichiarazione di parte che il comune non ha provveduto ad emettere
provvedimento di sanatoria nei termini stabiliti nell'art. 39, c. 4, della L.
724/1994.
Nei
successivi atti negoziali è consentito fare riferimento agli estremi di un
precedente atto pubblico che riporti i dati sopracitati.
Quali effetti produce la
intervenuta sentenza di nullità passata in giudicato?
Qualora
sia intervenuta la sanatoria edilizia di cui all'art. 39 legge n. 724
del 1994, la convalida degli atti di trasferimento relativi a beni immobili
abusivi prevista dall'art. 2, c. 57, L. n. 662 del 1996, è esclusa soltanto
quando la sentenza che dichiara la nullità sia passata in cosa giudicata.
A
prescindere dal fatto che in generale una pronuncia di natura dichiarativa non
può produrre effetti se non in quanto sia divenuta definitiva, il secondo
periodo dello stesso art. 2 n. 57 della legge citata, nello stabilire che “ove
la nullità sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato e trascritta
può essere richiesta la sanatoria retroattiva sull'accordo delle parti”,
prevede tale eccezionale rimedio convalidante soltanto per le nullità
dichiarate con sentenza irrevocabile, sicché lo stesso deve logicamente
ritenersi non necessario quando la pronuncia dichiarativa dell'invalidità non
sia divenuta definitiva (9).
1.2.1 L'obbligo
di eseguire un contratto di compravendita in carenza del permesso di costruire
La
giurisprudenza ha tratto come conseguenza la inapplicabilità dell'art. 2932
c.c. in carenza degli estremi del permesso di costruire.
In
assenza della dichiarazione, nel contratto preliminare o in un atto
successivamente prodotto in giudizio, degli estremi del permesso di costruire
e/o del permesso di costruire in sanatoria dell'abuso edilizio, il giudice non
può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su
edifici o loro parti, prevista dall'art. 2932 c.c.
Il
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, richiede le predette dichiarazioni o
allegazioni a pena di nullità per la stipulazione degli atti tra vivi aventi
per oggetto diritti reali, che non siano di servitù o di garanzia, relativi ad
edifici o loro parti. Esso indirettamente influisce anche sui presupposti
necessari per la pronuncia della sentenza di esecuzione in forma specifica del
preliminare di una vendita immobiliare che, avendo funzione sostitutiva di un
atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello
che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che, comunque, eluda le
norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l'autonomia
negoziale delle parti.
Detto
limite, considerato l'interesse pubblico all'ordinata trasformazione del
territorio e le peculiari caratteristiche della sentenza e l'autorità del
giudicato che questa è destinata ad acquistare, incide direttamente sulle condizioni
dell'azione prevista dall'art. 2932 c.c., senza alcun rilievo dell'astratta
possibilità di una successiva sanatoria della nullità, e va conseguentemente
rilevato d'ufficio ed anche in sede di legittimità, sempre che la soluzione
della questione relativa alla sua esistenza non richieda indagini non compiute
nei precedenti gradi di giudizio e siano acquisiti agli atti tutti gli elementi
di fatto dai quali esso possa desumersi (10).
1.2.2 Lo
scioglimento della comunione relativa ad immobili abusivi
La nullità si applica anche
alle divisioni inter
vivos?
La
sanzione della nullità si applica agli atti di trasferimento o di costituzione
o scioglimento della comunione di diritti reali relativi ad edifici costruiti
dopo l'entrata in vigore della presente legge, esclusi i diritti reali di
garanzia o di servitù.
Sul
punto la giurisprudenza si divide; alcune decisioni giurisprudenziali
confermano che deve essere rigettata la domanda di scioglimento della comunione
immobiliare, ove i beni interessati risultino abusivi e non condonati, ancorché
si tratti di giudizio di divisione provocato da un'espropriazione di un bene
indiviso (11).
La
comminazione della sanzione della nullità per gli atti inter vivos sopra detti risponde alla ratio pubblicistica di impedire il consolidarsi di gravi violazioni
urbanistiche mediante la circolazione dei beni abusivi, circolazione ritenuta
confliggente con l'interesse superindividuale ad un ordinato assetto del
territorio.
Altra
giurisprudenza afferma, invece, che può procedersi alla divisione dei beni,
ancorché gli stessi risultino abusivi dal punto di vista urbanistico e non
assoggettati a condono (12).
La nullità si applica anche
alle divisioni mortis causa?
Lo
scioglimento giudiziale della comunione ereditaria ha natura costitutiva ed è
equiparabile ad un atto inter vivos,
anche se trae origine dalla morte di un soggetto. La domanda di divisione deve
essere respinta se l'immobile da dividere è in tutto o in parte abusivo (13).
La
giurisprudenza di merito maggioritaria ritiene che osti a tale divisibilità
il disposto di cui all'art. 46, D.P.R. 2001, n. 380, a mente del quale gli atti
tra vivi — redatti sia in forma pubblica sia in forma privata — aventi per
oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti
reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo
l'entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere
stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli
estremi del permesso di costruire o della concessione in sanatoria ovvero il
disposto di cui all'art. 40 della stessa legge che analogamente dispone per gli
abusi edilizi realizzati prima della sua entrata in vigore in mancanza di
presentazione della concessione in sanatoria ovvero della relativa istanza
accompagnata dal versamento della rate di oblazione previste. La tesi della non
divisibilità della comunione ereditaria, tuttavia, è stata sconfessata dalla
Corte di Cassazione secondo cui la sanzione in questione, stando al tenore
letterale della norma, trova applicazione unicamente con riferimento agli atti
tra vivi, con esclusione di quelli mortis
causa, tra cui dovrebbe annoverarsi lo scioglimento della comunione
ereditaria (14).
Sempre
secondo tale pronunzia, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte
del de cuius, costituisce l'evento
terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può
considerarsi autonoma. La conferma della natura derivata della divisione
ereditaria sarebbe data dall'art. 757, c.c., che assegna efficacia retroattiva
alle attribuzioni scaturenti dall'atto divisionale. Si osserva, peraltro, che
diversamente opinando si perverrebbe ad irragionevoli differenze di trattamento
rispetto a situazioni sostanzialmente omogenee, non potendosi in alcun modo
giustificare l'esigenza dell'applicazione della norma in esame alla divisione
ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione operata dal testatore
oppure l'applicazione della norma in ipotesi di attribuzione ereditaria di un
edificio a più soggetti e la non applicazione nell'ipotesi di attribuzione
ereditaria dello stesso edificio ad un solo soggetto. L'argomento principale
della tesi sopra esposta è, dunque, la natura mortis causa dello scioglimento della comunione ereditaria, in
quanto mero atto dipendente dall'apertura della successione e dall'efficacia
dichiarativa. Contrariamente, si nota che la pronunzia giudiziale di
scioglimento della divisione, avendo funzione suppletiva di quella negoziale,
di certo incontra gli stessi limiti di quest'ultima, poiché altrimenti
opinando si finirebbe per attribuire alla prima una funzione elusiva delle
norme imperative che governano la seconda.
È
stato osservato, poi, che la divisione ereditaria giudiziale al pari di quella
amichevole non è equiparabile od assimilabile ad un atto mortis causa, sebbene dalla morte di un soggetto tragga la sua
causa remota (15). Con l'apertura della successione,
infatti, i coeredi divengono, sin da tale momento, titolari del diritto ad una
quota ideale del tutto, ma le operazioni divisionali (sia amichevoli che
giudiziali) sono volte a trasformare tali diritti già acquisiti su quote ideali
in diritti di proprietà individuali sui singoli beni; sono, quindi, diritti di
proprietà che nascono da un'autonoma iniziativa di soggetti diversi dal de cuius (16). Qui si nota la differenza sostanziale con
la non omogenea ipotesi della divisione operata dal testatore, laddove
l'attribuzione di singole proprietà è operata direttamente dal de cuius, di guisa che essa prescinde da
una vera e propria comunione. La tesi della natura meramente dichiarativa dello
scioglimento della comunione ereditaria, sottesa alla pronunzia della Corte, è
del resto attualmente recessiva in dottrina ove si sottolinea la sostanziale
identità nella sistematica del codice del negozio di divisione, a prescindere
dalla fonte della comunione inter vivos o
mortis causa, e la sua natura
costitutiva.
A
tale configurazione non sembrerebbe ostare il disposto di cui all'art. 757
c.c., in forza del quale il coerede è reputato immediato successore in tutti i
beni attribuitigli in seguito alla divisione poiché tale disposizione si
limita, con una fictio iuris e per
ragioni di certezza nella circolazione dei beni giuridici, a far retroagire gli
effetti costitutivi della stessa. Lo stesso tenore letterale della norma, a
mente della quale il coerede si reputa e non già è coerede, deporrebbe per
l'esclusione della natura meramente dichiarativa della sentenza di divisione.
Né, infine, la tesi della natura costitutiva della divisione anche ereditaria
sembra comportare una irragionevole disparità di trattamento tra l'ipotesi
dell'attribuzione di un bene a più coeredi e quella della sua attribuzione ad
un solo soggetto. In tale ultima ipotesi, infatti, mancando la comunione, manca
anche il negozio di scioglimento che rientra tra gli atti vietati dalla norma de qua la quale non sanziona l'abusività
in sé, ma sancisce la nullità del conseguente traffico giuridico. Anche a non
volere condividere la tesi della natura di atto inter vivos del negozio di scioglimento della comunione
ereditaria, è certo che nell'ipotesi, come quella di specie, in cui lo
scioglimento debba avvenire non già mediante
attribuzione di singoli beni ai condividenti ovvero con assegnazione del tutto
indivisibile ad un coerede richiedente, ma mediante vendita giudiziale non può
sostenersi la non applicabilità dell'art. 46, D.P.R. 380/2001. In questo caso
lo scioglimento della comunione passa per l'atto di vendita ad un soggetto
terzo, il quale all'evidenza è estraneo alla vicenda successoria; il suo
acquisto non può di certo essere qualificato mortis causa per il semplice fatto che i suoi danti causa hanno
acquistato il bene in via ereditaria (17).
1.3 Il
certificato di destinazione urbanistica
Gli
atti relativi al trasferimento o alla costituzione o allo scioglimento di
diritti reali relativi a terreni sono nulli ove agli stessi non sia allegato il
certificato di destinazione urbanistica, fatta eccezione per le pertinenze
inferiori ai 5.000 metri quadrati.
Il
certificato di destinazione urbanistica deve contenere tutte le prescrizioni
urbanistiche riguardanti l'area interessata, ex art. 30, c. 2, D.P.R. 380/2001.
La
nullità degli atti di trasferimento di terreni per la mancata allegazione del
certificato di destinazione urbanistica è formale, assoluta e rilevabile
d'ufficio in ogni stato e grado del processo e riguarda tutti i terreni,
ancorché non frazionati, indipendentemente dalla loro estensione e anche quando
non sia presa in considerazione una fattispecie lottizzatoria (18).
La
norma non prevede la possibilità di conferma di un precedente atto di
compravendita di terreni, nullo per omessa allegazione di certificato di
destinazione urbanistica, mediante un atto redatto nella stessa forma del precedente
cui sia allegato un certificato contenente le prescrizioni urbanistiche
riguardanti le aree, relativamente al giorno in cui è stato stipulato l'atto da
confermare (19).
Diversamente
l'allegazione del certificato scaduto di validità, addebitabile a mero errore
dei collaboratori del notaio, anche se il professionista era già in possesso al
momento del rogito di un nuovo e valido certificato di destinazione
urbanistica, comporta la nullità dell'atto e l'infrazione disciplinare solo se
non vi è stata alcuna conferma negoziale postuma (20).
È sanabile la nullità?
L'allegazione
ad atto pubblico di compravendita di terreni di certificato di destinazione
urbanistica non aggiornato e non integrato dall'alienante con la prescritta
dichiarazione di attualità è causa di invalidità dell'atto stesso. La nullità è
sanabile, a norma dell'art. 30, c. 4-bis,
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, se anche una sola delle parti lo confermi o lo
integri nelle forme previste (21).
La sanzione della nullità di
vendita di terreni privi di certificato di destinazione urbanistica si applica
ai contratti preliminari?
La
nullità degli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento, la
costituzione o lo scioglimento della comunione di diritti reali relativa a
terreni, quando a essi non sia allegato il certificato di destinazione
urbanistica contenente le prescrizioni riguardanti l'area interessata —
prevista dall'art. 30, c. 2, D.P.R. 380/2001 — si riferisce esclusivamente ai
contratti che, di per sé, determinano l'effetto reale indicato dalla norma e
non anche a quelli con effetti obbligatori, come il contratto preliminare di
compravendita. Deriva da quanto precede, pertanto, che il preliminare, come
anche la denuntiatio in tema di
prelazione agraria, è valido pur non contenendo la dichiarazione di cui
all'art. 46, D.P.R. 380/2001, salva l'esigenza di allegazione del certificato
di destinazione urbanistica per la stipulazione del contratto definitivo o per
la sentenza di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto
definitivo, di cui all'art. 2932 c.c. (22).
1.4 Le
sanzioni a carico dei notai
Il
notaio è obbligato a richiedere le attestazioni sopra esaminate.
Il
ricevimento o l'autenticazione di atti nulli costituisce violazione all'art. 28
della Legge notarile n. 89 /1913, che prevede il divieto di ricevere atti
proibiti dalla legge.
Il
D.P.R. 380/2001 estende il divieto nel caso di compravendite immobiliari anche
alle autenticazioni.
L'infrazione
al divieto nelle ipotesi sopra esaminate comporta l'applicazione della sanzione
della sospensione dall'esercizio della professione da sei mesi ad un anno,
salva l'azione da parte dell'acquirente di responsabilità civile nei confronti
del professionista.
Naturalmente
la responsabilità notarile non sussiste qualora il venditore
abbia reso dichiarazioni mendaci che sono imputabili a chi le ha pronunciate.
Il
notaio non ha quindi un obbligo di verifica che le dichiarazioni rese
corrispondano alla situazione esistente, ma un obbligo di verifica formale
delle dichiarazioni rese.
La
giurisprudenza ha precisato che il notaio che abbia autenticato le
sottoscrizioni delle parti in calce ad una scrittura privata di vendita di una
unità immobiliare compresa in un edificio, senza avere ricevuto dalle parti un
incarico specifico di assistenza e consulenza, non può essere considerato
responsabile di una dichiarazione invalida resa dalla parte, relativamente alla
rispondenza dello stato di fatto della singola porzione immobiliare al permesso
di costruire inerente all'intero edificio.
La
fede privilegiata propria dell'atto notarile non si estende al contenuto delle
dichiarazioni rese dalle parti onde non è configurabile alcuna attività
obbligatoria di accertamento da parte del notaio, che non ne abbia ricevuto
specifico incarico, sulla veridicità delle dichiarazioni stesse e quindi non vi
è alcuna sua responsabilità per la successiva accertata invalidità dell'atto
derivante da loro inidoneità (23).
Per
la giurisprudenza le conseguenze negative dell'omessa allegazione al rogito di
vendita di fabbricato di copia conforme della domanda di sanatoria sono
impedite dalla successiva produzione di atto di conferma che preclude anche
l'applicazione di una sanzione disciplinare nei confronti del notaio rogante (24).
La sanzione a carico del
notaio è applicabile qualora la legge non preveda la nullità assoluta, ma una
invalidità sanabile?
La
giurisprudenza ritiene che il divieto di ricevere atti espressamente proibiti
dalla legge riguarda gli atti affetti da nullità assoluta e non da mera
annullabilità, inefficacia o nullità relativa.
La
sanzione prevista dalla legge notarile non è applicabile a carico del notaio
che abbia allegato ad un atto pubblico di compravendita un certificato di
destinazione storico-urbanistica non riportante la destinazione attuale della
particella compravenduta, trattandosi di atto di cui l'art. 30, c. 4 bis, D.P.R. n. 380 del 2001 non prevede
la nullità assoluta, ma una invalidità sanabile, stante la possibilità di una
sua conferma o integrazione anche ad opera di una sola delle parti o dei suoi
aventi causa.
Qualora
sia esclusa la nullità dell'atto, il comportamento del notaio rogante non
integra l'illecito disciplinare di cui agli artt. 28 e 138, L. 89 del 1913 (25).
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