Parte
terza
I beni privati di interesse pubblico
Capitolo dodicesimo
I beni privati di interesse pubblico.
Guida
bibliografica.
1. I beni privati di interesse pubblico. I
beni vincolati.
La
dottrina distingue nell'ambito dei beni di interesse pubblico, che sono
soggetti ai limiti apposti dall’amministrazione, i beni vincolati dai beni di
rilevanza pubblica.
I
beni vincolati sono soggetti ad obblighi di non facere, mentre i beni di
rilevanza pubblica sono soggetti ad obblighi di facere. Virga 1995, 405.
1.1.
Il vincolo derivante dalla natura del bene. Le autostrade in concessione.
La
dottrina distingue i beni vincolati il cui vincolo discende dalla natura del
bene da quelli ove in vincolo è imposto da un atto amministrativo. Virga 1995,
405.
1.2.
Le ferrovie in concessione
La
dottrina ha costantemente sostenuto che le ferrovie in concessione sono di
proprietà privata del concessionario, onde non può conferirsi a tali ferrovie
nemmeno il carattere di beni patrimoniali indisponibili.
la demanialità è da escludere anche in considerazione del fatto che gli artt. 161 e 183 del t.u. 9.5.1912 n. 1447, rispettivamente, assoggettavano all'imposta fondiaria tali ferrovie e ne prevedono il passaggio in proprietà assoluta all'ente concedente in caso di decadenza del concessionario. Piazzalunga 2003, 3458.
la demanialità è da escludere anche in considerazione del fatto che gli artt. 161 e 183 del t.u. 9.5.1912 n. 1447, rispettivamente, assoggettavano all'imposta fondiaria tali ferrovie e ne prevedono il passaggio in proprietà assoluta all'ente concedente in caso di decadenza del concessionario. Piazzalunga 2003, 3458.
1.3.
Gli aeroporti in concessione.
Esistono
degli aerodromi di proprietà privata aperti al traffico pubblico che sono
definiti beni privati di interesse pubblico. Rosa e Sandulli 1958, 637.
2.
Il vincolo derivante da provvedimento amministrativo. Il vincolo storico
artistico.
I
beni culturali sono le cose immobili e mobili che presentano interesse
artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e
bibliografico e le altre cose individuate dalla legge quali testimonianze
aventi valore di civiltà. I beni appartenenti ai privati sono identificati con
apposito procedimento che dichiara l’interesse pubblico del bene. Tamiozzo
2005, 8.
La
giurisprudenza riconosce alla legislazione regionale la funzione di una tutela
non sostitutiva di quella statale, bensì diversa ed aggiuntiva. Essa può
assicurare nella predisposizione della normativa di governo del territorio la
determinazione sia delle categorie in cui devono essere raggruppati i manufatti
e gli spazi liberi esistenti, sia dei valori di tutela in funzione degli
specifici contesti da salvaguardare nonché, per ogni categoria,
l'individuazione degli interventi, delle destinazioni d'uso ammissibili. Non ha
ritenuto fondata, pertanto, in riferimento all'art. 117 cost., la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 40 l. r. Veneto n. 11 del 2004. Corte
cost., 16.6.2005, n. 232, GC, 2005, 10, I, 2305).
2.1.
Il procedimento di vincolo. L’accesso.
La
trascrizione nei registri della Conservatoria è il mezzo di pubblicità idoneo a
portare il vincolo a conoscenza dei terzi. Catelani e Cattaneo 2002, 122.
2.2.
La dichiarazione dell’interesse storico ed artistico. I poteri del Ministero.
Il provvedimento ministeriale deve esporre le ragioni
dell’interesse culturale, ex art. 12, 4° co., d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La motivazione deve essere in linea con gli indirizzi
di carattere generale stabiliti dal Ministero al fine di assicurare uniformità
di valutazione, salva la possibilità di esclusione dell’applicazione del
vincolo. Tamiozzo 2005, 57.
2.3.
Il vincolo in materia di distanze.
La
dottrina rileva la prevalenza degli interessi culturali su quelli urbanistici.
Essa rileva che in sede di valutazione comparativa tra interessi urbanistici e
interessi connessi alla tutela storico artistica o archeologica il legislatore
fin dal 1939 ha costantemente ritenuto di dovere attribuire prevalenza a questi
ultimi e ciò in coerenza con la natura di principio fondamentale rivestita
dall'art. 9, 2° co., cost., in base al quale la repubblica tutela il paesaggio
ed il patrimonio storico artistico della nazione. Tamiozzo 2005, 78.
2.4.
I vincoli di destinazione.
Le
recenti linee di tendenza degli organi di tutela hanno portato a porre dei
vincoli di tutela non solo su locali commerciali, in quanto qualificati come
punti di incontro e di scambi conviviali tra gente di cultura ovvero quali
luoghi di incontro e sollecitazione culturale, ma anche su laboratori e
botteghe che sono espressione di determinate attività commerciali o artigianali
di tipo tradizionale. Crosetti 2002, 258.
2.5. L’autorizzazione per interventi edilizi su
immobili di interesse storico ed artistico.
L’obbligo
di richiedere l’autorizzazione è costantemente ribadito dalla dottrina.
E’
fatto obbligo di richiedere l’autorizzazione al Ministero per i beni e le
attività culturali per la demolizione e lo spostamento dei beni soggetti a
vincolo o per lo smembramento di collezioni, mentre i progetti per interventi
di esecuzione di opere e lavori su beni appartenenti a privati devono essere
sottoposti alla Soprintendenza per ottenerne la relativa approvazione.
Mezzocampo 2004, n. 4, 85.
2.6.
I beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto.
La dottrina per enti ecclesiastici intende
esclusivamente gli enti cattolici dato che il termine ecclesiastico secondo il
codice si riferisce alla chiesa cattolica. Resta 1984, 124.
3.
Il vincolo paesistico.
La
tutela del paesaggio è stata assunta a principio fondamentale dall’art. 9 della
cost.; esso non può essere condizionato a nessun altro valore. La dottrina
rileva che la mancanza di specificazione rafforza l’idea stesa della tutela,
poiché si tratta di un concetto di tutela caratterizzata dal duplice aspetto
della integrità e della globalità. Tamiozzo 2005, 112.
I
beni paesaggistici sono gli immobili e le aree costituenti espressione dei
valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e
gli altri beni individuati dalla legge.
3.1. I vincoli ex lege.
La
dottrina ribadisce che in ogni caso i vincoli ex lege si applicano fino
all’approvazione dei piani paesistici che disciplinano l’uso dell’intero
territorio regionale; essi devono dettare specifiche norme di tutela anche per
le zone e le aree vincolate per legge. D’Alessio 2004, 130.
3.2.
Il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
L’art. 138, d. lg. 22.1.2004, n. 42, ha attribuito al
direttore della regione o degli altri enti pubblici interessati l’iniziativa di
acquisire le informazioni necessarie per proporre alla Commissione, istituita
in ogni provincia, l’identificazione dei beni e dei luoghi di notevole
interesse ambientale. Tamiozzo 2005, 613.
3.3.
L’autorizzazione regionale.
Non
cambiano le caratteristiche dell’intervento autorizzatorio già rilevate dalla
dottrina precedente all’entrata in vigore del cod. beni cult. Alibrandi e Ferri
2001, 599.
L’autorizzazione
si sostanzia in un apprezzamento tecnico discrezionale che muove da una
comparazione tra lo stato attuale dell’immobile e quello che potrà assumere in
seguito alle opere progettate, in funzione di verifica della non menomazione di
quegli aspetti esteriori ai quali è collegata la protezione ambientale.
D’Alessio 2004, 136.
4.
Il vincolo idrogeologico.
L’autorizzazione
per intervenire su terreni soggetti a vincolo idrogeologico è di competenza
regionale ai sensi dell'art. 69, 2° co., del d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
Cosentino e Frasca 2002, 79.
5.
I beni privati di rilevanza pubblica. Le cave.
I
beni di rilevanza pubblica sono soggetti ad un obbligo di facere per
esigenze sociali.
La
coltivazione di cava ove prevista nei relativi piani delle cave non è soggetta
al permesso di costruire, in quanto essa si connota come attività d'impresa
essa soggetta ad autorizzazione rilasciata dalla Provincia, ex art. 12,
l. r. Lombardia 8.8.1998, n. 14. Centofanti 2005 (2), 359.
La
mancata attuazione degli obblighi di legge comporta l’intervento sostitutivo
dell’amministrazione. Virga 1995, 405.
6.
Le terre incolte.
Il
proprietario ha un obbligo di coltivazione dei terreni per evitare l’intervento
sostitutivo regionale. La giurisprudenza ha affermato che l'accertamento della
realizzazione del piano di sfruttamento proposto dal proprietario, per evitare
l’assegnazione delle terre che risultino incolte, va effettuato nel rispetto
del principio del contraddittorio (T.A.R. Liguria, 20.10.1986, n. 464, DGA,
1987, 573).
1. I beni privati di interesse pubblico. I beni
vincolati.
La
dottrina definisce come beni privati di interesse pubblico quei beni di
proprietà privata che assolvono finalità di pubblico interesse (Sandulli 1984,
737).
Tale
caratterista dei beni privati è messa in relazione alla funzione sociale dei
beni affermata dall’art. 42 della costituzione.
Naturalmente
tale qualifica non può essere attribuita al bene se non un procedimento tipico
previsto dalla legislazione speciale.
I
beni così qualificati sono assoggettati ad un particolare regime che ne limita
la disponibilità, la destinazione e la vendita e che assoggetta il bene
medesimo alla vigilanza della p.a.
I
beni privati di interesse pubblico si possono distinguere tra beni vincolati -
che sono soggetti ad obblighi di non facere - e i beni di rilevanza
pubblica - che sono soggetti ad obblighi di facere.
I
beni vincolati rappresentano una serie molteplice di beni che hanno come
caratteristica comune quella di avere un limite nella facoltà di disposizione
del godimento dei beni.
Ogni
eventuale modifica è soggetta ad autorizzazione da parte dell'autorità
competente.
Il
vincolo può derivare dalla natura stessa del bene come nel caso di autostrade o
ferrovie in concessione o anche strade vicinali e aerodromi.
Il
vincolo può, in altre fattispecie, essere imposto da un provvedimento
dell’amministrazione. La dottrina vi comprende, fra l’altro, i beni soggetti a
vincolo storico o artistico, i beni soggetti a vincolo paesistico e i beni
sottoposti a vincolo idrogeologico.
Fra
gli obblighi di non facere che caratterizza il regime giuridico di detti
beni si evidenzia: gli obblighi di non facere relativi al godimento che comprendono
l’obbligo di destinazione e quello della immodificabilità
L’obbligo
di destinazione evita che il proprietario possa sottrarre il bene alla sua
destinazione naturale senza una preventiva modifica del procedimento che ha
imposto il vincolo alla destinazione attuale.
L’obbligo
della immodificabilità impedisce la realizzazione di opere sul bene senza la
precedente autorizzazione amministrativa dell’autorità che vigila sul bene e a
maggiore ragione la distruzione del bene medesimo.
Vi
sono inoltre gli obblighi di comunicazione all’autorità preposta degli atti di
disposizione (Virga 1995, 406).
1.1. Il vincolo
derivante dalla natura del bene. Le autostrade in concessione.
Il
vincolo può derivare dalla natura stessa del bene come nel caso di autostrade o
ferrovie in concessione o anche strade vicinali e aerodromi.
Le
autostrade possono essere date in concessione dall’ANAS.
Il
legislatore ha trasformato l'ente nazionale delle strade in un ente dotato di
autonoma personalità giuridica di diritto pubblico e la cui attività è
disciplinata, salvo norme contrarie, dal codice civile e dalle altre leggi
relative alle persone giuridiche private, ex art. 1, d.lg. 26.2.1994, n.
143.
Le competenze generali affidate dalla fonte primaria al Ministro sono limitate all'attività di alta vigilanza e di indirizzo programmatico, ex art. 1, 4° co., d.lg. 26.2.1994, n. 143.
E’ espressamente attribuita all'ente la competenza: a gestire le autostrade, nonché a provvedere alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria; a migliorare ed adeguare la rete autostradale e la relativa segnaletica; a costruire nuove autostrade sia direttamente che in concessione; a vigilare sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia dato in concessione.
Le competenze generali affidate dalla fonte primaria al Ministro sono limitate all'attività di alta vigilanza e di indirizzo programmatico, ex art. 1, 4° co., d.lg. 26.2.1994, n. 143.
E’ espressamente attribuita all'ente la competenza: a gestire le autostrade, nonché a provvedere alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria; a migliorare ed adeguare la rete autostradale e la relativa segnaletica; a costruire nuove autostrade sia direttamente che in concessione; a vigilare sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia dato in concessione.
1.
L'Ente provvede a:
a) gestire le strade e le autostrade di proprietà dello Stato nonché alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria;
b) realizzare il progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica;
c) costruire nuove strade statali e nuove autostrade, sia direttamente che in concessione;
d) vigilare sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia stato dato in concessione;
e) curare l'acquisto, la costruzione, la conservazione, il miglioramento e l'incremento dei beni mobili ed immobili destinati al servizio delle strade e delle autostrade statali;
f) attuare le leggi ed i regolamenti concernenti la tutela del patrimonio delle strade e delle autostrade statali, nonché la tutela del traffico e della segnaletica; adottare i provvedimenti ritenuti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade ed autostrade medesime; esercitare, per le strade ed autostrade ad esso affidate, i diritti ed i poteri attribuiti all'ente proprietario;
g) effettuare e partecipare a studi, ricerche e sperimentazioni in materia di viabilità, traffico e circolazione;
h) costituire e partecipare a società per lo svolgimento all'estero di attività infrastrutturali, previa autorizzazione del Ministro dei lavori pubblici;
i) effettuare, a pagamento, consulenze e progettazioni per conto di altre amministrazioni od enti italiani e stranieri;
l) espletare, mediante il proprio personale, i compiti di cui al comma 3 dell'art. 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e dell'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495
a) gestire le strade e le autostrade di proprietà dello Stato nonché alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria;
b) realizzare il progressivo miglioramento ed adeguamento della rete delle strade e delle autostrade statali e della relativa segnaletica;
c) costruire nuove strade statali e nuove autostrade, sia direttamente che in concessione;
d) vigilare sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia stato dato in concessione;
e) curare l'acquisto, la costruzione, la conservazione, il miglioramento e l'incremento dei beni mobili ed immobili destinati al servizio delle strade e delle autostrade statali;
f) attuare le leggi ed i regolamenti concernenti la tutela del patrimonio delle strade e delle autostrade statali, nonché la tutela del traffico e della segnaletica; adottare i provvedimenti ritenuti necessari ai fini della sicurezza del traffico sulle strade ed autostrade medesime; esercitare, per le strade ed autostrade ad esso affidate, i diritti ed i poteri attribuiti all'ente proprietario;
g) effettuare e partecipare a studi, ricerche e sperimentazioni in materia di viabilità, traffico e circolazione;
h) costituire e partecipare a società per lo svolgimento all'estero di attività infrastrutturali, previa autorizzazione del Ministro dei lavori pubblici;
i) effettuare, a pagamento, consulenze e progettazioni per conto di altre amministrazioni od enti italiani e stranieri;
l) espletare, mediante il proprio personale, i compiti di cui al comma 3 dell'art. 12 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e dell'art. 23 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495
(art.
2, d.lg. 26.2.1994, n. 143).
La
giurisprudenza ha confermato che la competenza al rilascio della concessione di
costruzione e gestione della rete autostradale o di sola gestione del servizio
autostradale, appartiene all'Anas e non al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti (Cons.
St. , sez. IV, 17.1.2002, n. 253, FACDS, 2002,
66).
Al
Ministro residuano solo compiti di alta vigilanza e di approvazione delle
concessioni di costruzione ed esercizio di autostrade di concerto con il
Ministro del tesoro, ex art. 3, 5° co. d.lg. 26.2.1994, n. 143.
La giurisprudenza ha esaminato i rapporti intercorrenti tra l’ANAS e il concessionario.
La giurisprudenza ha esaminato i rapporti intercorrenti tra l’ANAS e il concessionario.
Il
titolare dell'attività di gestione di una autostrada va considerato come
gestore di pubblico servizio sulla base della concessione intercorrente tra
essa e l'amministrazione dell’ANAS
Il
titolare dell'attività di gestione di una tratta autostradale è legittimato a
svolgere detto servizio nell'interesse della predetta, riservataria ex lege
del servizio stesso.
Le
controversie tra tale gestore e i soggetti dallo stesso autorizzati in via
esclusiva alla conduzione delle aree di servizio deputate primariamente alla
distribuzione del carburante appartengono alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, trovandosi il primo ad esercitare un potere pubblico,
le cui modalità si ripercuotono sull'interesse pubblico primario sotteso
all'organizzazione e gestione del servizio medesimo.
La
concessionaria di un pubblico servizio è investita del potere ex lege
riservato allo Stato di organizzare e gestire il transito sulla tratta
autostradale.
1.2. Le ferrovie
in concessione.
Le
ferrovie concesse all'industria privata sia per quanto attiene alla loro
costruzione sia per quanto attiene alla loro gestione sono state disciplinate
dalle norme contenute nell'all. F, l. 20.3.1865, n. 2248, e in seguito una
disciplina compiuta ed organica con il r.d. 9.5.1912, n. 1447, che approva il
testo unico delle disposizioni di legge per le ferrovie concesse all'industria
privata, le tranvie a trazione meccanica e gli automobili.
L'art. 248, l. 2248 del 1865 prevedeva che, allo scadere delle relative concessioni, lo Stato sottentrerà ai concessionari nell'esercizio di tutti gli utili e prodotti degli stabili od opere costituenti le ferrovie concesse e le loro dipendenze.
L'art. 248, l. 2248 del 1865 prevedeva che, allo scadere delle relative concessioni, lo Stato sottentrerà ai concessionari nell'esercizio di tutti gli utili e prodotti degli stabili od opere costituenti le ferrovie concesse e le loro dipendenze.
I
concessionari dovevano consegnare alla scadenza al Governo in buono stato la
strada ferrata, le opere componenti la medesima e le sue dipendenze. In base a
tale norma sembra indubbio che il privato, in costanza del rapporto
concessorio, avesse la piena disponibilità dei beni, dovendo solo allo scadere
della concessione consegnarli allo Stato.
La giurisprudenza ha costantemente sostenuto che i beni sono di proprietà privata del concessionario, onde non può conferirsi a tali ferrovie nemmeno il carattere di beni patrimoniali indisponibili.
La demanialità è da escludere anche in considerazione del fatto che gli artt. 161 e 183 del t.u. 9.5.1912 n. 1447, rispettivamente, assoggettavano all'imposta fondiaria tali ferrovie e ne prevedono il passaggio in proprietà assoluta all'ente concedente in caso di decadenza del concessionario (T.A.R. Lombardia, Brescia, 7.10.2003, n. 1254).
Le ferrovie concesse all'industria privata debbano considerarsi come beni privati di interesse pubblico, vale a dire di appartenenza privata, ma che assolvono istituzionalmente a finalità di pubblico interesse per lo più corrispondenti o affini a quelle cui servono beni pubblici.
La giurisprudenza ha costantemente sostenuto che i beni sono di proprietà privata del concessionario, onde non può conferirsi a tali ferrovie nemmeno il carattere di beni patrimoniali indisponibili.
La demanialità è da escludere anche in considerazione del fatto che gli artt. 161 e 183 del t.u. 9.5.1912 n. 1447, rispettivamente, assoggettavano all'imposta fondiaria tali ferrovie e ne prevedono il passaggio in proprietà assoluta all'ente concedente in caso di decadenza del concessionario (T.A.R. Lombardia, Brescia, 7.10.2003, n. 1254).
Le ferrovie concesse all'industria privata debbano considerarsi come beni privati di interesse pubblico, vale a dire di appartenenza privata, ma che assolvono istituzionalmente a finalità di pubblico interesse per lo più corrispondenti o affini a quelle cui servono beni pubblici.
Essi
sono assoggettati a un particolare regime in ordine alla disponibilità vincolo
di destinazione, di immodificabilità, diritto di prelazione
dell'amministrazione, nonché ad un particolare regime di polizia, di interventi
e di tutela pubblici.
La categoria dei beni privati di interesse pubblico è stata individuata ormai da tempo dalla dottrina quale tertium genus, al di là della limitata classificazione codicistica.
La categoria dei beni privati di interesse pubblico è stata individuata ormai da tempo dalla dottrina quale tertium genus, al di là della limitata classificazione codicistica.
Tale
classificazione è applicabile a tutti i casi di esercizio privato di un pubblico
servizio, consistente nello svolgimento, da parte di un soggetto privato, di
un'attività volta al conseguimento di interessi pubblici, con conseguente
scissione tra soggetto titolare amministrazione pubblica del servizio e
soggetto gestore privato dello stesso.
Tale
fenomeno ha comportato, infatti, l'infrangersi della tradizionale equazione:
proprietà pubblica - destinazione del bene a funzioni pubbliche - sottrazione
del bene alla libera circolazione delle merci ed al regime privatistico.
La nozione dei beni privati di interesse pubblico è stata in particolare utilizzata nelle recenti vicende di privatizzazione degli enti pubblici, per indicare i beni dapprima appartenenti allo Stato, o ad altri enti gestori di pubblici servizi, che erano trasferiti alle società di capitali in cui essi stessi si erano trasformati, continuando a gestire i medesimi servizi in qualità di concessionari.
La nozione dei beni privati di interesse pubblico è stata in particolare utilizzata nelle recenti vicende di privatizzazione degli enti pubblici, per indicare i beni dapprima appartenenti allo Stato, o ad altri enti gestori di pubblici servizi, che erano trasferiti alle società di capitali in cui essi stessi si erano trasformati, continuando a gestire i medesimi servizi in qualità di concessionari.
I
beni aziendali confluiti in tali società sono diventati, da beni pubblici
demaniali o indisponibili dello Stato, beni patrimoniali disponibili di
proprietà privata.
Essi
in virtù del permanere della loro vocazione funzionale all'assolvimento del
servizio pubblico, debbono considerarsi beni privati di interesse pubblico (Piazzalunga
2003, 3463).
Le
relative controversie tra amministrazione concedente e concessionario di beni e
di pubblici servizi rientrano nella giurisdizione amministrativa.
Atteso
che l'art. 33, 2° co., lett. b), d.lg. n. 80 del 1998 devolve alla
giurisdizione amministrativa esclusiva tutte le controversie tra le
amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici servizi,
e l'art. 7, l. n. 205 del 2000 ha soppresso, nell'art. 5, l. n. 1034 del 1971,
il richiamo alle concessioni di servizi, facendo con ciò venire meno per esse
la tradizionale riserva in favore della giurisdizione ordinaria per le liti
relative ad indennità, canoni e altri corrispettivi, nei rapporti derivanti da
concessioni di servizi pubblici anche le controversie che concernano tali
oggetti sono devolute, pur avendo carattere patrimoniale, alla giurisdizione
amministrativa esclusiva.
1.3. Gli
aeroporti in concessione.
Gli
aeroporti possono essere concessi in gestione con decreto interministeriale
(Trib. Genova, 05.10.2001, DR, 2002, 160).
1.
Alla concessione della gestione totale aeroportuale degli aeroporti e dei
sistemi aeroportuali di rilevanza nazionale si provvede con decreto del
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze e, limitatamente agli aeroporti militari aperti
al traffico civile, con il Ministro della difesa.
2. Il provvedimento concessorio, nel limite massimo di durata di quaranta anni, è adottato, su proposta dell'ENAC, all'esito di selezione effettuata tramite procedura di gara ad evidenza pubblica secondo la normativa comunitaria, previe idonee forme di pubblicità, nel rispetto dei termini procedimentali fissati dall'ENAC, sentita, laddove competente, la regione o provincia autonoma nel cui territorio ricade l'aeroporto oggetto di concessione.
3-4. omissis
2. Il provvedimento concessorio, nel limite massimo di durata di quaranta anni, è adottato, su proposta dell'ENAC, all'esito di selezione effettuata tramite procedura di gara ad evidenza pubblica secondo la normativa comunitaria, previe idonee forme di pubblicità, nel rispetto dei termini procedimentali fissati dall'ENAC, sentita, laddove competente, la regione o provincia autonoma nel cui territorio ricade l'aeroporto oggetto di concessione.
3-4. omissis
5.
La convenzione deve contenere il termine, almeno quadriennale, per la verifica
della sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi e delle altre condizioni
che hanno determinato il rilascio del titolo, compresa la rispondenza
dell'effettivo sviluppo e della qualità del servizio reso agli operatori e agli
utenti alle previsioni contenute nei piani di investimento di cui all'atto di
concessione. Deve inoltre contenere le modalità di definizione ed approvazione
dei programmi quadriennali di intervento, le sanzioni e le altre cause di
decadenza o revoca della concessione, nonché le disposizioni necessarie alla
regolazione ed alla vigilanza e controllo del settore.
(art.
704, c.n.).
La
giurisprudenza ritiene che dalla qualifica di aeroporto privato riconosciuta ad
un complesso aeroportuale e dall'affidamento in gestione totale a un operatore
privato consegue che spetta a tale gestore organizzare l'utilizzazione
dell'area aeroportuale, ivi compresa la facoltà di scelta delle aree da
destinare a parcheggio (Cons. St., sez. VI, 29.3.1996, n. 508, DT, 1997,
141).
Gli
aeroporti privati sono soggetti alla vigilanza degli organi statali preposti.
Ai
sensi dell'art. 689, c.n., le funzioni di competenza del direttore della
circoscrizione aeroportuale non si limitano all’aeroporto statale al quale egli
è preposto, ma si estendono all'intero territorio che coincide con la
circoscrizione e comprendono pertanto, ai sensi dell'art. 705 c.n., anche l'attività
di vigilanza sugli aerodromi privati, ove quest'ultima non sia esercitata dai
delegati di aeroporto con competenza peraltro limitata ai rispettivi impianti.
(T.A.R.
Lombardia Brescia, 29.11.1990, n. 1257, T.A.R. 1991, I, 179).
2. Il vincolo derivante
da provvedimento amministrativo. Il vincolo storico artistico.
La
tutela sul patrimonio artistico appartenente ai privati è attuata dall’art. 10,
2° co., d.lg. 22.1.2004, n. 42, tramite un meccanismo di vincolo di interesse
pubblico - sulle cose d’interesse artistico o storico - notificato con un
procedimento speciale.
Il
provvedimento di vincolo di particolare interesse artistico e storico colpisce
le cose mobili ed immobili tassativamente indicate.
3.
Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista
dall'articolo 13:
a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con 1a.storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico.
(art. 10, d.lg. 22.1.2004, n. 42).
a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con 1a.storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico.
(art. 10, d.lg. 22.1.2004, n. 42).
I
beni appartenenti ai privati sono soggetti al regime dei beni culturali sono se
previamente oggetto di provvedimento di vincolo.
La
disposizione dell'art. 10, d.lg. 22.1.2004, n. 42, per effetto della quale le
cose immobili che abbiano interesse storico o artistico, appartenenti agli enti
locali o ad enti e istituti legalmente riconosciuti, restano sottoposte al
regime giuridico delle cose aventi interesse storico, architettonico,
archeologico ed etnografico, indipendentemente dalla circostanza che siano
stati inseriti in elenchi o che vi sia stata una formalizzazione del loro
valore storico-artistico, opera, in assenza della verifica formale, quando
l'immobile appartenga interamente ad uno dei soggetti individuati dalla legge,
oppure quando le caratteristiche che rendono il bene degno di tutela siano
presenti nella frazione immobiliare di appartenenza del soggetto pubblico o
dell'ente morale legalmente riconosciuto.
Fattispecie
nella quale la Corte ha escluso che fosse configurabile il reato derivante
dall'omesso conseguimento della autorizzazione del Ministero per i beni
culturali, in relazione ad opere edilizie eseguite in un appartamento della
Curia arcivescovile, ubicato nel Palazzo Montemiletto di Napoli, immobile di
interesse storico-artistico, non inserito però negli elenchi in possesso della
sovrintendenza.
La
giurisprudenza ha precisato che il provvedimento di vincolo deve indicare
dettagliatamente sia il bene cui si riferisce sia i motivi che lo giustificano.
Il provvedimento di vincolo deve indicare, nella
relazione che lo accompagna, quale interesse lo motivi, fra quelli indicati
nell'art. 2, d. lg. n. 490 del 1999, onde esso appare contraddittorio quando si
riferisce al 1° co., lett. a), di detta disposizione (interesse artistico,
storico, archeologico o demo - antropologico) mentre la relazione valorizza
invece la connessione dell'immobile con la storia politica della città di
Trieste, cioè con uno degli elementi considerati dal 1° co., lett. b) dell’art.
2, d. lg. n. 490/1999
(T.A.R.
Friuli Venezia Giulia, 25.7.2002, n. 593).
Tali
beni devono avere un particolare collegamento con la storia della cultura della
città.
L’imposizione
del vincolo deve risultare motivata con la sussistenza sia dell'immedesimazione
e compenetrazione dei valori storico-culturali con le strutture materiali
nonché del collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli eventi
storico-culturali della città, sia del pregio artistico dell'immobile e di
alcuni arredi in esso contenuti
(T.A.R.
Sardegna, 13.2.1997, n. 192, T.A.R., 1997, I, 1557).
Il
procedimento di vincolo è correlato ad un atto del Ministero per i beni e le
attività culturali.
2.1.
Il
procedimento di vincolo. L’accesso.
Il
procedimento di vincolo si articola attraverso tre atti distinti: 1) la
dichiarazione dell’interesse storico ed artistico; 2) la notifica da parte
dell’autorità che porta a conoscenza dell’interessato la dichiarazione; 3) la
trascrizione al fine di rendere edotti i terzi dei vincoli gravanti sulla cosa
qualora si tratti di beni soggetti a pubblicità immobiliare (Mengoli 2003,
509).
La
dottrina rileva l’applicazione obbligatoria del procedimento di accesso
previsto dalla l. 241/1990.
Il
procedimento tende a riconoscere la partecipazione del soggetto proprietario
dell’immobile garantendo la pubblicità dell’iniziativa ministeriale.
La
giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del cod. beni cult. ha
affermato che il contenuto della comunicazione di avvio del procedimento deve
essere tale da porre il destinatario nella condizione di potere partecipare al
procedimento di accesso formulando osservazioni congrue e pertinenti.
La comunicazione di avvio del procedimento di
dichiarazione dell'interesse particolarmente importante delle cose immobili di
cui all'art. 2, 1° co., lett. a) e b), d.lg. n. 490 del 1999, deve contenere,
ai sensi del successivo art. 7, non solo gli elementi identificativi del bene,
nella specie mancanti, ma soprattutto quelli valutativi, cioè i presupposti
dell'apposizione del vincolo da parte dell'organo procedente, di cui nel caso
non si trova traccia, impedendo al destinatario di presentare osservazioni
pertinenti all'orientamento dell'amministrazione, non essendo dato comprendere
il motivo per cui essa ha ritenuto l'immobile meritevole di tutela
(T.A.R.
Friuli Venezia Giulia, 25.7.2002, n. 593).
L'obbligo
di dare comunicazione dell'avvio del procedimento sussiste anche con riguardo
ai procedimenti finalizzati all'imposizione di vincoli indiretti ai sensi
dell'art. 21 l. n. 1089 del 1939, a tutela di beni di notevole interesse
storico ed artistico. (T.A.R.
Campania Napoli, sez. I, 12.6.2003, n. 7540, FATAR,
2003, 2013).
La
giurisprudenza ritiene che la pubblicità abbia effetti costitutivi e, pertanto,
l’omissione della fase partecipativa comporta l’illegittimità del successivo
procedimento.
La
comunicazione deve essere eseguita con le modalità previste dall'art. 7, 2°
co., l. n. 241 del 1990, ovvero, se per il numero di destinatari la
comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa,
mediante idonee forme di pubblicità (Cons. St., sez. VI, 25.6.2002, n. 3478, FACDS,
2002, 1510).
2.2.
La
dichiarazione dell’interesse storico ed artistico. I poteri del Ministero.
La
dichiarazione dell’interesse storico ed artistico deve essere effettuata
dall'amministrazione fornendo indicazioni specifiche circa la concreta
sussistenza di reperti di interesse artistico, storico, archeologico o
etnografico.
L’art.
12, 4° co., d.lg. 22.1.2004, n. 42, precisa che non è sufficiente una corretta
motivazione e che essa deve essere in linea con gli indirizzi di carattere
generale stabiliti dal Ministero al fine di assicurare uniformità di
valutazione.
L’opera
di salvaguardia deve essere razionalizzata con una intensificazione della
protezione delle opere di maggior pregio e con una maggiore flessibilità nelle
gestione delle opere minori che ne consenta la catalogazione, la tutela, oltre
che la commerciabilità.
Il
provvedimento di imposizione del vincolo storico - artistico, di cui agli artt.
1 e 3, l. 1.6.1939 n. 1089, può essere legittimamente adottato anche sotto la
pressione dell'opinione pubblica e senza previo contraddittorio con gli
interessati, ma deve necessariamente contenere una puntuale motivazione, sia
pure nella forma per relationem, con la quale l'Amministrazione dimostri
di aver compiutamente valutato gli elementi che costituiscono i presupposti per
l'imposizione stessa
(T.A.R.
Lazio, sez. II, 3.12.1999, n. 2517, FA, 2000, 2354).
In
tal senso la giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del cod. beni
cult. ha evidenziato la necessità della materiale presenza fisica del bene che
si intende tutelare.
Presupposto
imprescindibile per l'imposizione del vincolo diretto, di cui agli artt. 1 e 3,
l. 1089 del 1939, è l'effettiva esistenza delle cose da tutelare; ne discende
che il decreto impositivo si deve considerare illegittimo per mancanza o errore
nei presupposti, ove si dimostri che nella zona vincolata in realtà non esiste
alcun bene archeologico suscettibile di protezione
(Cons. St., sez. VI, 4.11.2002, n.
5997, FACDS, 2002, 2941).
L’obbligo
della motivazione è costitutivo del provvedimento di vincolo e la sua mancanza
rende censurabile l’atto presso la giustizia amministrativa.
L'amministrazione
dei beni culturali e ambientali, nell'esercizio del potere di vincolo diretto
su beni immobili di proprietà privata, ai sensi dell'art. 1, l. 1.6.1939, n.
1089, pur fruendo di discrezionalità nella valutazione degli interessi tutelati,
ha l'obbligo di motivare adeguatamente la misura imposta con sacrificio del
diritto del privato
(Cons.
St., sez. VI, 8.3.2000, n. 1171, FA, 2000, 927).
Questo
procedimento interessa i beni di proprietà privata poiché, se i beni sono di
proprietà pubblica, l’assoggettamento alla legge è automatico.
I
beni soggetti a vincoli notificati non possono essere demoliti, rimossi,
modificati o restaurati senza l’autorizzazione del Ministero.
I
competenti organi del Ministero notificano ai privati, proprietari a qualsiasi
titolo dei beni, il vincolo sulle cose che siano di particolare interesse.
Tale
atto di vincolo è trascritto, per i beni immobili, nei registri delle
Conservatorie immobiliari ed esso mantiene la sua efficacia nei confronti di
ogni successivo proprietario o detentore, a qualsiasi titolo, del bene.
Il
Ministero, con il concorso delle regioni e degli altri enti pubblici, assicura
la catalogazione dei beni culturali; esso coordina le relative attività.
La
dichiarazione, diretta ad affermare che un bene è di interesse storico o
artistico, pur non essendo il fondamento del vincolo, che nasce infatti dalla
stessa legge, rende noto a tutti che si è accertata l’esistenza in un bene dei
requisiti che ne dispongono una immediata rigorosa tutela e che, pertanto, da
quel momento in poi, si intende presentare ricorso alla stessa legge.
Ne
consegue che il bene, dopo tale dichiarazione, acquista una nuova
qualificazione che ne limita notevolmente l’uso e che impedisce qualsiasi
modifica dello stesso senza autorizzazione.
Qualora
sia intervenuto il vincolo i privati devono sottoporre al Ministero o al
sovrintendente i progetti delle opere che intendano eseguire sul bene per
ottenere la relativa approvazione, ai sensi dell’art. 12, d.lg. 22.1.2004, n.
42, che sost. art. 23, d.lg. 490/1999.
2.3. Il vincolo
in materia di distanze.
Gli
interventi da effettuare su beni aventi particolare interesse storico od
artistico non sono regolati da normative di carattere particolare, che fissano
speciali vincoli o distanze da rispettare.
E’
attribuito, in ogni caso, al Ministero per i beni e le attività culturali il
potere di stabilire le distanze tese a proteggere l’immobile da interventi
ritenuti dannosi, ex art. 45, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
1.
Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme
dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali
immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le
condizioni di ambiente e di decoro.
(Art.
45, d.lg. 22.1.2004, n. 42).
Il
procedimento amministrativo è subordinato dalla giurisprudenza precedente
all’entrata in vigore del cod. beni cult. al preventivo esperimento della
procedura di accesso che deve consentire al privato interessato dall'azione
amministrativa di portare il suo apporto collaborativo.
È illegittimo il provvedimento con il quale il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a salvaguardia dell'integrità
dell'immobile denominato Chiesetta di S. Sergio e del suo originario rapporto
con la campagna circostante, ha prescritto l'inedificabilità delle aree
circostanti e il mantenimento della loro destinazione agricola, per violazione
dell'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, richiamato, dall'art. 49, d.lg. 29.10.1999, n.
490.
Esso
stabilisce in termini generali la necessità che dell'avvio del procedimento sia
dato avviso ai soggetti nella cui sfera è destinato ad incidere il
provvedimento finale.
Nel
caso di specie non trova applicazione l'indirizzo giurisprudenziale per il
quale l'obbligo di comunicazione dell'avvio viene meno ove la partecipazione
dell'interessato mediante osservazioni ed opposizioni non sia idonea, anche
solo in via astratta ed ipotetica, ad essere di una qualche utilità all'azione
amministrativa.
Si
tratta, infatti, di provvedimento connotato da valutazioni tecnico
discrezionali per il quale non è esclusa la possibilità di un apporto
partecipativo del privato, finalizzato a dare un diverso contenuto al
provvedimento finale
(T.A.R.
Marche, 17.3.2003, n. 76).
Il
potere ministeriale è, dunque, un potere generale che risponde ai principi
delle logicità e della correttezza dell’azione amministrativa.
Il
vincolo indiretto previsto dall'art. 21, l. 1.6.1939, n. 1089, sostituito
dall'art. 49, d.lg. n. 490/1999, non ha un contenuto prescrittivo tipico,
essendo rimesso all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione e potendo
variare in funzione della protezione del bene, ed è legittimo anche se comporta
l'inedificabilità assoluta dell'area cui si riferisce; infatti, tale articolo
prevede che possono essere imposte anche misure non tipizzate dirette ad
evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni tutelati, purché il
provvedimento impositivo del vincolo sia congruamente motivato e sorretto da
un'adeguata istruttoria.
Nella
fattispecie la necessità di tutelare i terreni attorno al bene monumentale
sottoposto a vincolo diretto si ricava dalla relazione tecnico scientifica
allegata
al provvedimento impugnato, dalla quale, sebbene espressa in forma sintetica,
emerge l'importanza del collegamento fra la conservazione della situazione
ambientale e la fruizione dell'immobile di interesse storico artistico,
tutelato in via diretta
(T.A.R.
Toscana, 17.7.2000, n. 1693).
La
giurisprudenza ha fissato i limiti del potere ministeriale che resta pur sempre
soggetto all’impugnazione presso la giustizia amministrativa, qualora sia
esercitato in modo non equilibrato e tale da rendere eccessivamente gravosi gli
oneri per la proprietà. Esso deve essere esercitato secondo criteri di
ragionevolezza e proporzionalità, così da contemperare il sacrificio imposto al
privato con il fine di interesse pubblico perseguito.
L'imposizione
del vincolo di inedificabilità previsto dall'art. 49 del testo unico approvato
col d.lg. 29.10.1999, n. 490, costituisce espressione della discrezionalità
tecnica della amministrazione, di per sé sindacabile innanzi al giudice
amministrativo quando la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste
incongruenze o illogicità
(Cons. St., sez. VI, 27.3.2001, n.
1767, RGE, 2001, I, 681).
I
provvedimenti tesi a tutelare il bene oggetto di vincolo possono essere presi
secondo un apprezzamento discrezionale che non è censurabile dal giudice
amministrativo.
La valutazione circa le modalità concrete degli
interventi ritenuti necessari o opportuni al fine della tutela dei beni di
interesse artistico o storico non può che rientrare nell'ambito delle
valutazioni discrezionali dell'amministrazione deputata alla cura dei relativi
interessi pubblici, e tali valutazioni sono di norma sottratte al sindacato del
giudice amministrativo.
Nella
specie, è stata ritenuta la legittimità del decreto impositivo di vincolo di
inedificabilità anche temporanea su terreni qualificati come area di rispetto
intorno a resti archeologici ed individuata come omogenea in relazione alla
distanza dai ruderi
(T.A.R.
Sardegna, 9.10.1996, n. 1350, T.A.R., 1996, I, 4755).
Il
provvedimento non è subordinato ad alcun tipo di indennizzo da corrispondere
preventivamente alla proprietà.
La
legittimità del provvedimento di vincolo indiretto di cui all'art. 49, d.lg.
29.10.1999, n. 490, non dipende dalla liquidazione di un'indennità, giacché
questa non è prevista dal disposto dell'art. 49 del t.u. sui beni culturali e
ambientali, né dall'art. 21, l. n. 1089 del 1939, riprodotto nello stesso art.
49 del t.u. 29.10.1999, n. 490
(Cons. St., sez. II, 30.10.2002, n.
2301, FACDS, 2002, 3273).
Tale
funzione è svolta a prescindere delle disposizioni urbanistiche vigenti che
hanno il diverso scopo della tutela del territorio.
Non
possono comunque essere invocate, come limite all’applicazione del potere
ministeriale, le norme sulle distanze previste dal c.c.
L'art.
879 c.c. esclude per gli edifici di interesse storico, archeologico ed
artistico l'applicabilità delle norme del codice civile sulla concessione
forzosa del muro, ma non anche quelle sulle distanze legali
(Cons. St., sez. V 30.9.1992, n.
889).
2.4.
I
vincoli di destinazione.
Il
nostro ordinamento conosce anche forme di tutela indiretta dei beni culturali,
ex art. 10, 3° co., lett. d), d.lg. 22.1.2004, n. 42, che sost. art. 2, lett.
b), d.lg. 29.10.1999, n. 490.
Detta
norma tutela beni che, sebbene privi di intrinseco valore artistico, abbiano un
collegamento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e
della cultura e che, in genere, rivestono un interesse particolare.
La
genericità del valore del bene è affermata dalla dottrina.
I suddetti beni sono ritenuti di particolare
significato per la loro connessione con fatti storici qualificanti, anche se
solo genericamente
(Alibrandi e Ferri 2001, 164).
Le
norme istitutive del vincolo indiretto, l. 1.6.1939, n. 1089, artt. 1 e 2, sono
state oggetto di giudizio di costituzionalità in quanto il giudice remittente
riteneva che la costituzione non fornisse la possibilità di introdurre il
vincolo indiretto e, quindi, ravvisava un contrasto fra le suddette norme e
quelle costituzionali che tutelano i patrimoni storici. La questione è stata
ritenuta infondata.
È
infondata, in riferimento all'art. 9 cost., la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1 e 2, l. 1.6.1939, n. 1089, nella parte in cui non
prevedono la possibilità di tutelare attività culturalmente rilevanti,
caratterizzanti una zona del territorio cittadino e, in particolare, i centri
storici
(Corte
cost., 9.3.1990, n. 118, RGE, 1990, I, 328).
La
dottrina rileva come la giurisprudenza successiva alla pronuncia della Corte
abbia interpretato la norma fornendo un'interpretazione estensiva.
Essa
considera la categoria aperta in modo da comprendere quei beni che hanno avuto
un qualche scollegamento con fatti che comportano l’imposizione del vincolo.
Le
recenti linee di tendenza degli organi di tutela hanno portato a porre dei
vincoli di tutela sia su locali commerciali, in quanto qualificati come punti
di incontro e di scambi conviviali tra gente di cultura ovvero quali luoghi di
incontro e sollecitazione culturale, ma anche su laboratori e botteghe
espressive di determinate attività commerciali o artigianali di tipo
tradizionale
(Crosetti
2002, 258).
Alcune
sentenze hanno precisato che costituiscono oggetto di tutela storico culturale
i beni nei quali siano incorporati valori storico artistici e culturali, e
quindi quelli attinenti a speciali discipline, ma non anche le gestioni
commerciali e gli esercizi artigianali, nei quali si svolgano attività inerenti
ai valori sopra menzionati.
Il
vincolo storico artistico, di cui agli artt. 1 e 2, l. n. 1089 del 1939,
riguarda le cose materiali incorporanti i valori culturali che sono la ragion
d'essere della tutela e non si estende fino a ricomprendere la gestione
commerciale o l'esercizio artigianale di determinate attività (svolte in detti
locali e/o con detti arredi) con una interpretazione analogica fortemente
restrittiva del principio di legalità che caratterizza i poteri ablatori della
pubblica amministrazione dell'art. 11 della stessa l. n. 1089 del 1939 che
vieta che le cose materiali soggette a detta tutela non possano essere adibite
ad usi non compatibili con il loro carattere storico ed artistico oppure tali
da recare pregiudizio alla loro conservazione o integrità forzando la lettura e
la ratio complessiva della legge al punto da trasformare la disposizione
permissiva del godimento del proprietario in conformità di limiti di interesse
generale, in un precetto impositivo di una servitù pubblica legislativamente
innominata, in contrasto con gli artt. 42 e 43 cost.; così che la norma in
parola non necessita per la sua osservanza di pervenire all'imposizione di un
vincolo di destinazione d'uso che investa i locali in cui siano conservate le
cose soggette a vincolo
(Cons.
Stato, sez. VI, 16.9.1998, n. 1266, FA, 1998, 2397).
La
tutela del vincolo di destinazione trova idoneo sostegno nella normativa che
propone una protezione particolare e peculiare per i centri storici.
Il
d.lg. 31.3.1998, n. 114, all’art. 10, attribuisce alla legislazione regionale
il compito di affidare ai comuni maggiori poteri in materia di localizzazione e
apertura di centri di vendita nei centri storici.
Nella regione Umbria, ai sensi dell'art. 39, 3° co.,
l. r. 3.8.1999, n. 24, le autorizzazioni all'apertura di strutture di tipo M2,
diversamente da quelle di tipo M1, soggiacciono alla necessità della previa
adozione dello strumento di promozione previsto dal precedente art. 19 nonché
dello specifico strumento di intervento per la valorizzazione del centro
storico previsto dall'art. 21 della stessa legge, trattandosi di strutture che
hanno maggiore rilevanza non solo sotto il profilo commerciale, ma anche per
gli impatti urbanistici ed ambientali connessi
(T.A.R.
Umbria 24.1.2002, n. 37, FATAR, 2002, 110).
L’esercizio
del commercio in aree di valore culturale è stato oggetto di disciplina da
parte dell’art. 52, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che sost. art. 53, d.lg. 490/1999.
Tale
disposizione ha stabilito che il soprintendente con proprio provvedimento o i
regolamenti di polizia urbana devono individuare le aree aventi valore
archeologico, storico, artistico e ambientale, in cui l’esercizio del commercio
non è consentito o è consentito con particolari limitazioni.
La
norma, successivamente, specifica che per le ipotesi in cui l’esercizio del
commercio sia consentito entro limiti particolari esso è sempre subordinato al
rilascio del nulla osta da parte del sovrintendente e che esso può essere
concesso solo per le installazioni mobili, fatta salva l’autonomia legislativa
regionale.
2.5. L’autorizzazione
per interventi edilizi su immobili di interesse storico ed artistico.
E’
fatto obbligo di richiedere l’autorizzazione al Ministero per i beni e le
attività culturali per la demolizione e lo spostamento dei beni soggetti a
vincolo o per lo smembramento di collezioni, ai sensi dell’art. 21, d.lg.
22.1.2004, n. 42, che sost. art. 21, d.lg. 490/1999.
I
progetti per interventi di esecuzione di opere e lavori su beni appartenenti a
privati devono essere sottoposti alla Soprintendenza per ottenere la relativa
approvazione, ai sensi dell’art. 22, d.lg. 42/2004, che sost. art. 23, d.lg.
490/1999.
I
beni soggetti a vincolo, infatti, non possono essere utilizzati in modo non
compatibile con il loro carattere storico o artistico o in modo da pregiudicare
la loro conservazione od integrità (Mengoli 2003, 516).
Al fine dell'esercizio della funzione di cui agli
artt. 21, 1° co., e 23 t.u. 29.10.1999, n. 490, è condizione necessaria e
sufficiente che l'elaborato progettuale trasmesso alle autorità preposte alla
tutela del vincolo sia idoneo al raggiungimento dell'obiettivo che il procedimento
avviato è finalizzato a perseguire ovvero che dal medesimo risulti chiaramente
individuabile l'intervento futuro
(T.A.R.
Lombardia Milano, sez. II, 6.12.2002, n. 5093).
I
proprietari o i detentori, a qualsiasi titolo, di beni mobili ed immobili riconosciuti
d’interesse storico od artistico a seguito di notifica devono sottoporre
all’esame della competente Soprintendenza il progetto di qualunque opera
intendano realizzare, allo scopo di ottenerne la preventiva autorizzazione.
Qualora
vi sia assoluta urgenza si possono eseguire i lavori provvisori indispensabili
per evitare gravi danni ai beni, con l’obbligo di comunicarne immediata notizia
alla Soprintendenza.
Alla
stessa dovranno essere inviati in seguito, nel più breve tempo possibile, i
progetti definitivi dei lavori per averne l’approvazione.
Gli
interventi su immobili che presentano interesse storico artistico sono
assoggettati non solo al permesso di costruire, ma anche all'autorizzazione
rilasciata dalla competente Soprintendenza.
Fra
le due procedure non intercorre un rapporto di collegamento e, quindi, le
determinazioni del soprintendente non vincolano i provvedimenti del sindaco.
L'impugnazione
dei due atti ha ambiti operativi diversi, essendo diretta a censurare in un
caso l'autorizzazione della Soprintendenza per i motivi connessi alla tutela
dei beni culturali e, nell'altro, il permesso di costruire per motivi di natura
urbanistica.
La
giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del cod. beni cult. ha ritenuto
ammissibile l'impugnazione del solo provvedimento comunale avendo il ricorrente
fatto valere ragioni di natura esclusivamente urbanistica.
In
sede di autorizzazione di interventi edilizi su immobili vincolati ai sensi
della l. 1.6.1939, n. 1089, il sindaco, a fronte dell'approvazione preventiva
rilasciata dalla competente soprintendenza, in base all'art. 18 della l.
1089/1939, ben può effettuare valutazioni di ordine urbanistico-edilizio,
pervenendo a determinazioni negative o soprassessorie sull'istanza presentata
dall'interessato
(T.A.R.
Piemonte, sez. I, 10.10.1990, n. 386, T.A.R., 1990, I, 3847).
La
giurisprudenza ha ritenuto che la suddetta autorizzazione riguardi qualsiasi
tipo di lavori:
L'art.
18 della l. 1.6.1939, n. 1089 sulla tutela delle cose d'interesse artistico o storico,
che richiede la preventiva approvazione dei progetti delle opere che si
intendano eseguire sulle cose tutelate dalla legge, non si riferisce alle opere
edilizie, ma alle opere di qualunque genere, comprendendo con tale espressione
qualsiasi manufatto, anche se di limitata entità volumetrica ed a carattere
precario, purché idoneo ad arrecare pregiudizio all'interesse tutelato
(Cass. pen., sez. III, 23.11.1984, CP,
1986, 131).
Il
procedimento di rilascio, prima disciplinato dall’art. 24, d.lg. 490/1999, è
ora normato dall’art. 22, d.lg. 22.1.2004, n. 42. Tamiozzo 2005, 518.
La
scansione procedimentale ne impone il rilascio entro 120 giorni dalla ricezione
della richiesta da parte della Soprintendenza.
E’
prevista la sospensione del termine per richieste istruttorie.
Decorso
il termine il ricorrente può diffidare l’amministrazione a provvedere
E’
previsto il silenzio assenso che si forma solo a seguito di inottemperanza
dell’amministrazione a provvedere dopo trenta giorni dal ricevimento della diffida,
La
tutela statale attribuisce al soprintendente il potere di sospendere i lavori
quando i progetti relativi non siano stati preventivamente autorizzati dalla
soprintendenza, ai sensi dell’art. 28, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che sost. art.
28, d.lg. 490/1999.
L’art.
160, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che sost. l’art. 131, d.lg. 490/1999, disciplina
il procedimento sanzionatorio di rimessa in pristino di competenza del
Ministero per i beni e le attività culturali.
2.6. I beni
degli enti ecclesiastici ed edifici di culto.
I
beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto non possono essere sottratti
alla loro destinazione.
1.
I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice,
in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano.
2.
Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se
appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione
neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia
cessata in conformità delle leggi che li riguardano.
(art.
831, c.c.).
A
seguito dell'accordo intervenuto con la S. Sede il 15.11.1984 ratificato e reso
esecutivo in Italia con l. 20.5.1985, n. 206, e, quindi, interamente trasfuso
nella l. 20.5.1985, n. 222, è stata soppressa ogni ingerenza dello Stato
italiano nell'amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici.
Gli
effetti civili sono attribuiti con il riconoscimento effettuato con d.p.r.
Ogni
mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di
esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista efficacia
civile mediante riconoscimento con decreto del Presidente della Repubblica,
udito il parere del Consiglio di Stato.
In caso di mutamento che faccia perdere all'ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento può essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Presidente della Repubblica, sentita l'autorità ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato.
(art. 19, l. 20.5.1985, n. 206).
In caso di mutamento che faccia perdere all'ente uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento può essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Presidente della Repubblica, sentita l'autorità ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato.
(art. 19, l. 20.5.1985, n. 206).
I
beni appartenenti al patrimonio disponibile possono essere alienati.
Il
Fondo edifici di culto può alienare gli immobili adibiti ad uso di civile
abitazione secondo le norme che disciplinano la gestione dei beni disponibili
dello
Stato e degli enti ad esso assimilati, investendo il ricavato in deroga
all'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 17.1.1959, n. 2.
(art. 65, l. 20.5.1985, n. 206).
(art. 65, l. 20.5.1985, n. 206).
3. Il vincolo
paesistico.
I
beni di interesse paesaggistico trovano una prima forma di tutela con la l.
29.6.1939, n. 1497 che impone il vicolo paesistico.
Essa
ha un contenuto prettamente conservativo dell’esistente patrimonio delle
cosiddette bellezze naturali per evitare che l’urbanizzazione del territorio
cancelli definitivamente ambiti del territorio di particolare rilevanza.
E’
necessario, però, un atto di accertamento della natura paesaggistica o
ambientale del bene.
In
mancanza di un atto dell’amministrazione che evidenzi volta per volta la
qualità del bene, esso si trova privo di ogni tipo di tutela che consenta
all’autorità preposta al vincolo un preventivo esame degli interventi edilizi
che la proprietà voglia realizzare.
L’art.
134, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che mod. l’art. 139, d.lg. 490/1999, che abroga
l'art. 1, l. 1497/1939, prevede la possibilità di imporre vincoli speciali su
singoli beni paesaggistici.
Essa
sottopone ad una maggiore tutela i beni aventi rilevante interesse ambientale
aumentando il limite di rispetto in attesa dei piani paesaggistici.
Il
vincolo paesaggistico è finalizzato alla tutela dell'ambiente, riconosciuto e
protetto dagli artt. 9 e 32 cost., e rispetto ad esso è stato sottolineato che
non si tratta propriamente di una materia bensì di un bene costituzionale di
rango primario, qualificabile come valore unitario che informa altri beni ad
esso sottesi quali l'assetto del territorio, le risorse naturali, il paesaggio
nell'accezione estetico-culturale, la salubrità dell'habitat.
Il
legislatore distingue due differenti categorie di beni.
La
prima comprende i beni il cui riconoscimento è automatico. Non vi sono
difficoltà a classificare nella categoria, ad esempio, i fiumi, le cui
caratteristiche sono evidenti.
La
seconda categoria comprende beni il cui riconoscimento presuppone un atto ricognitivo
della pubblica amministrazione.
In
tal caso, come, ad esempio, nell’ipotesi di beni di interesse archeologico, il
vincolo può essere posto solo ove sussista un idoneo atto di ricognizione da
parte degli organi competenti, che attesti il presupposto stesso per
l’apposizione del vincolo:
Sebbene
il vincolo gravante sulle zone di interesse archeologico ai sensi dell'art. 1
lett. m) l. 8.8.1985, n. 431 abbia natura paesaggistica, e come tale sia
affidato in via diretta all'Autorità regionale, - e soltanto in sede di
controllo e vigilanza allo Stato - non è consentito che l'attività ricognitiva
dell'interesse archeologico di una zona determinata, ai fini dell'inclusione
della medesima fra quelle sottoposte a vincolo ex lege, prescinda dalla
effettiva presenza di valori archeologici, il cui particolare rapporto col
paesaggio costituisce la ratio della tutela prevista dalla l. 431/1985.
La
sussistenza di emergenze archeologiche sul territorio o, quantomeno, la
accertata e notoria possibilità che in esso si trovino reperti archeologici
costituisce il presupposto necessario e sufficiente perché una zona sia
dichiarata di interesse archeologico e, come tale, assoggettata al vincolo
paesaggistico di cui all'art. 1 lett. m) della l. 431/1985.
Qualora
siano assenti gli elementi minimi necessari da cui dedurre la presenza di
valori archeologici - sia sul piano dell'effettivo rinvenimento di reperti, sia
su quello della accertata e notoria possibilità che essi si trovino su un'area
determinata - non sussistono le condizioni per l'inserimento dell'area fra le
dette zone di interesse archeologico
(T.A.R.
Toscana, sez. III, 6.3.1996, n. 185, TAR, 1996, I, 1981).
3.1. I vincoli ex lege.
La
norma indica una serie di beni che si ritengono oggettivamente, per la loro
stessa esistenza, meritevoli di tutela e sono fissati dei limiti spaziali entro
i quali è vietato ogni intervento prima che sia data una regolamentazione
mediante i piani territoriali paesistici, ex art. 142, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
L’apposizione
di vincoli ex lege consente l’immediata salvaguardia di beni di
interesse paesaggistico a prescindere dalla dichiarazione di notevole interesse
paesaggistico.
Detta
salvaguardia si estende fino all’approvazione del piano paesaggistico.
L’elencazione
di detti beni si intende come tassativa.
1.
Fino all'approvazione del piano paesaggistico ai sensi dell'articolo 156, sono
comunque sottoposti alle disposizioni di questo Titolo per il loro interesse
paesaggistico:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b) i tenitori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
l) i vulcani;
m) le zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice.
2. Le disposizioni previste dal comma l non si applicano alle aree che alla data del 6 settembre 1985:
a) erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A e B;
b) limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione, erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 come zone diverse da quelle indicate alla lettera a) e, nei comuni sprovvisti di tali smenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.
3. La disposizione del comma 1 non si applica ai beni ivi indicati alla lettera c) che, in tutto o in parte, siano ritenuti irrilevanti ai fini paesaggistici e pertanto inclusi in apposito elenco redatto e reso pubblico dalla regione competente. Il Ministero, con provvedimento adottato con le procedure previste dall'articolo 141, può tuttavia confermare la rilevanza paesaggistica dei suddetti beni.
4. Resta in ogni caso ferma la disciplina derivante dagli atti e dai provvedimenti indicati all'articolo 157.
(art. 142, d. lg. 42/2004).
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
b) i tenitori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
l) i vulcani;
m) le zone di interesse archeologico individuate alla data di entrata in vigore del presente codice.
2. Le disposizioni previste dal comma l non si applicano alle aree che alla data del 6 settembre 1985:
a) erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A e B;
b) limitatamente alle parti ricomprese nei piani pluriennali di attuazione, erano delimitate negli strumenti urbanistici ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 come zone diverse da quelle indicate alla lettera a) e, nei comuni sprovvisti di tali smenti, ricadevano nei centri edificati perimetrati ai sensi dell'articolo 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.
3. La disposizione del comma 1 non si applica ai beni ivi indicati alla lettera c) che, in tutto o in parte, siano ritenuti irrilevanti ai fini paesaggistici e pertanto inclusi in apposito elenco redatto e reso pubblico dalla regione competente. Il Ministero, con provvedimento adottato con le procedure previste dall'articolo 141, può tuttavia confermare la rilevanza paesaggistica dei suddetti beni.
4. Resta in ogni caso ferma la disciplina derivante dagli atti e dai provvedimenti indicati all'articolo 157.
(art. 142, d. lg. 42/2004).
Il
vincolo trova attuazione fino all’approvazione dei piani paesistici.
In
ordine al rapporto tra vincolo di particolare interesse sotto il profilo
paesaggistico e disciplina dei piani territoriali paesistici, la giurisprudenza
ha chiarito che questi ultimi suppongono sempre l'esistenza del vincolo
paesaggistico e che in ogni caso non costituisce vizio della funzione preposta
alla tutela del paesaggio il mancato accertamento della esistenza, nel
territorio oggetto dell'intervento paesaggistico, di eventuali iniziative
urbanistico-paesistiche, che rispondono peraltro ad esigenze diverse e non si
inquadrano in una considerazione globale del territorio sotto il profilo
dell'attuazione del primario valore paesaggistico.
Per
le medesime ragioni non può essere configurata la necessità di una specifica
individuazione nel decreto, che provvede alla dichiarazione di particolare
interesse paesaggistico della zona, relativamente al coordinamento con
eventuali previsioni contenute in strumenti pianificatori e urbanistici (Cons.
St., Sez. VI, 14.1.1993, n.29).
L'imposizione del vincolo paesaggistico non richiede una ponderazione degli interessi privati unitamente e in concorrenza con quelli pubblici connessi con la tutela paesaggistica (Corte Cost. 27.6.1986, n. 151).
Le disposizioni dettate dagli artt. 142 e 143, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che impongono la fascia di rispetto non sono applicabili ove esista un Piano territoriale che impone per l'edificazione una più ridotta distanza.
L'imposizione del vincolo paesaggistico non richiede una ponderazione degli interessi privati unitamente e in concorrenza con quelli pubblici connessi con la tutela paesaggistica (Corte Cost. 27.6.1986, n. 151).
Le disposizioni dettate dagli artt. 142 e 143, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che impongono la fascia di rispetto non sono applicabili ove esista un Piano territoriale che impone per l'edificazione una più ridotta distanza.
La
giurisprudenza, ad esempio, ha affermato che la fascia di rispetto di 150 m.
dai torrenti non è applicabile ove esista un Piano territoriale che impone per
l'edificazione una più ridotta distanza dalla sponda dei fiumi e dei torrenti.
L'invocata disciplina nazionale che impone la fascia
di rispetto di 150 m. dai torrenti (in questo caso dal torrente Fossatone) non
è applicabile al caso di specie perché a livello locale esiste ed è applicabile
il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale che impone per
l'edificazione nelle zone comprese nei centri abitati (come è la zona in
questione) la più ridotta distanza di 30 m. dalla sponda dei fiumi e dei
torrenti (sull'esistenza e sulla valenza giuridica paesaggistico ambientale di
detto Piano.
3.2. Il
procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
L’iter
procedurale per deliberare la dichiarazione di notevole interesse pubblico
delle aree ed immobili oggetto del cod. beni cult. è previsto dall’art. 137
ss., d.lg. 22.1.2004, n. 42, che abroga l’art. 140, d.lg. 490/1999 (Mengoli
2003, 463).
Il
procedimento è radicalmente modificato.
La
norma ha attribuito al direttore della regione o degli altri enti pubblici
interessati l’iniziativa di acquisire le informazioni necessarie a proporre
alla Commissione, istituita in ogni provincia, l’identificazione dei beni e dei
luoghi di notevole interesse ambientale, ex art. 138, d.lg. 22.1.2004,
n. 41.
L'imposizione
del vincolo paesaggistico non richiede una ponderazione degli interessi privati
unitamente e in concorrenza con quelli pubblici connessi con la tutela
paesaggistica, sia perché la dichiarazione di particolare interesse sotto il
profilo paesistico non è in concorrenza con gli interessi pubblici connessi con
la tutela paesaggistica, sia perché la dichiarazione di particolare interesse
sotto il profilo paesistico non è un vincolo a carattere espropriativo,
costituendo i beni aventi valore paesistico una categoria originariamente di
interesse pubblico, sia perché comunque la disciplina costituzionale del
paesaggio erige il valore estetico-culturale a valore primario dell'ordinamento
(Cons.
St., sez. VI, 23.11.2004, n. 7667, FACDS, 2004,
3270).
La
proposta deve essere motivata con riferimento alle caratteristiche storiche
culturali, naturali, morfologiche ed estetiche proprie degli immobili e delle
aree oggetto del provvedimento.
Il vincolo paesaggistico di cui all'art. 9 l. r.
Piemonte 5.12.1977 n. 56, che consente (tenuto conto dell'introduzione da parte
della l. 8.8.1985, n. 431 della nozione di tutela non di singoli beni, quale si
ricavava dalle disposizioni risalenti al 1939, ma di intere aree di interesse
pubblico) di includere ampie porzioni di territorio nel novero delle zone da
salvaguardare in base a considerazioni prevalentemente ambientali, anche se ha
tratto occasionalmente spunto da istanze dirette alla tutela dei luoghi della
battaglia della Bicocca del 1849, è legittimamente imposto dalla regione
allorché dalla motivazione contenuta nella deliberazione si evinca che il fine
concretamente perseguito sia quello di estendere la protezione dei luoghi
oggetto di memoria storica alla più estesa zona circostante, presa in
considerazione perché dotata di pregi paesaggistici non comuni
(T.A.R. Piemonte, sez. I, 21.12.2002, n. 2102).
La giurisprudenza ha dichiarato unanimemente
illegittimo il provvedimento
privo di adeguate giustificazioni o con motivazione
insufficiente.
È illegittima l'imposizione di un vincolo diretto da
parte del Ministero per i beni culturali e ambientali che, senza fornire
adeguata motivazione, abbia disatteso il parere della locale sovrintendenza che
aveva concluso per l'assenza di pregio dell'immobile e proposto l'imposizione
soltanto di un vincolo indiretto
(Cons. St., sez. VI, 5.10.2001, n.
5235, RGE, 2001, I, 1213).
La
proposta deve essere pubblicata per novanta giorni all’albo pretorio dei comuni
interessati e deposita presso i loro uffici, inoltre deve essere diffusa la
notizia sulla stampa.
A
tal punto la regione comunica l’avvio del procedimento di dichiarazione di
notevole interesse pubblico al proprietario interessato e al comune
interessato.
I
soggetti interessati possono presentare osservazioni entro il termine
perentorio di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione.
La
giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del cod. beni cult. ha ritenuto
che l’interesse al procedimento è limitato ai proprietari o detentori del bene.
Il
ricorso può essere proposto solo dai proprietari, possessori o detentori di
beni immobili situati nelle zone vincolate ai sensi della legge citata;
pertanto è inammissibile il ricorso de quo prodotto da un Comune o da una
Associazione di industriali non proprietari di beni vincolati
(Cons. St., sez. II, 17.5.1978, n.
925, RGE, 1981, I, 146).
Il
provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico è altresì
notificato in via amministrativa ai proprietari degli immobili; il che comporta
la necessità di munirsi di apposita autorizzazione rilasciata da parte della
sovrintendenza inerente ai progetti dei lavori (Filippi 1996, 195).
La
mancata notifica degli elenchi ai proprietari non è stata considerata dalla
giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del cod. beni cult. causa di
illegittimità del procedimento.
E'
infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l.
29.6.1939, n. 1497, nella parte in cui non dispongono la notificazione degli
elenchi di cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 1 della stessa legge, ai proprietari,
possessori o detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili così come previsto
per gli elenchi delle cose di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo art. 1, con
riferimento agli artt. 3, 24, c. 2, e 97, c. 1, della costituzione
(Corte
cost., 28.7.1995, n. 417, FI, 1996, I, 422).
Le
competenze già degli organi statali centrali e periferici inerenti alla tutela
dei beni ambientali ed alle funzioni delle Commissioni provinciali sono state
delegate alle Regioni, ai sensi dell’art. 146, d.lg. 22.1.2004, n. 42, che mod.
art. 140, d.lg. 490/1999.
Le
Regioni hanno emanato proprie leggi per disciplinare l’esercizio delle funzioni
loro delegate.
Alcuni
compiti amministrativi sono stati riservati agli organi regionali, altri sono
stati subdelegati ai Comuni.
Ad
esempio, nella regione Emilia Romagna la competenza al rilascio
dell'autorizzazione ambientale è stata subdelegata ai comuni dall'art. 10 della
l. r. 1.8.1978, n. 26.
Del
pari la l. r. Lombardia 18/1997 ha delegato ai comuni il rilascio
dell'autorizzazione e, in base al principio di sussidiarietà, che impone
all’ente di grado superiore di non espletare l’attività amministrativa
attribuita all’ente sotto ordinato, ha riservato alla regione le funzioni in
materia di autorizzazione ambientale per le opere di competenza dello Stato,
per gli interventi di smaltimento rifiuti e per quelli riguardanti l’attività
mineraria.
La
composizione delle Commissioni per i beni ambientali è stata rinnovata e la
loro competenza territoriale in alcune Regioni è rimasta a carattere
provinciale, mentre in altre essa è stata adeguata alla circoscrizione di una
pluralità di comuni o delle Comunità montane.
3.3.
L’autorizzazione regionale.
Il
cod. beni cult. sottopone gli interventi di modifica o di alterazione dei beni
ambientali, oggetto di tutela, ad autorizzazione ambientale di competenza della
regione o all’autorità da essa delegata, ex art. 146, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
Vi
è, pertanto, un secondo controllo che si affianca alla disciplina urbanistica
comunale.
L’intervento
sul bene, quindi, deve essere prima autorizzato dalla regione e poi,
successivamente, deve ottenere il rilascio del permesso di costruire da parte
del comune.
L’autorizzazione
non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione,
anche parziale, degli interventi.
L’autorizzazione
ambientale deve considerare la possibilità di intervenire in un modo che sia
compatibile con il paesaggio nel quale i lavori si inseriscono.
La
giurisprudenza ha precisato che la tutela di cui all'art. 151, d. lg.
29.10.1999, n. 490, non si estrinseca nell'impedire qualunque modificazione del
paesaggio, ma nel valutare quali modifiche siano compatibili con la
salvaguardia del valore tutelato e, quindi, autorizzabili. (T.A.R. Sardegna
9.1.2002, n. 2, FATAR, 2002, 286).
Il
sistema di dichiarazione di interesse pubblico viene meno qualora la
pianificazione urbanistica comunale abbia già regolamentato gli interventi su
detti beni.
Resta
ugualmente l’obbligo di richiedere l’autorizzazione prima dell’esecuzione di
lavori.
Non
sono sottoposte a vincolo le aree che al 6 settembre 1985 erano definite negli
strumenti urbanistici come zone A) e B) e - limitatamente alle parti comprese
nei piani pluriennali di attuazione - le altre zone, come delimitate negli
strumenti urbanistici, ai sensi del d.m. 2.4.1968, n. 1444; inoltre, nei comuni
sprovvisti di tali strumenti, i centri edificati perimetrati, ai sensi
dell'art. 18 della l. 865/1971.
3.4. Il
procedimento di rilascio.
Il
procedimento per il rilascio dell’autorizzazione è disciplinato dall'art. 146,
5° co., d.lg. 22.1.2004, n. 42.
Le
amministrazioni competenti devono accertare la compatibilità dell’intervento,
sulla base del parere della Commissione per il paesaggio.
Esse,
entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione dell'istanza, trasmettono
la proposta di autorizzazione alla Soprintendenza per i beni architettonici e
per il paesaggio competente per territorio.
Della
trasmissione è data notizia agli interessati, ai sensi e per gli effetti della
l. 241/1990.
La
Soprintendenza, a differenza della precedente normativa, non è coinvolta nel
procedimento dopo il rilascio dell’autorizzazione.
Essa
partecipa fin dall’inizio al procedimento diventando di fatto organo consultivo
dell’amministrazione procedente.
La
Soprintendenza deve esprimere il suo parere sul progetto e sulla proposta di
autorizzazione nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di
ricezione del progetto.
Decorso
inutilmente il termine per l'acquisizione del parere, l'amministrazione assume
comunque le determinazioni in merito alla domanda di autorizzazione.
L'autorizzazione
è rilasciata o negata dall'amministrazione competente entro il termine di venti
giorni dalla ricezione del parere della Soprintendenza, art. 146, d.lg.
22.1.2004, n. 42.
L’amministrazione
può procedere al rilascio dell’autorizzazione non solo quando la Soprintendenza
ha detto sì o non si è espressa nel termine perentorio assegnato, ma anche
quando la Soprintendenza si è espressa negativamente. In tal caso
l’amministrazione deve dare adeguata motivazione sulle ragioni del dissenso dal
parere della Soprintendenza (D’Alessio 2004, 136).
L’autorizzazione
è rilasciata o negata nel termine di venti giorni dalla ricezione del parere
della soprintendenza o dallo scadere del termine concesso dalla soprintendenza
per esprimere il parere.
Essa
è trasmessa in copia, senza indugio, alla soprintendenza che ha emesso il
parere nel corso del procedimento, nonché, unitamente al parere, alla regione
ed alla provincia e, ove esistenti, alla comunità montana e all'ente parco nel
cui territorio si trova l'immobile o l'area sottoposti al vincolo.
L’autorizzazione
è efficace solo se sono trascorsi venti giorni dalla sua emanazione.
Tale
termine tende a garantire la conoscenza del provvedimento da parte dei soggetti
interessati ad eventuali impugnative.
L’art.
149, d.lg. 22.1.2004, n. 42, riconferma che il nulla osta non è necessario per
gli interventi, da esso tassativamente previsti, di manutenzione ordinaria,
straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo.
4. Il vincolo
idrogeologico.
Il
vincolo idrogeologico comporta notevoli restrizioni per i terreni che ne sono
soggetti dovute per impedire il dilavamento dei terreni e per migliorare il
regime delle acque.
La
regione è competente a rilasciare, mediante l’organo fissato dalla relativa
legislazione, per
Gli
interventi da effettuarsi nelle zone sottoposte a vincolo idrogeologico sono soggetti
all'autorizzazione contemplata dall'art. 7, r.d. 30.12.1923, n. 3267.
La
giurisprudenza ha stabilito che il vincolo non ha carattere di divieto assoluto
della edificabilità delle aree ad esso soggette.
Il
vincolo idrogeologico e forestale non comporta inedificabilità assoluta, per
cui non ogni opera edilizia in zona vincolata arreca pregiudizio all'interesse
pubblico tutelato ma solo quelle che, a seguito di puntuale accertamento, da
condursi caso per caso, risultino con esso pubblico interesse in effettivo
contrasto; pertanto il richiamato vincolo non interdice in modo assoluto
l'attività edificatoria, ma richiede soltanto che l'intervento progettato sia
espressamente autorizzato dalla autorità preposta alla tutela del vincolo
stesso.
La
pubblica amministrazione può vietare quelle utilizzazioni che, in concreto,
pregiudichino l'equilibrio idrogeologico (Cons. St., sez. VI, 2.3.1987, n. 94, GA,
1987, 694).
Nel caso di mancata autorizzazione, o di diniego della
stessa, il privato può tutelare il proprio interesse solo ricorrendo alla
giustizia amministrativa (T.A.R. Lazio, sez. Latina, 21.6.1994, n. 677, FA,
1995, 164).
5. I beni
privati di rilevanza pubblica. Le cave.
I
beni di rilevanza pubblica sono lasciati al godimento dei privati proprietari;
essi sono soggetti ad obblighi di facere in quanto l’utilizzazione del
bene e gli eventuali interventi devono essere preventivamente autorizzati. Sono
compresi in detti beni le cave che permangono nella disponibilità del
proprietario e le terre incolte (Virga 1995, 411).
Le cave fanno parte del patrimonio indisponibile della
regione solo dopo l'atto della pubblica amministrazione che ne sottrae
d'autorità la disponibilità al proprietario del fondo. Cap. VIII, n.2.1.
La regione ha competenza in materia di cave.
L’art. 12, l. r. Lombardia 8.8.1998, n. 14, prevede
che l'attività estrattiva è soggetta ad autorizzazione rilasciata dalla
Provincia.
Qualora il titolare del diritto su un giacimento non
ne abbia intrapreso in tutto o in parte la coltivazione o non abbia già
richiesto a tal fine la necessaria autorizzazione, la richiesta di coltivazione
del giacimento può essere presentata da un terzo, anche su intervento di
diffida da parte della Provincia, art. 22, l. r. Lombardia 8.8.1998, n. 14.
Se il giacimento è assegnato in concessione, al
titolare del diritto sul giacimento medesimo è corrisposto, per tutto il
periodo di durata della concessione, un indennizzo annuo pari al 30% del valore
agricolo delle aree delimitate nel provvedimento di concessione, determinato ai
sensi delle leggi statali, ex art. 23, l. r. Lombardia 8.8.1998, n. 14.
Il titolare del diritto sul giacimento, ove ritenga di
non presentare domanda di autorizzazione, può far pervenire entro lo stesso
termine a chi abbia presentato la richiesta di coltivazione del giacimento una
proposta irrevocabile di cessione temporanea del diritto di scavo ad un
compenso annuo pari al 30% del valore agricolo delle aree interessate dal
giacimento, ovvero, se ne è anche proprietario, di vendita delle aree medesime
per un prezzo non superiore all'indennizzo previsto per le espropriazioni delle
stesse, ai sensi delle leggi statali, ex art. 24, l. r. Lombardia 8.8.1998, n.
14.
6. Le terre
incolte.
La
l. 440/1978 ha fissato i principi generali per l’assegnazione delle terre
incolte.
Ai
fini della concessione delle terre incolte, abbandonate o insufficientemente
coltivate si considerano incolte o abbandonate le terre che non siano state
coltivate da almeno due annate agrarie.
Per
potere procedere alla relativa assegnazione è necessario un preventivo
accertamento. Esso costituisce presupposto necessario per il successivo
provvedimento di concessione del terreno, sicché la sua mancanza inficia il
provvedimento stesso (T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 27.3.1990, n. 242, DGA,
1991, 318)
Ai fini della presente legge si considerano incolte o
abbandonate le terre, suscettibili di coltivazione, che non siano state
destinate ad utilizzazione agraria da almeno due annate agrarie.
Si considerano insufficientemente coltivate le terre le cui produzioni ordinarie, unitarie medie, dell'ultimo triennio non abbia raggiunto il 40 per cento di quelle ottenute, per le stesse colture, nel medesimo periodo in terreni della zona censuaria, con le stesse caratteristiche catastali, tenendo conto delle vocazioni colturali della zona.
Nelle zone e nelle aziende dove esistono terreni serviti da impianti d'irrigazione, la comparazione ai fini di cui al secondo comma del presente articolo è effettuata con le produzioni unitarie dei terreni irrigui.
(art. 2, l. 4.8.1978, n. 440).
Si considerano insufficientemente coltivate le terre le cui produzioni ordinarie, unitarie medie, dell'ultimo triennio non abbia raggiunto il 40 per cento di quelle ottenute, per le stesse colture, nel medesimo periodo in terreni della zona censuaria, con le stesse caratteristiche catastali, tenendo conto delle vocazioni colturali della zona.
Nelle zone e nelle aziende dove esistono terreni serviti da impianti d'irrigazione, la comparazione ai fini di cui al secondo comma del presente articolo è effettuata con le produzioni unitarie dei terreni irrigui.
(art. 2, l. 4.8.1978, n. 440).
La proprietà che non ottempera agli obblighi di legge
si vede sottrarre il terreno che è assegnato a coloro che si impegnano a
coltivarlo.
5.
Le regioni assegnano per la coltivazione le terre incolte, abbandonate o
insufficientemente coltivate, anche appartenenti ad enti pubblici e morali,
compresi i terreni demaniali, ai richiedenti che si obbligano a coltivarli in
forma singola o associata. La domanda del richiedente viene notificata
contemporaneamente, a cura delle regioni, al proprietario e agli aventi
diritto.
(art. 4, l. 4.8.1978, n. 440).
La proprietà può comunque evitare l’assegnazione ad
altri del proprio terreno presentando un piano per la relativa coltivazione
entro termini perentori fissati dalla stessa regione.
6. I proprietari e gli aventi diritto possono chiedere alla regione, entro il termine stabilito e comunque non inferiore ai quarantacinque giorni, di coltivare direttamente le terre di cui all'art. 1 allegando alla richiesta un piano di sviluppo aziendale elaborato secondo i criteri di cui al presente articolo e concordato con la regione la quale ne accerta la esecuzione.
(art. 4, l. 4.8.1978, n. 440).
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