Immigrazione. Decreto Minniti
Il Consiglio dei ministri del 10
febbraio 2017 ha varato due decreti legge: uno sull’immigrazione e uno sulla
sicurezza urbana, mai messi in relazione nella conferenza stampa successiva
eppure certo non casuali perché il segnale che si vuole mandare è ordine e
sicurezza.
Un concetto da sempre considerato
“di destra” e che invece da sempre è un pallino di Minniti.
La sicurezza urbana “è un grande
bene pubblico” ha detto il ministro negando che ci sarà un “sindaco sceriffo”.
I sindaci avranno più poteri di
ordinanza sulla vendita di alcolici, sugli esercizi pubblici e sul decoro
urbano: si vuole mettere un freno alla movida notturna che nelle città è causa
di violenze e incidenti.
Le questure potranno impedire a
soggetti che hanno deturpato beni pubblici o sono stati condannati per spaccio
di droga a non frequentare determinate zone per un anno o più. Ci sarà una
maggiore cooperazione tra prefetti e comuni e, nel caso delle città
metropolitane, nascerà un Comitato metropolitano con a capo il sindaco.
Dopo l’annuncio delle misure
prese in Consiglio, lo stesso Calderoli e altri esponenti dell’opposizione
hanno calcato la mano sulla necessità di fermare le partenze, vero tasto
dolente: i 6 miliardi dati dall’Ue alla Turchia sono lì a ricordarlo.
Trasformare il fenomeno
dell’immigrazione da irregolare e gestito da criminali a regolare, cioè
arrivando in modo sicuro e controllato, è l’ambiziosissimo obiettivo del
decreto legge così come spiegato dal presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Finora, dei 40 mila da
ricollocare entro settembre 2017, l’Ue ne ha presi solo 3.200 anche se la
Germania, disse Minniti in quell’audizione, ne accetterà 500 al mese.
I punti centrali sono due:
l’istituzione dei Cpr, più piccoli e facili da gestire e dove il Viminale potrà
fare ispezioni per verificarne la gestione, e la velocizzazione delle pratiche
sulle richieste di asilo. Ci saranno norme per rendere più rapide ed effettive
le espulsioni e su questo, naturalmente, sarà fondamentale stipulare accordi
con altri paesi di provenienza oltre ai pochi già in vigore.
Il ministro della Giustizia,
Andrea Orlando, ha spiegato che le procedure davanti alle commissioni
territoriali per verificare il diritto o meno all’asilo saranno modificate con
l’introduzione di una sorta di rito camerale e la videoregistrazione
dell’interrogatorio: in caso di ricorso, viene abolito l’appello e si potrà
ricorrere in Cassazione se anche il Tribunale dovesse negare il diritto.
I tempi per la decisione prima di
ricorrere in Cassazione vengono ridotti da sei a quattro mesi. Oggi il 44 per
cento delle domande viene respinto e la prospettiva, secondo il ministro, è che
velocizzando l’iter le pratiche diminuiranno perché molti migranti oggi
presentano la domanda anche se sanno che non sarà mai accolta, ma lucrando una
lunga permanenza.
I Comuni, utilizzando i fondi
europei destinati all’immigrazione e all’asilo, possono favorire lavori con
finalità sociali da parte dei migranti, ma volontari e gratuiti.
Questa è una pecca perché, come
avviene in altri Paesi europei, sarebbe stato giusto prevedere l’obbligo di
un’attività in cambio dell’accoglienza pur se temporanea: l’immigrato di buona
volontà già svolge lavori in tanti piccoli Comuni, chi invece non ha voglia di
lavorare e spera solo nella buona sorte continuerà a bivaccare nei centri di accoglienza
e nelle città.
Cambiare l’approccio interno sarà
importante, ma poco utile se sul fronte internazionale non si sbloccherà la
situazione libica e se l’Ue non si farà carico di molte migliaia di migranti
come promesso. La Libia rappresenta un groviglio diplomatico quasi
inestricabile e se i libici non lo chiederanno apertamente (come non hanno
intenzione di fare) è del tutto inutile continuare a polemizzare in Italia
sulla necessità della cosiddetta fase 2-B dell’operazione Eunavfor Med: non
possiamo entrare nelle loro acque territoriali senza permesso. formiche.net/2017/02/11/
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