martedì 17 aprile 2012

Pubblico Impiego Sanzioni disciplinari: Destituzione per uso sostanze stupefacenti.

Il potere disciplinare della pubblica amminsitrazione incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo caso il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio.
Ai sensi dell’art. 55, comma 3, D.L. vo 165/2001, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi.
Il comma 2 dello stesso articolo contiene un’altra disposizione di particolare rilievo sull’argomento, in quanto si limita a dichiarare applicabili solamente l’art. 2106, c.c. e l’art. 7, commi 1, 5, 8, L. 20 maggio 1970, n. 500, senza rinviare integralmente alla normativa privatistica.
Nel procedimento disciplinare previsto dal citato art. 55, l’interessato può impugnare il provvedimento disciplinare immediatamente davanti al giudice, prescindendo dal ricorso al collegio arbitrale, in modo analogo, peraltro, a quanto, ai sensi dell’art. 7, L. 300/1970, è consentito al dipendente privato. T.A.R. Piemonte, sez. II, 4 febbraio 1999, n. 58. N. Centofanti, Formulario del diritto amministrativo, 2009, 739.
La giurisprudenza riconosce l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell'Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate.
Essa riconosce legittima la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di una sostanza stupefacente.
La sentenza precisa che l'appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto - fra l'altro - al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all'appellante con la dovuta severità (Cons. Stato, Sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6099.
La condotta rimproverata è del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l'irrilevanza penale del fatto, l'asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell'incolpato, ma giustifica la sanzione espulsiva ai sensi dell'art. 40, n. 6, della legge 3 agosto 1961, n. 833, a detta del quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso "per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina".
La perdita del grado è infatti "sanzione unica ed indivisibile", non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all'Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio.
Tenuto conto dell'oggettiva gravità della condotta ascritta all'odierno appellato, non mette neppur conto indagare se la documentazione in atti deponga per il carattere del tutto isolato dell'episodio in contestazione, ovvero denoti nel soggetto passivo del rpovvediemnto una qualità di assuntore pur occasionale di sostanze stupefacenti (qualità peraltro che, come è noto, è praticamente impossibile da riscontrare clinicamente con riguardo al consumo di sostanze "leggere" del tipo di quelle di che trattasi in questo caso).
Sotto il profilo procedimentale la decisione della Commissione di disciplina deve essere seguita entro termini tassativi dal provvedimento sanzionatorio.
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, ai fini del computo dell'intervallo di 90 giorni tra due successivi atti, il superamento del quale - a norma dell'art. 120 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 - comporta l'estinzione del procedimento disciplinare, occorre avere riguardo al momento di adozione degli atti del procedimento sanzionatorio e non al momento della notifica.
Questa, infatti, attiene al momento dell'efficacia e non a quello del perfezionamento del provvedimento amministrativo cui, invece, deve intendersi logicamente riferito il disposto del suddetto art. 120. Consiglio di Stato sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452.
La giurisprudenza ha precisato che l'art. 75 della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), prevede la possibilità che l'organo competente all'adozione delle sanzioni disciplinari può discostarsi dal giudizio della Commissione di disciplina non solo in senso più favorevole all'incolpato ma, sia pure soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore di questo.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 62 del 5 marzo 2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo limitatamente alle parole «e, soltanto in casi di particolare gravità, anche a sfavore».
Nel caso di specie il ricorrente condannato ad una pena di un anno e quattro mesi di reclusione a seguito di sentenza patteggiata per detenzione di sostanze stupefacenti e sottoposto ad un procedimento disciplinare, nonostante il parere favorevole a conservare il grado espresso dalla Commissione di disciplina, il direttore generale irrogava la sanzione della perdita del grado.
Alla luce della nuova formulazione dell'art. 75 della legge n. 599 del 1954, l'organo ministeriale competente non può rivedere in senso peggiorativo il giudizio della Commissione di disciplina che, nella specie, si era per l'appunto espressa nel senso di ritenere il soggetto meritevole di conservare il grado. Consiglio Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 89. D. Ponte, Legittimo rimuovere il militare delle fiamme gialle che ha fatto uso saltuario di sostanze stupefacenti, in Guida Dir. 2012, 14, 95.
Certo il legislatore ignora che migliaia di persone con curriculum immacolati e titoli di studio brillanti si affannano per cercare un posto nel pubblico impiego.
Un certo rigore nel trattare chi indegnamente ricopre pubbliche funzioni sarebbe necessario per la credibilità stessa dell’intero apparato.
Il buonismo imperante consente invece situazioni di grande tollerabilità per chi sbaglia e poca considerazione per chi si impegna e vorrebbe lavorare nel rispetto delle regole.

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