1 La tutela cautelare sul silenzio.
Il ricorso
giurisdizionale non ha effetto sospensivo sul provvedimento impugnato.
A tutela del
ricorrente è ammessa la possibilità di chiedere la sospensione del
provvedimento impugnato.
L'istanza è
proposta o nello stesso ricorso giurisdizionale o con separata istanza che deve
essere notificata e depositata.
Il tribunale
deve verificare la sussistenza dei presupposti che rendono ammissibile il
giudizio cautelare.
Il ricorso deve,
infatti, avere il fumus boni iuris, ossia dimostrarsi fondato ad un
primo esame, e dimostrare il pericolo di un danno grave ed irreparabile per il
ricorrente derivante dall'immediata esecuzione del provvedimento. In questa
sede il giudice amministrativo può disporre i provvedimenti cautelari, ex art.
55, d.lgs. 104/2010.
La dottrina ha riconosciuto esperibile la tutela
cautelare nei confronti del silenzio e quindi la sospensione della sua
efficacia (Brignola F., Silenzio della pubblica amministrazione (diritto
amministrativo), in Enc. Giur., 1992, XXVIII, 1992, 7).
Il giudice può
sospendere gli atti negativi obbligando l’amministrazione a provvedere in via
provvisoria.
La
giurisprudenza ha affermato che il silenzio-inadempimento di amministrazione
ospedaliera sull'istanza di riammissione in servizio del dipendente, successiva
alla conclusione di procedimento disciplinare, può essere sospeso, stante
l'obbligo della amministrazione di riesaminare la posizione del ricorrente
(T.A.R. Campania, 27.4.1983, n. 374).
Il giudice non
può sostituirsi all’amministrazione, poiché l’amministrazione conserva la
discrezionalità del contenuto del provvedimento, fatta salva la possibilità di
dare degli indirizzi sul contenuto del provvedimento finale.
L’ordinanza può però dettare all’ente i criteri
giuridici cui l’amministrazione deve attenersi al fine di garantire in via
provvisoria al ricorrente quella tutela del suo interesse, che la sentenza
definitiva potrebbe dargli(Satta F., Giustizia amministrativa, 1997,
367).
La
giurisprudenza distingue, anche nella fase cautelare, l’autonomia dell’amministrazione
dai contenuti della pronuncia giudiziale.
E’ stato
ritenuta inammissibile l'istanza cautelare con la quale sia esplicitamente
chiesto di assegnare all'amministrazione un termine per provvedere su di una
domanda di ripianificazione di un'area, poiché in tal modo sarebbe introdotto,
nell'ordinario giudizio amministrativo demolitorio, lo specifico ricorso
avverso il silenzio dell'amministrazione espressamente disciplinato dall'art.
2, l. 21.7.2000, n. 205.
Nella specie, in
evidente contrasto con l'azione impugnatoria proposta, in via principale,
proprio avverso il provvedimento esplicito emesso dall'amministrazione comunale
di Bologna in risposta alla specifica richiesta degli interessati di provvedere
(T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, 22.9.2004, n. 3453).
La
giurisprudenza che consente, in caso di inadempienza ai dettati dell’ordinanza
di sospensiva, la possibilità di ammettere in sede cautelare la nomina di un
commissario.
Il giudice
amministrativo è competente ad emanare i provvedimenti cautelari idonei ad
assicurare l'effettiva esecuzione del provvedimento di sospensiva non
spontaneamente attuato dall'amministrazione, in tutte le ipotesi in cui la
sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato ed oggetto dell'istanza
cautelare non sia di per sé idonea al conseguimento della tutela interinale.
Spetta pertanto al giudice amministrativo adito in sede cautelare disporre, con
ulteriore ordinanza, la nomina di un commissario ad acta, perché in via
sostitutiva proceda alla emanazione degli atti necessari alla realizzazione
della sospensione dell'atto amministrativo impugnato (Cons. St., sez. VI, 14.5.1993, n. 349, in Cons. St,
1993, 705).
2 Il procedimento. La sentenza.
L’art. 87, lett. c), d.lgs. 104/2010, precisa che si trattano in camera di consiglio i giudizi
in materia di silenzio. (Centofanti N. e
Centofanti P., Il formulario del
diritto amministrativo, 2010 189).
Salva
l’ipotesi del giudizio cautelare, tutti i termini processuali sono dimezzati
rispetto a quelli del processo ordinario, esclusi quelli per la notificazione
del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti. Così
ad esempio il deposito del ricorso è di quindici giorni dall’ultima
notificazione, ex art. 45, d.lgs. 104/2010.
La camera di
consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo
giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti
intimate.
Nella camera
di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.
La trattazione
in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione.
Il ricorso è deciso con sentenza in
forma semplificata.
In caso di totale o parziale
accoglimento il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un
termine non superiore, di norma, a trenta giorni.
Per la
giurisprudenza precedente sussistono i presupposti per l'emanazione di una sentenza in forma
semplificata
ove il contraddittorio sia integro, non si ravvisino ragioni per accertamenti
istruttori e i difensori presenti nella Camera di Consiglio siano stati
interpellati in proposito e non abbiano opposto alcuna obiezione, tanto perché
il ricorso è manifestamente inammissibile per carenza di interesse. (T.A.R.
Campania Napoli, sez. V, 7.6.2010, n. 12692 ).
Il ricorso
manifestamente fondato ben può essere deciso con sentenza in forma semplificata essendo ciò consentito
dall'oggetto della causa, dall'integrità del contraddittorio e dalla
completezza dell'istruttoria. (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 7.5.2010, n.
3013 ).
Il giudice nomina, ove occorra, un
commissario ad acta con la sentenza
con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata.
Il giudice conosce di tutte le
questioni relative all'esatta adozione del provvedimento richiesto, ivi
comprese quelle inerenti agli atti del commissario.
3 L’esame sulla fondatezza della pretesa sostanziale.
La dottrina si è
posta il problema se il giudice amministrativo sia tenuto ad esaminare la
legittimità del comportamento omissivo o se debba, invece, accertare l’obbligo
a provvedere sulla domanda del privato all’amministrazione inadempiente. ( Lignani
P.G., Silenzio (diritto amministrativo), in Enc. Dir., 1990,
XLII, 559).
L’oggetto del
giudizio è, in primo luogo, la dichiarazione di illegittimità del comportamento
dell’amministrazione, in secondo luogo l’accertamento positivo o negativo
dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere nella fattispecie portata in
giudizio.
Un filone
giurisprudenziale ritiene inammissibile che il giudizio sul silenzio contempli
anche l’accertamento della legittimità della richiesta sostanziale del
ricorrente. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 26 novembre 2004, n. 8290).
Per altra
giurisprudenza, dopo l’entrata in vigore della l. 205/2000, il giudizio sul
silenzio rifiuto serbato dalla pubblica amministrazione non si deve più
limitare al mero accertamento dell’inadempimento dell’obbligo a provvedere
sulle istanze dei privati, ma si deve estendere all’accertamento del contenuto
del suddetto obbligo, nel senso che il giudice deve emettere una pronuncia che
determini il contenuto dell’atto che l'amministrazione è tenuta ad adottare. La
norma accorda al giudice facoltà di esaminare funditus la pretesa del ricorrente (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 7.6.2010,
n. 15657 ).
Il processo
instaurato innanzi al giudice amministrativo a seguito del silenzio rifiuto
serbato dalla p.a. intimata ha per oggetto non la legittimità dell'inerzia in
sé, ma l'accertamento della fondatezza sostanziale della pretesa posta dal
privato a base della sua istanza e portata in giudizio.
Ogni questione
sul silenzio resta assorbita dalle valutazioni direttamente inerenti al merito
della controversia, dal quale dipende, in ultima analisi, l'accoglimento o il
rigetto del ricorso, indipendentemente dalla natura, discrezionale o vincolata,
dei poteri che la p. a. può esercitare in relazione al bene della vita oggetto
della richiesta.
L’art. 31, 3 ° co., d. lgs. 2.7.2010,
n.104, ripropone
la norma contenuta nella l. 80/2005.
Essa dispone che il giudice possa
pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si
tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti
istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. (Gallo C.E.,
Il codice del processo amministrativo: una prima lettura, in Urb. app. 2010, 1013).
La norma ha un
effetto dirompente sull’obbligo alla decisione, spostando l’esame direttamente
dall'illegittimità del diniego al contenuto dell’istanza.
La dottrina
ritiene che la norma affidi al giudice, che deve rilevare margini di esercizio
di attività discrezionale da parte della p.a.,
compiti di amministrazione attiva in contrasto con quanto affermato
dall’art. 34, 2° co., d. lgs. 104/2010, secondo il quale il giudice non può
pronunciarsi su poteri amministrativi non ancora esercitati. (Forlenza O., Individuate
quattro azioni di cognizione contro la p.a., in Giuda Dir., 2010, n.
32, 48).
La giurisprudenza
conferma che se, nel giudizio sul silenzio-rifiuto,
si riconoscesse al g.a. il potere di pronunciarsi in ogni caso sulla fondatezza
della pretesa fatta valere, quindi, anche nei casi di esercizio della potestà
discrezionale o nei casi in cui l'attività vincolata comporti valutazioni
complesse, si finirebbe per ammettere una completa sostituzione del giudice
alla p.a., in contrasto sia con i principi generali riguardanti i poteri del
g.a. sia con la natura semplificata del giudizio sul silenzio e della
decisione che deve definirlo e che deve essere solo succintamente motivata.
(T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 13.2.2010, n. 40).
3.1 I poteri del giudice sul provvedimento amministrativo vincolato e discrezionale.
La disposizione
comunque non fa altro che recepire un orientamento giurisprudenziale secondo il
quale la norma dà la facoltà (ma non obbliga) a
conoscere della fondatezza della pretesa, nei casi in cui lo stesso giudicante
la ritenga facilmente valutabile. Ciò accade, ad esempio, nelle ipotesi di
manifesta fondatezza discendente dal carattere vincolato del provvedimento, che
non postuli accertamenti valutativi complessi; ovvero, nei casi di evidente
infondatezza, laddove risulta diseconomico condannare la p.a. a provvedere se
l'atto espresso non potrà che essere di rigetto. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 28 .1.2010, n. 135).
Per la
giurisprudenza detta previsione non deve essere interpretata come imposizione
dell'obbligo di provvedere in ogni caso sulla fondatezza dell'istanza, ma
esclusivamente quale opzione rimessa al giudice che, alla luce della disciplina
in materia di impugnazione del silenzio rifiuto, va circoscritta alle ipotesi
di manifesta fondatezza o infondatezza della pretesa sostanziale azionata in
giudizio.
Il potere del
giudice di conoscere della fondatezza dell'istanza può ammettersi nei soli casi
in cui l'inerzia riguardi un'attività vincolata, oppure sussista un
comportamento processuale della p.a. di non contestazione della pretesa del
ricorrente, o, ancora, vi sia certezza in relazione alla definizione della
controversia sulla base di semplici accertamenti di fatto e di diritto; al
contrario, siffatto potere non è esercitabile ogniqualvolta sia necessario
instaurare un procedimento istruttorio più complesso, e dunque nelle ipotesi di
attività discrezionale, al cui novero vanno ascritti i procedimenti per il
rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno, fatta eccezione per le
ipotesi - ad esempio, la condanna dello straniero in ordine ad uno dei reati
ostativi indicati dall'art. 4, 3° co., d. lgs. n. 286/98 - in cui i margini di
discrezionalità siano stati interamente consumati dal legislatore. (T.A.R. Toscana
Firenze, sez. II, 22.6.2010, n. 2030).
il giudice può
spingersi fino all'accertamento della pretesa sostanziale non semplicemente
quando l'Amministrazione debba porre in essere un'attività vincolata, ma
unicamente nel caso in cui, in presenza di attività vincolata, la fondatezza della pretesa
appaia ictu oculi e di immediata
evidenza, risultando solo in tale ipotesi, anche con riferimento alla ratio e alle caratteristiche del nuovo
istituto processuale previsto dall'art. 21 bis,
l. 241 del 1990, irragionevole e contrario ai principi di economia processuale
rimettere ad un successivo giudizio la definizione di una controversia allo
stato già risolvibile. (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12.5.2010, n. 10900).
L’interpretazione
esclude tale opzione laddove l'amministrazione risulti titolare di un potere
discrezionale rispetto al provvedimento preteso dall'istante.
Qualora
l'amministrazione debba compiere per legge valutazioni di carattere
discrezionale oppure nelle ipotesi in cui sia necessario effettuare
accertamenti complessi durante l'iter procedimentale, il g.a. non può valutare
la fondatezza
dell'istanza volta a censurare il silenzio serbato dall'Amministrazione o
ordinare all'amministrazione l'emanazione di un certo provvedimento. Una
diversa interpretazione delle norme porterebbe ad una "confusione"
tra la funzione amministrativa e quella giudiziaria e sarebbe certamente
incompatibile con la celerità del rito previsto per il ricorso contro il
silenzio della p.a.
Al giudice adito
non è concesso di sindacare il merito del procedimento amministrativo non
portato a compimento, dovendo egli limitarsi a valutare l'astratta
accoglibilità della domanda del privato, senza sostituirsi agli organi di
amministrazione attiva circa gli apprezzamenti e le scelte discrezionali, che
restano di esclusiva competenza di questi ultimi. (T.A.R. Sicilia Catania, sez.
II, 7.4.2010, n. 961).
Ad esempio, nel
caso in cui sia richiesto il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi
umanitari atteso che, giusta quanto disposto dall'art. 5, 6° co., t.u. 25 .7.1998,
n. 286, la relativa determinazione presuppone una valutazione di natura
eminentemente discrezionale circa la sussistenza di seri motivi, in particolare
di carattere umanitario, atti a giustificare la permanenza dello straniero nel
territorio nazionale. (T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 23 .1.2009, n. 212).
Parimenti, in
ragione dell'indubbia discrezionalità che caratterizza il potere da esercitarsi
in caso di richiesta di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio degli
impianti di produzione di energia elettrica, il giudice amministrativo non può
conoscere della fondatezza sostanziale dell'istanza a fronte dell'impugnativa del silenzio
formatosi. (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 9.4.2010, n. 1869 ).
4 La nomina del commissario ad acta
Ove la istanza
presupponga una conoscenza tecnica il giudice amministrativo ha sempre la
possibilità di nominare un commissario ad acta che superi direttamente
l’inerzia dell’amministrazione.
La giurisprudenza
considera che il Commissario "ad acta",
che è possibile nominare a fronte del silenzio serbato
dall'Amministrazione, è una figura che sotto il profilo sostanziale deve essere
inteso non già come un collaboratore del giudice, ma come un organo
amministrativo, sostitutivo dell'Amministrazione inadempiente, e, pertanto,
dotato di piena autonomia decisoria. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 11.3.2010,
n. 538 ).
Il giudice può nominarlo direttamente mentre
precedentemente era sempre necessaria l’istanza di parte affinché procedesse in
luogo dell’amministrazione
(Corrado A., D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
Tale possibilità
di precedere alla nomina del commissario prima dell’accertamento del mancato
pronunciamento dell’amministrazione era peraltro previsto dalla giurisprudenza che evidenziava due distinte fasi processuali: una
relativa all'ordine all'Amministrazione di provvedere ed un'altra, eventuale in
caso di inottemperanza della stessa al predetto ordine, avente ad oggetto la
nomina di un Commissario ad acta.
Tuttavia è apparso del tutto coerente
con la ratio legis ritenere che,
quando il ricorrente ne faccia esplicita richiesta, in sede di impugnazione del
silenzio, si debba provvedere, in caso di accoglimento di detto ricorso, anche
alla contestuale nomina del Commissario, al fine di evitare all'interessato
l'inutile aggravio di una ulteriore autonoma istanza giurisdizionale. (T.A.R.
Campania Napoli, sez. VI, 14.4.2010, n. 1971)
5 La decisione tardiva dell’amministrazione.
La dottrina ritiene che in ogni caso il potere di
decidere rimanga all’amministrazione, condizionando a posteriori l’esito dello
stesso giudizio ((Sempreviva M.T., L’accesso ai documenti amministrativi,
in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1292).
Non va confuso
l'obbligo di pronuncia e del clare loqui gravante sull'amministrazione,
a mente dell'art. 2, l. 241 del 1990, ed il correlato interesse legittimo di
carattere pretensivo-procedimentale del privato, con l'interesse sostanziale
introdotto nel procedimento consistente nella pretesa al bene della vita.
Logico corollario di tale premessa è che l'adozione di qualsivoglia atto da
parte dell'amministrazione, in risposta alla diffida dell'interessato, fa
venire meno il presupposto dell'azione di condanna indipendentemente dal
soddisfacimento dell'interesse sostanziale sottostante (Cons. St., sez. IV, 10.6.2004, n. 3741).
Il provvedimento di accoglimento del ricorso, infatti,
fa cessare la materia del contendere rendendo, a posteriori, inammissibile o
improcedibile il ricorso (Galli R. , Corso di diritto amministrativo, 1996,
497).
La
giurisprudenza ha precisato che i termini imposti al procedimento dall'art. 2,
l. 7.8.1990 n. 241, hanno natura acceleratoria, non contenendo lo stesso alcuna
prescrizione in ordine alla loro perentorietà, né alla decadenza della potestà
amministrativa né all'illegittimità del provvedimento illegittimamente
adottato. Ciò significa, sul piano strettamente processuale, che il presupposto
per la condanna dell'amministrazione è che, quantomeno al momento della
pronuncia del giudice, perduri l'inerzia dell'amministrazione. Pertanto
l'adozione, da parte di quest'ultima, di un qualsivoglia provvedimento
esplicito in risposta dell'interessato rende il ricorso: 1) inammissibile, per
carenza originaria di d'interesse ad agire, se il provvedimento, ancorché non
comunicato, intervenga prima della proposizione del ricorso medesimo; 2)
improcedibile, per carenza sopravvenuta di interesse ad agire, se il
provvedimento intervenga nel corso del giudizio
Resta il
problema delle spese del giudizio che devono essere addebitate
all’amministrazione o al responsabile del procedimento se ha funzioni
costitutive del provvedimento.
6 Gli atti soprassessori
Con
i provvedimenti cosiddetti "soprassessori", l'ente pubblico assume
una determinazione di rinvio della decisione sull'istanza del privato, in
ragione della circostanza che, allo stato del procedimento, non sussistono le
condizioni di fatto o di diritto per assumere un provvedimento definitivo. In
concreto, si ritiene necessario attendere l'esito di un'altra vicenda
connessa.( Giuliani B., Quando l'ente rinvia in realtà dice no Atti soprassessori impugnabili
subito, in Dir. e giust.,
2005, 31, 78).
La dottrina precisa
che nessun affidamento può, per tale via, essere ingenerato nel privato istante
in merito all'esito finale, di accoglimento o di rigetto, del procedimento:
l'unica certezza è l'obbligo del resto ormai previsto dalla legge per la pubblica
amministrazione di addivenire ad un provvedimento espresso. (Brignola S., Gli atti soprassessori, in Foro
amm., 1984, 1624).
La giurisprudenza
ha precisato che i diversi atti soprassessori adottati dalla p.a., lungi dal
definire il procedimento, secondo l'obbligo imposto dall'art. 2 l. 241/90,
hanno solamente indebitamente procrastinato la conclusione dell'istruttoria.
L'impugnazione
degli atti che determinano arresto procedimentale costituisce una mera facoltà
per gli interessati, senza naturalmente comportare alcuna decadenza né per
l'esercizio dell'azione di accertamento del silenzio rifiuto né per quella
demolitoria dei provvedimenti finali.
Diversamente
opinando, vi sarebbe una irragionevole elusione dell'obbligo imposto dall’art.
2, l. 241/1990 e di concludere il procedimento mediante adozione di un
provvedimento espresso, in contraddizione con la valorizzazione del suesposto
obbligo ad opera della l. 18.6.2009, n. 69, recante al nuovo art. 2-bis una
fattispecie espressa di responsabilità risarcitoria per danno da ritardo.
L'assoluta e
ingiustificata inerzia dell'amministrazione a, che a fronte di ripetute
istanze, non ha ancora adempiuto al dovere di dare risposta, integra oltre la
responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale in relazione al
pagamento delle spese del giudizio, la responsabilità penale per il reato di
cui all'art. 328 c.p. (Cass. Pen., 2.4.2009, n. 14466).
A partire
dall'entrata in vigore della l. 18 giugno 2009 n. 69, soccorre la eventuale
responsabilità risarcitoria per il danno da ritardo in conseguenza
dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento,
per la quale vi è giurisdizione del g.a., ex art. 2-bis, l. 241/1990, mod. l. 18.6.2009 n. 69. (T.A.R. Puglia Bari,
sez. II 17.92009 n. 2100).
7 L’impugnazione del provvedimento tardivo di diniego. I motivi aggiunti.
L’art.
117, 5° co., d.lgs. 104/2010, dispone che se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto
connesso con l’oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche
con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il previsto per il
nuovo provvedimento, e l’intero giudizio prosegue con tale rito.
Tale orientamento legislativo risponde a criteri di
economia processuale e si pone in contrasto col precedente indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale l’adozione da parte della amministrazione di
un provvedimento esplicito in risposta alla domanda dell’interessato fa cessare la
materia del contendere poiché preclude al ricorrente ogni possibilità di
conseguire un risultato utile dall'eventuale accoglimento del gravame. (Corrado
A., D’ufficio la nomina del commissario ad acta, in Giuda Dir. , 2010, n. 33, 20.
La dottrina
ritiene che in ogni caso il potere di decidere rimanga all’amministrazione,
condizionando a posteriori l’esito dello stesso giudizio. (Caringella F., Corso
di diritto amministrativo, 2004, 1292.
La
giurisprudenza precedente ha, quindi, dichiarato improcedibile, per
sopravvenuto difetto di interesse, il ricorso proposto contro il silenzio
rifiuto serbato dall'amministrazione sull'istanza di un privato nel caso in
cui, nelle more del giudizio, la stessa amministrazione abbia adottato un
provvedimento esplicito di rigetto dell'istanza (Cons. St., sez. IV, 14.7.1997,
n. 710, in Cons. St., 1997, I, 1000).
Il ricorso per
motivi aggiunti deve essere notificato al convenuto, ex art. 43 , D.L.vo 2 luglio 2010, n.104.
Detto ricorso
per motivi aggiunti resta inserito nel giudizio speciale sul silenzio senza
modificare tale rito, ma trasformandolo in un normale giudizio di legittimità.
Tale
proposizione dei motivi aggiunti consentirà di non vanificare le risultanze
istruttorie già eventualmente acquisite (V. GRECO, Per un giudizio di
accertamento compatibile con la mentalità del giudice amministrativo, in Dir.
Proc. Am, 2002, 481).
Tale indirizzo
trova il sostegno di un orientamento giurisprudenziale che riafferma la
necessità del rispetto dei termini e delle modalità stabilite per il rito
ordinario. (Cons. St., sez. V, 10.4.2002, n. 1974, Foro Amm.
Cons. St., 2002, 924).
Si tratta di
rendere tecnicamente possibile la concentrazione dei processi in tutti quei
casi nei quali procedimenti e provvedimenti diversi sono tuttavia
soggettivamente ed oggettivamente connessi, nonché teleologicamente collegati
da una comune finalità dell'azione amministrativa.
Il carattere
speciale del rito può dunque essere risolto e convertito nella disciplina
processuale generale tutte le volte che, attraverso la proposizione di motivi
aggiunti, si riporta nel thema decidendum un provvedimento che si pone
in rapporto di connessione diretta, oggettiva e soggettiva, con il
comportamento asseritamente omissivo della p.a.
L'unità della
giurisdizione amministrativa tende a concentrare i poteri di cognizione del
giudice intorno alla complessiva vicenda dei rapporti giuridici che tutelano un
determinato interesse o bene della vita del soggetto privato nei confronti
dell'azione della pubblica amministrazione.
8 Gli effetti del tempo sul giudicato.
Il giudicato si
basa sostanzialmente sulla interpretazione di una norma che può nel tempo avere
delle modificazioni.
La dottrina pone
quindi il problema se debba prevalere il rispetto dell’attuazione del giudicato
cristallizzato nel suo moneto storico che è quello dell’accertata lesione del
diritto del ricorrente o se debba prevalere la nuova legge in vigore al momento
dell’esecuzione del giudicato medesimo. Sicuramente la diversità della
fattispecie non consente di trarre una regola generale.
L’opzione tra l’una o l’altra soluzione sembra
dipendere da elementi prima face imponderabili, insuscettibili di una
definizione rigorosa (Satta F., Giustizia amministrativa,1997, 484).
In determinate
materie il decidere da parte della p.a. in situazioni temporali differenti ha
effetti diversi nei confronti delle richieste avanzate dal operatore.
La tutela
dell’annullamento del silenzio rigetto in materia di rilascio di permesso di
costruire trova un notevole ostacolo dal fatto che, nel frattempo, la
disciplina urbanistica sia mutata in senso ovviamente restrittivo impedendo la
realizzazione di opere consentite precedentemente.
La
giurisprudenza prevalente si è attestata ad affermare che il provvedimento del
sindaco deve tenere conto delle norme in vigore al momento della notifica della
sentenza di annullamento.
L'amministrazione
deve provvedere rispettando queste norme senza adottare successivamente nuove
disposizioni programmatorie in contrasto col giudicato amministrativo.
Al fine di riconoscere una effettiva tutela al
giudicato si è riconosciuto in capo al ricorrente un interesse pretensivo, da
fare valere con apposita istanza all’autorità titolare del potere di
pianificazione (Mengoli G.C.,
Manuale di diritto urbanistico, 2009, 1008).
I principi
costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa affermano che ove
il diniego di concessione edilizia sia stato annullato in sede giurisdizionale,
l'amministrazione comunale dovrà nuovamente pronunciarsi sulla istanza in base
alla normativa di piano regolatore sopravvenuta, non essendo opponibili al
privato soltanto le modifiche degli strumenti urbanistici posteriori alla
notificazione della sentenza di annullamento del diniego (Cons. di St., Ad.
Plen., 8.1.1986, n. 1).
Ove poi la
disciplina urbanistica vigente al momento della notificazione della sentenza di
annullamento del diniego di concessione edilizia risulti - come nel caso di
specie - modificata in pejus per il ricorrente, questi vanta un interesse
pretensivo, da far valere con apposita istanza, a che l'autorità titolare del
potere di pianificazione urbanistica riveda in parte qua il piano vigente, al
fine di valutare se ad esso possa essere apportata una deroga - in pratica, una
variante - che recuperi, in tutto o in parte e compatibilmente con l'interesse
pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava
originariamente la domanda (T.A.R. Liguria Genova, sez. I 25.1.2010, n. 193).
Il comune ha
quindi l'obbligo di rivedere il piano vigente adeguandolo alla notifica della
sentenza.
L'attività
procedimentale posta in essere in esecuzione di un giudicato non può ignorare o
eludere i riferimenti normativi e le disposizioni sopravvenute. L'amministrazione,
nella cura costante dell'interesse pubblico, deve tenere conto della situazione
di fatto esistente nel momento in cui provvede e deve provvedere in conformità
della normativa vigente è altrettanto vero che, in applicazione del principio di
effettività e pienezza della tutela giurisdizionale l'annullamento in sede
giurisdizionale del diniego di concessione edilizia comporta l'obbligo per il
Comune di riesaminare l'originaria domanda applicando la disciplina urbanistica
vigente al momento in cui la sentenza è stata notificata o comunicata in via
amministrativa, con la conseguenza che se, da un lato, occorre tenere conto
dell'eventuale disciplina pianificatoria sopravvenuta in corso di giudizio,
dall'altro, sono inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento
urbanistico sopravvenute alla notificazione o alla comunicazione in via
amministrativa della sentenza di annullamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. II,
17.5.2004, n. 8803).
Diversamente la
giurisprudenza ha concluso in materia di tutela dell’annullamento del silenzio
rifiuto sull'istanza di attribuzione di qualifica.
La diversa
interpretazione data nel caso di inquadramento per successione fra enti non
produce, infatti, effetti sull’esecuzione del giudicato. E’ stato ritenuto che
la l. r. Sicilia 18.6.1977, n. 42, nel dettare genericamente in sede di
interpretazione autentica della precedente l. r. 8.3.1971, n. 5, una disciplina
retroattiva del rapporto di lavoro del personale dei soppressi centri
sperimentali, non ha inteso riferirsi a quegli specifici rapporti la cui
qualificazione era coperta da giudicato e per i quali l'assemblea regionale non
poteva ormai liberamente esercitare la propria competenza legislativa
esclusiva, senza preclusioni di ordine costituzionale (Cons. St., A. P., 14.10.1986 n. 12).
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