Parte
Seconda
I beni
patrimoniali
Capitolo ottavo
I beni patrimoniali indisponibili.
Guida bibliografica.
1.
La classificazione.
La dottrina ha proposto una distinzione nell'ambito
dei beni patrimoniali indisponibili al fine di caratterizzare il diverso regime
giuridico dei due gruppi di beni.
L'attribuzione della qualifica avviene ab origine,
indipendentemente da un atto amministrativo che la attribuisca; in ogni caso
l'atto amministrativo non ha effetto costitutivo, ma solo dichiarativo poiché
il bene appartiene al patrimonio indisponibile di per se stesso. Gli altri
beni sono classificati come beni destinati a servizio o funzione pubblica.
Essi appartengono al patrimonio indisponibile in forza
di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione che assegna
concretamente il bene ad un servizio pubblico. Landi, Potenza e Italia 1999,
118.
1. Il patrimonio indisponibile delle regioni.
La dottrina rileva che il patrimonio indisponibile
delle regioni a statuto speciale non sempre è più ricco di quello delle regioni
a statuto ordinario. Sandulli 1984, 755.
2. Le miniere.
Secondo la dottrina il ciclo della vita giuridica
delle miniere si articola in quattro distinti momenti. In un primo tempo ogni
giacimento è semplicemente parte del sottosuolo. Esso non costituisce ancora un
bene a sé, ma un complesso di sostanze minerali che fa parte del sottosuolo. Il
bene a tal punto non può formare oggetto di un diritto di proprietà disgiunto
dalla proprietà del suolo.
Tale situazione persiste fino a che il bene non sia
ricercato, scoperto e individuato. Solo dopo l’individuazione diventa miniera.
In un secondo momento, dopo che sono state scoperte
le sostanze minerali, queste si configurano come bene distinto dalla restante
proprietà ed appartenente allo Stato.
Il terzo momento vede sorgere, per effetto della
concessione rilasciata dall’autorità amministrativa competente, un diritto
soggettivo di godimento.
In un quarto momento, dopo che è stato esaurito lo
sfruttamento, la miniera diventa ancora parte del sottosuolo. Guicciardi 1934,
124.
2.1. Le cave.
Le cave, in particolare, fanno parte del patrimonio
indisponibile solo dopo l'atto della pubblica amministrazione che ne sottrae
d'autorità la disponibilità al proprietario del fondo.
Le funzioni in materia di cave, attribuite alle
regioni dall'art. 117 della Costituzione, concorrono con la competenza loro
assegnata in materia urbanistica.
La coltivazione di cave è disciplinata dalla
legislazione regionale che ha regolato sia il procedimento pianificatorio sia
il rilascio della autorizzazione alla coltivazione, di norma interessando la
provincia ed il comune nel quale la coltivazione viene effettuata.
La redazione dei piani delle cave è demandata
dall'art. 3, l. r. Lombardia 30.3.1982, n. 18, e mod. alle province. Francario
1997, 70.
3. Le foreste.
Secondo la dottrina i vincoli forestali impongono a
certi terreni l’obbligo della coltura boschiva. L’obbligo è giustificato da
ragioni idrogeologiche tese a consolidare il corretto regime delle acque.
Sandulli 1984, 142
4. Le cose mobili di interesse culturale.
Il procedimento di verifica del patrimonio dei beni
culturali di proprietà degli enti pubblici è teso ad accertare se esso debba
essere mantenuto ancora di proprietà pubblica o se esso debba fare parte del
patrimonio disponibile. Tamiozzo 2005, 78.
5. Le caserme e gli armamenti.
La dottrina intende per caserma ogni edificio
destinato al comando e ad alloggio di truppe di corpi militari, con
destinazione duratura. Non possono essere, ad esempio, considerate caserme gli
alloggi provvisoriamente requisiti. Sandulli 1960, 373.
6. La dotazione della Presidenza della Repubblica.
Rientra nella dotazione del Presidente della
Repubblica anche la somma annua posta a carico del bilancio statale per le
spese inerenti alle funzioni presidenziali e all’amministrazione della
dotazione, ex art. 1, l. 1077/1948 e mod.
7. I beni destinati ad un pubblico servizio.
Vi sono beni che assumono il carattere
dell’indisponibilità per l’appartenenza ad un ente pubblico indipendentemente
dalla loro destinazione, mentre altri acquistano il carattere della demanialità
perché sono destinati ad un pubblico servizio. Sandulli 1984, 758.
8. La fauna selvatica.
Per la dottrina i singoli capi di selvaggina sono res
nullius, ma sono suscettibili di acquisizione nei limiti previsti dalla
legge. Sandulli 1984, 739.
9. Il patrimonio indisponibile delle province e
dei comuni.
Le provincie ed i comuni si occupano direttamente
della gestione dei beni di proprietà provinciale appartenenti al patrimonio
indisponibile dell'Ente come gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, i
loro arredi e gli altri beni destinati al pubblico servizio quali caserme dei
Carabinieri o Istituti Scolastici. Resta 1964, 114.
10. Il patrimonio comunale indisponibile di aree
di piano di zona per l’edilizia economica e popolare.
L'inclusione di un fondo in un piano per l'edilizia
economica e popolare, debitamente approvato a norma dell'art. 8 della l.
18.4.1962, n. 167, implica la degradazione ad interesse legittimo del diritto
dominicale del proprietario del fondo stesso, avendo tale approvazione il
valore di dichiarazione di pubblica utilità, nonché di urgenza e
indifferibilità delle opere in esso contemplate.
L'approvazione del piano comporta l'automatica
dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità ed urgenza delle opere che
consentono l'immediata espropriazione e l’acquisizione dell’area al patrimonio
indisponibile del comune. Centofanti 2005, 594.
11. Il patrimonio comunale indisponibile di alloggi
di edilizia residenziale pubblica. La cessione degli alloggi e.r.p.
Gli immobili destinati all’edilizia residenziale
pubblica fanno parte del patrimonio indisponibile del comune.
Essi acquisiscono tale finalità in relazione ad un
provvedimento amministrativo programmatorio del comune, che ne determina la
collocazione nel patrimonio indisponibile dell’ente locale e non per
particolari caratteristiche oggettive dei beni che hanno una funzione
residenziale che può essere sia privata che pubblica.
La finalità di destinazione può essere acquisita
anche attraverso la concessione di un finanziamento statale o regionale che
comporta l’automatico inserimento nel patrimonio di e.r.p.
Gli alloggi sono assegnati in locazione a prezzo
determinato dalla legislazione regionale. Narducci 2006, 3130.
12. Il piano di cessione. I requisiti
dell’assegnatario.
Ai fini del trasferimento della proprietà di alloggi
di edilizia popolare ed economica, non è sufficiente che sia stato completato
il pagamento del prezzo, ma occorre che sia perfezionata quell’attività
negoziale che implica il riconoscimento, da parte dell’istituto, dell’esistenza
dei presupposti fissati dalla normativa per l’esercizio del diritto
dell’assegnatario al trasferimento stesso.
L’amministrazione può, quindi, procedere a
dichiarare la decadenza dal diritto di cessione per mancanza dei requisiti
relativi all’assegnazione dell’alloggio nei casi previsti come estintivi
dell’efficacia dell’originario atto di assegnazione.
Sul punto è conforme la giurisprudenza che afferma
che il potere dell’ente gestore di disporre la decadenza o revoca
dell’assegnazione, in caso di inadempienza dell’assegnatario ai suoi obblighi -
quale quello di occupare stabilmente l’alloggio e non cederlo a terzi - deve
essere riconosciuto, anche nella disciplina introdotta dalla l. 8.8.1977, n.
513, e dalla l. 5.8.1978, n. 457, indipendentemente dalla maturazione dei
presupposti per l’acquisto della proprietà e dalla presentazione della relativa
domanda, fino a quando non si perfezioni l’acquisto stesso con il trasferimento
del bene. Cass. civ., sez. I, 29.3.2000, n. 3777, RGE, 2000, I, 606.
12.1. Le opere edilizie abusive.
Le opere abusivamente eseguite su terreni sottoposti
a vincolo di inedificabilità e le opere eseguite in totale difformità dal
permesso di costruire - che portano alla realizzazione di un organismo edilizio
diverso da quello indicato nel provvedimento o soggetto a varianti cosiddette
essenziali rispetto al progetto approvato, così come determinato dalle regioni
- sono oggetto del provvedimento di acquisizione. Centofanti 2005, 1065.
12.2. Le occupazioni abusive.
L’amministrazione, qualora utilizzi un bene immobile
in assenza di titolo, ha il potere di decidere di acquisire un’area al suo
patrimonio indisponibile, basandosi su una valutazione discrezionale,
sindacabile in sede giurisdizionale, con la particolarità che non viene meno il
diritto al risarcimento del danno. Centofanti 2006, 644.
12.3. I beni confiscati alla mafia.
Per la giurisprudenza è del tutto legittimo nel caso
di beni confiscati in favore dei comuni l'impiego da parte dell’ente di
strumenti di autotutela, destinati proprio a far fronte all'illegittimo uso dei
beni destinati al pubblico servizio di cui all'art. 826, 3° co., c.c.
Essa ravvisa un necessario collegamento tra
destinazione a pubblico servizio, natura di bene patrimoniale indisponibile e
conseguente potere di autotutela della pubblica amministrazione. ex multis
Cons. St., sez. IV, 15.3.2000, n. 1394.
13. Il patrimonio indisponibile delle Aziende
regionali per l’edilizia residenziale.
La legislazione regionale disciplina le funzioni
amministrative regionali e locali in materia di edilizia residenziale pubblica,
definendo i compiti delle regioni, dei comuni e degli IACP che alcune regioni
denominano aziende per l’edilizia residenziale accentuandone la sfera
privatistica.
La l.r. Lazio 6.6.1999, n. 12, all’art. 5, conferma
gli IACP come esecutori del piano annuale edilizio per i fondi loro assegnati e
come organi deputati alla gestione tecnico-amministrativa ed economica del
patrimonio di alloggi di edilizia residenziale pubblica destinati
all’assistenza abitativa.
L’art. 5, l.r. Lombardia 10.6.1996, n. 13, ha
disegnato le aziende come gli enti istituzionalmente competenti per soddisfare
il fabbisogno di edilizia residenziale pubblica nel quadro della programmazione
regionale.
L’art. 3, l.r. Toscana 3.11.1998, n. 77, afferma,
invece, che gli enti attuatori degli interventi di edilizia residenziale pubblica
sono i comuni, cui è trasferito il patrimonio immobiliare di proprietà delle
aziende. Narducci 2006, 3099.
14. Il passaggio dal patrimonio indisponibile a
quello disponibile.
La giurisprudenza ritiene che la competenza a
deliberare in ordine al passaggio di un bene da una categoria ad un'altra
rientra nella competenza del Consiglio degli enti locali. Ad esso, infatti,
l'art. 32, lett. m, l. 8.6.1990, n. 142, vigente all'epoca dei fatti in
questione, ha rimesso i compiti relativi agli acquisti ed alle alienazioni
immobiliari, le relative permute, gli appalti e le concessioni che non siano
previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne
costituiscano mera esecuzione. In tale ambito debbono essere fatti rientrare
quegli atti che, disponendo il passaggio del bene al patrimonio disponibile,
distolgano lo stesso dal servizio pubblico cui era adibito. Nel caso di specie
si tratta del passaggio di un bene al patrimonio disponibile di un comune. T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 9.2.2005, n. 104, FATAR, 2005, 2 522.
15. Il regime dei beni patrimoniali indisponibili.
La dottrina nota che, mentre i beni demaniali sono
caratterizzati dalla inalienabilità assoluta, i beni patrimoniali indisponibili
hanno come caratteristica la inalienabilità relativa ossia possono essere
alienati qualora perdano la loro destinazione. Sandulli 1984, 778.
La giurisprudenza considera che la non
assoggettabilità ad esecuzione dei beni del patrimonio indisponibile concreta
un'ipotesi di limitazione della responsabilità patrimoniale, inquadrabile nel
disposto dell'art. 2740, c.c.
1.
La classificazione.
I beni patrimoniali indisponibili appartengono istituzionalmente
agli enti pubblici territoriali - Stato, province e comuni - e non potrebbero
essere posseduti da altri essendo beni patrimoniali indisponibili per loro
propria vocazione naturale.
Essi sono le miniere, le acque minerali e termali, le
cave e le torbiere, ex art. 826, 2° co., c.c., r.d. 29.7.1927, n. 1443,
l. 6.10.1982, n. 752; le cose di interesse archeologico, paleontologico ed
artistico che una volta scoperte, da chiunque ed in qualsiasi modo, entrano a
fare parte del patrimonio indisponibile dello Stato, d.lg. 42/2004; e, da
ultimo, la fauna selvatica, l. 27.12.1977 n. 968.
1. I beni appartenenti allo Stato, alle province e
ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli
precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle
province e dei comuni.
2. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello
Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio
forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità
ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico,
archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in
qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della
Presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari
e le navi da guerra.
3. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello
Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza,
gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri
beni destinati a un pubblico servizio.
(art. 826, c.c.).
Per altri beni la caratteristica della indisponibilità
deriva dalla loro appartenenza al demanio.
Essi sono le foreste demaniali dello Stato, ex
art. 826, 2° co., c.c. e d.l. 30.12.1923, n. 3267, ora trasferite al demanio
regionale, d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
Altri beni assumono il carattere della indisponibilità
perché, oltre che appartenenti allo Stato, sono destinati ad una specifica
funzione.
Essi sono i beni destinati alla dotazione del
Presidente della Repubblica
l. 8.8.1948, n. 1077, ed i beni destinati alla difesa,
art. 826, 3° co., c.c.
Altri beni sono collocati nel patrimonio indisponibile
comunale al fine di garantire una corretta destinazione del bene, in conformità
alle disposizioni degli strumenti urbanistici, dopo che l'attività privata
abbia utilizzato il bene per fini diversi da quelli stabiliti dalla programmazione
territoriale, come ad esempio nel caso di opere edilizie abusive.
Altri beni ancora assumono il carattere della
indisponibilità nel patrimonio pubblico per essere destinati ad un servizio
pubblico dallo Stato o da enti pubblici.
Essi sono le sedi e gli arredi degli uffici pubblici,
i mezzi di trasporto adibiti a servizi pubblici, ecc.
Essi sono anche gli immobili del patrimonio pubblico
da destinare alla locazione a favore dei ceti meno abbienti realizzati con il
contributo dello Stato.
La destinazione attribuita a questi beni comporta
automaticamente la riserva di destinazione che può essere cambiata, ad esempio,
consentendone la cessione con legge speciale.
La dottrina ha proposto una distinzione nell'ambito
dei beni patrimoniali indisponibili al fine di caratterizzare il diverso regime
giuridico dei due gruppi di beni.
Si è notato che per alcuni beni la proprietà pubblica
è collegata alla qualità intrinseca della cosa che è stata ritenuta dalla legge
idonea a soddisfare pubbliche esigenze.
L'attribuzione della qualifica avviene ab origine,
indipendentemente da un atto amministrativo che la assegni; in ogni caso l'atto
amministrativo non ha effetto costitutivo, ma solo dichiarativo poiché il bene
appartiene al patrimonio indisponibile di per se stesso.
Essi sono le miniere, le foreste, i beni di interesse
culturale, la fauna selvatica.
Gli altri beni sono classificati come beni destinati a
servizio o funzione pubblica.
Essi appartengono al patrimonio indisponibile in forza
di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione che assegna
concretamente il bene ad un servizio pubblico.
Essi sono gli edifici destinati a sede di pubblici
uffici, la dotazione della Presidenza della Repubblica, le caserme, gli
armamenti, gli edifici di edilizia residenziale pubblica, le aree di edilizia
economica popolare.
1.1.
Il patrimonio indisponibile delle regioni.
L’art. 119, cost., fissa il principio generale che
riconosce anche agli enti territoriali la possibilità di avere un proprio
patrimonio.
La norma non indica i beni facenti parte del
patrimonio indisponibile delle regioni e rimette la loro determinazione alla
legge.
L’art. 33, r.d.lg. 15.5.1946, n. 455 che approva lo
statuto della Regione siciliana afferma che appartengono, in aggiunta, ai beni
indicati dal c.c. tutte le miniere e tutte le cose di interesse storico
archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico da chiunque ritrovate
nel sottosuolo.
L’art. 39, l. cost. 26.2.1948, n. 3 che approva lo Statuto speciale per la Sardegna, afferma che appartengono alla regione tutti i beni già facenti parte del patrimonio indisponibile statale , salvo quelli connessi a servizi di pertinenza statale o a monopoli fiscali o in uso all’amministrazione militare.
L’art. 39, l. cost. 26.2.1948, n. 3 che approva lo Statuto speciale per la Sardegna, afferma che appartengono alla regione tutti i beni già facenti parte del patrimonio indisponibile statale , salvo quelli connessi a servizi di pertinenza statale o a monopoli fiscali o in uso all’amministrazione militare.
Gli artt. 6 e 11, l. cost. 26.2.1948, n. 4 che
approva lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta, dispongono che le miniere,
pur rimanendo di proprietà statale, sono conferite in concessione alla regione
per novantanove anni.
L’art. 67, d.p.r. 31.8.1972, n. 670, che approva il
testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto
Adige dichiara che appartengono, in aggiunta, ai
beni indicati dal c.c. tutte le miniere
L’art. 55 dello statuto del Friuli Venezia Giulia,
approvato con l. cost. 31.1.1963, n. 1, dichiara che appartengono, in aggiunta,
ai beni indicati dal c.c. tutte le miniere.
L’art. 11, l. 16.5.1970, n. 281, emanato per dare
attuazione agli artt. 117 e 118 cost., ha disposto il passaggio al patrimonio
indisponibile delle regioni a statuto ordinario delle foreste, delle cave,
delle torbiere e delle acque minerali e termali.
5. Sono trasferite alle Regioni e fanno parte del
patrimonio indisponibile regionale le foreste, che a norma delle leggi vigenti
appartengono allo Stato, le cave e le torbiere, quando la disponibilità ne è
sottratta al proprietario del fondo, le acque minerali e termali. Gli edifici
con i loro arredi e gli altri beni destinati ad uffici e servizi pubblici di
spettanza regionale saranno trasferiti ed entreranno a far parte del patrimonio
indisponibile delle Regioni con i provvedimenti legislativi di cui al
successivo articolo 17.
La individuazione dei singoli beni trasferiti sarà effettuata, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro per le finanze, di concerto col Ministro competente per la materia, sentita la Regione interessata.
(art. 11, l. 16.5.1970, n. 281).
La individuazione dei singoli beni trasferiti sarà effettuata, entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro per le finanze, di concerto col Ministro competente per la materia, sentita la Regione interessata.
(art. 11, l. 16.5.1970, n. 281).
2.
Le miniere.
L’art. 826, c.c., ascrive le miniere al patrimonio
indisponibile dello Stato quando la loro disponibilità è sottratta al proprietario
del fondo, il che avviene allorché si fa luogo alla concessione di coltivazione
in favore di un terzo, secondo le norme di cui al r.d. 29.7.1927, n. 1443.
L’autorizzazione è rilasciata dall’autorità amministrativa competente che deve valutare la legittimità della richiesta, ex art. 18, r.d. 29.7.1927, n. 1443.
L’autorizzazione è rilasciata dall’autorità amministrativa competente che deve valutare la legittimità della richiesta, ex art. 18, r.d. 29.7.1927, n. 1443.
È legittimo il diniego regionale di autorizzazione
all'esercizio di una miniera, motivato con riferimento allo stato di dissesto
idrogeologico della zona.
Il concessionario ha l’obbligo di coltivare la
miniera per la intera durata della concessione.
1. Le miniere date in concessione devono essere
tenute in attività tranne che, dal Ministro dell'industria, del commercio e
dell'artigianato, sia consentita la sospensione dei lavori o la graduale
esecuzione di essi.
(art. 26, r.d. 29.7.1927, n. 1443).
(art. 26, r.d. 29.7.1927, n. 1443).
Alla scadenza della autorizzazione si verificano due
possibilità: il rinnovo o la cessazione dell’attività.
La giurisprudenza ha affermato che il rinnovo non è
un diritto soggettivo del concessionario.
L'art. 34, r.d. 29.7.1927, n. 1443, nella parte in
cui prevede la possibilità per il titolare di una concessione mineraria di
ottenerne il rinnovo alla scadenza, non ingenera un obbligo per
l'Amministrazione di accedere alla relativa richiesta, presentata
tempestivamente, ben potendo essa determinarsi anche in senso negativo, sia per
ragioni attinenti al precedente concessionario sia per motivi di pubblico
interesse (ad es., in relazione alla presentazione di altre domande che
garantiscano un migliore sfruttamento della miniera); peraltro, è necessario
che le relative determinazioni, di segno positivo o negativo, siano assunte
prima della data di scadenza della concessione.
Gli artt. 33 e 44, r.d. 1443/1927, disciplinano,
poi, specificamente le ipotesi di cessazione della concessione, individuandole
nella scadenza del termine, nella rinuncia ovvero nella decadenza.
Solo per l'ipotesi di scadenza del termine il legislatore ha previsto espressamente, ex artt. 35 e 36, r.d. 1443/1927, l'obbligo del concessionario di consegna della miniera e delle pertinenze all'Amministrazione ovvero al nuovo concessionario.
Solo per l'ipotesi di scadenza del termine il legislatore ha previsto espressamente, ex artt. 35 e 36, r.d. 1443/1927, l'obbligo del concessionario di consegna della miniera e delle pertinenze all'Amministrazione ovvero al nuovo concessionario.
Negli altri due casi di cessazione, deve ritenersi,
argomentando ex art. 43, 1° co., r.d. 1443/1927, che l'amministrazione
stessa conservi il potere di disposizione sul giacimento, ai fini di una nuova
concessione.
Tutte le anzidette norme, presuppongono però, evidentemente, il permanere della coltivabilità della miniera, giacché, al venire meno di tale possibilità, non residuando più alcun interesse pubblico da perseguire, viene a mancare la causa giuridica che è a fondamento del potere di sottrazione dell'area alla disponibilità del proprietario e, quindi, del mantenimento del bene nel patrimonio indisponibile dello Stato, ex art. 826, c.c.
Nelle ipotesi di esaurimento di una miniera, l'area interessata, comprensiva di tutte le pertinenze, riprende il regime giuridico ordinario e, quindi, ritorna, in via diretta o per accessione, al proprietario senza necessità di alcun tramite provvedimentale (Cass. Civ., Sez. I, 6.6.1987, n. 4950).
Tutte le anzidette norme, presuppongono però, evidentemente, il permanere della coltivabilità della miniera, giacché, al venire meno di tale possibilità, non residuando più alcun interesse pubblico da perseguire, viene a mancare la causa giuridica che è a fondamento del potere di sottrazione dell'area alla disponibilità del proprietario e, quindi, del mantenimento del bene nel patrimonio indisponibile dello Stato, ex art. 826, c.c.
Nelle ipotesi di esaurimento di una miniera, l'area interessata, comprensiva di tutte le pertinenze, riprende il regime giuridico ordinario e, quindi, ritorna, in via diretta o per accessione, al proprietario senza necessità di alcun tramite provvedimentale (Cass. Civ., Sez. I, 6.6.1987, n. 4950).
L'inclusione della miniera nel novero del patrimonio
indisponibile avviene in ragione della sua utilizzazione come tale, onde, una
volta cessata tale utilizzazione, non può sopravvivere alcun titolo di
proprietà pubblica (Cons. St., sez. VI, 14.1.2003, n. 100, FACDS,
2003, 192).
2.1.
Le cave.
L'art. 826, c.c., afferma che le cave sono comprese
nel patrimonio indisponibile dello Stato o della regione o della provincia
soltanto allorché la disponibilità sia sottratta al proprietario del fondo ad
opera dell'autorità mineraria.
L'art. 45, r.d. n. 1443 del 1927, nel disciplinare
le cave, dispone che esse sono lasciate nella disponibilità del proprietario
del suolo.
La norma non sopprime il diritto di proprietà,
limitandosi ad incidere sul suo contenuto e vincolando il proprietario alla
coltivazione della cava.
Essa prevede che solo ove il proprietario non
intraprenda la coltivazione della cava, o non dia ad essa sufficiente sviluppo,
l'amministrazione competente - dopo avergli assegnato un termine a tal fine e
questo sia decorso senza che egli abbia intrapreso il suddetto sfruttamento -
possa dare la cava in concessione a terzi.
1. Le cave e le torbiere sono lasciate in
disponibilità del proprietario del suolo.
2. Quando il proprietario non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo, l'ingegnere capo del Distretto minerario può prefiggere un termine per l'inizio, la ripresa o la intensificazione dei lavori. Trascorso infruttuosamente il termine prefisso, l'ingegnere capo del Distretto minerario può dare la concessione della cava e della torbiera in conformità delle norme contenute nel titolo II del presente decreto, in quanto applicabili. Quando la concessione abbia per oggetto la coltivazione di torbiere interessanti la bonifica idraulica, sarà preventivamente inteso il competente Ufficio del genio civile.
(art. 45, r.d. n. 1443/1927).
2. Quando il proprietario non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo, l'ingegnere capo del Distretto minerario può prefiggere un termine per l'inizio, la ripresa o la intensificazione dei lavori. Trascorso infruttuosamente il termine prefisso, l'ingegnere capo del Distretto minerario può dare la concessione della cava e della torbiera in conformità delle norme contenute nel titolo II del presente decreto, in quanto applicabili. Quando la concessione abbia per oggetto la coltivazione di torbiere interessanti la bonifica idraulica, sarà preventivamente inteso il competente Ufficio del genio civile.
(art. 45, r.d. n. 1443/1927).
La suddetta disposizione - dopo l’entrata in vigore della Costituzione, che all'art. 117 attribuisce alle regioni a statuto ordinario competenza legislativa concorrente in materia di cave - è divenuta principio generale della materia al quale dette regioni debbono ispirare la loro legislazione.
La Regione Lombardia, con l. r. 18 del 1982, mod., ha disciplinato l'esercizio dell'attività di cava assoggettata, se svolta dal proprietario del suolo, ad autorizzazione.
In caso di decadenza pronunciata per mancato
adempimento degli obblighi e delle condizioni imposte dal provvedimento di
autorizzazione, qualora il titolare dell'autorizzazione sia il proprietario
dell'area, il giacimento può essere acquisito al patrimonio indisponibile delle
Regione dietro corresponsione di un indennizzo pari a quello previsto per
l'espropriazione dell'area ai sensi delle leggi statali vigenti.
La cava che fa parte del patrimonio disponibile di un comune ben può formare oggetto di negozi di diritto privato, con la conseguenza che eventuali controversie in materia, essendo relative a situazioni di diritto soggettivo - che trovano la propria fonte in un contratto privatistico - rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (Cons. St., sez. VI, 13.6.2000, n. 3291, FA, 2000, 2220).
La cava che fa parte del patrimonio disponibile di un comune ben può formare oggetto di negozi di diritto privato, con la conseguenza che eventuali controversie in materia, essendo relative a situazioni di diritto soggettivo - che trovano la propria fonte in un contratto privatistico - rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (Cons. St., sez. VI, 13.6.2000, n. 3291, FA, 2000, 2220).
3.
Le foreste.
La materia dell'agricoltura e delle foreste è di
competenza regionale, come individuata nell'art. 66, d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
Il trasferimento alle regioni delle relative
funzioni amministrative, completato con la norma predetta, reca, accanto
all'effetto di consentire l'esercizio dei compiti già di competenza degli
organi statali, quello di rendere esercitabile la potestà legislativa
concorrente regionale (Corte cost., 24.7.1998, n. 326, CS,
1998, II, 1061).
Essa si inquadra per diversi aspetti nelle
attribuzioni regionali in tema di assetto ed utilizzazione del territorio.
4. Sono inoltre trasferite alle regioni le funzioni
concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo, le
opere di manutenzione forestale per la difesa delle coste nonché le funzioni
relative alla determinazione del vincolo idrogeologico di cui al r. d.
30.12.1923, n. 3267, ivi comprese quelle esercitate attualmente dalle camere di
commercio.
(art. 69 d.p.r. 24.7.1977 n. 616).
Le regioni conservano il potere di incrementare
tramite esproprio il patrimonio forestale; esso è stato ritenuto
costituzionalmente legittimo dalla Corte.
È manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 42, cost., dell'art. 111,
2° co., lett. b), r.d. 30.12.1923, n. 3267, che prevede la potestà del
Ministero dell'agricoltura e delle foreste - oggi delle regioni - di
espropriare, per incorporarli al demanio forestale, "gli appezzamenti,
comunque coltivati, inclusi o adiacenti ad una foresta demaniale, allorché il
loro incorporamento nella stessa sia giudicato necessario alla sua migliore
gestione.
(Cons. St., sez. VI, 22.10.1982, n. 502, FA,
1982, I, 1911).
Su dette aree facenti parte del demanio forestale è
ammessa la concessione di pascolo ai privati.
Il conferimento di pascolo in favore del privato, su
aree incluse nelle foreste regionali, si ricollega ad un rapporto di
concessione di beni pubblici, in quanto dette foreste fanno parte del
patrimonio indisponibile delle Regioni, art. 107, r.d. 30.12.1923, n. 3267,
operante anche dopo il trasferimento delle foreste al demanio delle Regioni.
Le cause sul rapporto di concessione sono affidate
alla giurisdizione amministrativa.
La controversia inerente alla durata di detto
pascolo rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai
sensi dell'art. 5, 1° co., l. 6.12.1971, n. 1034. Attiene al merito, non alla
giurisdizione, la questione dell'invocabilità, in ordine alla durata minima del
rapporto, della normativa dei contratti agrari.
4.
Le cose mobili di interesse culturale.
Fanno parte del patrimonio indisponibile degli enti
pubblici le cose mobili che presentano interesse storico, artistico,
archeologico o etnoantropologico che siano opera di autore non più vivente e la
cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni.
Il sistema legislativo introduce pertanto un
procedimento di verifica del patrimonio dei beni culturali per accertare se
esso deve essere mantenuto ancora di proprietà pubblica.
L’art. 12, d.lg. 42/2004, afferma che i beni del
demanio culturale sono sottoponibili a una verifica sull’esistenza di un reale
interesse storico, artistico, archeologico, etnoantropologico che, se si
risolve in senso negativo, rende il bene perfettamente vendibile, senza
ulteriori valutazioni di sorta o autorizzazione di chicchessia.
1. Le cose immobili e mobili indicate all'articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente
e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, sono sottoposte alle
disposizioni della presente Parte fino a quando non sia stata effettuata la verifica
di cui al comma 2.
2. I competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione.
3. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta di cui al comma 2 è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive. I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Il Ministero fissa, con propri decreti, i criteri e le modalità per la predisposizione e la presentazione delle richieste di verifica, e della relativa documentazione conoscitiva, da parte degli altri soggetti di cui al comma 1.
4. Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente Titolo.
5. Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell'amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse.
6. Le cose di cui al comma 4 e quelle di cui al comma 5 per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice.
7. L'accertamento dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi dell'articolo 13 ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall'articolo 15, comma 2. I beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo.
8. Le schede descrittive degli immobili di proprietà dello Stato oggetto di verifica con esito positivo, integrate con il provvedimento di cui al comma 7, confluiscono in un archivio informatico accessibile al Ministero e all'Agenzia del demanio, per finalità di monitoraggio del patrimonio immobiliare e di programmazione degli interventi in funzione delle rispettive competenze istituzionali.
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano alle cose di cui al comma 1 anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica.
10. Il procedimento di verifica si conclude entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta (3) .
(art. 12, d.lg. 42/2004).
2. I competenti organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione.
3. Per i beni immobili dello Stato, la richiesta di cui al comma 2 è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede descrittive. I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede descrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa, anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Il Ministero fissa, con propri decreti, i criteri e le modalità per la predisposizione e la presentazione delle richieste di verifica, e della relativa documentazione conoscitiva, da parte degli altri soggetti di cui al comma 1.
4. Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l'interesse di cui al comma 2, le cose medesime sono escluse dall'applicazione delle disposizioni del presente Titolo.
5. Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell'amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse.
6. Le cose di cui al comma 4 e quelle di cui al comma 5 per le quali si sia proceduto alla sdemanializzazione sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice.
7. L'accertamento dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, effettuato in conformità agli indirizzi generali di cui al comma 2, costituisce dichiarazione ai sensi dell'articolo 13 ed il relativo provvedimento è trascritto nei modi previsti dall'articolo 15, comma 2. I beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del presente Titolo.
8. Le schede descrittive degli immobili di proprietà dello Stato oggetto di verifica con esito positivo, integrate con il provvedimento di cui al comma 7, confluiscono in un archivio informatico accessibile al Ministero e all'Agenzia del demanio, per finalità di monitoraggio del patrimonio immobiliare e di programmazione degli interventi in funzione delle rispettive competenze istituzionali.
9. Le disposizioni del presente articolo si applicano alle cose di cui al comma 1 anche qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro natura giuridica.
10. Il procedimento di verifica si conclude entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta (3) .
(art. 12, d.lg. 42/2004).
Nel nuovo sistema i beni sono culturali non tanto in
forza di una presunzione iuris tantum, ma lo diventano definitivamente
se e quando ne sia stata accertata la rilevanza culturale.
In tale ottica, altrettanto evidenti appaiono le
finalità di tutela che hanno portato alla specifica disciplina del connesso
procedimento di verifica della sussistenza dell'interesse culturale.
Il carattere generale delle disposizioni, le finalità di tutela ed il necessario raccordo fra le stesse norme di cui agli artt. 10 e 12, d.lg. 42/2004, impongono, per la giurisprudenza, una loro lettura coordinata, non necessariamente legata alla mera verifica dell'alienabilità degli stessi beni.
Il carattere generale delle disposizioni, le finalità di tutela ed il necessario raccordo fra le stesse norme di cui agli artt. 10 e 12, d.lg. 42/2004, impongono, per la giurisprudenza, una loro lettura coordinata, non necessariamente legata alla mera verifica dell'alienabilità degli stessi beni.
Il procedimento di verifica si impone, infatti, come
passaggio necessario al fine di accertare la rilevanza culturale del bene,
ovvero di escluderla, e la necessità di applicare o meno la connessa disciplina
di tutela.
5.
Le caserme e gli armamenti.
Le caserme fanno parte del patrimonio indisponibile
dello Stato, ex art. 826, 2° co., c.c.
Il bene può essere concesso in uso, ma, senza un
provvedimento di sdemanializzazione, non perde la sua destinazione originaria.
La giurisprudenza ha precisato che al termine della
durata della concessione l’amministrazione può procedere al recupero del bene
in via amministrativa.
La concessione in uso di un bene facente parte del
patrimonio indisponibile dello Stato non sottrae il bene stesso al regime
giuridico proprio della sua destinazione pubblicistica e legittima
l'amministrazione a ricorrere alla procedura della tutela amministrativa per
restituirlo alla sua destinazione originaria.
Nella specie si tratta di una caserma ad uso
precario di un'associazione fra ufficiali.
(Cons. St., sez. IV,
26.5.1984, n. 372, FA, 1984, 870).
I soggetti che hanno ottenuto concessioni relative
all’uso totale o parziale dei locali della caserma non hanno titolo per
censurare provvedimenti di cessione del bene.
Il guardiano di una ex caserma presidiaria il quale
si trovi ad occupare un alloggio di servizio nell'edificio non ha interesse
giuridicamente protetto ad impugnare il provvedimento col quale
l'amministrazione della difesa, nell'esercizio di un suo potere discrezionale,
abbia ceduto i locali all'amministrazione finanziaria.
(Cons.giust.amm. Sicilia , 14.6.1985, n. 72, CS,
1985, I, 823).
6.
La dotazione della Presidenza della Repubblica.
Fa parte del patrimonio indisponibile dello Stato la
dotazione della Presidenza della Repubblica.
Essa è costituita dai beni statali, mobili ed
immobili, assegnati in uso al Presidente per la residenza sua e della sua
famiglia e per la sede della Presidenza e del Segretariato.
Con legge ordinaria la dotazione può essere
aumentata o modificata.
La l. 372/1985 ha inserito nella dotazione,
autorizzandone l’espropriazione, la tenuta di Capocotta.
1. Alla dotazione immobiliare del Presidente della
Repubblica, di cui all'art. 84, ultimo comma, della Costituzione è conferita la
tenuta di Capocotta ad integrazione della adiacente tenuta di Castelporziano
già in dotazione del Presidente della Repubblica.
(art. 5, l. 23.7.1985, n. 372).
(art. 5, l. 23.7.1985, n. 372).
7.
I beni destinati ad un pubblico servizio.
Un bene per rivestire il carattere pubblico proprio
dei beni patrimoniali indisponibili perché destinati ad un pubblico servizio,
ai sensi dell'art. 826, 3° co., c.c. deve possedere due requisiti.
Il primo è la manifestazione di volontà dell'ente
titolare del diritto reale pubblico; l’amministrazione deve emanare un atto
amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel
determinato bene ad un pubblico servizio.
Il secondo è l'effettiva ed attuale destinazione del
bene al pubblico servizio.
La giurisprudenza ha ritenuto che non osta
all'inquadramento nel patrimonio indisponibile l'appartenenza del bene ad un
ente pubblico economico, poiché sull'elemento soggettivo prevale quello
oggettivo della destinazione concreta del bene al pubblico servizio.
Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di
merito che, nel negare la natura locativa del contratto per la gestione del
bar- ristorante ubicato presso i locali dell'Ente Fiere di Verona aveva
ritenuto che il servizio fosse funzionalmente collegato alle finalità
istituzionali dell'ente, individuate nell'organizzazione di manifestazioni
fieristiche.
8.
La fauna selvatica
Gli uccelli, come fauna selvatica, appartengono al
patrimonio indisponibile dello Stato.
1. La fauna selvatica è patrimonio indisponibile
dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed
internazionale.
(art. 1, l. 11.2.1992, n. 157).
(art. 1, l. 11.2.1992, n. 157).
La fauna selvatica deve essere tutelata
nell'interesse della comunità nazionale e sopranazionale.
La legge statale e la legislazione regionale, ad
esempio la l. r. Toscana n. 3/94, impongono, poi, due
condizioni ai fini della legittima approvazione ed attuazione dei piani di
abbattimento; da un lato, è necessario avvalersi dell'apporto consultivo
dell'Istituto Nazionale Fauna Selvatica, dall'altro occorre che all'attuazione
dei piano sovrintendano le guardie forestali dipendenti dell'amministrazione
provinciale.
La mancata attuazione della procedura comporta
l’illegittimità
del provvedimento che approva l’abbattimento.
del provvedimento che approva l’abbattimento.
I piani di abbattimento debbono essere disposti nel
rigoroso rispetto delle regole procedurali e sostanziali previste.
Nella specie, è stato dichiarata illegittima la
delibera provinciale volta al contenimento del numero delle volpi, per aver
disatteso senza motivazione parte del parere dell'Irfis e non aver sottoposto
gli abbattimenti al controllo delle guardie forestali dipendenti dalla
Provincia.
I piani di abbattimento devono essere disposti nel
rigoroso rispetto delle regole procedurali e sostanziali previste.
Nella specie, è stato dichiarata illegittima la
delibera provinciale volta al contenimento del numero delle volpi, per aver
disatteso senza motivazione parte del parere dell'Irfis e non aver sottoposto
gli abbattimenti al controllo delle guardie forestali dipendenti dalla
Provincia.
9.
Il patrimonio indisponibile delle province e dei comuni.
L’art. 826, 3° co., c.c., afferma che fanno parte
del patrimonio indisponibile delle province e dei comuni, secondo la loro
appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro
arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio.
L’articolo considera bene patrimoniale indisponibile
- oltre agli edifici destinati a pubblici uffici e al loro arredo – ogni bene
destinato al conseguimento di un fine proprio degli enti.
L'appartenenza di un bene al patrimonio
indisponibile dello Stato, dei comuni o delle province - a meno che non si
tratti di beni riservati, per loro natura, a tale patrimonio - dipende
soprattutto dalle caratteristiche oggettive e funzionali del bene. Essa
presuppone, quindi, oltre all'acquisto in proprietà del bene da parte dell'ente
pubblico - cosiddetto requisito soggettivo - una concreta destinazione dello
stesso ad un pubblico servizio cosiddetto requisito oggettivo che, proprio per
l'esigenza di un reale legame con le oggettive caratteristiche del bene, non
può dipendere da un mero progetto di utilizzazione della pubblica
amministrazione o da una risoluzione che, ancorché espressa in un atto
amministrativo, non incide di per sé sulle oggettive caratteristiche funzionali
del bene.
Nei casi in cui il bene sia privo dei caratteri
strutturali necessari per il servizio, occorre almeno che il provvedimento di
destinazione sia seguito dalle opere di trasformazione che in qualche modo
possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non meramente intenzionale,
del bene alla funzione pubblica. Di conseguenza i terreni destinati a verde
pubblico dal piano regolatore acquistano la condizione di beni del patrimonio
indisponibile dell'ente pubblico solo dal momento in cui, essendo stati
acquistati da questo in proprietà, sono trasformati ed in concreto utilizzati
secondo la propria destinazione.
La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che la
disposizione dell'art. 826, c.c., che lega l'appartenenza alla categoria dei
beni del patrimonio indisponibile alla destinazione ad un pubblico servizio,
deve necessariamente riferirsi ad una concreta ed effettiva utilizzazione del
bene e non ad un mero progetto di utilizzazione, che di per se esprime solo una
intenzione, o ad una mera risoluzione che, ancorché espressa in un atto amministrativo,
non incide, di per sé, sulle oggettive caratteristiche del bene.
Non basta, cioè, né la mera intenzione, comunque manifestata, della p.a. né un atto amministrativo di assegnazione inattuato né, più in generale, una attività amministrativa di natura esclusivamente provvedimentale (Cass. Civ., sez. un., 2.12.1996, n. 10733, FI, 1996, I,3663).
Non basta, cioè, né la mera intenzione, comunque manifestata, della p.a. né un atto amministrativo di assegnazione inattuato né, più in generale, una attività amministrativa di natura esclusivamente provvedimentale (Cass. Civ., sez. un., 2.12.1996, n. 10733, FI, 1996, I,3663).
La giurisprudenza, ad esempio, nel caso di terreni
ceduti nella convenzione di lottizzazione precisa che essi fanno parte del
patrimonio disponibile e che la eventuale appartenenza al patrimonio
indisponibile può avvenire solo con una espressa delibera dell’ente che destini
tali beni ad una funzione pubblica (Cass. Civ., sez. II, 9.9.1997, n. 8743, NGCC,
1999, I, 1).
I beni del patrimonio indisponibile degli enti
locali può essere dati in concessione ai privati.
Gli impianti sportivi di proprietà comunale fanno
parte del patrimonio indisponibile del comune, risultando presenti entrambi i
requisiti richiesti dall'art. 826 c.c. per tale qualificazione, ovvero la
proprietà del bene da parte dell'ente e la destinazione del bene ad un pubblico
servizio; pertanto, il rapporto intercorrente tra il comune e la società avente
ad oggetto l'immobile destinato alla somministrazione di bevande ed alimenti,
parte integrante del complesso sportivo, va qualificato come concessione e non
locazione.
(Cons. St. , sez. V, 16.4.2003,
n. 1991, RGE, 2003, I,1540).
La dottrina esclude che detti beni possano essere
dati in locazione.
Trattandosi di beni appartenenti al patrimonio
indisponibile il regime applicabile non può in alcun modo essere quello
previsto dal codice civile, potendosi invece attribuire al godimento del bene
in questione attraverso l'istituto della concessione (Del Gatto 2003, 1544).
10.
Il patrimonio comunale indisponibile di aree di piano di zona per l’edilizia
economica e popolare.
Il piano di zona è uno strumento urbanistico
attuativo destinato ad acquisire al demanio comunale le aree fabbricabili da
destinare all’edilizia economico - popolare
La previsione del piano è, pertanto, obbligatoria
per i comuni a maggiori dimensioni mentre è facoltativa per gli altri.
I comuni con popolazione superiore ai 50.000
abitanti o indicati con decreto del presidente della giunta regionale sono
obbligati dalla l. 167/1962 a formare il piano di zona.
La scelta delle aree di piano regolatore da
destinare al piano di zona è demandata alla amministrazione comunale, anche se
l'art. 3 della l. 167/1962 richiede come preferenziali le aree di espansione
dell'aggregato urbano.
La destinazione pubblica è attribuita al momento
della adozione del piano di zona per l’edilizia economica popolare da parte del
comune che ha effetti costitutivi di uno status giuridico prima
inesistente. L’attribuzione di questa destinazione alle aree comporta il
verificarsi di importanti effetti prima ancora dell’acquisizione delle stesse
aree al patrimonio pubblico.
Tale status determina un’indisponibilità del
bene da parte degli attuali proprietari che dura per tutto il tempo di
efficacia del piano di zona, durante il quale non è possibile edificare.
Le aree devono essere acquisite col procedimento
ablatorio al patrimonio indisponibile e sono inalienabili e non usucapibili se
non col sistema di assegnazione in concessione agli aventi diritto per la
realizzazione del patrimonio di E.R.P.
1. Le aree comprese nei piani approvati a norma
della l. 18.4.1962, n. 167, sono espropriate dai comuni o dai loro consorzi.
2. Le aree di cui al precedente comma, salvo quelle cedute in proprietà ai sensi dell'undicesimo comma del presente articolo, vanno a far parte del patrimonio indisponibile del comune o del consorzio.
(art. 35, l. 865/1971).
2. Le aree di cui al precedente comma, salvo quelle cedute in proprietà ai sensi dell'undicesimo comma del presente articolo, vanno a far parte del patrimonio indisponibile del comune o del consorzio.
(art. 35, l. 865/1971).
Il comune o realizza direttamente gli alloggi o
gestisce, in completa autonomia, il procedimento per l'assegnazione delle aree
per la realizzazione degli interventi di edilizia residenziale pubblica.
3. Su tali aree il comune o il consorzio concede il
diritto di superficie per la costruzione di case di tipo economico o popolare e
dei relativi servizi urbani e sociali.
4. La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici è a tempo indeterminato, in tutti gli altri casi ha una durata non inferiore ad anni 60 e non superiore ad anni 99.
(art. 35, l. 865/1971).
4. La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici è a tempo indeterminato, in tutti gli altri casi ha una durata non inferiore ad anni 60 e non superiore ad anni 99.
(art. 35, l. 865/1971).
I soggetti pubblici o privati che hanno interesse alla
realizzazione di programmi costruttivi nell'ambito dei piani di zona devono
formulare una domanda al sindaco in occasione della pubblicazione dei bandi di
assegnazione delle aree, redatti e pubblicati dai comuni.
Gli operatori devono avere i requisiti di legge.
I soggetti interessati, per lo più cooperative
edilizie, scelgono le aree sulla base della graduatoria redatta dal comune.
La legge non detta criteri specifici per formulare
le graduatorie, salvo una indicazione generale di preferenza per gli enti
pubblici istituzionalmente operanti nel settore e per le cooperative edilizie a
proprietà indivisa.
5. L'istanza per ottenere la concessione è diretta
al sindaco o al presidente del consorzio. Tra più istanze concorrenti è data la
preferenza a quelle presentate da enti pubblici istituzionalmente operanti nel
settore dell'edilizia economica e popolare e da cooperative edilizie a
proprietà indivisa.
(art. 35, l. 865/1971).
La giurisprudenza richiede, comunque, che il
provvedimento che determina la preferenza - anche fra gli enti indicati dalla
legge - sia motivato.
L'art. 35 della l. 22.10.1971, n. 865, secondo cui
in caso di pluralità di istanze volte all'assegnazione di aree per la
realizzazione di interventi di edilizia residenziale, è data preferenza a
quelle presentate da enti pubblici istituzionalmente operanti nel settore
dell'edilizia economica e popolare e da cooperative edilizie a proprietà
indivisa, delinea la titolarità di un potere discrezionale oggettivamente
limitato dall'applicazione dei criteri di assegnazione. Il provvedimento di
conferimento delle aree, quindi, esige, in tale evenienza, idonea motivazione,
ancor più necessaria con l'entrata in vigore dell'art. 3 della l. 7.8.1990, n.
241, che ha attuato in forma legislativa un precetto tipico del diritto
giurisprudenziale.
(Cons. St., sez. V,
28.1.1993, n. 193, FA, 1993, 140).
L'art. 35, 11° co., l. 865/1971 attribuisce ai
proprietari delle aree espropriande un titolo di preferenza alla assegnazione
delle aree da concedersi in proprietà.
11. Le aree di cui al secondo comma, destinate alla
costruzione di case economiche e popolari, sono concesse in diritto di
superficie, ai sensi dei commi precedenti, o cedute in proprietà a cooperative
edilizie e loro consorzi, a imprese di costruzione e loro consorzi e ai
singoli, con preferenza per i proprietari espropriati ai sensi della presente
legge sempre che questi abbiano i requisiti previsti dalle vigenti disposizioni
per l'assegnazione di alloggi di edilizia agevolata.
(art. 35, l. 865/1971, sost.
art. 3, 63° co., l. 23.12.1996, n. 662).
I proprietari hanno diritto alla preferenza solo se
sono in possesso dei requisiti previsti dalla legge per le assegnazioni di
alloggi di edilizia agevolata.
Se, in linea generale, l'art. 35, 11° co., l. 865 del
1971 configura un diritto di prelazione dei proprietari di aree incluse in un
piano di zona per l'edilizia economica e popolare, coordinando la predetta previsione
normativa con quella di cui all'art. 11, l. 241 del 1990, è palese la validità
dell'accordo concluso tra l'amministrazione comunale ed il Consorzio edilizio
residenziale al fine di determinare il contenuto discrezionale del
provvedimento finale di assegnazione delle aree espropriate per la
realizzazione di un piano di edilizia economica e popolare, sia pure entro il
limite massimo del 40% imposto dall'art. 35, 11° co. l. 865 del 1971.
(Cons. St., sez. IV,
3.11.1999, n. 1657, RGE, 2000, I, 267).
Spetta al consiglio comunale, nella sua più ampia
discrezionalità, dettare i criteri relativi nei limiti delle percentuali
fissate dal legislatore.
6. La concessione è deliberata dal consiglio
comunale o dall'assemblea del consorzio. Con la stessa delibera viene
determinato il contenuto della convenzione da stipularsi, per atto pubblico, da
trascriversi presso il competente ufficio dei registri immobiliari, tra l'ente
concedente ed il richiedente.
(art. 35, l. 865/1971).
11.
Il patrimonio comunale indisponibile di alloggi di edilizia residenziale
pubblica. La cessione degli alloggi e.r.p.
Gli immobili destinati all’edilizia residenziale
pubblica fanno parte del patrimonio indisponibile del comune.
Essi acquisiscono tale finalità in relazione ad un provvedimento
amministrativo programmatorio del comune, che ne determina la collocazione nel
patrimonio indisponibile dell’ente locale e non per particolari caratteristiche
oggettive dei beni, che hanno una funzione residenziale che può essere sia
privata che pubblica.
La finalità di destinazione può essere acquisita
anche attraverso la concessione di un finanziamento statale o regionale; esso
comporta l’automatico inserimento nel patrimonio di e.r.p.
Gli alloggi sono assegnati in locazione a prezzo
determinato dalla legislazione regionale.
Questo patrimonio è sottratto ad atti di
straordinaria amministrazione.
La sua alienazione, di regola, è esclusa e può
trovare disciplina solo nella legge di riserva dell’utilizzo del bene.
Gli immobili comunali destinati all'edilizia
residenziale pubblica - in quanto servizio pubblico - fanno parte del
patrimonio indisponibile: è pertanto illegittima l'alienazione degli stessi al
di fuori delle procedure volute dalla l. 24 dicembre 1993 n. 560, poiché ciò
comporta la preclusione dello svolgimento da parte della Regione dei compiti ad
essa assegnati per la redazione dei piani di vendita degli alloggi in
proporzione al patrimonio abitativo di ciascuna provincia, nonché la
sottrazione dei proventi delle vendite al fondo destinato agli interventi di
incremento e riqualificazione del patrimonio abitativo pubblico.
Nel trasferimento delle funzioni in materia di
edilizia residenziale pubblica alle regioni disposto dal d.p.r. 616/1977 nulla
è detto in materia di cessione degli alloggi, né è stata emanata la legge
quadro nei termini fissati dal citato decreto.
La l. 560/1993, art. 1, pur confermando la natura di
patrimonio indisponibile degli alloggi di edilizia residenziale pubblica,
disciplina un procedimento amministrativo che pone il patrimonio pubblico nella
condizione giuridica di essere riscattato, cui segue una fase privatistica che
si concretizza nel contratto di vendita.
La fase preparatoria del procedimento è
essenzialmente istruttoria. La funzione di predisporre la proposta del piano di
riscatto è affidata agli enti proprietari, sentito il parere dei comuni interessati,
tenuto conto degli indirizzi regionali. Gli alloggi oggetto di cessione devono
avere i seguenti requisiti previsti dalla legge:
– sono cedibili gli alloggi comunali acquisiti,
realizzati o recuperati a totale carico o con concorso o con contributo dello
Stato o della regione, destinati ad edilizia residenziale pubblica. Sono,
inoltre, oggetto di cessione le unità immobiliari ad uso non abitativo comprese
negli stessi edifici. Sono esclusi gli alloggi di servizio, gli alloggi di
edilizia agevolata, gli alloggi vincolati per interesse storico artistico dalla
legge 1089/1939 e gli alloggi inseriti nei piani di salvaguardia approvati
dalla regione.
Gli immobili realizzati dall’INA e ceduti alla
CONSAP sono esclusi dal campo di applicazione della legge n. 560/1993 in tema
di diritto di prelazione degli assegnatari. E’, infatti, evidente che i
conduttori di tali immobili non possono annoverarsi in tale ultima categoria,
poiché il rapporto di locazione costituito con l’INA è stato realizzato non già
sulla base della normativa pubblicistica disciplinante l’assegnazione degli
alloggi di edilizia residenziale pubblica, bensì nell’esercizio della libera
autonomia contrattuale.
La dismissione degli immobili da parte della CONSAP
mira al conseguimento di fini di risanamento della finanza pubblica che non
coincidono con l’obiettivo di realizzare programmi di sviluppo di settore di
edilizia pubblica. Peraltro, ai conduttori de quibus non è nemmeno
riferibile l’art. 38 della legge n. 392/1978 che disciplina l’esercizio del
diritto di prelazione degli immobili locati per uso diverso dall’abitazione, ma
è applicabile la norma speciale dell’art. 3, 109° co., l. 662/1996 che prevede
il diritto di prelazione degli immobili di proprietà della CONSAP per i
rispettivi conduttori solo in caso di vendita frazionata (Cass. civ., sez. II,
3.1.2002, n. 30, RGE, 2002, I, 381);
– per essere oggetto di cessione gli alloggi devono
essere costruiti da oltre un quinquennio;
– nei piani di vendita non deve essere compreso il
25% degli alloggi vendibili. è facoltà delle regioni escludere un ulteriore
25%, per un totale minimo del patrimonio cedibile pari al 50% di quello
complessivo. La fase si sviluppa in contraddittorio fra le proposte degli enti
proprietari e le decisioni che la regione vorrà adottare.
È fermo il limite minimo del 50% rapportato
all’intero patrimonio di tutti gli enti i cui alloggi sono oggetto di cessione.
L’esclusione di immobili dalla proposta di cessione deve essere motivata.
L’art. 4, 2° co., l. 30.4.1999, n. 136, tende a
temperare gli effetti dell’obbligatorietà del piano vendite abrogando la quota
minima di cessione, lasciando, quindi, alla discrezionalità delle regioni la
quota del patrimonio da cedere.
11.1.
Il piano di cessione. I requisiti dell’assegnatario.
Nella fase di approvazione del piano la posizione
del privato è di mero interesse al giusto procedimento.
Il procedimento di approvazione del piano da parte
della regione deve espletarsi in un termine perentorio; si può porre nei
confronti degli enti proprietari un’azione di tutela.
Scaduti i termini per l’approvazione dei piani
l’ente proprietario deve fornire ogni indicazione utile per la presentazione
della domanda. In tale fase procedimentale l’assegnatario che abbia titolo alla
cessione, in mancanza di atti che consentano l’esercizio del suo interesse, può
agire in via generale ai sensi dell’art. 25 del d.p.r. 3/1957, fino al momento
in cui il rituale provvedimento amministrativo determini l’alienabilità
dell’immobile.
Egli può diffidare l’amministrazione a provvedere
appena scaduti i sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, poiché a
tale data il piano deve essere approvato.
La fase successiva è privatistica e si sviluppa
attraverso il controllo dei requisiti che l’assegnatario deve possedere e con
la stipula del contratto di compravendita a prezzo prefissato dalla legge.
Gli assegnatari per l’esercizio del diritto al
riscatto devono possedere i seguenti requisiti:
1) essere assegnatario dell’alloggio alla data di
entrata in vigore della legge; non sono tali coloro che hanno il titolo
annullato o decaduto;
2) l’alloggio deve essere locato da almeno cinque
anni;
3) il diritto al riscatto può essere esercitato in
alternativa all’assegnatario dai familiari conviventi, salvo il diritto di
abitazione.
4) l’assegnatario deve essere in regola con il
pagamento del canone e delle spese per i servizi o per manutenzioni.
L’art. 1, 7° co., l. 560/1993, tutela il diritto
alla locazione nel caso in cui il limite di reddito sia inferiore a quello
previsto per la decadenza o se l’assegnatario è ultrasessantenne o portatore di
handicap.
Vi è l’obbligo all’acquisto, entro un anno dalla
notifica della decadenza, salva l’alienazione a terzi, per coloro che superano
il limite di reddito.
In caso di rinuncia hanno titolo di priorità
all’acquisto le società cooperative edilizie iscritte all’albo nazionale di cui
all’art. 13 della legge 59/1992 che si impegnano con atto d’obbligo a concedere
gli alloggi in locazione a canone convenzionato per un periodo non inferiore ad
otto anni.
Il prezzo degli alloggi è determinato per legge.
Esso è costituito dal valore che risulta, applicando
un moltiplicatore pari a 100, alle rendite catastali determinate
dall’amministrazione del catasto a seguito della revisione disposta con d.m. 20.1.1990
e con l’art. 7, l. 359/1992.
Il prezzo è ridotto, in relazione alla oggettiva
situazione dell’immobile, dell’1% per ogni anno di anzianità di costruzione,
fino ad un massimo del 20%.
Il prezzo, secondo la giurisprudenza dominante, deve
essere determinato con riferimento al momento di presentazione della domanda.
Il valore di un immobile di edilizia residenziale
pubblica ai fini della cessione in proprietà va effettuato in relazione al
momento di presentazione dell’istanza dell’assegnatario, la quale assume
importanza fondamentale per la delimitazione temporale della procedura relativa
alla cessione.
(Corte Conti, sez. contr., 3.3.1999, n. 14, CS,
1999, II, 903).
La determinazione non corretta del prezzo non comporta
la risoluzione del contratto, ma solo la sua integrazione attraverso la
corresponsione della differenza fra quanto versato e quanto il richiedente
doveva versare secondo i criteri stabiliti dalla norma.
L’illegittima determinazione del prezzo di cessione
di un immobile di edilizia residenziale pubblica non comporta la nullità
dell’intero contratto, ma solo la sostituzione del prezzo determinato dai
criteri fissati dalla legge a quello stabilito dalle parti
(Corte Conti, sez. contr., 3.3.1999, n. 14, CS,
1999, II, 903).
12.1.
Le opere edilizie abusive.
Altri beni sono collocati nel patrimonio indisponibile
comunale al fine di garantire una corretta destinazione del bene, in conformità
alle disposizioni degli strumenti urbanistici, dopo che l'attività privata
abbia utilizzato il bene per fini diversi da quelli stabiliti dalla programmazione
territoriale come, ad esempio, nel caso di opere edilizie abusive.
L'area e l'opera abusiva entrano a far parte, se non
si procede alla tempestiva demolizione dei manufatti abusivi, del patrimonio
indisponibile attraverso un’ordinanza di acquisizione pronunziata dal sindaco.
I beni devono essere utilizzati a fini pubblici, tra i quali sono compresi
quelli dell'edilizia residenziale pubblica.
L'art. 15, 3° co., l. 28.1.1977, n. 10, prevede
l'acquisizione gratuita dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva al
patrimonio indisponibile del comune.
La Corte cost. ha ritenuto la legittimità
costituzionale della norma considerando l'acquisizione, a titolo gratuito,
dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva al patrimonio
indisponibile del Comune come la reazione dell'ordinamento al duplice illecito
posto in essere da chi, dapprima, esegue un'opera in totale difformità od in
assenza della concessione e, poi, non adempie all'obbligo di demolire l'opera
stessa entro il termine fissato dal sindaco.
L'acquisizione gratuita dell'area, ove non si sia adempiuto all'obbligo di demolizione, ha certamente natura sanzionatoria e tale natura non muta solo perché il legislatore predetermina l'utilizzazione del bene acquisito a fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale; l'istituto, pertanto, non può essere qualificato espropriazione con obbligo di indennizzo..
L'acquisizione gratuita dell'area, ove non si sia adempiuto all'obbligo di demolizione, ha certamente natura sanzionatoria e tale natura non muta solo perché il legislatore predetermina l'utilizzazione del bene acquisito a fini pubblici, compresi quelli di edilizia residenziale; l'istituto, pertanto, non può essere qualificato espropriazione con obbligo di indennizzo..
È manifestamente infondata, in riferimento all'art.
42 cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, 3° co., l.
28.1. 1977, n. 10, nella parte in cui prevede l'acquisizione gratuita dell'area
sulla quale insiste la costruzione abusiva al patrimonio indisponibile del
comune; invero, detta acquisizione rappresenta la reazione dell'ordinamento al
duplice illecito posto in essere da chi, dapprima, esegue un'opera in totale
difformità o in assenza della concessione e, poi, non adempie l'obbligo di
demolire l'opera stessa entro il termine fissato dal sindaco.
Successivamente la normativa non ha precisato che
l’immobile debba essere acquisito al patrimonio indisponibile del comune.
L’art. 31, d.p.r. 380/2001, tace circa la qualifica
disponibile o indisponibile del patrimonio cui l'immobile sia acquisito, senza
dare alcuna specificazione in ordine alla natura di detto patrimonio.
La giurisprudenza precedente al t.u. ed. ha
affermato che, con l'acquisizione del solo terreno, e la demolizione
dell'opera, non vi sono ostacoli per la libera alienabilità dell'immobile; nel
caso dell'art. 7, l. 47/1985, l'opera può permanere, e non essere demolita, se
con delibera consiliare si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi
pubblici e sempre che non vi sia contrasto con rilevanti interessi urbanistici
o ambientali.
Può quindi accadere che, per effetto di tale delibera,
l'opera sia destinata a un pubblico servizio. In tal caso, ove subentri
l'effettiva e concreta destinazione, l'opera deve reputarsi appartenente al
patrimonio indisponibile.
In caso contrario, e comunque per l'ipotesi ordinaria
di demolizione, l'immobile, di cui residua il solo terreno, deve reputarsi
appartenente al patrimonio disponibile.
In materia edilizia, l'acquisizione gratuita
dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune non è incompatibile con
l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna, atteso
che l'acquisizione è finalizzata in via principale alla demolizione e il
soggetto condannato può richiedere al Comune, divenuto medio tempore
proprietario, l'autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese,
così come può provvedervi, a spese del condannato, l'autorità giudiziaria.
Nell'occasione la Corte ha ulteriormente affermato
che si ha incompatibilità soltanto se con delibera consiliare l'ente locale
stabilisce, ai sensi dell'art. 31, 3° e 5° co., d.p.r. n. 380 del 2001, di non
demolire l'opera acquisita.
L'art. 7, l. 47/1985, parimenti è rimasto neutrale in
ordine alla qualifica del patrimonio comunale cui l'immobile è attribuito.
Mentre nel caso di lottizzazione abusiva l'art. 18,
l. 47/1985, prevede l'acquisizione dei terreni al patrimonio disponibile del
comune, nel caso dell'ordinario abuso edilizio, art. 7, l. 47/1985 la norma
tace circa la qualifica del patrimonio cui l'immobile sia acquisito, senza
alcuna specificazione in ordine alla natura (disponibile o indisponibile), in
quanto nel caso dell'art. 18, l. 47/1985, la ragione dell'attribuzione al
patrimonio disponibile è chiara: con l'acquisizione del solo terreno, e la
demolizione dell'opera, non vi sono ostacoli per la libera alienabilità
dell'immobile; nel caso dell'art. 7, l. 47/1985, l'opera può permanere, e non
essere demolita, se con delibera consiliare si dichiari l'esistenza di
prevalenti interessi pubblici (e sempre che non vi sia contrasto con rilevanti
interessi urbanistici o ambientali). Può quindi accadere che per effetto di
tale delibera l'opera venga destinata a un pubblico servizio. In tal caso, ove
subentri l'effettiva e concreta destinazione, l'opera deve reputarsi
appartenente al patrimonio indisponibile. In caso contrario, e comunque per
l'ipotesi ordinaria di demolizione, l'immobile, di cui residua il solo terreno,
deve reputarsi appartenente al patrimonio disponibile. Ecco perché l'art. 7, l.
47/1985, resta neutrale in ordine alla qualifica del patrimonio comunale cui
l'immobile cui l'immobile viene attribuito.
(Trib. Bari, 09.2.2005).
12.2. Le occupazioni abusive.
Come necessario corollario del principio che le
opere destinate ad un servizio pubblico vadano a fare parte del patrimonio
indisponibile dell’ente, l'art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, afferma che i beni
utilizzati senza titolo per scopi di interesse pubblico vanno a fare parte, ove
acquisiti, del patrimonio indisponibile dell’ente.
1.
Valutati gli
interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di
interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento
di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada
acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano
risarciti i danni. (L)
(art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327).
(art. 43, d.p.r. 8.6.2001, n. 327).
L’acquisizione può avvenire o su iniziativa
dell’amministrazione o su richiesta della proprietà.
La giurisprudenza ritiene che tale facoltà diventi
un obbligo a provvedere a seguito dell’istanza della proprietà che impone
all’ente di scegliere fra acquisizione e restituzione.
Anche se la norma di cui all'art. 43, d.p.r.
8.6.2001, n. 327, prevede soltanto una facoltà per l'amministrazione di
acquisire al proprio patrimonio indisponibile, per scopi di interesse pubblico,
un bene immobile modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di
esproprio o dichiarativo della pubblica utilità e che al proprietario vadano
risarciti i danni, non vi è dubbio che la stessa amministrazione abbia un vero
e proprio obbligo di determinarsi, positivamente o negativamente, sull'istanza
del proprietario del bene occupato senza titolo che chieda l'applicazione della
norma medesima, in modo da rendere possibile una definizione del rapporto.
L’acquisizione può avvenire inoltre su opposizione
dell’amministrazione alla richiesta formulata dalla proprietà al giudice
ammnsitrativo di disporre la restituzione del bene.
In tal caso il giudice deve verificare la effettiva
utilizzazione del bene in oggetto.
L'art. 43, 3° co., d.p.r. n. 327, che consente alla
p.a., in caso di impugnazione del decreto di acquisizione al patrimonio
indisponibile, l'esclusione della restituzione del bene previa condanna al
risarcimento del danno, non è applicabile nel caso in cui non sia ravvisabile
una modificazione del bene utilizzato dall'amministrazione, in quanto
condurrebbe la norma al di fuori dell'ottica di regolarizzazione di situazioni
pregresse e consolidate, che è alla base delle previsioni contenute nell'art.
43 in discorso.
12.3.
I beni confiscati alla mafia.
La l. 31.5.1965, n. 575, che reca disposizioni
contro la mafia, prevede il trasferimento dei beni confiscati in favore dello
Stato o dei comuni.
Nel caso di trasferimento ai comuni dispone
espressamente che i beni oggetto di trasferimento siano impiegati per finalità
istituzionali o sociali.
2. I beni immobili sono:
a) mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, salvo che si debba procedere alla vendita degli stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;
b) trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato di cui alla l. 11.8.1991, n. 266, e successive modificazioni, a cooperative sociali di cui alla l. 8.11. 1991, n. 381, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con d.p.r. 9.10.1990, n. 309. Se entro un anno dal trasferimento il comune non ha provveduto alla destinazione del bene, il prefetto nomina un commissario con poteri sostitutivi;
c) trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, se confiscati per il reato di cui all'articolo 74 del citato testo unico approvato con d.p.r. 9.10.1990, n. 309. Il comune può amministrare direttamente il bene oppure, preferibilmente, assegnarlo in concessione, anche a titolo gratuito, secondo i criteri di cui all'articolo 129 del medesimo testo unico, ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l'immobile.
(art. 2, undecies l. 31.5.1965, n. 575, mod. art. 2, l. 22.12.1999, n. 512).
a) mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, salvo che si debba procedere alla vendita degli stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso;
b) trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato di cui alla l. 11.8.1991, n. 266, e successive modificazioni, a cooperative sociali di cui alla l. 8.11. 1991, n. 381, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con d.p.r. 9.10.1990, n. 309. Se entro un anno dal trasferimento il comune non ha provveduto alla destinazione del bene, il prefetto nomina un commissario con poteri sostitutivi;
c) trasferiti al patrimonio del comune ove l'immobile è sito, se confiscati per il reato di cui all'articolo 74 del citato testo unico approvato con d.p.r. 9.10.1990, n. 309. Il comune può amministrare direttamente il bene oppure, preferibilmente, assegnarlo in concessione, anche a titolo gratuito, secondo i criteri di cui all'articolo 129 del medesimo testo unico, ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l'immobile.
(art. 2, undecies l. 31.5.1965, n. 575, mod. art. 2, l. 22.12.1999, n. 512).
Per la giurisprudenza detta previsione determina
l'assegnazione del bene al patrimonio indisponibile del Comune, vista la
necessaria destinazione funzionale al soddisfacimento di interessi
sovraindividuali.
La legge attribuisce a tale impiego una tale
connotazione tanto cogente da disporre che, se entro un anno dal trasferimento
il comune non ha provveduto alla destinazione del bene, il prefetto nomina un
commissario con poteri sostitutivi.
13.
Il patrimonio indisponibile delle Aziende regionali per l’edilizia
residenziale.
Le Aziende regionali per l’edilizia residenziale
gestiscono un patrimonio di alloggi destinati ad un pubblico servizio essendo
gli stessi dati in locazione ai ceti meno abbienti ad un prezzo calmierato.
Dette Aziende hanno acquistato un ruolo
istituzionalmente meno rilevante rispetto a quello dei comuni.
La legislazione regionale ha potenziato le
attribuzioni affidate alle regioni ed agli enti locali dal d. lg. 112/1998,
riducendo in prospettiva le funzioni delle aziende che assumono un ruolo
eminentemente tecnico di attuazione degli interventi assieme agli altri
operatori individuati dalle regioni.
A valorizzare il ruolo degli enti locali alcune
regioni, in linea con le nuove funzioni affidate ai comuni, hanno soppresso le
aziende, individuando nei comuni i principali attuatori per la messa in opera
delle politiche della casa, al fine di favorire la gestione unitaria ed
efficiente e la riqualificazione del patrimonio, il migliore utilizzo delle
risorse finanziarie disponibili - anche attraverso una razionalizzazione dei
modelli organizzativi - il miglioramento della qualità generale degli
insediamenti urbani, vedi, ad esempio, l’art. 1, l.r. Toscana 3.11.1998, n. 77.
Alla Regione è attribuito il compito di definire i
piani ed i programmi di intervento ed i sistemi di erogazione delle risorse e
delle modalità di incentivazione finanziaria.
In attuazione dei principi generali che lo Stato
deve emanare, ex art. 59, d. lg. 112/1998, le regioni hanno ora le leve della
politica della casa.
Gli enti attuatori degli interventi di edilizia
residenziale pubblica sono i comuni, cui è stato trasferito in alcune regioni
il patrimonio immobiliare di proprietà delle aziende, ex art. 3, l.r. Toscana
3.11.1998, n. 77.
Altre regioni hanno mantenuto le Aziende regionali
per l’edilizia residenziale.
Nella regione Lombardia le ALER hanno tre compiti
fondamentali: la gestione, la costruzione e la manutenzione degli alloggi
e.r.p., ex art. 3, 42° co., l.r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
Il compito precipuo appare quello della gestione del
patrimonio di edilizia residenziale pubblica, trasferito dalla legge istitutiva
ovvero tramite delega ricevuta dai comuni proprietari di alloggi.
Detti enti devono attivarsi ad individuare autonome
iniziative finanziarie anche con contratti di diritto privato.
La manutenzione e la riqualificazione del patrimonio
edilizio esistente è l’impegno forse più gravoso, non solo sotto il profilo
finanziario, cui è delegata una parte del canone di locazione degli alloggi, ma
anche sotto il profilo progettuale, poiché il patrimonio è bisognoso di
continui adeguamenti, oltretutto anche sotto il profilo degli impianti.
I comuni sono destinati a diventare gli
interlocutori privilegiati sia per la gestione delle risorse sia per la
realizzazione degli interventi sia per la gestione delle assegnazioni,
sostituendosi progressivamente nei compiti prima attribuiti alle aziende, ex
art. 3, 47° e 49° co., l.r. Lombardia 5.1.2000, n. 1.
I comuni sono chiamati ad individuare il fabbisogno
abitativo di edilizia pubblica, ad identificare le tipologie di intervento più
idonee a soddisfare il fabbisogno, a localizzare gli interventi.
Essi contribuiscono alla selezione degli operatori
privati per la realizzazione degli interventi.
Ai comuni sono demandate, inoltre, le attività di
gestione dei finanziamenti e delle assegnazioni di alloggi e.r.p. sia in
locazione sia in proprietà.
Gli accertamenti soggettivi relativi ai requisiti
dei richiedenti per ottenere l’accesso ai finanziamenti spettano ai comuni che
hanno il controllo tecnico degli interventi, fatta eccezione per quelli
assegnati alle ALER.
I comuni hanno poi affidata l’intera gestione delle
assegnazioni di alloggi e.r.p. sia in locazione sia in proprietà oltre al
controllo sulla cessione in proprietà degli interventi delle cooperative a
proprietà indivisa e sugli interventi di edilizia agevolata.
Gli ultimi provvedimenti regionali denotano una
tendenza involutiva che tende a ridurre la fascia di alloggi di edilizia
sovvenzionata.
Gli alloggi delle Aziende possono essere alienati
solo nei limiti della legislazione speciale.
Essi fanno parte del patrimonio indisponibile perché
sono destinati all’espletamento di un servizio pubblico a favore di una ben
speciifca categoria di assegnataria a basso reddito. vedi Cap. 9, n. 12.2.
14.
Il passaggio dal patrimonio indisponibile a quello disponibile.
Il passaggio di beni dal patrimonio indisponibile al
patrimonio disponibile, laddove la materia non sia disciplinata da apposita
disposizione di legge, ben può avvenire mediante atto amministrativo ovvero
anche in base ad atti concludenti incompatibili con la destinazione a pubblico
servizio (Cons. St., sez. IV, 5.11.2004, n. 7245, FACDS,
2004, 3156).
Il passaggio acquista una rilevanza fondamentale
sotto il profilo della legittimità di eventuali procedure di vendita.
Un bene appartenente al patrimonio indisponibile non
può essere, infatti, alienato legittimamente.
La giurisprudenza non è univoca nel determinare se
la cessazione dell’appartenenza al patrimonio indisponibile debba avvenire
prima della procedura di vendita o prima dell’atto di alienazione.
Per un filone è sufficiente che la cessazione della
appartenenza al patrimonio indisponibile intervenga prima della procedura di
vendita.
Per consentire l'alienazione di fondi dal patrimonio
indisponibile è necessario e sufficiente che gli stessi facciano parte del
patrimonio disponibile al momento della conclusione del relativo contratto e
non anche al momento della gara informale indetta nell'ambito della procedura
di individuazione del contraente.
Per altra giurisprudenza la procedura di passaggio
al patrimonio disponibile deve avvenire prima delle procedure di evidenza
pubblica necessarie alla vendita.
È illegittima la vendita di un terreno appartenente
in origine al patrimonio indisponibile della regione Friuli-Venezia Giulia e,
successivamente sclassificato, allorché risulti che le trattative siano
iniziate prima del passaggio del bene al patrimonio disponibile e, quest'ultimo
risulti motivato, non dal venir meno della destinazione pubblica, del bene, ma
unicamente dalla necessità di vendere il terreno ad un privato che, sulla base
di una (illegittima) promessa di vendita, aveva nel frattempo compiuto
rilevanti interventi di manutenzione.
(Corte Conti reg. Friuli Venezia Giulia, sez.
contr., 12.1.1995, n. 13, RCC, 1995, fasc. 1, 58).
La deliberazione in ordine alla sclassificazione
deve essere adeguatamente motivata.
15. Il regime
dei beni patrimoniali indisponibili.
I beni patrimoniali indisponibili sono caratterizzati
dal requisito della inalienabilità relativa, della destinazione e della non
assoggettabilità ad esecuzione forzata.
L’inalienabilità è relativa poiché essa può essere
ammessa dal mutamento della destinazione del bene o per una determinazione
dell’amministrazione o in relazione alle leggi speciali che regolano i singoli
beni.
Il regime però non è uniforme poiché alcuni beni sono
inalienabili come, ad esempio, le miniere.
La giurisprudenza sanziona gli eventuali atti di
alienazione.
È illegittima la vendita di un terreno appartenente
in origine al patrimonio indisponibile della regione Friuli-Venezia Giulia e,
successivamente sclassificato, allorché risulti che le trattative siano
iniziate prima del passaggio del bene al patrimonio disponibile e, quest'ultimo
risulti motivato, non dal venire meno della destinazione pubblica, del bene, ma
unicamente dalla necessità di vendere il terreno ad un privato che, sulla base
di una illegittima promessa di vendita, aveva nel frattempo compiuto rilevanti
interventi di manutenzione.
(Corte Conti reg. Friuli Venezia Giulia, sez.
contr., 12.1.1995, n. 13, RCC, 1995, fasc. 1, 58).
La regola comune a tutti i beni patrimoniali
indisponibili è quella fissata dall’art. 828, c.c. che afferma che i beni non
possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti
dalle leggi che li riguardano.
La norma comporta la nullità degli atti che
contravvengono a tale principio.
Il godimento dei beni pubblici, stante la loro
destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente
attribuito ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene - entro certi
limiti e per alcune utilità - solo mediante concessione amministrativa.
In linea di massima la dottrina non esclude la
usucapibilità dei beni del patrimonio indisponibile (Sandulli 1984, 780).
Di fatto però la teorica usucapibilità è di norma
esclusa poiché essa è realizzabile ove si dimostri che il bene ha perduto la
sua originaria destinazione.
Non sono usucapibili i diritti reali incompatibili
con la destinazione di un bene appartenente al patrimonio indisponibile di un
ente pubblico non territoriale.
La giurisprudenza è conforme nel ritenere la non
assoggettabilità dei beni appartenenti al patrimonio indisponibile ad
esecuzione forzata.
L'esigenza di conservare al bene la sua
destinazione, sino a quando l'ente cui appartiene ritenga di valersene per il
servizio in cui è impiegato, si traduce in un limite al potere del creditore di
far espropriare i beni del debitore, quale è previsto dall'art. 2910, c. c.,
La disciplina del processo esecutivo consente, qualora il creditore abbia sottoposto ad espropriazione cose dichiarate impignorabili da disposizioni di legge o dal codice di rito, ex art. 514, c.p.c., al debitore di opporsi alla esecuzione per far valere l'impignorabilità dei beni, ex art. 615, 2° co., c.p.c.
La giurisprudenza della Corte ha ritenuto che la violazione, da parte dell'ente, delle norme che disciplinano i modi in cui il bene può essere distolto dalla destinazione che in precedenza gli è stata attribuita non dà luogo a nullità, ma ad annullabilità del negozio che attua la disposizione del bene con conseguente sottrazione alla sua destinazione (Cass. Civ., sez. III, 22.1.1991, n. 576).
Il bene può appartenere ad un soggetto diverso dall'ente pubblico, e l'ente può compiere a riguardo del bene una valutazione contraria a quella in precedenza posta alla base dell'atto di destinazione; la violazione delle norme tese ad assicurare che una tale valutazione preceda il compimento dell'atto di disposizione non dà luogo ad illiceità dell'oggetto ed a nullità del contratto, ex artt. 1346 e 1418, 2° co., c. c., ma alla annullabilità di questo per un vizio che attiene all'ambito della legittimazione a disporre e perciò alla capacità di agire dell'ente, art. 1425, c. c.
La mancanza d'una previa determinazione dell'ente, che rimuova l'originario atto di destinazione, non impedisce che il negozio tuttavia compiuto produca gli effetti suoi propri, ma solo legittima lo stesso ente a domandare l'annullamento dell'atto.
E’ ammessa invece l’espropriazione per pubblica utilità solo qualora i beni abbiano cambiato la loro destinazione originaria.
La disciplina del processo esecutivo consente, qualora il creditore abbia sottoposto ad espropriazione cose dichiarate impignorabili da disposizioni di legge o dal codice di rito, ex art. 514, c.p.c., al debitore di opporsi alla esecuzione per far valere l'impignorabilità dei beni, ex art. 615, 2° co., c.p.c.
La giurisprudenza della Corte ha ritenuto che la violazione, da parte dell'ente, delle norme che disciplinano i modi in cui il bene può essere distolto dalla destinazione che in precedenza gli è stata attribuita non dà luogo a nullità, ma ad annullabilità del negozio che attua la disposizione del bene con conseguente sottrazione alla sua destinazione (Cass. Civ., sez. III, 22.1.1991, n. 576).
Il bene può appartenere ad un soggetto diverso dall'ente pubblico, e l'ente può compiere a riguardo del bene una valutazione contraria a quella in precedenza posta alla base dell'atto di destinazione; la violazione delle norme tese ad assicurare che una tale valutazione preceda il compimento dell'atto di disposizione non dà luogo ad illiceità dell'oggetto ed a nullità del contratto, ex artt. 1346 e 1418, 2° co., c. c., ma alla annullabilità di questo per un vizio che attiene all'ambito della legittimazione a disporre e perciò alla capacità di agire dell'ente, art. 1425, c. c.
La mancanza d'una previa determinazione dell'ente, che rimuova l'originario atto di destinazione, non impedisce che il negozio tuttavia compiuto produca gli effetti suoi propri, ma solo legittima lo stesso ente a domandare l'annullamento dell'atto.
E’ ammessa invece l’espropriazione per pubblica utilità solo qualora i beni abbiano cambiato la loro destinazione originaria.
Ai sensi dell'art. 828, 2° co. c.c., i beni del
patrimonio indisponibile dello Stato non possono essere sottratti alla loro
destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano. Da ciò
consegue che essi non sono suscettibili di espropriazione per p.u. o di
occupazione d'urgenza preordinata alla espropriazione, in contrasto con le
determinazioni assunte dall'amministrazione cui compete la cura del bene.
(T.A.R. Umbria, 21.5.1997, n. 217).
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