mercoledì 20 giugno 2012

CAPITOLO BENI PUBBLICI


BENI PUBBLICI


1.      I beni demaniali.


Gli enti pubblici possono avere dei beni a titolo di proprietà.
Questi beni si distinguono in beni demaniali ed in beni patrimoniali indisponibili ed in beni patrimoniali disponibili a seconda del loro regime giuridico. TRAVI, Formulario annotato della giustizia amministrativa, 2008, 93.
La dottrina non ha risparmiato critiche alla classificazione proposta dal c.c., che distingue le varie categorie di beni secondo un criterio meramente formale, ed ha formulato nuovi criteri per una classificazione più rispondente alle caratteristiche oggettive dei beni. M.S. GIANNINI, I beni pubblici, 1963, 29.
Lo scopo della classificazione peraltro è sostanziale perché dalla diversa collocazione del bene in una delle menzionate categorie dipende il suo regime giuridico
I beni demaniali sono quelli che appartenendo allo Stato o ad entro pubblico territoriale, quale comune, provincia e regione, è assoggettato al particolare regime di cui all’art. 822 del c.c. per essere indicato dalla legge come bene demaniale. P. VIRGA, Diritto amministrativo, vol. 1, 1995, 363.
L’art. 822 del c.c. classifica come demaniali, distinguendo il demanio necessario che comprende i beni che fanno obbligatoriamente parte dal demanio accidentale che riguarda i beni che ammettono la proprietà privata.
Fanno parte del demanio necessario i seguenti beni: il lido del mare, la spiaggia, le rade, i porti - che fanno parte del demanio marittimo ai sensi dell’art. 28 del c.n. - i fiumi, i torrenti ,i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, l’art. 1 della L. 36/1994 ha esteso la riserva pubblica sulle acque, - che fanno parte del demanio idrico - le opere destinate alla difesa nazionale - che fanno parte del demanio militare.
Il demanio necessario comprende: le strade, le autostrade - che fanno parte del demanio stradale - le strade ferrate - che fanno parte del demanio ferroviario - gli immobili, riconosciuti di notevole interesse storico, artistico o archeologico, ai sensi della L. 1089 del 1939, e i beni mobili come le raccolte dei musei delle pinacoteche degli archivi e delle biblioteche - che fanno parte del demanio culturale -, gli aerodromi - che fanno parte del demanio aeronautico.
Il regime dei beni demaniali è dettato dall’art. 823 del c.c.
Essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti in favore di terzi, esse ad esempio non sono usucapibili. G. LANDI G. POTENZA V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 117.
I beni demaniali non possono formare oggetto di contrattazione secondo gli schemi privatistici, ma semmai possono essere dati in godimento a terzi, compatibilmente con le esigenze di uso pubblico mediante provvedimenti amministrativi, ad esempio in concessione.
454/1
I beni demaniali possono formare oggetto di diritti in favore di terzi soltanto nei modi e nei limiti stabiliti dalle norme di diritto pubblico, e non secondo il diritto privato.
La utilizzazione del bene da parte della collettività deve essere ricondotta ad un uso generale - se riconosciuto a tutti i cittadini - ovvero speciale se limitato ad uno o più cittadini oggettivamente definiti.
A fronte di una domanda di concessione di un bene demaniale, la p.a. dispone di un ampio potere discrezionale, nell'ambito del quale deve considerarsi rientrante anche la ponderazione di interessi di ordine generale e di natura diversa da quelli propriamente demaniali, teso ad accertare la compatibilità dell'uso particolare del bene richiesto in concessione con l'uso generale, secondo le finalità ad esso proprie. T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 14 ottobre 2004, n. 2282, in Foro amm. TAR, 2004, 3173.
La concessione di un bene demaniale, e in particolare di tratti di arenile, ad un soggetto privato è giustificata quando, in sede di comparazione degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, l'accoglimento dell'istanza consenta, oltre che di soddisfare il particolare interesse del richiedente, di non compromettere altri interessi pubblici. Cons. St., sez. VI, 7 settembre 2004, n. 5840, in Foro amm. CDS, 2004, 2629.
Chiunque abbia la disponibilità di fatto di una cosa, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederla in locazione, comodato, o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed è, in conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione, allorché il rapporto venga a cessare. Cass. Civ., sez. III, 14 dicembre 2004, n. 23292.


2.      I beni del demanio necessario



I beni demaniali si dividono in due grandi categorie quella del demanio necessario e quella del demanio accidentale (Virga 1995, 370).
I beni possono essere demaniali per natura in quanto sono per la loro stessa essenza destinati a funzioni riservate allo Stato o alla regione e devono appartenere per questa ragione solo agli enti pubblici.
Gli elementi che caratterizzano il demanio naturale sono l’esclusività e l’appartenenza allo Stato.
L’esclusività comporta che le categorie dei beni del demanio naturale sono tassativamente elencate dall’art. 822, 1° co., c.c.
Fanno parte del demanio necessario i seguenti beni: il lido del mare, la spiaggia, le rade, i porti - che fanno parte del demanio marittimo ai sensi dell’art. 28 del c.n. - i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia - che fanno parte del demanio idrico - le opere destinate alla difesa nazionale - che fanno parte del demanio militare.
La giurisprudenza rileva che il demanio marittimo ha le caratteristiche del c.d. demanio naturale necessario, essendo i beni che ne fanno parte naturalmente destinati ai pubblici usi del mare per struttura e composizione. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 20.6.2005, n. 1435, FATAR, 2005, 6 2200).
Fanno parte del demanio idrico necessario le acque pubbliche, tra cui i laghi, come stabilito dall'art. 822 c.c. (Cons. St., sez. VI, 19.5.2005, n. 2509, FACDS, 2005, 5 1556).
L’appartenenza al demanio necessario dello Stato consente di risolvere ogni questione relativa alla proprietà dei beni fra amministrazioni pubbliche.
Le acque pubbliche, ad esempio, fanno parte del demanio necessario idrico dello Stato, con la eccezione, che qui non ricorre, del demanio regionale riguardante talune acque lacuali.
Detto principio generale, che si fonda sulla norma dell'art. 822, c.c., e sul regime complessivo di cui al r.d. n. 1175 del 1933, è ribadito dalla normativa successiva, che risulta ad esso del tutto coerente, anzitutto nel d.p.r. 616 del 1977. La norma attribuisce alle Regioni delle funzioni relative alla tutela, alla disciplina ed alla utilizzazione delle risorse idriche, ex art. 90, d.p.r. 616 del 1977.
La competenza dello Stato quanto alla dichiarazione di pubblicità delle acque è ribadita dall'art. 91, d.p.r. 616 del 1977.
Nel nostro sistema è necessario dunque in via di principio, salvo il caso della antica utenza antecedente la normativa suddetta sulla quale non vi è stata controversia nella specie, stabilire se un'acqua è pubblica.
E' ben vero, come ritiene il ricorrente, che i Comuni oltre ad altri soggetti pubblici e privati, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 183 del 1989, partecipano alle funzioni riguardanti il riassetto delle acque in materia di difesa del suolo, ma tale potere, che si esercita pur sempre nelle forme stabilite dalla legge, nulla ha a che vedere con la titolarità di un diritto dominicale sulle acque stesse (pubbliche), appartenenti, si é detto, in via di principio al demanio dello Stato salva diversa previsione legale.
Nel nostro ordinamento, le acque pubbliche fanno parte, salva diversa previsione legale, del demanio necessario (idrico) dello Stato, come risulta dall'art. 822 c.c. e dal r.d. 11.12.1933, n. 1775, e come è ribadito dal d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
Questa regola non trova eccezione, in favore dei Comuni, nella successiva normativa sul riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo di cui alla l. 18.5.1989, n. 183, giacché l'art. 11 di detta legge, se affida ai Comuni, unitamente ad altri soggetti, il compito di partecipare alle funzioni riguardanti il riassetto delle acque in materia di difesa del suolo, non attribuisce ad essi la titolarità di alcun diritto dominicale sulle stesse acque pubbliche, titolarità che neppure è ricavabile dall'interesse dell'ente locale alla corretta gestione delle acque sul proprio territorio, ex art. 4, l. 5.1.1994, n. 36. (Cass. Civ., sez. un., 5.7.2004, n. 12272, FACDS, 2004, 1995).
Fanno parte della categoria dei beni del demanio militare gli immobili destinati a soddisfare esigenze di sicurezza del Paese, sia all'esterno sia all'interno; non possono ricondursi fra tali beni i poligoni di tiro ceduti in uso all'Unione italiana tiro a segno per finalità che perciò esulano dai compiti istituzionali dell'amministrazione militare. (T.A.R. Sicilia Palermo, 31.5.1988, n. 403, FA, 1988, 3847).
Una della conseguenze dell’appartenenza al demanio necessario è evidenziata dalla giurisprudenza che nega per tali beni forme di sdemanializzazione tacita.

Il demanio marittimo ha le caratteristiche del cosiddetto demanio naturale necessario, essendo i beni che ne fanno parte naturalmente destinati ai pubblici usi del mare per struttura e composizione; pertanto, nei suoi confronti non sono possibili forme di sdemanializzazione tacita, non potendo venire meno le potenziali attitudini dell'arenile ai pubblici usi dal mare per il solo fatto dell'eventuale tolleranza, da parte della p.a., del possesso di privati sul bene stesso. (T.A.R. Sardegna, sez. I, 20.6.2005, n. 1435, FATAR, 2005, f. 6,2200).

3.      Il demanio accidentale


Il demanio accidentale comprende i beni che possono essere di proprietà oltre che dello Stato anche di altri enti o di privati.
Detti beni sono considerati demaniali solo se appartengono allo Stato o agli altri enti territoriali.
Fanno parte del demanio accidentale il demanio stradale, costituito dalle strade e dalle autostrade; il demanio ferroviario, costituito dalle strade ferrate; il demanio aeronautico, costituito dagli aerodromi; il demanio degli acquedotti; il demanio culturale costituito dai beni immobili, riconosciuti di notevole interesse storico, artistico o archeologico, ai sensi del d. lg. 42/2004, e dai beni mobili, come le raccolte dei musei delle pinacoteche degli archivi e delle biblioteche.
Un immobile di interesse storico può ritenersi incluso nel demanio accidentale dello Stato (o delle regioni o degli enti locali) a norma dell'art. 822 c.c. alla duplice condizione che appartenga ai suddetti enti e che l'indicato interesse sia stato dichiarato o riconosciuto in esito a specifico giudizio valutativo da parte della p.a. (T.A.R. Toscana, sez. III, 19.7.2002, n. 1561, FATAR, 2002, 2453).
La giurisprudenza ha stabilito che non costituiscono beni del demanio storico comunale le antiche mura di un centro medievale che non siano state fatte oggetto di un preventivo accertamento amministrativo e non siano state espressamente riconosciute d'interesse artistico o storico a seguito di un procedimento valutativo tendente ad appurare la qualità intrinseca del bene. I medesimi immobili, pur ammettendone l'originario carattere demaniale militare, di conseguenza, non passano automaticamente nella categoria del demanio accidentale una volta perduta la loro attitudine alla difesa, ma rimangono assoggettati alla disciplina di diritto privato, nella specie all'art. 887, c.c., per i fondi a dislivello. Nella specie si trattava delle mura castellane di Valfabrica. (Cass. Civ., sez. I, 28.6.1985, n. 3871, RGE, 1986, I, 74).
La giurisprudenza ritiene che per essere qualificati demaniali i beni del demanio accidentale devono appartenere interamente agli enti pubblici con esclusione quindi dei beni che appartengono a detti enti solo per quote di comproprietà.
L'art. 822, 2° co., c.c., ed, in correlazione, l'art. 824, c.c., comprendono tra i beni del demanio accidentale dello Stato e, rispettivamente, degli enti locali, i soli immobili riconosciuti di notevole interesse, appartenenti per intero a quei soggetti pubblici.
Va, pertanto, escluso che facciano parte del demanio accidentale dello Stato o degli enti locali - per intero, o anche soltanto per quota ideale - gli immobili riconosciuti di notevole interesse storico, artistico o archeologico, ai sensi della l. n. 1089 del 1939, rispetto ai quali detti soggetti siano titolari, unicamente, del diritto di comproprietà indivisa in comunione con un soggetto privato, mentre, in tale ipotesi, il soggetto pubblico vanta sul bene soltanto un diritto di comproprietà pro indiviso col soggetto privato, di natura meramente privatistica.
La privatizzazione degli enti ha inciso solo sulla loro struttura organizzativa e non ha avuto conseguenze sulla qualificazione del loro patrimonio.
Ad esempio, la trasformazione delle Ferrovie dello Stato in ente pubblico economico, regolata dalla l. 17.5.1985, n. 210, e la successiva modifica in s.p.a., ad opera della l. 8.8.1992, n. 359, ha inciso soltanto sulla disciplina organizzativa della struttura affidataria del servizio, senza far venire meno tutta la restante disciplina prevista dalla richiamata l. n. 210 del 1985, ivi compreso il regime giuridico dei beni di sua proprietà.
Il regime, quindi, resta quello tipico dei beni rientranti nel demanio accidentale, in cui va compreso il demanio ferroviario, cioè di quei beni in qualche modo destinati all'esercizio dell'attività ferroviaria (Cons. St., sez. IV, 14.12.2002, n. 6923, DT, 2003, 656).

4.      Le pertinenze.


Il regime della pertinenza, fissato dal c.c., collega il destino di tali beni con quello della cosa principale.
1. Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.(art.818, c.c.).
La giurisprudenza ritiene che per la costituzione del vincolo pertinenziale sono necessari un elemento oggettivo, consistente nella materiale destinazione del bene accessorio in una relazione di complementarità con quello principale, e un elemento soggettivo, consistente nella effettiva volontà, del titolare del diritto di proprietà, o di altro diritto reale sui beni collegati, di destinazione della res al servizio o all'ornamento del bene principale (Cass. Civ., sez. II, 9.5.2005, n. 9563, GCM, 2005, 5).
Sono considerate pertinenze del demanio stradale il terreno di sedime sottostante ad un viadotto autostradale.
Il terreno di sedime sottostante ad un viadotto autostradale e le aree immediatamente contigue, espropriati o altrimenti acquistati per la costruzione dell'autostrada e assegnati ad una società concessionaria, con obbligo di ritrasferimento allo scadere di concessione, ha natura di pertinenza dell'opera pubblica autostradale e, in quanto tale, è partecipe del regime pubblicistico di questa. Non rileva, a tal fine, il fatto che, medio tempore, sia proprietario del terreno un soggetto privato.
(Cons. St. , sez. IV, 18.9.1991, n. 721).
La casa cantoniera, in base all'art. 24, d. lg. 30.4.1992 n. 285, costituisce pertinenza della strada e partecipa, quindi, al suo carattere di demanialità quando la strada stessa appartiene ad un ente pubblico territoriale; che la perdita del carattere demaniale della pertinenza può essere solo l'effetto della perdita dello stesso carattere della cosa principale, salvo il caso - che qui non ricorre - di una diversa disposizione a norma dell'art. 818 c.c.
La casa cantoniera, in quanto pertinenza della strada pubblica partecipa alla sua natura demaniale.
Successivamente all'entrata in vigore dell'art. 19, l. 30.4.1999, n. 136, il quale ha stabilito che nel patrimonio dell'ANAS si intendono comprese le case cantoniere, nonché i terreni utili per i fini istituzionali, ha modificato il quadro normativo.
Ai sensi dell'art. 19 l. 30.4.1999. n. 136, le case cantoniere appartengono al patrimonio dell'ANAS e, in quanto beni patrimoniali e non demaniali, non sono suscettibili di autotutela in via amministrativa ex art. 823 comma 2 c.c., essendo esperibili soltanto i mezzi ordinari previsti dal codice medesimo a difesa della proprietà e del possesso. (T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 10.10.2005, n. 1560, FATAR, 2005, 10 3132).
La giurisprudenza ravvisa che fanno parte, fra l’altro, del demanio ferroviario, in quanto sue pertinenze, le stazioni, gli impianti, i viadotti, i ponti, le aree antistanti le stazioni.
L'esercizio del commercio su area pubblica, disciplinato dalla l. n. 112 del 1991, nel piazzale di una stazione ferroviaria è subordinato all'autorizzazione comunale ed al consenso dell'amministrazione che ne ha la proprietà o la gestione.
Il piazzale esterno antistante la stazione ferroviaria è pertinenza necessaria di questa e il comune non ne ha la disponibilità in virtù di una convenzione che attribuisce a questo esclusivamente l'attività di manutenzione, pulizia, sgombero neve ed illuminazione. (Cons. St., sez. V, 4.6.2003, n. 3074, FACDS, 2003, 2592).

Fanno parte del demanio idrico gli immobili che assumano natura di pertinenza del medesimo demanio per l'opera dell'uomo, in quanto destinati al servizio del bene principale per assicurare allo stesso un più alto grado di protezione.
Tale rapporto pertinenziale e la conseguente demanialità del bene accessorio permangono fino al momento in cui la p.a. manifesti la sua volontà di sottrarre la pertinenza alla sua funzione, mentre la sdemanializzazione non può desumersi da comportamenti omissivi della medesima.
Nella specie, la p.a. aveva espropriato un'area limitrofa al Brenta per la ricostruzione dell'alveo del fiume dopo un'alluvione e l'argine era stato ripristinato con l'inserimento di una "banca" e di una "sottobanca" di rinforzo, sulla quale ultima successivamente un privato aveva costruito un fabbricato.
La qualità di pertinenza demaniale della sottobanca, che, pur non essendo permeata dalle acque di piena ordinaria, deriva dal fatto che essa è inseparabile strutturalmente dall'alveo e può assolvere una funzione protettiva con continuità e non per esigenze solo momentanee. (Cass. Civ., sez. un., 18.12.1998, n. 12701, GCM, 1998, 2615).



5.      Il demanio marittimo.


I beni rientranti nel demanio marittimo sono indicati nell’art. 28, c.n.
Secondo tale articolo rientrano tra i beni del demanio marittimo fra gli altri il lido del mare e la spiaggia (Virga 1995, 365).
1. Fanno parte del demanio marittimo:
a) il lido, la spiaggia, i porti, le rade;
b) le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell'anno comunicano liberamente col mare;
c) i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo. (art. 28 c.n.).
Sono comprese nel demanio marittimo anche tutte le opere che sono state costruite entro l’area delimitata come demaniale.
1. Le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale, sono considerate come pertinenze del demanio stesso.(art. 29 c.n.).
Il lido è quella parte di terra contigua al mare che è normalmente coperta delle onde delle mareggiate ordinarie.
La spiaggia è quella parte di terra contigua al mare che di solito non è sommersa ma che può esserlo nelle mareggiate straordinarie.
La giurisprudenza ha affermato che costituiscono lido e spiaggia, e come tali sono comprese nel demanio marittimo, la striscia di terreno immediatamente a contatto con il mare e comunque coinvolta dallo spostamento delle sue acque, tenuto conto anche delle maree, nonché quell'ulteriore porzione, fra detta striscia e l'entroterra, che sia concretamente interessata dalle esigenze di pubblico uso del mare. (Cass. Civ., sez. III, 28.5.2004, n. 10304, FACDS, 2004, 1321).
Le caratteristiche per definire un’area demaniale hanno a riferimento l’azione del mare in relazione all’aera costiera.
Per stabilire se un'area rivierasca debba o meno essere considerata appartenente al demanio marittimo, mentre risulta indifferente la natura geografica del terreno, sono decisive le seguenti circostanze: 1) che l'area sia normalmente coperta dalle mareggiate ordinarie; 2) che, sebbene non sottoposta a mareggiate ordinarie, sia stata in antico sommersa e tuttora utilizzabile per uso marittimo; 3) che, comunque, il bene sia necessariamente adibito ad usi attinenti alla navigazione (accesso, approdo, tirata in secco di natanti, operazioni attinenti alla pesca da terra, operazioni di balneazione) anche solo allo stato potenziale. (Cass. Civ., sez. III, 28.5.2004, n. 10304, FACDS, 2004, 1321).
Il lido del mare appartiene allo Stato e fa parte del demanio pubblico dello Stato stesso, ai sensi dell'art. 822, comma 1, c.c.: pertanto, il suo utilizzo non può costituire oggetto di concessione da parte di un ente territoriale diverso dallo Stato, atteso anche che l'art. 824, comma 1, del codice medesimo assoggetta al regime dei beni demaniali, se appartenenti alle province o ai comuni, soltanto i beni della specie di quelli indicati dal comma 2 del citato art. 822, tra i quali non è compreso il lido del mare. (Cass. Civ. , sez. trib., 9.3.2004, n. 4769, FACDS, 2004, 658).

6.      . La gestione del demanio marittimo. La competenza regionale.


Il regime amministrativo attuale dei beni demaniali marittimi non è più caratterizzato dalle sole norme del codice navale, bensì è stato oggetto nel corso degli anni di numerose integrazioni da parte di altre fonti che ne hanno minato la stabilità interna, l'esaustività e la sistematicità codicistica.
La prima conseguenza del mutato assetto statale dovuto all'evoluzione socio-economica nonché alle modifiche politiche è stato il venire meno del regime di esclusività di competenze attribuite all'autorità marittima sulla gestione dei beni demaniali marittimi.
La nascita delle Regioni e l'evoluzione in senso federale dello Stato hanno portato a coordinare la gestione del demanio marittimo delineata nell'art. 30, c. n., con le sopravvenute esigenze economiche ed il mutato assetto territoriale
L'iniziale delega alle regioni delle funzioni relative all'utilizzazione dei soli beni demaniali marittimi che avessero carattere turistico-ricreativo, e dunque la potestà circoscritta all'assegnazione in concessione delle aree aventi tale destinazione, si è successivamente estesa anche alle zone portuali di rilevanza economica regionale e interregionale.
La ratio dell'originaria esclusione dalle funzioni amministrative delegate sia dei porti sia delle aree di preminente interesse nazionale era generalmente ravvisata nella corrispondenza tra attività di tutela, di modificazione e trasformazione di beni e diritti la cui titolarità era indiscutibilmente riferibile allo Stato.
Una simile configurazione del diritto di appartenenza statale comportava necessariamente l'attribuzione al titolare, e solo a questi, di ogni facoltà di disporre la fruizione del bene proprio in ragione dell'assolutezza del contenuto del proprio diritto.
Ad infrangere questo assetto dal contenuto perfetto per solennità ed assolutezza è intervenuta la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, con parere del 2.5.1980, n. 66500/3.6, ha demandato alla competenza regionale le controversie in tema di innovazioni ed occupazioni abusive, con facoltà di esperire le azioni possessorie a tutela.
La riforma federale, iniziata dalla Bassanini e passata attraverso i d.lg. n.112 del 1998 e n. 96/99 ed i limiti da essi imposti in ordine al conferimento di funzioni in tema di concessioni, ha trovato pieno riconoscimento nella riforma del titolo V della Costituzione.
Il ristretto ambito del demanio turistico-ricreativo oggetto di delega di funzioni, timidamente introdotto dall'art. 59, d.lg. n. 616 del 1977, è stato ampliato con il d.lg. n. 112 del 1998 che ha dato voce e concretezza al nuovo assetto. Esso ha disposto un conferimento generale ed onnicomprensivo a regioni ed enti locali delle funzioni amministrative relative alla gestione delle vicende che interessano il demanio marittimo.
L'art. 105, 2° co., lett. l) del d.lg. n. 112/1998, nel testo modificato dall'art. 9 della l. n. 88 del 2001, prevede che siano conferite alle Regioni le funzioni relative al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia; tale conferimento non opera nei porti finalizzati alla difesa militare e alla sicurezza dello Stato, nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale nonché nelle aree di preminente interesse nazionale, individuate con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21.12.1995.
Nei porti di rilevanza economica regionale ed interregionale il conferimento decorre dal 1.1.2002.
La disposizione relativa al conferimento alle Regioni delle funzioni in materia di gestione dei beni demaniali marittimi nei porti di rilevanza economica regionale ed interregionale a decorrere dal 1.1.2002 riproduce la formulazione dell'art. 4, 1° co., della l. 28.1.1994, n. 84, in materia di classificazione di porti, il quale, alla lett. d), prevede, tra gli altri, i porti di categoria II, classe III, individuabili, appunto, come porti di rilevanza economica regionale ed interregionale.
Alla crescita dello Stato in senso federale si è affiancato il processo di privatizzazione di settori particolarmente rilevanti (c.d. public utilities) quale quello delle imprese portuali.
Il percorso è stato successivamente e progressivamente segnato ed incentivato nel suo svolgimento dal prepotente ingresso della normativa comunitaria nell'ordinamento nazionale.
L'applicazione delle norme comunitarie in tema di concorrenza e gli interventi degli organi della Comunità sono alla base della privatizzazione dei servizi resi dalle imprese in ambito portuale e della progressiva modifica della disciplina marittima, legislativa e regolamentare, tradizionalmente orientata al riconoscimento del carattere pubblico (demaniale) del territorio e dell'insediamento dei porti, ma anche delle attività, seppure di carattere aziendalistico, ivi svolte.
In questa prospettiva assumono particolare significato gli interventi volti a separare lo svolgimento delle operazioni portuali, di competenza delle imprese private, dalla funzione di indirizzo e controllo di dette attività, affidata alle autorità portuali.




7.      L’accertamento della situazione dei confini.


Il demanio marittimo, cui appartengono quali beni naturali il lido del mare e la spiaggia, ha, a causa della continua azione delle correnti marine sulle coste, una conformazione mutevole. Proprio a causa di tale naturale mutevolezza il codice della navigazione, all'art. 32, c. n. prevede in capo alla autorità marittima un potere di accertamento della esatta delimitazione delle aree demaniali.
Poiché il demanio marittimo ha una conformazione mutevole a causa della continua azione delle correnti marine sulle coste, in caso di incertezza riguardo all'esatta delimitazione di esso è necessario procedere ad un accertamento della situazione dei confini, previo formale procedimento di delimitazione dell'area ai sensi dell'art. 32, c. n., e dell’art. 58, relativo regolamento di attuazione, in contraddittorio con gli interessati.
L’accertamento deve esercitarsi, anche d'ufficio, in contraddittorio con i privati proprietari ogni volta che vi sia una situazione di incertezza obiettiva in relazione alle linee di confine.
L'art. 32, 1° co., c. n., prevedendo che il capo del compartimento, quando sia necessario o quando comunque ritenga opportuno promuovere la delimitazione di determinate zone del demanio marittimo, inviti, nei modi stabiliti dal regolamento, le pubbliche amministrazioni e i privati che possono avervi interesse a presentare le loro deduzioni e ad assistere alle relative operazioni, non contempla un obbligo, ma una facoltà di carattere discrezionale, in capo all'autorità marittima, di procedere alla delimitazione del demanio, se ed in quanto ne ravvisi la necessità, vale a dire se ed in quanto vi siano ragionevoli dubbi in ordine al confine del demanio.
In casi ove sussista una obiettiva incertezza la giurisprudenza afferma la necessità di procedere ad un accertamento in contraddittorio della situazione dei confini adottato previo formale procedimento di delimitazione dell'area, ai sensi degli artt. 32 c.n. e 58 del relativo regolamento.
Il regolamento del c.n. fissa le modalità per lo svolgimento delle operazioni di accertamento.
La controversia è di pertinenza del giudice ordinario, in quanto la posizione che fa valere il soggetto che assume di essere proprietario dell'immobile è di diritto soggettivo.
Spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda di accertamento dei confini tra terreno privato e demanio marittimo proposta dal privato nei confronti della p.a., avendo detta domanda per oggetto l'accertamento dell'esistenza e dell'estensione del diritto soggettivo di proprietà privata rispetto alla proprietà demaniale.(Cass. civ., sez. un., 18.4.2003, n. 6347).
Un orientamento giurisprudenziale afferma la giurisdizione amministrativa qualora il ricorso proposto contro una ingiunzione di sgombero di area demaniale lamenti lo scorretto esercizio dei poteri di autotutela dell'autorità marittima, in particolare sotto il profilo della omessa effettuazione della delimitazione del demanio marittimo, ai sensi dell'art. 32 c. nav. e dell'art. 58 del relativo regolamento di esecuzione: l'interessato non aveva, infatti, formulato siffatte censure, limitandosi a contestare la demanialità dell'area in questione (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 8.9.2005, n. 1399, FATAR, 2005, f. 9,2984).


8.      Le concessioni per l’utilizzo del demanio marittimo.


Lo strumento di liberalizzazione ed accesso al demanio pubblico è individuato dall'art. 36, c. n., nella concessione.
1. L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.
2. Le concessioni di durata superiore a quindici anni sono di competenza del ministro dei trasporti e della navigazione. Le concessioni di durata superiore a quattro ma non a quindici anni, e quelle di durata non superiore al quadriennio che importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del direttore marittimo. Le concessioni di durata non superiore al quadriennio, quando non importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del capo di compartimento marittimo.(art. 36, r.d. 30.3.1942, n. 327).
Essa, essendo costituita per ampliare la sfera giuridica del destinatario, si configura come provvedimento ultimo emesso dall'amministrazione al termine dell'iter di verifica della compatibilità tra la destinazione pubblicistica del bene e la sua utilizzazione individuale nonché dell'idoneità dell'atto concessorio ad incrementare le potenzialità di utilizzazione del bene.
L'emissione del provvedimento di concessione, dunque, non rappresenta un obbligo per l'amministrazione, ma figura come risultato di un giudizio ponderato che segue ad una valutazione comparativa dei diversi interessi coinvolti.
Con la concessione sorge un rapporto di diritto pubblico tra l'amministrazione concedente ed il concessionario che soggiace all'attività di vigilanza del concedente, comprensiva della potestà di effettuare controlli e della facoltà di irrogare sanzioni a tutela della primaria esigenza di garantire che il servizio dato in concessione a terzi sia svolto con regolarità e in conformità con il principio di buona amministrazione.
Le concessioni per l’utilizzo del demanio marittimo sono rilasciate seguendo la procedura indicata dal c.n. che impone un procedimento ad evidenza pubblica.
L’art. 18 del regolamento c.n. prevede un procedimento ad evidenza pubblica che si articola seconda l’importanza e la durata della richiesta di concessione.
Il centro focale del procedimento concessorio viene logicamente a situarsi nelle cosiddette operazioni comparative per la scelta di quel privato che offra maggiori garanzie di saper curare nel modo più congruo il pubblico interesse. (Querci 1964, 99).
La procedura stabilita per le concessioni considerate rilevanti è soggetta a pubblicazione sul bollettino ufficiale della Regione o sui giornali visto che i Fogli degli annunci legali delle province sono stati aboliti, in base all'art. 31, l. 24.11.2000, n. 340.

1. Quando si tratti di concessioni di particolare importanza per l'entità o per lo scopo, il capo del compartimento ordina la pubblicazione della domanda mediante affissione nell'albo del comune ove è situato il bene richiesto e la inserzione della domanda per estratto nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
(art. 18 d.p.r. 15.2.1952, n. 328, mod. art. 1, d.p.r. 18.4.1973, n. 1085, e art. 7, 1° nonies co., l. 27.2.1998, n. 30).
La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto rilevanti anche le concessioni che hanno una durata inferiore al decennio.

Una concessione di beni appartenenti al demanio marittimo di rilevante superficie, avente durata decennale, a fronte di un'ordinaria durata di 4 anni, deve essere considerata particolarmente rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 18 del regolamento di attuazione del Codice della navigazione (d.p.r. n. 328 del 1952); pertanto, la predetta concessione va considerata illegittima qualora l'amministrazione non abbia seguito la procedura prevista nella norma citata (pubblicazione dell'unica domanda pervenuta nell'albo del comune e nel foglio annunci legali della provincia), non potendosi ritenere sufficiente l'acquisizione del parere di un organo tecnico, considerato che la pubblicazione ha lo scopo non solo di suscitare avvisi ad opponendum, ma anche quello di favorire la partecipazione di altri eventuali interessati.
(Corte Conti, sez. contr., 21.7.1999, n. 57, DT, 2000, 538).

Il procedimento obbligatorio prevede la pubblicazione delle domande di partecipazione.

Ai sensi dell'art. 18 regolamento di attuazione del codice di navigazione, la pubblicazione delle domande di concessione di aree portuali costituisce obbligo procedimentale dell'autorità portuale, sulla base dell'apprezzamento obiettivo dell'importanza della concessione, escludendosi che al riguardo l'autorità predetta fruisca di minor potere discrezionale.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 17.12.2003, n. 1666, FATAR, 2004, 648).

La dottrina rileva che vi è la necessità che le modalità di pubblicazione siano realizzate con mezzi congrui, ex art. 7, l. n. 241 del 1990. (Sinisi 2004, 656).
Le garanzie di partecipazione, previste dall'art. 7 e ss. sono rispettate quando la disciplina per regolare specifici procedimenti sia idonea a garantire la possibilità di esercitare facoltà di informazione e intervento di spessore pari, o almeno sostanzialmente equivalente, a quello previsto da tale legge (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 11 giugno 2001, n. 2704, DT, 2003, 1062).
Ciò si verifica, dunque, anche per la procedura di rilascio delle concessioni demaniali di cui agli artt. 36 c. n. e 5 ss. reg. nav. mar.
La forma prescelta deve cioè rivelarsi idonea a garantire la partecipazione di qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati, nonché dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ex art. 9, l. 241 del 1990, cui possa derivare un pregiudizio dall'adozione del provvedimento.
La partecipazione si svolge attraverso poteri e facoltà ad essi riconosciuti, tra cui quelli di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare, ai sensi dell'art. 10, l. 241 del 1990.
La finalità della pubblicazione è, così come definita dal T.A.R., non solo quella di suscitare avvisi ad opponendum, ma anche e soprattutto nel favorire la partecipazione di altri interessati.
Nella giurisprudenza costante l'utilizzazione degli avvisi ad opponendum è stata ritenuta idonea a soddisfare le esigenze di pubblicità, e dunque a stimolare la presentazione di domande concorrenti coll’unico limite di fissare modalità e termini rigidi che escludono la possibilità di presentare nuove domande.
Il procedimento di comparazione fra domande concorrenti intese ad ottenere la concessione demaniale (nella specie, di un complesso turistico-balneare) è rigidamente disciplinato, in particolare, per le modalità ed i termini di presentazione al fine di consentire un'istruttoria, in contraddittorio, tramite la quale tutti gli interessati possono prospettare le proprie ragioni nonché presentare osservazioni ed opposizioni propedeutiche alla decisione risolutiva del Ministro; la qual cosa perciò, esclude l'eventualità che la Capitaneria, a tutela del prevalente interesse pubblico, possa ammettere alla comparazione una istanza nuova, a meno che non sia acquisita apposita autorizzazione del Ministro, ex art. 18, 6° co., reg. c. n.
(T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 7.12.1995, n. 576, FA, 1996, 2065).
Il procedimento comparativo in caso di pluralità di domande concorrenti, di cui all'art. 37, c. n., è dunque rigidamente disciplinato, per modalità e termini, al fine di consentire un'istruttoria in contraddittorio che garantisca a ciascuna delle parti la possibilità di prospettare le proprie ragioni, nonché di presentare deduzioni ed opposizioni propedeutiche all'adozione della decisione definitiva.
La giurisprudenza ha precisato che in caso di più domande di un bene appartenente al demanio marittimo deve essere preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione e che proponga un uso del bene che, a giudizio discrezionale dell'amministrazione, risponda maggiormente all'interesse pubblico. (T.A.R. Liguria, sez. I, 17.12.2003, n. 1666, FATAR, 2004, 648).

9.      I caratteri della concessione.


La concessione non è trasferibile senza il consenso del concedente.
L'art. 46, c.n., si limita a stabilire gli effetti giuridici del subingresso nella concessione, unitariamente intesa, con riguardo, al primo comma, al profilo soggettivo e, al secondo, a quello oggettivo.
Con riferimento alla vicenda soggettiva la norma, che coerentemente disciplina l' ipotesi di sostituzione non già di cessione previa formale domanda del concessionario, ribadisce l'indisponibilità dell'oggetto costituito dal titolo pubblico per sua natura sottratto alla negoziabilità inter-privatistica.
Con riferimento all’aspetto oggettivo la disposizione si limita invece a prevedere, ai fini del subingresso nella titolarità dell'uso esclusivo del bene demaniale, l'inopponibilità dell'acquisto dei beni strumentali per l'esercizio della concessione nei confronti dell'amministrazione concedente.(art. 46 c.n.).
Nessuna disposizione di legge stabilisce espressamente il regime giuridico dei beni costruiti dal concessionario sul suolo demaniale. Effettivamente in giurisprudenza si ipotizza la proprietà superficiaria di cui all'art. 953, c.c.
Tuttavia, con riguardo alla concessione di edificare attribuita dall'amministrazione pubblica sul suolo demaniale, sulla base del presupposto che il bene demaniale non è suscettibile per sua natura di formare oggetto di diritti reali a favore di terzi, sicché non potrebbe mai darsi la proprietà superficiaria, nella più avvertita dottrina è parola di proprietà separata. In questa più coerente qualificazione, il concessionario acquista (solo) il diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in virtù del contratto ad effetti obbligatori accessivo alla concessione. È appena il caso di rilevare come tale configurazione sia la più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni demaniali solo che si abbia riguardo, a mero titolo di esempio, alla possibilità dell'amministrazione di rientrare nel possesso dei beni demaniali, e con essi delle opere realizzate dal concessionario, per sopravvenute esigenze pubbliche prima della naturale scadenza della concessione.
Il provvedimento concessorio condiziona infatti anche il titolo negoziale accessivo in base al quale il diritto di proprietà separata si è costituito.
In sintesi questo, diversamente dalla proprietà superficiaria, assume ab origine carattere limitato (o relativo in senso a-tecnico), cioè rigidamente circoscritto alla funzione per il quale è stato attribuito dall'amministrazione concedente: tanta da integrare uno dei casi di c.d. "proprietà funzionale".


10.  Gli indennizzi per la concessione.


I canoni di concessione sono determinati dallo Stato e aggiornati sulla base degli indici ISTAT.
L’art. 32, l. 24.11.2003, n. 326, dà mandato al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, di rideterminare i canoni annui già fissati con l. 4.12.1993, n. 494.
L’art. 8, l. 4.12.1993, n. 494, fissa il principio che gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento rispetto all’indennizzo normale.
La l. 4.12.1993, n. 494, nel prevedere che per le utilizzazioni sine titolo di beni demaniali marittimi di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo ovvero per loro utilizzazioni difformi dal titolo concessorio sono dovuti, fin dall'anno 1990, indennizzi in misura rispettivamente tripla o doppia rispetto a quelli ordinariamente stabiliti, tende a scoraggiare l'utilizzazione abusiva dei beni demaniali marittimi ed il protrarsi di simili situazioni.
La ratio della norma è quella di salvaguardare, in quanto possibile, la corretta fruizione di tali beni destinati istituzionalmente al soddisfacimento di esigenze di tutta la collettività.
Per la giurisprudenza la norma integra il criterio del risarcimento del danno dovuto allo Stato proprietario ai sensi dell'art. 2043 c.c., con un nuovo sistema di determinazione degli indennizzi con prevalente carattere sanzionatorio. (Cons. St. , sez. III, 30.5.1995, n. 496, CS, 1998, I, 154).

11.  La natura della concessione.


La concessione amministrativa può avere natura meramente obbligatoria o reale nel caso in cui sia anche ad aedificandum.
Al fine di stabilire se una concessione amministrativa ad aedificandum sia costitutiva di diritti di natura reale o meramente obbligatoria, è decisiva l'interpretazione complessiva - attribuita al giudice del merito, trattandosi di apprezzamenti di fatto - del titolo, e cioè dell'atto di concessione, e, in particolare, della disciplina relativa alla sorte delle opere costruite dal concessionario al momento della cessazione del rapporto concessorio.
Qualora l'atto di concessione preveda che, al momento della cessazione del rapporto, le opere costruite dalla Società concessionaria siano acquisite in proprietà dallo Stato senza indennizzo - e non, ad es., che le opere medesime avrebbero dovuto esser demolite a cura e spese del concessionario, con conseguente obbligo di restituzione del bene demaniale concesso nello stato originario - non può esservi dubbio, per le suesposte considerazioni, che la concessione de qua sia costitutiva del diritto di superficie a favore della Società concessionaria.
L’art. 41, c.n., prevede che il concessionario può, previa autorizzazione dell'autorità concedente, costituire ipoteca sulle opere da lui costruite sui beni demaniali.
L’art. 49, c. n., statuisce fra l'altro che, in mancanza di diversa previsione dell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato senza alcun compenso o rimborso.
La facoltà del concessionario di costituire ipoteca sulle opere dallo stesso costruite sul bene demaniale comporta che questa contenga la costituzione a favore della Società concessionaria di un diritto reale di godimento sulle opere medesime, ritenute peraltro di proprietà originaria dello Stato, ai fini della determinazione dell'aliquota dell'imposta di registro da corrispondere per la registrazione dell'atto di concessione.

12.  Il diritto di insistenza.


L’art. 37, c.n., codifica il diritto di insistenza che privilegia nel rilascio delle istanze di concessione quelle che sono già state oggetto di concessione negli anni precedenti.
Il diritto di insistenza è un esempio di compromesso tra esigenze pubbliche e tutela dell'attività privata in virtù del quale si accorda la preferenza al titolare della concessione durante il precedente anno, in caso di rinnovo (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1021/2002).
Sulla natura e sulla legittimazione del diritto di insistenza l’interpretazione giurisprudenziale ha variamente detto che esso si identifica con l'interesse pubblico ad affidare lo sfruttamento del bene ad un soggetto esperto e, inoltre, che esso si collega direttamente all'esigenza di trarre dalla concessione demaniale marittima un adeguato corrispettivo.
L'opinione dominante sembra tuttavia essere quella che intravede nel diritto di insistenza una applicazione del principio di affidamento del cittadino, limitando la discrezionalità della p.a.
In sede di rinnovo di concessione demaniale marittima permane l'inderogabilità del principio dell'insistenza, che prevale anche su quello della licitazione privata.(T.A.R. Liguria, sez. II, 31.10.2005, n. 1421).
La giurisprudenza ha ricostruito l'istituto accentuando la potestà amministrativa nei confronti dell’interesse del privato ovvero l’aspetto formale rimettendosi a quanto previsto dalla legge o dal contratto. (Perfetti 2003, 624).
La giurisprudenza s'è sforzata di limitare il diritto di insistenza, negandogli la natura di diritto soggettivo, subordinandolo alle valutazioni circa l'interesse pubblico. L’amministrazione è ritenuta comunque libera di individuare il concessionario con gara nei limiti della ragionevolezza.
Il diritto di insistenza ad una concessione demaniale derivante dall'avere detenuto il bene per svariati anni, non costituisce un diritto soggettivo, ma consiste nell'interesse del concessionario ad essere preferito ad altri aspiranti e, come tale, non è tutelato incondizionatamente, ma rappresenta solo un limite alla discrezionalità dell'amministrazione che, nel ponderare la scelta, deve tenere conto anche della situazione di colui che già si trova in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell'attività. (T.A.R. Toscana, sez. I 11 marzo 2002 n. 461)
Secondo una differente prospettazione il diritto d'insistenza sarebbe la conseguenza della protezione dell'affidamento del privato e, quindi, verrebbe in particolare rilievo la valutazione del potenziale danno in capo allo stesso, determinato dal venire meno del presupposto della sua attività d'impresa senza che l'amministrazione ne abbia particolare vantaggio (rientrando per questa via la valutazione circa l'esistenza di terzi che sono in grado di assicurare condizioni più favorevoli).
Il diritto di insistenza tutela l’interesse del concessionario sicché l'amministrazione deve tenere conto della posizione di colui che già si trovava in detta posizione e che quindi potrebbe risentire un danno dalla cessazione dell'attività.(Cons. St., sez. IV, 1.10.1993, n. 817).
Secondo una diversa prospettazione il diritto d'insistenza sussiste solo se ed in quanto previsto dalla legge (come nel caso del codice della navigazione) ovvero dal contratto.
La ricostruzione ha il pregio di evitare sia l'affermazione di una sorta di potere libero ed illimitato in capo all'amministrazione, che caratterizza il primo orientamento, carico di un evidente disfavore per il concessionario aspirante a fare valere un diritto che la legge di settore gli assicura, sia la ricostruzione del diritto di insistenza quale conseguenza dell'affidamento al privato, quasi che il mancato rinnovo equivalga ad una revoca della concessione.
Il Consiglio di Stato limita i contenuti del diritto di insistenza a quelle sole ipotesi nelle quali il diritto medesimo discenda dalla legge o dal contratto e quindi lo configura come un limite alla discrezionalità dell'amministrazione che però deve essere espressamente riconosciuto dalla legge o dall'autonomia delle parti.
Il cosiddetto "diritto d'insistenza", cioè l'interesse del precedente concessionario ad essere preferito rispetto ad altri aspiranti alla concessione, in quanto si configura come un limite alla discrezionalità dell'Amministrazione, deve essere espressamente riconosciuto dalla legge o dall'autonomia delle parti.


13.  . La revoca di concessione.


La concessione come qualunque atto amministrativo è revocabile. La revoca ben può essere contestuale al rilascio di una nuova concessione sullo stesso bene del demanio marittimo.
La giurisprudenza ha affermato che l’autorità competente, nel predisporre il provvedimento di revoca, deve individuare il precipuo interesse pubblico alla revoca indiscriminata delle ricordate concessioni.
In particolare il rilievo pubblicistico delle finalità perseguite dall’ente concessionario deve indurre l’amministrazione procedente ad una più accurata ponderazione degli interessi coinvolti, al fine precipuo di individuare una soluzione che, pur corrispondendo alle esigenze connesse alla nuova situazione, comporti al contempo il minor sacrificio del soggetto inciso.
Nella specie si trattava di revoca di concessione rilasciata alla Lega navale italiana, ente pubblico preposto a servizi di pubblico interesse, ai sensi del capo IV della tabella allegata alla l. 20.3.1975, n. 70. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 6.4.2004, n. 2379, FATAR, 2004, 1168).
L'art. 42, 4° co., c.n. dispone che nelle concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili l'amministrazione marittima, salvo che non sia diversamente stabilito, è tenuta a corrispondere un indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato.
La disposizione, qualora le parti nulla abbiano previsto per il caso di anticipata revoca della concessione, ha determinato un criterio proporzionale, in base al quale il concessionario ha titolo a percepire un indennizzo, in considerazione del costo delle opere realizzate e da rimuovere.
La norma, peraltro, con l'espressione “salvo che non sia diversamente stabilito”, ha posto una regola di natura dispositiva e non cogente, attinente al contemperamento delle posizioni patrimoniali dell'amministrazione concedente e del concessionario: l'indennizzo spetta solo nel caso in cui le parti nulla abbiano previsto per l'ipotesi di revoca anticipata della concessione.
L'art. 42, c.n., pertanto, consente all'Amministrazione di prevedere nella concessione o nell'accordo ad essa collegato l'esclusione della spettanza dell'indennizzo ovvero di determinare criteri risarcitori per essa meno onerosi.
L'indennizzo previsto a favore del concessionario di area demaniale marittima per il caso di anticipata revoca della concessione non è dovuto nell'ipotesi in cui la cessazione della concessione sia stata stabilita fin dall'atto concessorio con riferimento a prestabilite esigenze dell'amministrazione e, in ogni modo, in tale atto sia stato escluso il diritto del concessionario a compensi, indennizzi o rimborsi di sorta.
Nel caso di specie è stato rilevato che la società concessionaria non è stata destinataria di un improvviso e inaspettato provvedimento di revoca, ma ben sapeva che vi sarebbe stata la anticipata perdita degli effetti della concessione, così come già da essa previsto, anche in relazione all'evento che si sarebbe verificato quando fossero divenuti improrogabili i lavori di realizzazione della nuova darsena toscana, la cui rilevanza ed il cui andamento erano ben noti alla società sia perché la stessa era operante sul luogo sia perché essi erano stati valutati nella loro complessità dalle parti, anche in sede di conclusione dei loro accordi. (Cons. St. , sez. VI, 06.7.2000, n. 3775).


14.   I vincoli di rispetto delle distanze dal demanio marittimo.


L’art. 55, r.d. 327/1942, impone per l’esecuzione di nuove opere il limite di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare e sottopone i lavori a previa autorizzazione del capo del compartimento marittimo (Assini e Mantini 1997, 536).
Al demanio marittimo appartiene anche la spiaggia, la quale normalmente è priva, verso la terra, di limiti determinati dipendendo la esclusione o la esistenza di essa dalla natura dei luoghi e dalla marea.
I 30 m., di cui all'art. 55, c. n., entro i quali è necessario ottenere l'autorizzazione del capo compartimento marittimo per eseguire nuove opere, vanno misurati non dal limite del lido, ma da quello della spiaggia
(Cons. Stato, sez. V, 19.5.1978 n. 570, RGE, 1978, I, 801).
Detta disposizione è stata successivamente aggiornata dalla legislazione regionale - come, ad esempio, dalla l. r. Sardegna n. 80 del 1976.
La legislazione regionale ha superato le censure di illegittimità costituzionale in quanto la giurisprudenza ha riconosciuto che si tratta di norme conformative di beni che hanno caratteristiche comuni.

I beni di particolare valore ambientale e paesaggistico hanno caratteristiche tali da far ritenere coessenziali alla loro stessa natura limiti in via generale imposti alla concorrente facoltà di godimento del proprietario; limiti che gli organi amministrativi competenti possono solo esplicare in riferimento a casi concreti, sulla base di valutazioni tecnico–discrezionali; si tratta, pertanto, di vincoli derivanti dal regime ordinario di tali beni, che in nessun caso possono assumere valore espropriativo; non sussiste, dunque, la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 42, cost., dell'art. 14, l. r. sarda n. 17 del 19 maggio 1981, che prevede il divieto di eseguire costruzioni a distanza inferiori a 150 metri dal mare (Cons. Stato, sez. V, 27.10.1986, n. 576, RGE, 1987, I, 243).
La giurisprudenza ha stabilito la tassatività del vincolo anche per zone che risultino già compromesse da precedenti interventi edilizi. Le nuove norme, infatti, non possono essere derogate per il fatto che il sito risulti già compromesso.
Il divieto posto dalla l. r. Campania 13.5.1974, n. 17, e successive proroghe, di edificare lungo la fascia costiera ad una distanza inferiore a m. 500 dal mare, non può essere superato dalla circostanza che le nuove costruzioni si inseriscono in insediamenti già esistenti nel centro abitato, essendo volto a mantenere l'assetto urbanistico esistente  (Cons. Stato, sez. V, 1.2.1989 n. 82, FA, 1989, 143).
Unica deroga all’applicazione del vincolo delle distanze è stata ammessa per le autorizzazioni già rilasciate i cui lavori siano regolarmente iniziati entro il tempo massimo di scadenza del provvedimento assentivo.
L'Amministrazione preposta alla tutela dei beni del demanio marittimo ha la facoltà in ogni momento di provvedere alla delimitazione di determinate zone del demanio stesso, ai sensi dell'art. 32, c. nav., quando appaia necessario - o comunque soltanto opportuno - estendere il regime di vincolo (Cons. giust. amm. Sic., 8.8.1998, n. 456, CS,
1998, 1227).
Il limite di rispetto è stato successivamente aggiornato ed è stato portato a trecento metri dalla legge Galasso.


15.   Le autorizzazioni per opere su zone demaniali.


I beni del demanio marittimo sono protetti da disposizioni che vietano - senza autorizzazione dell’autorità competente - l’esecuzione di nuove opere entro una determinata zona di rispetto (Mengoli 2003, 547).
1. L'esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare è sottoposta all'autorizzazione del capo del compartimento.
2. Per ragioni speciali, in determinate località la estensione della zona entro la quale l'esecuzione di nuove opere è sottoposta alla predetta autorizzazione può essere determinata in misura superiore ai trenta metri, con decreto del Presidente della Repubblica, previo parere del Consiglio di Stato.
3. L'autorizzazione si intende negata se entro novanta giorni l'amministrazione non ha accolto la domanda dell'interessato.
4. L'autorizzazione non è richiesta quando le costruzioni sui terreni prossimi al mare sono previste in piani regolatori o di ampliamento già approvati dall'autorità marittima.
5. Quando siano abusivamente eseguite nuove opere entro la zona indicata dai primi due commi del presente articolo, l'autorità marittima provvede ai sensi dell'articolo precedente.(art. 55 c.n.)
L'autorizzazione, prevista dall'art. 55, c. n., dell'autorità marittima è richiesta anche nel caso in cui le opere siano edificate su area a confine del demanio marittimo, compresa nel piano regolatore generale comunale fra le aree edificabili, previa approvazione del piano stesso da parte della competente capitaneria di porto. (Cons. St., sez. VI, 8.3.2000, n. 1174, FA, 2000, 928).
Anche qualora sia stato approvato dalla Regione lo strumento edilizio in virtù del quale l'area de qua è stata inserita in zona edificabile è necessaria l'autorizzazione della Capitaneria di Porto, anche se detto organo è gerarchicamente subordinato agli organi della Regione che hanno approvato lo strumento Urbanistico.
La giurisprudenza ha ritenuto che, anche nel caso in cui lo strumento urbanistico contempli genericamente la possibilità di realizzare una costruzione nella zona, non può ritenersi che la generica previsione di realizzazione di costruzioni nella zona, e la qualificazione dell'area quale zona di completamento, comporti, automaticamente, la possibilità di ingrandimento mediante realizzazioni di pertinenze sempre più invasive della zona di confine prescindendo dalla autorizzazione della Capitaneria di Porto, relativamente alle opere concretamente realizzate, Detto provvedimento autorizzativo deve accertare l'effettivo inserimento dell'opera specifica nella previsione generale (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 14.6.2005, n. 995, FATAR, 2005, 6 2189).
La Regione, in relazione ad una istanza rivolta alla Capitaneria di Porto per il rilascio di una concessione demaniale marittima, può legittimamente richiedere che la pratica sia trasmessa per parere alla Soprintendenza, soggetto diverso da quelli elencati dal regolamento di esecuzione del codice della navigazione, in considerazione della obiettiva consistenza paesaggistica ed ambientale degli interessi coinvolti.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza non può escludersi per l'Amministrazione la possibilità, nel corso dell'iter procedimentale, di acquisire pareri da parte di soggetti idonei, per competenza ed esperienza, ad illuminare l'espletamento delle proprie funzioni (Cons. St., sez. VI, 20.10.2004, n. 6885).
Le determinazioni dell’amministrazione non possono essere censurate per disparità di trattamento.
La circostanza che la p.a. abbia nel tempo rilasciato in quel tratto di costa altre concessioni demaniali non comporta, ovviamente, la necessità di accogliere ogni ulteriore richiesta in tal senso. Nel caso di specie si è negato di aumentare la porzione di spiaggia destinata agli stabilimenti balneari a discapito di quella cosiddetta libera, operando un equilibrato bilanciamento fra le varie destinazioni d'uso nel complessivo assetto del litorale. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 8.9.2005, n. 4175, FATAR, 2005, 9 295).
La giurisprudenza ammette anche la richiesta di un’autorizzazione in sanatoria nel caso in cui essa possa essere richiesta legittimamente, secondo le disposizioni di piano vigenti al momento della domanda.
Nel caso in cui, a fronte di opere realizzate entro la fascia di rispetto del demanio marittimo, sia stata chiesta l'autorizzazione in sanatoria ai sensi dell'art. 55 c. n., la p.a. non può procedere ad emettere ingiunzione di sgombero se non si sia prima pronunciata sull'istanza di autorizzazione in sanatoria avanzata dal privato.
(T.A.R. Liguria, sez. I, 17.5.2005, n. 676, FATAR, 2005, f. 5, 1450).






16.  Il demanio portuale. Limiti.


Il porto appartiene al demanio marittimo.
La giurisprudenza ha precisato che la nozione di porto, cui fa riferimento l'art. 28 c. n., presuppone una realtà che deve esistere naturalmente, e come tale assolvere alla funzione sua propria, anche senza opere di adattamento o perfezionamento.
Con tale nozione si intende il tratto di mare chiuso che per la sua particolare natura fisica e atto al rifugio, all'ancoraggio ed all'attracco delle imbarcazioni provenienti dall'alto mare. (Cons. St., sez. VI, 27.3.2003, n. 1601, FACDS, 2003, 1108).
Nel concetto di porto non rientrano i cosiddetti porti interni, ricavati artificialmente, siano essi canali, fluviali o lacuali.
La giurisprudenza esclude che i bacini interni artificiali, anche se collegati attraverso aperture direttamente al mare, abbiano natura demaniale marittima.
Non può annoverarsi tra i beni del demanio marittimo il canale che realizza la comunicazione di una darsena privata con il mare in quanto non assolve ad un uso pubblico.
A maggior ragione, ove tale collegamento avvenga attraverso fiumi, laghi, o canali anche demaniali non si può parlare di porti, alla stregua della previsione dell'art. 822 c.c.
La possibilità che esistano darsene private permane anche volendo considerare tali bacini come una sorta di piccoli laghi, stante la previsione dell'art. 943 c.c., che riconosce espressamente che può esserci una proprietà privata su laghi e stagni.
L’esistenza di darsene private non trova ostacolo nemmeno nell'art. 56 c. n., che riguarda i porti e gli approdi, adibiti al pubblico servizio della navigazione interna su laghi, fiumi e canali.
I porti e gli approdi interni possono essere anche non adibiti al pubblico servizio ed avere perciò natura privata.
Non vi è alcuna ulteriore indicazione che faccia ritenere necessaria una loro appartenenza al pubblico demanio.
Quanto alla disposizione prevista dall’art. 28, lett. b), c. n., che fa rientrare nel demanio marittimo le lagune, le foci dei fiumi, i bacini di acque salse o salmastre che comunichino direttamente con il mare, essa semplicemente intende affermare la demanialità degli acquisti irreversibili compiuti dal mare, in linea con la tradizione giuridica di numerose legislazioni europee.
È ovvio che, per dar luogo alla demanialità dei suddetti specchi d'acqua salsa o salmastra, è necessario che avvenga una ricorrente invasione del mare mediante la sommersione della costa o attraverso amplissime aperture naturali.
Quando si tratti di bacini creati artificialmente con uno scavo e riempiti d'acqua marina, comunicanti con il mare solo mediante canali, anche stretti, non si può parlare di laguna e, tanto meno, di bacini naturali comunicanti liberamente con il mare.


17.   Le darsene.


Le opere indicate all'art. 5, 2° co., d.m. n. 343/1998, vale a dire i canali di comunicazione con il mare e gli specchi acquei portuali realizzati in base a concessione, unitamente alle relative sponde, sono state considerate, ai sensi della normativa vigente quali elementi del demanio marittimo.
1. Le aree non demaniali marittime e gli impianti, i manufatti e le opere sulle stesse edificati, anche se compresi nel perimetro del porto turistico definito con l'atto di concessione, conservano la loro natura giuridica preesistente, indipendentemente dalle trasformazioni strutturali e funzionali dei luoghi.
2. La previsione del comma 1 non si applica ai canali di comunicazione con il mare, agli specchi acquei portuali realizzati in base alla concessione né alle relative sponde, per l'ampiezza di banchina ritenuta dall'autorità concedente tale da assicurare la funzione portuale delle strutture e comunque non inferiore a metri sei dal ciglio. Le opere di cui al presente comma assumono immediatamente la qualificazione demaniale marittima ai sensi dell'
articolo 28 del codice della navigazione e ad esse, in deroga a quanto disposto dall'articolo 1, comma 2, si applica il canone indicato nell'articolo 1, comma 1, per le opere di difficile rimozione, fino alla scadenza del titolo concessorio (1) .
(art. 5, 2° co., d.m. n. 343/1998. Il 2° co., è stato annullato dal Cons. St., sez. VI, 27.3.2003, n. 1601).
Detta impostazione non è stata condivisa dalla giurisprudenza.
Secondo la giurisprudenza le darsene costruite a secco su aree private e nei canali di comunicazione con il mare realizzati in funzione delle stesse darsene non possono essere comprese in alcuna delle categorie dei beni del demanio marittimo naturale, così come elencate nell'art. 28, c.n., e art. 822, c.c.
Le opere indicate nell'art. 5, 2° co., d.m. n. 343 del 1998 - che si identificano in pratica nelle darsene costruite "a secco" su aree private, e nei canali di comunicazione con il mare realizzati in funzione delle stesse darsene - non possono essere comprese in alcuna delle categorie dei beni del demanio marittimo naturale, così come elencati nell'art. 28 c. n. (oltre che nell'art. 822, 1° co., prima parte, c.c.) e neppure tra i beni del demanio marittimo artificiale, di cui al successivo art. 29 c. nav.
La dottrina ritiene che non è più ipotizzabile la tesi di uno Stato in posizione di mera difesa dei beni demaniali.
Il suo ruolo oggi è mutato trasformandosi in una posizione attiva che deve favorire un'utilizzazione più vasta e diffusa dei beni demaniali.
Deve essere questo il nuovo modo di intendere il rapporto del cittadino nei confronti dei beni demaniali, secondo il paradigma costituzionale di uno Stato inteso come comunità (Scoca e Forza 2003, 1117).








18.   Il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto.


Il regolamento approvato con d.p.r. 2.12.1997, n. 509, disciplina, nel rispetto dei princìpi di cui all'art. 20, l. 15.3.1997, n. 59, il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto, il procedimento di approvazione dei relativi progetti, nonché gli altri procedimenti che risultano strettamente connessi o strumentali.
Sono oggetto di domanda i porti turistici, l’approdo turistico e il punto d’ormeggio come definiti dal regolamento.
1. Sono strutture dedicate alla nautica da diporto:
a) il "porto turistico", ovvero il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari;
b) l'"approdo turistico", ovvero la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all'art. 4, comma 3, della l. 28.1.1994, n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l'apprestamento di servizi complementari;
c) i "punti d'ormeggio", ovvero le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all'ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio di piccole imbarcazioni e natanti da diporto.
2. La concessione demaniale marittima per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto di cui al comma 1, lettere a ) e b ), è rilasciata:
a) con atto approvato dal direttore marittimo, nel caso di concessioni di durata non superiore a quindici anni;
b) con atto approvato dal dirigente generale preposto alla Direzione generale del demanio marittimo e dei porti del Ministero dei trasporti e della navigazione, nel caso di concessioni di durata superiore a quindici anni.
3. Qualora la concessione ricada nella circoscrizione territoriale di una autorità portuale, è rilasciata dal presidente ai sensi dell'art. 8, comma 3, lettera h ), della l. 28.1.1994, n. 84, e l'attività istruttoria di competenza dell'autorità marittima è curata dal segretario generale.
(art. 2, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).
Ai sensi dell'art. 3 d.p.r. 2.12.1997, n. 509, spetta all'autorità portuale locale decidere sull'istanza di concessione di aree appartenenti al demanio marittimo. (Cons. St., sez. VI, 21.5.2001, n. 2809, DT, 2002, 654).
La giurisprudenza ritiene che, nell’esaminare un progetto relativo a un porto turistico o al suo ampliamento, non si può prescindere dal considerare tutto il complesso delle opere occorrenti, siano esse a mare ovvero a terra. Tale interpretazione è basata non solo sul fatto che l'art. 2, 1° co., d.p.r. 2.12.1997, n. 509, comprende nella nozione di porto turistico sia le opere a mare che quelle complementari realizzate a terra, ma anche sul motivo che interessarsi delle sole opere a mare, e con ciò limitare ad esse il progetto, rinviando a un secondo tempo la progettazione delle opere a terra, potrebbe, in contrasto con il principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 cost., precostituire una situazione tale da rendere in prosieguo inevitabile il compimento di opere a terra, la cui realizzazione potrebbe trovare ostacoli non facilmente sormontabili. (T.A.R. Lazio Latina, 16.12.2002, n. 1456, FATAR, 2002, 12).
La procedura impone all’autorità amministrativa di pubblicare la domanda del concessionario per metterla a confronto con altre eventuali richieste di pari oggetto sul medesimo bene.
La norma sottopone, infatti, le concessioni di beni pubblici ai principi dell'evidenza pubblica che impongono l'espletamento di una gara tra più soggetti interessati, anche nella ipotesi in cui il procedimento inizi non già per volontà dell'amministrazione, bensì sulla base di una specifica richiesta di uno dei soggetti interessati all'utilizzo del bene.
Il procedimento consente ad un imprenditore di operare sul mercato in vista di una possibilità di lucro, con conseguente necessità di assicurare una procedura competitiva ispirata ai principi comunitari di trasparenza e non discriminazione. (Corte Conti , sez. contr., 13.5.2005, n. 5, RCC, 2005, 3, 1).

19.  Il ruolo dell’ente locale. La conferenza di servizi.


Il sindaco del Comune, nel cui ambito ricade l'area demaniale, è l'autorità cui spetta promuovere la conferenza di servizi per l'esame dei progetti preliminari.
L’art. 5, 2° co., d.p.r. 2.12.1997, n. 509, seleziona le amministrazioni che debbono parteciparvi; la norma individua per ciascuna di esse lo specifico interesse di rilievo pubblico in raffronto al quale il progetto che ricade sul demanio marittimo deve essere valutato.
1. Esperita la pubblicazione, le istanze pervenute, corredate della relativa documentazione, sono trasmesse a cura dell'autorità marittima, entro trenta giorni, al sindaco del comune interessato.
2. I progetti preliminari sono sottoposti all'esame di una conferenza di servizi promossa dal sindaco entro trenta giorni dalla ricezione delle istanze, alla quale sono chiamati a partecipare:
a) la regione, per la ammissibilità sotto il profilo urbanistico e pianificatorio, per la verifica di cui all'art. 10 del d.p.r. 12.4.1996, nonché per l'autorizzazione ai sensi dell'art. 7 della l. 29.6.1939, n. 1497, ove non delegata agli enti locali;
b) il comune, per l'ammissibilità sotto il profilo urbanistico edilizio;
c) la circoscrizione doganale, ai fini dell'autorizzazione di cui all'articolo 19 del d. lg. 8.11.1990, n. 374;
d) l'autorità competente al rilascio della concessione demaniale marittima ai sensi dell'art. 2, comma 2;
e) l'ufficio del genio civile opere marittime, ai fini della valutazione sull'idoneità tecnica delle opere;
f) l'ufficio del territorio del Ministero delle finanze, per gli aspetti dominicali;
g) altre amministrazioni che, in forza di leggi, regolamenti o appositi provvedimenti amministrativi, risultino preposte alla tutela di specifici interessi pubblici.
3. Le domande, complete degli allegati, sono inviate agli enti invitati alla conferenza almeno novanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l'espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze. La regione si esprime per i profili di propria competenza previa acquisizione del parere dei propri organi tecnici consultivi.
4. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'art. 5, commi 5, 6 e 7, del d.p.r. 12.4.1996, nonché quelle di cui all'art. 27 della l. 8.6.1990, n. 142, e successive modificazioni.
5. La conferenza di servizi può disporre, per una sola volta, adeguamenti dei progetti preliminari a motivate prescrizioni, al fine di consentirne la concreta comparabilità.
6. La conferenza di servizi decide sulle istanze rigettandole ovvero individuando, con provvedimento motivato, l'istanza ammessa alle successive fasi della procedura.
7. L'individuazione di cui al comma 6 è motivata con riferimento alla maggiore idoneità dell'iniziativa prescelta a soddisfare in via combinata gli interessi pubblici alla valorizzazione turistica ed economica della regione, alla tutela del paesaggio e dell'ambiente e alla sicurezza della navigazione.
8. Qualora non ricorrano ragioni di preferenza, si procede a pubblica gara (1).
9. Ai fini della tutela delle zone di interesse ambientale disciplinate dalla l. 8.8.1985, n. 431, le regioni o gli enti locali da esse delegati danno immediata comunicazione al Ministero per i beni culturali ed ambientali delle determinazioni assunte ai sensi dell'art. 7 della l. 1497 del 1939 nella conferenza di servizi di cui al presente articolo. Il Ministero per i beni culturali ed ambientali esercita, nei termini di cui all'art. 1, comma 5, della l. 431 del 1985, i poteri surrogatori e di annullamento previsti nella disposizione medesima.
10. La regione, in relazione alle caratteristiche, localizzazione, tipologia, dimensioni ed interessi sovracomunali del progetto del porto od approdo, nonché in relazione agli strumenti di pianificazione regionale vigenti, può disporre l'assunzione della responsabilità del procedimento di esame dei progetti preliminari.
(art. 5, d.p.r. 2.12.1997, n. 509, mod. art. 39, l. 7.12.1999, n. 472).
Le conferenze di servizi finalizzate al rilascio di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto hanno la funzione di sostituire sia l'ordinario procedimento concessorio sia i procedimenti con esso connessi, ivi compreso quello di rilascio dei necessari titoli abilitativi in materia edilizia.
La connessione si ha quando diversi procedimenti siano tra loro condizionati o siano tutti necessari per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto.
Alla conferenza di servizi relativa al progetto preliminare è chiamato a partecipare, tra gli altri, il Comune per l'ammissibilità sotto il profilo urbanistico edilizio.
Alla conferenza di servizi relativa al progetto definitivo è, del pari, chiamato a partecipare il Comune, per la formalizzazione dei provvedimenti di competenza.
Il progetto definitivo ed i documenti connessi sono inviati agli enti partecipanti almeno centocinquanta giorni prima della data di convocazione, al fine di consentire ai medesimi l'espletamento delle procedure necessarie alla compiuta e definitiva espressione delle rispettive competenze.
In tale modo la conferenza di servizi in cui viene approvato il progetto definitivo sostituisce gli atti di assenso necessari, ivi compresi i titoli edilizi necessari per la realizzazione delle opere.
Le conferenze di servizi finalizzate al rilascio di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto, come disciplinate dal d.p.r. 2.12.1997, n. 509, hanno la funzione di sostituire sia l'ordinario procedimento concessorio, sia i procedimenti con esso connessi, ivi compreso quello di rilascio dei necessari titoli abilitativi in materia edilizia.
Per la giurisprudenza le manifestazioni di volontà espresse da dette p.a., in base al modello procedimentale, restano fra loro distinte e ciascuna delle amministrazioni che partecipa alla conferenza di servizi esterna il giudizio di comparazione del progetto con l'interesse pubblico del quale è preposta alla cura.
Esse, quindi, non si fondono in un'unica volontà da imputarsi alla conferenza di servizi, intesa quale organo collegiale, così che la maggioranza dei consensi possa imporsi al dissenso di taluna delle amministrazioni chiamate a pronunziarsi sul progetto preliminare. (Cons. St., sez. VI, 18.4.2005, n. 1768, FACDS, 2005, 4 1168).
La legislazione regionale ha in taluni casi non possono essere realizzati porti o approdi turistici non inseriti nel Piano regionale dei porti e degli approdi previsto come ad esempio l'art. 7, comma 3, della legge regionale n. 68/97, recante norme sui porti e gli approdi turistici della Toscana.
Ne deriva che il contrasto del nuovo intervento con la disciplina della regione Toscana è preclusivo alla realizzazione del progetto, per cui, a fronte del tassativo ed assorbente divieto di realizzare porti turistici non inseriti nel PREPAT e nella pianificazione transitoria, coerentemente la Conferenza di servizi ha omesso ogni valutazione del merito del progetto preliminare presentato e ogni istruttoria sul medesimo.
(
T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 10.10..2002, n. 2424, FATAR, 2002, 3225).

20.  Il rilascio della concessione demaniale.


Prima di vedersi rilasciare la concessione demaniale il richiedente deve presentare il progetto esecutivo.
Il progetto è approvato, se conforme agli strumenti urbanistici, dalla conferenza di servizio.(art. 6, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).
Nel caso di non conformità del progetto agli strumenti urbanistici l’approvazione è effettuata in sede di accordo di programma, rimanendo salva la successiva approvazione del consiglio comunale.
L'accordo di programma si consegue con il "consenso unanime" delle amministrazioni partecipanti ed inoltre proprio il richiamo all'art. 27, l. 142/90, sostituito dall'art. 34, d. lg. n. 267/2000, consente di affermare che alla eventuale variazione degli strumenti urbanistici si può giungere "sempreché vi sia l'assenso del comune interessato" (commi 4 e 5), con ciò confermandosi che il sistema abbia voluto dare una giustificabile prevalenza all'avviso dell'ente Comune preposto in via diretta alla cura degli interessi che confluiscono nei provvedimenti di pianificazione urbanistica.(T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 10.10.2002, n. 2424, FATAR, 2002, 3225).
Ove il progetto di ampliamento di un porto turistico comporti la necessità di effettuare, sia pur in un secondo momento, anche opere a terra che vadano ad interessare una zona protetta, l'approvazione del progetto deve essere preceduta dalla conferenza di servizi prevista dagli artt. 5 e 6, d.p.r. 2.12.1997, n. 509, alla quale deve necessariamente partecipare, ai fini del rilascio del necessario nulla osta, l'Ente posto a tutela della zona protetta.
Ove il progetto di ampliamento di un porto turistico comporti la necessità di effettuare, sia pur in un secondo momento, anche opere a terra che vadano ad interessare una zona protetta (nella specie, il Parco nazionale del Circeo), lo stesso deve essere obbligatoriamente sottoposto a valutazione d'impatto ambientale, come previsto dall'art. 1, 4° co., d.p.r. 12.4.1996, Disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale.
Il rilascio della concessione è atto dovuto dopo l’approvazione della conferenza di servizi o dell’accordo di programma.
1. Entro trenta giorni dall'esito favorevole della conferenza di servizi o dell'accordo di programma di cui all'articolo 6, l'autorità competente rilascia al richiedente la concessione demaniale marittima mediante atto pubblico redatto con le formalità di cui agli articoli 9 e 19 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione, previa determinazione del canone di concessione calcolato secondo le disposizioni di legge vigenti al momento della stipula.
2. Copia dell'atto di concessione è trasmessa al competente ufficio del territorio del Ministero delle finanze.
(art. 7, d.p.r. 2.12.1997, n. 509).
Il soggetto richiedente dopo il rilascio della concessione è immesso nel possesso dei beni.
L’esecuzione delle opere deve essere conforme al progetto approvato e deve avvenire sotto il controllo e la vigilanza di una commissione nominata dall’autorità competente.



21.  Il demanio idrico nel codice civile.


Fanno parte del demanio idrico, ai sensi dell’art. 822, c.c., i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia.
La giurisprudenza ha ravvisato la profonda distinzione fra i beni del demanio idrico e quelli del demanio marittimo.
I beni del demanio idrico sono preordinati alla fruizione dell'acqua per usi di pubblico generale interesse ed alla difesa del territorio dai danni derivanti da un regime non controllato delle acque. I beni del demanio marittimo, invece, si identificano in relazione alla loro funzione strumentale alla navigazione ed al traffico.
Le opere idrauliche, le golene e le terre emergenti, che si trovino alla foce di un fiume, in zona di demanio marittimo, non fanno parte di tale demanio, poiché la compresenza di un interesse marittimo non priva il demanio idrico e le opere idrauliche della loro specifica funzione pubblica.
(Trib. sup.re acque, 5.6.1990, n. 45, CS, 1990, II, 969).
I fiumi e i torrenti.
Secondo gli orientamenti della giurisprudenza, il carattere della demanialità contraddistingue, oltre che il corso d'acqua, l'alveo e le rive, ma non anche gli argini e le altre opere destinate a regolare il flusso e il regime delle acque che non siano state realizzate dalla p.a. al fine specifico di tutela del corso idrico cui accedono (Cass. Civ., 11.6.1980, n. 3718).
La giurisprudenza ha precisato che fanno parte di un corso d'acqua pubblico, e perciò appartengono al demanio idrico, non solo il letto di magra del fiume, ma anche le zone che, comprese tra questo e l'argine (naturale ed artificiale), sono soggette a rimanere sommerse in caso di piene ordinarie; a tal fine il livello della piena ordinaria di un corso d'acqua pubblico va determinato in base alla congiunta valutazione dell'elemento quantitativo e di quello temporale, dovendosi considerare come quota raggiunta dalla piena ordinaria il livello massimo attinto dalle acque in un numero di anni talmente prevalente rispetto a quelli del residuo periodo (all'uopo sufficientemente lungo) preso in considerazione da rappresentare la norma. (Cass. Civ., sez. un., 30.6.1999, n. 361, GCM, 1999, 1509).
Le isole che si formano nel letto dei fiumi o torrenti, di cui è prevista la demanialità dall'art. 945, comma 1, c.c. - i cui commi 2 e 3 sono stati abrogati dall'art. 2 l. 5.1.1994, n. 37 - non appartengono al cosiddetto demanio necessario dello Stato, ai sensi dell'art. 822, comma 1, c.c., ma al demanio non necessario, o legale, secondo la previsione del comma 2 dello stesso articolo, a norma del quale fanno parte del demanio pubblico, ove appartenenti allo Stato, anche i vari beni ivi specificamente elencati ed inoltre gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico. Ne consegue che l'entrata in vigore del suindicato art. 945, c.c., del 1942, innovativo rispetto all'art. 458, c.c., del 1865, che ammetteva la proprietà privata per le isole nate nei fiumi o torrenti non navigabili né atti al trasporto, non ha ipso iure fatto diventare demaniali le isole appartenenti a privati.
Laghi.
I laghi sono espressamente qualificati come beni del demanio idrico.
Si è posto il problema della demanialità di opere accessorie realizzate su suoli prospicienti a laghi da utilizzare come darsene.
La giurisprudenza ha fissato un principio discriminante per qualificare tali opere.
Se esse sono eseguite in diretta comunicazione del lago esse per accessione diventano demaniali.
Nell'ipotesi in cui il proprietario di un suolo sito sull'alveo di un lago realizzi una darsena mediante escavazione del proprio suolo, facendo sì che l'acqua lacustre allaghi lo scavo, non è possibile scindere tra proprietà privata del suolo e proprietà demaniale dell'acqua e così ritenere che la darsena appartenga al privato, salvo il diritto della p.a. alla derivazione. Al contrario, posti i principi di inseparabilità tra acqua ed alveo e di inalienabilità dei beni del demanio pubblico, deve ritenersi che, per accessione alla cosa principale, il terreno, originariamente privato ma trasformato in darsena, sia divenuto anch'esso demaniale.(Cass. Civ. , sez. un., 6.11.1998, n. 11211, GCM, 1998, 2287).
Restano invece di proprietà privata le opere realizzate in vicinanza del lago, ma collegate da un canale che separi le opere dal lago.
È esclusa la demanialità della darsena costruita su suolo privato circondato da proprietà privata con accesso al lago mediante un lungo canale che regola il flusso e il deflusso delle acque, in assenza di una modificazione strutturale del lago, quale situazione di fatto, mediante espansione dell'alveo fino alla darsena, valevole come modo di acquisto per tale bene artificiale della qualità di bene pubblico. (Cass. Civ. , sez. un., 5.2.2002, n. 1552, GCM, 2002, 196).
Il provvedimento amministrativo che stabilisce i termini fra le proprietà demaniali e quelle private lungo le spiagge lacuali, includendo nell'area demaniale una parte di un terreno di proprietà privata, deve acquisire il parere dell'intendente di finanza - a nulla rilevando che in un sopralluogo all'uopo disposto abbiano preso parte dei funzionari dell'ufficio tecnico erariale - previsto dall'art. 3, r.d. 1,12.1895 n. 726. (Trib. sup.re acque, 30.10.1995, n. 85, CS, 1995, II, 1847).
Ove sia riconosciuto necessario e conveniente, si promuove, lungo le spiagge lacuali, l'apposizione dei termini fra le proprietà demaniali e quelle private, in conformità all'art. 441 del codice civile.
Le delimitazioni sono determinate dal prefetto dopo sentito il genio civile, l'intendenza di finanza e gli interessati, salvo a questi ultimi il ricorso all'autorità giudiziaria, qualora si credessero lesi nei loro diritti.
(art. 3, r.d. 1.12.1895 n. 726).


22.  Le isole che si formano nel letto dei fiumi.


Le isole che si formano nel letto dei fiumi o torrenti sono demaniali, ex art. 945, 1° co., c.c.
Esse non appartengono al cosiddetto demanio necessario dello Stato, ai sensi dell'art. 822, 1° co., c.c., ma al demanio non necessario, o legale, secondo la previsione dell'art. 822, 2° co., c.c., a norma del quale fanno parte del demanio pubblico, ove appartenenti allo Stato, anche i vari beni ivi specificamente elencati ed inoltre gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico.
L’isola è una porzione di terreno circondata da ogni parte dall’acqua; essa si può essere formata o perché il fiume abbandona una parte di alveo o perché i materiali di deposito del fiume emergono dalle acque.
Occorre che l’emersione sia definitiva e, quindi, l’isola non deve essere sommersa durante le piene ordinarie del fiume (Resta 1964, 467).
L'entrata in vigore del suindicato art. 945, c.c., del 1942, innovativo rispetto all'art. 458 c.c. del 1865, che ammetteva la proprietà privata per le isole nate nei fiumi o torrenti non navigabili né atti al trasporto, non ha ipso iure fatto diventare demaniali le isole appartenenti a privati. (Cass. Civ., sez. un., 10.8.2000, n. 565, GCM, 2000, 1474).
Il 2° e 3° co., art. 945, c.c., sono stati abrogati dall'art. 2, l. 5.1.1994, n. 37.
Essi prevedevano che la proprietà privata permaneva nel caso di isole formate per avulsione.
L’avulsione avviene quando l’isola si forma o per un distacco del terreno da uno dei fondi rivieraschi o perché le acque circondano un fondo da ogni parte.
Il legislatore ha successivamente precisato che le isole non possono essere oggetto di sdemanializzazione.

4. Le aree del demanio fluviale di nuova formazione ai sensi della l. 5.1.1994, n. 37, non possono essere oggetto di sdemanializzazione.  (art. 41, d.lg. 1.5.1999, n. 152).
La giurisprudenza ha affermato che tale disposizione non ha introdotto un divieto generalizzato di sdemanializzazione dei beni appartenenti al demonio idrico.
Eccettuate le aree del demanio fluviale di nuova formazione di cui agli artt. 942 e 945 c.c., come sostituiti dall’art. 1, l. 5.1.1994 n. 37, residua in capo alle amministrazioni competenti il potere di provvedere alla sdemanializzazione dei beni del demanio idrico per i quali non abbia più ragione di sussistere tale particolare regime giuridico, imposto a tutela di esigenze pubblicistiche la cui connessione con il corso d’acqua sia successivamente venuta meno.
(Cons. St., sez. II, 15.12.2004, n. 5548, RGA, 2005, n. 5, 818).

23.   La concessione delle acque pubbliche.


La derivazione di acque pubbliche è consentita solo se il richiedente ottiene regolare concessione.
Possono derivare e utilizzare acqua pubblica:
a) coloro che posseggono un titolo legittimo;
b) coloro i quali, per tutto il trentennio anteriore alla pubblicazione della l. 10.8.1884, n. 2644 (ora abrogata), hanno derivato e utilizzato acqua pubblica, limitatamente al quantitativo di acqua e di forza motrice effettivamente utilizzata durante il trentennio;
c) coloro che ne ottengono regolare concessione, a norma della presente legge. (art. 2, t.u. 11.12.1933, n. 1775).
La convenzione, stipulata fra un ente pubblico ed un privato, avente ad oggetto l'attribuzione al privato dell'utilizzazione di un bene del demanio nonché della gestione del servizio pubblico cui esso serve, è qualificata come concessione-contratto.
La convenzione che regola l'attribuzione a privati, tanto della utilizzazione di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello stato o del comune, quanto della gestione di un servizio pubblico comunale obbligatorio, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile alla figura della concessione contratto.
Nella specie le Sezioni Unite, dopo avere affermato il suddetto principio, sempre ai fini della qualificazione suddetta hanno dato rilievo anche alla circostanza che il termine concessione era stato usato in una clausola della convenzione, nonché all'ulteriore dato della presenza, nel procedimento di formazione della convenzione stessa, dei due segmenti della fattispecie complessa della figura della concessione-contratto, che hanno individuato nell'atto deliberativo della Pubblica Amministrazione, avente natura di atto autoritativo, e nell'atto di attuazione, costituito dal contratto, avente la natura di fonte dei diritti e delle reciproche obbligazioni.
I tribunali regionali delle acque hanno giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto qualsiasi diritto relativo alle derivazioni od utilizzazioni di acqua pubblica e che solo indirettamente si riflettano anche sui canoni concessori, in rapporto al corretto esercizio del potere discrezionale della p.a. competente a disciplinare la fruizione di derivazioni idriche secondo modalità primariamente rispettose degli interessi pubblici
L'art. 140, 1° co., lett. c), t.u. 11.12.1933, n. 1775, si riferisce anche alle controversie sull'esistenza e sull'entità dei canoni di concessione di utenze idriche nelle quali si contesti il diritto soggettivo del concessionario alla corretta applicazione delle disposizioni regolanti l'indicato canone in base ad elementi oggettivi e certi, secondo parametri e criteri tecnici vincolanti per la p.a.; conseguentemente, l'illegittimità degli atti amministrativi, determinanti detti elementi, può essere fatta valere mediante impugnativa, in via principale, davanti al g.a. speciale (trib. sup. acque) o, alternativamente, sollecitandone l'incidentale disapplicazione da parte del g.o. specializzato (trib. reg. acque) nelle vertenze sui diritti soggettivi asseritamente lesi da atti consequenziali.
(Trib. sup.re acque, 30.9.2005, n. 118, FACDS, 2005, 9 2773).

24.  Il demanio militare.


Fanno parte del demanio necessario le opere destinate alla difesa nazionale.
La dottrina evidenzia inoltre che fanno parte del demanio militare le strade militari, gli aeroporti militari, i porti militari e qualunque altro bene riconosciuto demaniale dal diritto positivo per la sua funzione atta a soddisfare le esigenze militari (Pastore 1964, 441).
L'opera destinata alla difesa militare va individuata in base alla sua effettiva ed inequivocabile destinazione, per cui tra tali opere vanno comprese non solo quelle destinate alla difesa del Paese in stato di guerra, ma in via generale tutte quelle necessarie ad assicurare la sicurezza esterna ed interna dello Stato, anche se eseguite da soggetti diversi dall'amministrazione militare.
Rientra tra le opere destinate alla difesa militare la costruzione di una nuova rete digitale in ponte radio interpolizie, il cui progetto era stato secretato ed era stato classificato come riservatissimo con decreto del Ministro della difesa. (T.A.R. Abruzzo Pescara, 2.5.2005, n. 192, FATAR, 2005, 5 1619).
Sono invece da considerarsi come opere militari gli alloggi per il personale militare all'interno di una struttura militare.
Gli edifici esistenti su area demaniale e utilizzati dalle capitanerie di porto per gli alloggi del personale incaricato della sicurezza e della difesa nazionale, in modo da assicurarne l'immediata utilizzabilità per le esigenze anche militari che dovessero prospettarsi, sono destinati ex lege alla difesa militare.(Cons. St., sez. VI, 03.4.2002, n. 1854, DT, 2002, 1022).
Parimenti sono da considerarsi opere militari tutte le costruzioni eseguite su aree all'interno di basi, impianti o installazioni militari (Cons. St., sez. IV, 13.11.1998 n. 1531, FATAR, 1998, 3014).
Allo stesso modo, sono equiparate ad opere destinate alla difesa nazionale le caserme della polizia di Stato, essendo da considerarsi tali tutte quelle opere necessarie non solo alla difesa del paese in tempo di guerra, ma anche quelle necessarie per soddisfare esigenze di sicurezza interne o esterne (TAR Lazio, sez. I, 15.10.1993, n. 1484, FATAR, 1994, 632.
Stessa regola vale per le sedi di servizio dell'Arma dei carabinieri (T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, 28.10.1998 n. 432, TAR, 1998, I, 4413).
In particolare, sull'equiparazione delle caserme dei carabinieri alle opere di difesa nazionale, è intervenuta la Corte costituzionale, affermando la legittimità costituzionale dell'art. 3, l. 6.2.1985, n. 16, il quale stabilisce che, ai fini dell'accertamento di conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie previsto dall'art. 81, d.p.r. 24.7.1977, n. 616, le opere indicate dalla stessa legge - sedi di servizio, con relative pertinenze, necessarie a soddisfare le esigenze logistico-operative dell'Arma dei carabinieri - sono equiparate alle opere destinate alla difesa militare (Corte Cost., 1.4.1992, n. 150, FI, 1992, I, 2613).
Più correta la teoria che considera le caserme come beni rientranti nel patrimonio indisponibile dello Stato. Vedi Cap. VIII, n. 5.
Non sono stati compresi tra le opere di difesa militare i poligoni di tiro, dovendosi escludere un qualsiasi collegamento tra tale attività e la difesa dello Stato (Cons. St., sez. IV, 27.5.2002 n. 2930, CS, 2002, I, 1205).
Non costituisce opera destinata alla difesa nazionale l'edificio adibito a sede della delegazione di spiaggia, in quanto ufficio amministrativo periferico dell'amministrazione dei trasporti, posto alle dipendenze dell'ufficio circondariale marittimo, con compiti di polizia portuale e di uso del demanio, dal momento che manca nell'edificio un riscontro dell'immediata destinazione alla difesa militare, anche se il personale dell'ufficio in concreto destinatario dell'opera sia inquadrato in organici militari (Cons. St., sez. VI, 28.3.2000 n. 1799, CS, 2000, 956).
L’art. 2, d.p.r. 19.4.2005, n. 170, che reca il regolamento concernente la disciplina delle attività del Genio militare, presenta un elenco di opere da definirsi destinate alla difesa nazionale.
Vengono considerate come tali le infrastrutture ricadenti nelle seguenti categorie: aeroporti ed eliporti, basi navali, caserme, stabilimenti e arsenali, reti e depositi di carburanti e lubrificanti, depositi munizioni e di sistemi d'arma, comandi di unità operative e di supporto logistico, basi missilistiche, strutture di comando e di controllo dello spazio terrestre, marittimo ed aereo, segnali e ausili alla navigazione marittima ed aerea, strutture relative alle telecomunicazioni e ai sistemi di allarme, poligoni e strutture di addestramento, centri sperimentali di manutenzione dei sistemi d'arma, alloggi di servizio per il personale, anche con famiglia, da realizzare ai sensi degli artt. 4, 1° co., e 5, 1° co., l. 18.8.1978, n. 497, opere di protezione ambientale correlate alle opere di difesa nazionale, installazioni temporanee per esigenze di rapido dispiegamento, attività finanziate con fondi comuni della Nato e da utenti alleati sul territorio nazionale.
L'art. 2, d.p.r. 19.4.2005, n. 170, inoltre, definisce infrastrutture per la difesa militare le installazioni permanenti e quelle temporanee relative a specifiche esigenze di dispiegamento, destinate al sostegno operativo, addestrativo e logistico di reparti militari operanti sia all'interno che all'esterno del territorio nazionale. Inoltre il regolamento aggiunge che ove sia necessario realizzare singole infrastrutture riconducibili a opere destinate alla difesa nazionale, ma non comprese nelle categorie elencate prima, si provvede, nei casi di urgenza, mediante provvedimento del Ministro della difesa.
L'elenco fornito, che comprende strutture sinora escluse dalla giurisprudenza come i poligoni di tiro, ha valore esclusivamente per le opere attuate dal genio militare. È però ipotizzabile che l'esistenza di tale elenco possa fornire delle indicazioni anche per l'individuazione di opere di difesa compiute da altre amministrazioni dello Stato deputate alla difesa stessa.
12.1. La localizzazione e la costruzione di opere militari.
Le norme che nel tempo hanno disciplinato in via generale i procedimenti di localizzazione e di costruzione di opere da eseguirsi dallo Stato hanno escluso da tale disciplina di carattere generale le opere destinate alla difesa militare per le quali, pertanto, vige un regime di carattere derogatorio, ex art. 2, d.p.r. 18.4.1994, n. 383.
La giurisprudenza, interpretando tale normativa, ha, pertanto, escluso che tali opere siano soggette ai vincoli o alle autorizzazioni paesaggistiche (Cons. St., sez. II, 17.3.1993, n. 48/92).
Dette opere sono parimenti escluse dall'accertamento di conformità urbanistica, in relazione proprio all'essenziale interesse statuale alla difesa del paese ed alla conseguente recessività di ogni altro interesse, anche pubblicistico, astrattamente confliggente con il primo
Le esigenze connesse alla distribuzione territoriale delle opere di difesa e alla loro progettazione trascendono le possibilità di apprezzamento delle autorità urbanistiche. Siffatte esigenze sono rispecchiate dall'art. 81, 2° co., d.p.r. n. 616 del 1977, e successivamente, dall'art. 2, d.p.r. n. 383 del 1994, i quali hanno escluso le opere destinate alla difesa militare dall'accertamento di conformità urbanistica.
(T.A.R. Campania, Napoli, V, 27.3.2003, n. 3037, FATAR, 2003, 1048).
La Corte Costituzionale, inoltre, ha ritenuto conforme alla Carta costituzionale la specifica normativa che, ai fini che qui interessano, ha incluso gli edifici dei comandi dei carabinieri tra le opere di difesa militare (Corte Cost., 16.2.1993, n. 62).
La giurisprudenza ha concretamente proceduto alla individuazione delle opere destinate alla difesa militare attesa la mancanza di una puntuale definizione normativa in merito: così, ad esempio, si sono compresi in tale nozione gli alloggi di servizio dei militari (Cons. St., IV, 27.5. 2002, n. 2930) e non i poligoni di tiro (Cons. St., IV, 28.8.2001, n. 4543).
Parte della giurisprudenza si è, peraltro, espressa in senso parzialmente contrario rispetto a quanto sopra ricordato, evidenziando la necessità che anche la costruzione delle opere destinate alla difesa militare debba in qualche modo conformarsi alle previsioni volte a tutelare il paesaggio e le bellezze naturali (Cass. pen., III, 28.12.1995, n. 12570).
Essa afferma che deve essere in ogni caso effettuata - quanto meno da parte dell'Amministrazione statale che decide di realizzare l'opera di difesa nazionale - una preventiva comparazione dell'interesse alla difesa nazionale con l'interesse alla cui tutela è posto il vincolo paesaggistico, in quanto la Costituzione attribuisce al paesaggio, ex art. 9, cost., un valore primario di pari dignità rispetto alla sicurezza del paese, ex art. 52, cost.
Per superare alcune di tali incertezze applicativa e l'art. 156 del d. lg. 29.10.1999, n. 490, recante il t.u. delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, ha previsto il rilascio di una specifica autorizzazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali per le opere da realizzarsi in zone vincolate da parte dello Stato ivi compresi gli alloggi di servizio per il personale militare; nulla però è stato precisato in ordine alle opere destinate in via immediata e diretta alla difesa ed alla sicurezza nazionale.
Con la l. cost. 18.10.2001, n. 3, nel modificare il titolo V ed in particolare l'art. 118 della Costituzione, si è poi previsto che con legge statale vengano disciplinate "forme di intesa e di coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali".
Infine, con il codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con il d. lg. 22.1.2004, n. 42, si è testualmente disposto all'art. 147, 3° co., che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente codice, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero, d'intesa con il Ministero della difesa e con le altre amministrazioni statali interessate, siano individuate le modalità di valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere di difesa nazionale che incidano su immobili o aree sottoposti a tutela paesaggistica.
Solo con il predetto art. 147, d. lg. 22.1.2004, n. 42, è stata oggi prevista una valutazione congiunta e preventiva della localizzazione delle opere destinate alla difesa nazionale, secondo modalità da disciplinarsi con un d.p.c.m. che però non è stato ancora emanato.
Deve, pertanto, concludersi che, fino all’emanazione del d.p.c.m., sia e resti applicabile la normativa previgente all'entrata in vigore del codice - cioè l'art. 2 del d.p.r. 18.4.1994, n. 383.
Le opere destinate alla difesa nazionale possono, pertanto, essere realizzate prescindendo dal previo rilascio di una specifica autorizzazione da parte del soggetto preposto alla tutela del vincolo e ciò in ragione della prevalenza dell'essenziale interesse statuale alla difesa del paese ed alla conseguente recessività di ogni altro interesse, anche pubblicistico, astrattamente confliggente con il primo.

1.      La sdemanializzazione.


I beni del demanio necessario possono perdere la loro demanialità o per fatto naturale o per atto amministrativo.
Ad esempio una mareggiata che modifichi lo stato delle spiaggia.
I beni del demanio accidentale unicamente per effetto di un atto amministrativo di sdemanializzazione che dichiari i beni non più destinati al servizio pubblico.
La giurisprudenza ha affermato che la sdemanializzazione d'una strada può anche verificarsi senza l'adempimento delle formalità previste dalla legge in materia, ma occorre che essa risulti da atti univoci, concludenti e positivi della p.a., incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico.
Il disuso da tempo immemorabile o l'inerzia dell'ente proprietario non possono essere invocati come elementi indiziari dell'intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all'uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la p.a. abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo (Cass. Civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17387, in Foro amm. CDS, 2004, 2023).


2.      La responsabilità della p.a. in relazione al danno provocato da bene demaniale.


È configurabile, a carico della p.a. (o del gestore), una responsabilità, ex art. 2051 c.c., per le cose che essa ha in custodia allorquando il bene demaniale o patrimoniale da cui si sia originato l'evento dannoso risulti adibito all'uso generale e diretto della collettività.
Tali caratteristiche del bene, quando ricorrano congiuntamente, rilevano soltanto come circostanze, le quali - in ragione dell'incidenza che abbiano potuto avere sull'espletamento della vigilanza connessa alla relazione di custodia del bene ed avuto riguardo alle peculiarità dell'evento - possono assumere rilievo, sulla base di una specifica e adeguata valutazione del caso concreto, ai fini dell'individuazione del caso fortuito e, quindi, dell'onere che la p.a. (o il gestore) deve assolvere per sottrarsi alla responsabilità, una volta che sia dimostrata l'esistenza del nesso causale.
Nella specie, la Corte cass. ha sancito l'applicabilità dell'art. 2051 c.c., in relazione alle lesioni riportate da una donna inciampata, lungo il percorso di uscita da un palazzetto dello sport, nella pavimentazione in gomma che presentava una sporgenza anomala non segnalata né transennata. Cass. Civ., sez. III, 1 ottobre 2004, n. 19653.
Il danneggiato che invochi la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. contro una p.a. (o il gestore) in relazione a danno originatosi da bene demaniale o patrimoniale soggetto ad uso generale, non è onerato della dimostrazione della verificazione del danno in conseguenza dell'esistenza di una situazione qualificabile come insidia o trabocchetto, bensì esclusivamente - come di regola per l'invocazione della suddetta norma - dell'evento dannoso e del nesso causale fra la cosa e la sua verificazione.
La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici ogni qual volta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le sue caratteristiche (estensione e modalità d'uso) sia oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, che limiti in concreto le possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa.
In questi casi, l'ente pubblico risponde secondo la regola generale dettata dall'art. 2043 c.c., e quindi può essere ritenuto responsabile per i danni subiti da terzi a causa di una insidia stradale solo quando l'insidia stessa non sia visibile, e neppure prevedibile.
Nella specie, la Corte cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità di un Comune per il danno subito da un ciclista a seguito dell'urto contro un paletto conficcato nel manto stradale, ritenendo che il paletto fosse visibile, e quindi evitabile, in quanto l'incidente si era verificato in pieno giorno e il paletto sporgeva di circa un metro dal suolo, e ritenendo, per contro, non rilevante che esso fosse inclinato e di colorazione simile a quella dell'asfalto. Cass. Civ., sez. III, 1 dicembre 2004, n. 22592.



3.      I beni del patrimonio indisponibile.


I beni patrimoniali indisponibili appartengono istitu­zionalmente allo Stato e non potrebbero essere posseduti da altri es­sendo beni patrimoniali indisponibili per loro propria vocazione natu­rale.
Essi sono le miniere, le acque minerali e termali, le cave e le torbiere, c.c. art. 826 c. 2, R.D. 29 luglio 1927, n. 1443, L. 6 ottobre 1982, n. 752; le cose di interesse archeologico, paleontologico ed artistico che una volta scoperte, da chiunque ed in qualsiasi modo, entrano a fa­re parte del patrimonio indisponibile dello Stato, L. 1.6.1939 n. 1089; e, da ultimo, la fauna selvatica, L. 27.12.1977 n. 968.
Le cave, in particolare, fanno parte del patrimonio indisponibile solo dopo l'atto della pubbli­ca amministrazione che ne sottrae d'autorità la disponibilità al proprietario del fondo. Cons. Stato, Sez. VI, 17.1.1984 n. il in Riv. Giur. Ed. 1984, 386.
Per altri beni la caratteristica della indisponibilità deriva dalla loro ap­partenenza al demanio.
Essi sono le foreste demaniali dello Stato, art. 826 comma 2 del c.c., D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267, ora trasferite al demanio regionale, D.P.R. 24 luglio, 1977, n. 616.
Altri beni assumono il carattere della indisponibilità perché, oltre che appartenenti allo Stato, sono destinati ad una specifica funzione.
Essi sono i beni destinati alla dotazione del Presidente della Re­pubblica
L. 8 agosto 1948, n. 1077, ed i beni destinati alla difesa, art. 826 c.c. comma 3.
Altri beni sono collocati nel patrimonio indisponibile comunale al fine di garantire una corretta destinazione del bene, in conformità alle disposizioni degli strumenti urbanistici, dopo che l'attività priva­ta abbia utilizzato il bene per fini diversi da quelli stabiliti dalla program­mazione territoriale.
L'area e l'opera abusiva entrano a far parte, se non si procede alla tempestiva demolizione dei manufatti abusivi, del patrimonio indi­sponibile attraverso una ordinanza di acquisizione pronunziata dal sindaco. I beni devono essere utilizzati a fini pubblici, tra i quali sono compresi quelli dell'edilizia residenziale pubblica.
Altri beni assumono il carattere della indisponibilità nel patrimo­nio pubblico per essere destinati ad un servizio pubblico dallo Stato o da enti pubblici.
Essi sono le sedi e gli arredi degli uffici pubblici, i mezzi di trasporto adibiti a servizi pubblici, ecc.
Essi sono gli immobili del patri­monio pubblico da destinare alla locazione a favore dei ceti meno ab­bienti realizzati con il contributo dello Stato.
La destinazione attri­buita a questi beni comporta automaticamente la riserva di destinazione, che può essere cambiata ad esempio consentendo la cessione da una legge speciale, come ad esempio la L. 560/1993.
La dottrina ha proposto una distinzione nell'ambito dei beni patrimoniali indisponibili al fine di caratterizzare il diverso regime giuridico dei due gruppi di beni.
Si è notato che per alcuni beni la proprietà pubblica è collegata alla qualità intrinseca della cosa che è stata ritenuta dalla legge idonea a soddisfare pubbliche esigenze.
L'attribuzione della qualifica avvie­ne ab origine, indipendentemente da un atto amministrativo che la attribuisca; in ogni caso l'atto amministrativo non ha effetto costituti­vo, ma solo dichiarativo poiché il bene appartiene al patrimonio indi­sponibile di per se stesso. G. LANDI G. POTENZA V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 118.
Essi sono le miniere, le foreste, i beni di interesse culturale, la fau­na selvatica.
Gli altri beni vengono classificati come beni destinati a servizio o funzione pubblica.
Essi appartengono al patrimonio indisponibile in forza di un atto o di un fatto della pubblica amministrazione che asse­gna concretamente il bene ad un servizio pubblico.
Essi sono gli edifici destinati a sede di pubblici uffici, la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli edifi­ci di edilizia residenziale pubblica, le aree di edilizia economica popo­lare
La distinzione proposta appare di grande significato poiché non è solo ricognitiva in ordine ai modi di acquisto e di cessazione della qualità dei beni, ma appare il punto di partenza per individuare le ca­ratteristiche che derivano al bene alla luce del procedimento amministrativo che ne determina la qualifica.
Se il bene nasce con una destinazione oggettivamente pubblici­stica esso è identificabile dai terzi con le caratteristiche specifiche di questi beni: ossia l’impossibilità di alienazione, con la conse­guente nullità degli eventuali atti, il non essere oggetto dì possesso e quindi non acquisibile per usucapione.



4.      I beni del patrimonio disponibile.


In via residuale appartengono al patrimonio disponibile dello Stato e degli enti pubblici i beni che non sono compresi far i beni demaniali e quelli del patrimonio indisponibile G. LANDI G. POTENZA V. ITALIA, Manuale di diritto amministrativo, 1999, 122.
Il carattere dei beni disponibili è di aver prevalentemente un significato economico, consentendo all’amministrazione di svolgere la sua attività amministrativa, attraverso l’uso di tali risorse.
Fanno parte del patrimonio disponibile quei beni che, non essendo destinati all’assolvimento di una funzione o di un servizio pubblico, possono essere utilizzati dall’amministrazione per la gestione corrente.
I beni disponibili sono soggetti alle norme di diritto privato e pertanto sono alienabili, pignorabili, e possono essere acquisiti per usucapione dai privati.
Si nota una tendenza da parte del legislatore di incrementare i beni soggetti a tale regime.
La L. 127/1997, all’art. 12, prevede, infatti, per comuni e province la possibilità di alienare il proprio patrimonio immobiliare previa emanazione di un regolamento che valuti le concorrenti proposte d’acquisto.


5.      La privatizzazione dei beni pubblici.


Il legislatore, per esigenze di risanamento della finanza pubblica, ha predisposto una serie di provvedimenti intesi alla alienazione dei beni pubblici non destinati ad usi collettivi generali e di interesse ambientale e culturale, ex art. 9, 6 comma, L. 24 dicembre 1993, n. 537.
Successivamente l’art. 32, 6 comma, L. 23 dicembre 1994, n. 724, prevede un censimento dei beni pubblici per valutare il loro attuale soddisfacimento di interessi pubblici. S. CASSESE (a cura di), Diritto amministrativo speciale, La cultura e i media, i beni pubblici e l’ambiente, i servizi pubblici, II, 2000, 1317.

6.      La tutela dei beni pubblici.


E’ ammessa una doppia tutela a difesa dell’amministrazione per la gestione dei beni pubblici.
Quella amministrativa, prevista dall'art. 378 l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, attribuisce al sindaco un potere di autotutela di carattere possessorio volto alla conservazione dello stato di fatto dei beni demaniali comunali e delle strade comunali soggette ad uso pubblico.
Il legittimo esercizio di detto potere ha quali presupposti necessari e sufficienti la sussistenza dell'uso pubblico, l'avvenuta turbativa del medesimo debitamente accertata ed infine l'urgenza di provvedere in via cautelare al fine di evitare l'aggravarsi del pregiudizio per il pubblico interesse.
L'esigenza di immediatezza della tutela impone alla p.a. di non lasciare decorrere un notevole lasso di tempo, tale da permettere il consolidamento della lesione, con il quale il ricorso all'autotutela possessoria sarebbe precluso. T.A.R. Lombardia Brescia, 3 giugno 2003, n. 821, in Foro amm. TAR, 2003, 1871.
Il potere di ordinanza conferito dall'art. 378, l. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F al prefetto o al sindaco - ove trattasi di contravvenzioni relative ad opere pubbliche dei comuni - in base al quale è possibile ordinare la riduzione in pristino ove si riscontri esservi stata alterazione dello stato delle cose, non è semplicemente espressione di un potere di autotutela possessoria perché il bene sia immediatamente reintegrato nel godimento della collettività
Si tratta piuttosto di un potere autoritativo qualificato in relazione all'interesse pubblico al ripristino della disponibilità del bene per l'esecuzione di opera pubblica.
L'esercizio del potere di autotutela possessoria non incontra limiti temporali, neppure in via analogica nel termine di un anno di cui all'art. 1168 c.c., disciplinante la tutela possessoria privatistica, data l'eterogeneità dei due istituti, l'uno relativo ad una potestà amministrativa volta a perseguire interessi pubblici, l'altro concernente una forma speciale di tutela giurisdizionale di interessi privati. T.A.R. Abruzzo Pescara, 17 ottobre 2005, n. 580.
La giurisprudenza ha precisato che il D.L.vo 267/2000 che ha riservato alla competenza gestionale dei dirigenti gli atti in materia edilizia non ha sottratto al sindaco funzioni allo stesso attribuite da leggi specifiche, fra le quali rientrano quelle in materia di fruibilità di strade e intese ad ordinare la riduzione in pristino di situazioni che alterino lo stato delle cose, come previsto dall'art. 378 l. n. 2248 del 1865 all. F. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 18 gennaio 2005, n. 161.
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7.      La giurisdizione amministrativa esclusiva.


Tutti i ricorsi contro i provvedimenti che affermano la demanialità del bene o la sua sdemanializzazione o contro quelli che fissano che esso è di interesse pubblico sono soggetti alla giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104,  cod. ‘proc. amm., afferma che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie  aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche.

Sono soggetti alla giustizia amministrativa, inoltre, le controversie sul provvedimento di concessione amministrativa che regola l’esercizio del diritto di terzi su beni demaniali.
La giurisprudenza ribadisce che sono soggetti alla giurisdizione amministrativa anche i provvedimenti di carattere generale che disciplinano le modalità di rilascio delle concessioni qualora siano lesivi in via diretta e attuale di un interesse specifico e concreto, senza che sia necessaria l'intermediazione di una ulteriore attività applicativa da parte dell'amministrazione. Nella fattispecie, la determinazione regionale contenente criteri guida per l'affidamento in concessione di aree del demanio marittimo è stata ritenuta impugnabile nella parte in cui ha dettato nuove regole in materia di subingresso e variazione dell'assetto societario, modificando quindi la disciplina delle concessioni in essere. T.A.R. Sardegna, sez. I, 21 gennaio 2005, n. 71, in Foro Amm. TAR, 2005, f. 1, 264.

8.      La giurisdizione ordinaria.


Rientrano nella giurisdizione ordinaria le controversie relative al riconoscimento della demanialità del bene oggetto di vertenza, quelle inerenti ai rapporti obbligatori tra amministrazione e privati e le controversie sulle indennità relative a concessioni rilasciate dalla pubblica amministrazione.
La controversia che si risolva essenzialmente nell'accertamento del carattere demaniale o meno del suolo stesso è di pertinenza del g.o., in quanto la posizione che fa valere il soggetto che assume di essere proprietario dell'immobile è di diritto soggettivo.
La giurisprudenza afferma che deve sussistere il doppio requisito soggettivo ed oggettivo della manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio) e dell'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio affinché un bene - non appartenente al demanio necessario - possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili in quanto destinati ad un pubblico servizio, ai sensi dell'art. 826, comma 3, c.c. Cass. civ., sez. un., 28 giugno 2006, n. 14865.
Le azioni a tutela della proprietà e del possesso rientrano nella giurisdizione ordinaria.
Ad esempio nelle controversie relative a provvedimenti comunali di classificazione delle strade, laddove il ricorrente contesti la proprietà pubblica della strada, la domanda assume il contenuto di una vera e propria azione di rivendicazione o di accertamento negativo di servitù che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 15 febbraio 2006, n. 908, in Foro Amm. TAR, 2006, n. 2, 452.
L’esercizio delle azioni possessorie da parte della pubblica amministrazione contro i terzi è alternativo all'utilizzo dell'autotutela possessoria iuris publici. Su dette controversie è competente l’autorità giudiziaria ordinaria. Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2005, n. 1864.
Resta ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in tema di canoni, indennità e altri corrispettivi col limite della giurisdizione amministrativa quando il canone è determinato sulla scorta di scelte discrezionali dell’amministrazione.
La giurisdizione del g.o. non può essere esclusa quando esistono norme, regolamenti o atti generali emanati dalla p.a. i quali, per la determinazione del canone nel caso concreto, dettano criteri la cui applicazione presuppone non scelte discrezionali, ma apprezzamenti di ordine tecnico Cons. St., sez. VI, 20 luglio 2004, n. 5239, in Dir. Trasp., 2005, 1095.

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