mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 11 Privatizzazione


Capitolo undicesimo
La privatizzazione.

Guida bibliografica.

1. La privatizzazione dei beni pubblici.
Il legislatore, per esigenze di risanamento della finanza pubblica, ha predisposto una serie di provvedimenti intesi alla alienazione dei beni pubblici non destinati ad usi collettivi generali e di interesse ambientale e culturale. Cassese 2000, 1317.

2. La vendita dei beni del demanio culturale.
La dottrina è assolutamente contraria alla vendita indiscriminata dei beni culturali. Argomentando dal testo dell'art. 823, c. c., per cui i beni che fanno parte del demanio pubblico non possono essere alienati se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano, non esclude la possibilità di sottoporre i beni demaniali a procedure di alienazione, purché però tale eventualità sia accompagnata dal rinvio alle modalità e ai limiti prescritti dalle rispettive discipline speciali. Colonna Dahlman 2000, n. 1.

3. La procedura di vendita.
Il primo atto per addivenire alla vendita dei beni culturali è costituito dal procedimento di verifica dell’interesse culturale del bene, previsto dall’art. 12, d.lg. 42/2004, che deve avere esito negativo. Tamiozzo 2005, 177.

4. Il principio della inalienabilità del patrimonio pubblico.
La dottrina rileva che il principio della inalienabilità dei beni culturali è soggetto a numerose eccezioni. Tamiozzo 2005, 177.

5. L’autorizzazione ad alienare.
La dottrina rileva la scarsa portata garantistica della disciplina predisposta, connessa alla mancanza di sanzione per il non rispetto delle indicazioni contenute nell'autorizzazione. Nulla è previsto, infatti, in aggiunta alle generali prescrizioni dell'art. 20, d.lg. 42/2004, che sancisce il divieto di adibire beni culturali ad usi incompatibili con il loro carattere storico-artistico, e alla sanzione penale di cui all'art. 170, d.lg. 42/2004, che punisce chi destina i beni culturali ad uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico. Nessun potere di vigilanza specifico è attribuito al ministero in ordine al rispetto delle condizioni contenute nell'autorizzazione al di là del generale potere di controllo su tutti i beni culturali. Le prescrizioni delineate dal Codice, infatti, essendo prive della correlata sanzione appaiono un impianto di garanzia proclamato ma non reso realmente operante, a tutto discapito dell'interesse pubblico protetto dall'art. 9 Cost.
Serra 2004, n. 1.

6. Il procedimento di autorizzazione ad alienare.
La dottrina evidenzia come la normativa in esame definisca una graduazione del livello di garanzia richiesto per autorizzare la vendita delle diverse tipologie di beni culturali pubblici o appartenenti a enti non profit. Il livello minimo è quello previsto per i beni degli enti privati senza scopo di lucro, il "grave" danno alla conservazione e pubblico godimento. A livello intermedio di garanzia si collocano i beni pubblici non demaniali: le condizioni delineate per essi sono simili a quelle appena richiamate, salvo il fatto che il danno a tali aspetti non deve essere neppure lieve. Per gli immobili storico-artistici in generale è indicata come imprescindibile non solo la garanzia per la tutela, ma anche il fatto che non sia limitato il pubblico godimento e la valorizzazione dei beni. Serra 2004, n. 1. Successivamente la norma, col d.lg. 156/2006, è stata però riformata esigendo espressamente il pubblico godimento del bene.

7. La denuncia di trasferimento della detenzione.
La denuncia di trasferimento della detenzione di un bene di interesse storico artistico soddisfa l’esigenza di fornire all’amministrazione una tempestiva conoscenza dello stato attuale di appartenenza giuridica e di disponibilità materiale del bene.
L’ente preposto al controllo è in tal modo messo nella condizione di potere esercitare i suoi poteri di ingerenza attiva nella gestione del bene. Alibrandi e Ferri 2001, 477.
Lo scopo ulteriore è quello di consentire all’amministrazione l’esercizio della prelazione sul bene oggetto di trasferimento. Mansi 2004 (2), 252.

8. La prelazione dello Stato.
La dottrina evidenzia che il procedura di prelazione deve: 1) esser preceduto dall'avviso dell'avvio del relativo procedimento e da una congrua motivazione. Cons. St., sez. VI, 18.7.1997, n. 1125; 2) quando l’ente pubblico intende esercitare la prelazione, è tenuto a formulare la relativa proposta al Ministero, dichiarando l'eventuale irrevocabile intento di acquisire il bene e di corrisponderne il prezzo all'alienante; quindi, in controprestazione deve essere versato il prezzo; 3) il prezzo non equivale a domanda di mutuo; 4) dalla riconosciuta natura ablatoria della prelazione si ricava che, come nell'espropriazione l'indennità è un diritto dell'espropriato, così nella prelazione il prezzo è un diritto dell'espropriato del bene storico o culturale; 5) l'ente che esercita la prelazione deve contemporaneamente emanare il mandato di pagamento. Annunziata 2003, n. 7-8, 1511.
La giurisprudenza afferma che in caso di esercizio da parte dello Stato del diritto di prelazione previsto dagli art. 31 e 32 l. n. 1089 del 1939, con riguardo ad un immobile di interesse artistico o storico, il conduttore di questo non può vantare alcun diritto all'indennità di avviamento, ex artt. 34 o 69, l. 392 del 1978 nei confronti della pubblica amministrazione, giacché, determinando l'esercizio del potere ablatorio da parte della p.a. l'acquisizione dell'immobile al regime del demanio pubblico e l'automatica cessazione del rapporto di locazione concluso dal precedente proprietario, essa non acquista la qualità di locatore. Cass. Civ., sez. III, 21.6.1995, n. 7020, FI, 1996, I, 2186.


1. La privatizzazione dei beni pubblici.

Fondamentali innovazioni al sistema di alienazione dei beni patrimoniali di proprietà pubblica sono state apportate dalla politica di privatizzazione del patrimonio immobiliare pubblico (Cerulli Irelli 1997, 670).
Con il d.l. 1.10.1990, n. 263, è stato stabilito il principio che gli enti locali devono far fronte alle politiche di realizzazione di opere pubbliche coll’alienazione del loro patrimonio.
Con la l. 29.1.1992, n. 35, è stata introdotta la politica delle privatizzazioni immobiliari.
La prima fase è quella della individuazione dei beni patrimoniali dello Stato suscettibili di utilizzazione economica.
Tale fase è affidata al Ministero delle finanze.
Il sopraggiunto art. 18, d.l. 18.1.1993, n. 8, conv. in l. 19.3.1993 n. 68, ha posto fine alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, 16° co., d.l. 5.12.1991, n. 386, convertito nella l. 29.1.1992, n. 35, nella parte in cui, al fine dell'esame e dell'approvazione dei programmi di alienazione, gestione e valorizzazione dei beni immobili e dei relativi progetti esecutivi, attribuiva ad una conferenza di servizi, convocata dal ministro delle finanze e costituita dai rappresentanti degli enti pubblici interessati, il potere di apportare modifiche ai programmi economici suddetti, senza la necessità di ulteriori deliberazioni per quanto concerne gli interventi dell'ente locale, in riferimento all'art. 128 cost. ed in relazione agli artt. 1 e 27, l. 8.6.1990, n. 142 (Corte cost., 28.7.1993, n. 348).
Detto articolo ripristinava l’obbligo di approvazione dei programmi da parte del consiglio comunale nel caso di modifica degli strumenti urbanistici vigenti.
La giurisprudenza ha richiamato le amministrazioni al rispetto dei principi generali di contabilità escludendo la possibilità di diminuire il rpezzo di vendita ricorrendo alla trattativa privata.

In tema di misure di razionalizzazione della finanza pubblica - e segnatamente in materia di alienazione dei beni patrimoniali dello Stato - la disposizione di cui all'art. 3 comma 99 l. 23 dicembre 1996 n. 662 che prevede, fermo restando le altre condizioni iniziali di vendita dei beni de quibus, che l'aggiudicazione a trattativa privata, successivamente all'asta andata deserta, può avvenire sulla base del miglior prezzo di mercato (potendo tale prezzo discostarsi da quello posto a base d'asta, con la conseguenza che ove non fosse possibile variare quest'ultimo, potrebbe anche essere impossibile procedere alla vendita mediante trattativa privata) è incompatibile con quanto previsto dall'art. 9 l. 24 dicembre 1908 n. 783 nonché dall'art. 55 del relativo regolamento di attuazione (r.d. 17 giugno 1909 n. 454) in quanto le precedenti norme vietano di variare il prezzo e le altre condizioni di vendita, successivamente alla diserzione di uno o più incanti, se non a tutto vantaggio dell'amministrazione.
(Cons. St., sez. III, 27.5.1997, n. 782, CS, 1998, I, 536).

Il legislatore ha successivamente previsto la gestione dei beni pubblici statali – sia demaniali sia patrimoniali indisponibili – in maniera unitaria da parte di una società privata individuata dallo stesso legislatore.

1. Per la valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio dello Stato e nel rispetto dei requisiti e delle finalità propri dei beni pubblici è istituita una società per azioni, che assume la denominazione di "Patrimonio dello Stato S.p.a.".
2. Il capitale sociale è stabilito in 1.000.000 di euro.
3. Le azioni sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze. Il Ministero può trasferire a titolo gratuito la totalità delle azioni, o parte di esse, ad altre società di cui il Ministero detenga direttamente l'intero capitale sociale.
4. La società opera secondo gli indirizzi strategici stabiliti dal Ministero, previa definizione da parte del CIPE delle direttive di massima.
5. L'approvazione dello statuto e la nomina dei componenti degli organi sociali previsti dallo statuto stesso sono effettuati dalla prima assemblea, che il Ministro dell'economia e delle finanze convoca entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento.
(art. 7, d.l. 15.4.2002, n. 63, conv. l. 15.6.2002, n. 112).

A detta società possono essere trasferiti diritti pieni o parziali su beni immobili facenti parte del demanio dello Stato e comunque sugli altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato.

10. Alla Patrimonio dello Stato S.p.a. possono essere trasferiti diritti pieni o parziali sui beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile e indisponibile dello Stato, sui beni immobili facenti parte del demanio dello Stato e comunque sugli altri beni compresi nel conto generale del patrimonio dello Stato di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, ovvero ogni altro diritto costituito a favore dello Stato. Modalità e valori di trasferimento e di iscrizione dei beni nel bilancio della società sono definiti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche in deroga agli articoli 2254, 2342 e seguenti, del codice civile. Il trasferimento può essere operato con le modalità e per gli effetti previsti dall'articolo 3, commi 1, 16, 17, 18 e 19, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, escluse le norme concernenti la garanzia per vizi e per evizione previste dal citato comma 19. Il trasferimento di beni di particolare valore artistico e storico è effettuato di intesa con il Ministro per i beni e le attività culturali. Il trasferimento non modifica il regime giuridico, previsto dagli articoli 823 e 829, primo comma, del codice civile, dei beni demaniali trasferiti. Restano comunque fermi i vincoli gravanti sui beni trasferiti e, sino al termine di scadenza prevista nel titolo, i diritti di godimento spettanti a terzi.
10-bis. Il comma 4 dell'articolo 24 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: "4. Con riferimento agli immobili utilizzati dalie Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, e dalle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, appartenenti ai demanio o comunque in uso gratuito, il Ministro dell'economia e delle finanze, con uno o più decreti aventi natura non regolamentare, individua singoli beni o categorie di beni per i quali, a decorrere dal 1° gennaio dell'anno successivo, è dovuto un canone d'uso determinato con i decreti stessi con riferimento ai fitti di mercato dei beni medesimi. 11. La società può effettuare operazioni di cartolarizzazione, alle quali si applicano le disposizioni contenute nel decreto-legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.
12. I beni della Patrimonio dello Stato S.p.a possono essere trasferiti esclusivamente a titolo oneroso alla società di cui all'articolo 8 con le modalità previste al comma 10.
(art. 7, d. l. 15.4.2002, n. 63, conv. l. 15.6.2002, n. 112).

La dottrina ritiene che con detta norma, con il passaggio dei beni dallo Stato ad una società privata, sia stata apportata una modifica del regime dei beni demaniali disposta dall’art. 822 c.c. poiché detti beni fanno in tal modo parte del patrimonio disponibile.
Si dovrebbe pervenire alla conclusione che vi sia stata un’abrogazione parziale dell’art. 822 c.c. che qualifica come bene demaniale sia gli acquedotti che le strade ferrate (ove anche le tranvie), laddove questi beni appartengano all’ente locale, il regime non sarà più quello demaniale. Il bene demaniale, come tale, può spettare solo all’ente pubblico territoriale.



2. La vendita dei beni del demanio culturale.
Al demanio storico-artistico appartengono i beni immobili, caratterizzati, in qualche modo, da un interesse culturale. Diversamente, i beni di proprietà privata, per essere sottoposti a tutela, devono presentare un’importanza particolare, e devono essere stai oggetto di un procedimento amministrativo sfociante nella cosiddetta notifica. Prerogativa dei beni demaniali è l’assoluta invendibilità.
L’art. 27, l. 24.11.2003, n. 326, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, demanda al Ministero per i Beni e le Attività Culturali di concertare con l’Agenzia del Demanio e con la Direzione Generale dei Lavori e del Demanio del Ministero della Difesa le modalità operative per la verifica dell’interesse culturale del patrimonio immobiliare pubblico.
Il termine perentorio di 120 giorni previsto dalla legge, oltre il quale la verifica dell'interesse si intende conclusa in modo negativo (silenzio-assenso) diventa la questione che occupa le cronache dei giornali perché è messo in relazione con le mancanze di risorse del Ministero dei Beni Culturali, ed in particolare con quelle di personale delle soprintendenze, art. 27, 10° co., l. 24.11.2003, n. 326.
Successivamente alla critiche per un’ingiustificata svendita del patrimonio la procedura non è stata più assoggettata a termini perentori.
L’Agenzia del Demanio individua i beni da alienare.
L’elenco beni soggetti ad autorizzazione è inviato al Ministero dei Beni Culturali che attraverso le soprintendenze verifica l’interesse pubblico dei beni inseriti dell’elenco procedendo alle relative modifiche nel termine ora ordinatorio di trenta giorni.
In caso di mancata risposta l’elenco, pertanto non può intendersi approvato.

13-ter. In sede di prima applicazione dei commi 13 e 13-bis, il Ministero della difesa, Direzione generale dei lavori e del demanio, di concerto con l’Agenzia del demanio, individua entro il 28 febbraio 2005 beni immobili comunque in uso all’Amministrazione della difesa, non più utili ai fini istituzionali, da dismettere e, a tal fine, consegnare al Ministero dell’economia e delle finanze e, per esso, all’Agenzia del demanio.
13-quater. Gli immobili individuati e consegnati ai sensi del comma 13-ter entrano a far parte del patrimonio disponibile dello Stato per essere assoggettati alle procedure di valorizzazione e di dismissione di cui al
d.l. 25.9.2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla l. 23.11.2001, n. 410, e di cui ai commi da 6 a 8, nonché alle procedure di cui ai commi 436, 437 e 438 dell'articolo 1 della l. 30.12.2004, n. 311, e alle altre procedure di dismissioni previste dalle norme vigenti ovvero alla vendita a trattativa privata anche in blocco. Gli immobili individuati sono stimati a cura dell’Agenzia del demanio nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano. L'elenco degli immobili individuati e consegnati ai sensi del comma 13-ter è sottoposto al Ministro per i beni e le attività culturali, il quale, nel termine di novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto di individuazione, provvede, attraverso le competenti soprintendenze, a verificare quali tra detti beni siano soggetti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d. lg. 22.1.2004, n. 42, dandone comunicazione al Ministro dell'economia e delle finanze. L'Agenzia del demanio apporta le conseguenti modifiche all'elenco degli immobili.
13-quinquies. La Cassa depositi e prestiti concede, entro trenta giorni dalla data di individuazione degli immobili di cui al comma 13-ter, anticipazioni finanziarie della quota come sopra determinata, pari al valore degli immobili (omissis).
(art. 27, 10° co., l. 24.11.2003, n. 326, mod. art. 1, 443° co., l. 30.12.2004, n. 311).



3. La procedura di vendita.

Il patrimonio culturale pubblico non diventa alienabile col d.lg. 42/2004.
Le alienazioni sono sempre state possibili. Il principio è inevitabile dato che ogni edificio pubblico con più di 50 anni di vita è per legge classificato come immobile di interesse culturale.
Il patrimonio pubblico è diventato in tal modo ingente e ingestibile. Basti pensare alla sempre più incalzante normativa tecnica che per motivi di sicurezza impone ai proprietari di immobili adeguamenti tecnici in materia di riscaldamento di impianti elettrici e di manutenzione in genere.
La demanialità comporta inoltre che il regime di tutela per palazzi d’epoca e immobili dismessi di nessun pregio è identico.
La soluzione è stata trovata nel mantenere inalienabile ciò che ha valore culturale distinguendolo da ciò che non ne ha.
Il d.lg. 42/2004 rispetto alle garanzie fornite dal precedente d.p.r. 283/2000 approvato per disciplinare le alienazioni di beni immobili del demanio storico e artistico per consentire di alienare il massimo del patrimonio pubblico ha posto in essere un meccanismo teso a restringere la definizione di bene culturale.
L’art. 53, d.lg. 42/2004, dichiara solennemente che i beni del demanio culturale non possono essere alienati, ma negli articoli seguenti predispone un sistema per cui, a parte alcune eccezioni, questi beni possono essere venduti, purché con l’autorizzazione del Ministero.

1. I beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all'art. 822 c.c. costituiscono il demanio culturale.
2. I beni del demanio culturale non possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi previsti dal presente codice.
(art. 53, d.lg. 42/2004).

La demanialità degli immobili di interesse culturale nel sistema del codice dei beni culturali non è più il dogma codificato dalla legislazione precedente.
La diversa concezione deriva da esigenze puramente economiche che di fronte alla cronica esigenza di fondi da parte degli enti pubblici e ad una gestione del pubblico patrimonio che non comporta introiti ma solo spese per l’erario invoca la necessità di riequilibrare i conti.
Il problema di fondo è quello di una classificazione del patrimonio pubblico e dell'adozione di scelte conseguenti in ordine alla possibilità di parziali cessioni per consentire di fare cassa e di gestire nel migliore dei modi il patrimonio rimasto.
Il procedimento di verifica, previsto dall’art. 12, d.lg. 42/2004, si impone, infatti, come passaggio necessario al fine di accertare la rilevanza culturale del bene, ovvero di escluderla, e la necessità di applicare o meno la connessa disciplina di tutela. E' altresì un passaggio preliminare del successivo e distinto procedimento che, sulla scorta di ulteriori valutazioni, può portare all'alienazione del bene; ma ciò riguarda con evidenza un momento seguente rispetto alla previa esigenza di tutela dei beni pubblici aventi rilevanza di patrimonio culturale.
Le contrapposte esigenze di tutela di tale patrimonio culturale e di certezza del traffico giuridico trovano nel medesimo art. 12, d.lg. 42/2004, un adeguato bilanciamento: infatti, l'assoggettamento a tutela delle cose di proprietà pubblica, previsto dalla normativa in base ad una presunzione iuris tantum della qualità culturale, non opera più a tempo indeterminato ma recupera la sua naturale dimensione di misura cautelare a carattere provvisorio, ancorata a requisiti oggettivi e destinata a venire meno con la conclusione del procedimento di verifica.
Incidentalmente, vanno disattesi i dubbi di legittimità costituzionale per eccesso di delega, paventati dalle difese resistenti ed intervenienti, atteso che tale disciplina appare integrare pienamente quel criterio di delega indicato dalla norma di delega di cui all'art. 10 comma 2 lett. d) l. 137 del 2002: aggiornare gli strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali e ambientali.
(
T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 1.6.2005, n. 791, FATAR, 2005, 6 1952).


4. Il principio della inalienabilità del patrimonio pubblico.

I beni demaniali sottratti alla alienabilità sono tassativamente indicati dalla norma.
Fra gli immobili culturali demaniali sono assolutamente inalienabili quelli di interesse archeologico e quelli riconosocituti come monumenti nazionali; gli altri sono alienabili tramite l'autorizzazione ministeriale solo dopo il procedimento di sdemanializzazione, ex art. 54, 1° co., lett. a), lett. b) e 2° co., lett. a), d. lg. 42/2004.
Diverso il regime applicabile ai beni mobili archeologici.
Essi rientrano nel patrimonio indisponibile in modo provvisorio" ossia tra il momento del ritrovamento e quello della valutazione da parte degli organi ministeriali, che devono stabilire se essi presentino o meno interesse storico-artistico, ex art. 826, 2° co., c. c. e dell’art. 92, d. lg. 42/2004.
Qualora l'interesse sia accertato, si one la questione della loro collocazione: i reperti inseriti in raccolte museali andranno a classificarsi per ciò stesso come demaniali e seguiranno il regime di inalienabilità proprio delle raccolte museali. Altri di questi beni potranno essere ceduti al proprietario dell'immobile in cui sono stati rinvenuti, o al concessionario o allo scopritore, a titolo di premio per il ritrovamento, ex art. 92, 4° co., d. lg. 42/2004, divenendo così beni culturali privati alienabili.
Le raccolte dei musei, delle pinacoteche e biblioteche appartenenti agli enti territoriali, dunque demaniali sono l'inalienabili senza possibilità di deroga,
ex art. 54, 1° co., lett. c), d. lg. 42/2004.
Gli archivi sono da sempre considerati inalienabili fino ad arrivare alla disciplina attuale, ex art. 54, 1° co., lett. d), d. lg. 42/2004. Gli archivi considerati sia unitariamente come universalità di mobili che nell'individualità dei singoli documenti che li compongono, se appartenenti agli enti territoriali e agli altri enti pubblici sono ugualmente dichiarati assolutamente inalienabili.
Con il codice dei beni culturali qualunque bene, anche se non abbia oggettivamente i connotati di bene culturale, purché sia stato creato da più di 50 anni, va assoggettato alla disciplina dei beni culturali, pena l’invalidità dell’atto, ex art. 54, 2° co., lett. b), d. lg. 42/2004.
In questo modo si ha una determinata certezza negoziale - beni immobili con più di 50 anni vanno tutti assoggettati alla disciplina in discorso - anche se si finisce per operare in eccesso, perché anche i beni che ictu oculi non possono avere caratteristiche di bene culturale - si pensi a vecchi anonimi appartamenti privi del tutto di pregio artistico - devono essere, almeno in via provvisoria, assoggettati alla disciplina sui beni culturali..
Sono altresì inalienabilile cose immobili e mobili che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, fino a quando non sia intervenuta, ove necessario, la sdemanializzazione a seguito del procedimento di verifica. La verifica consiste in uno specifico procedimento di accertamento dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico del bene.
Qualunque bene, anche se non abbia oggettivamente i connotati di bene culturale, purché sia stato creato da più di 50 anni, va assoggettato alla disciplina dei beni culturali.
I beni immobili che appartengono a enti pubblici territoriali vanno a far parte del demanio culturale inalienabile.
Non sono beni del patrimonio disponibile perché inalienabili e perché assoggettati alla disciplina dei beni culturali; non sono beni del patrimonio indisponibile perché, in quanto immobili, non sono riconducibili alla tipologia descritta dall’art. 826 c.c. e perché manca una norma di rinvio del tipo di quella contenuta all’art. 822, 2° co., ultima parte, c.c. (Gennai 2006).
I beni culturali mobili e immobili degli enti pubblici non territoriali, che sono in generale alienabili con autorizzazione ministeriale, solo inalienabili qualora rientrino nelle tipologie di beni per cui l'alienazione è esclusa, ossia i beni inseriti in raccolte demaniali, ex art. 54, 2° co., lett. b), d. lg. 42/2004, gli archivi e i singoli documenti che ne fanno parte, ex art. 54, 2° co., lett. c), d. lg. 42/2004, i beni immobili di interesse particolarmente importante in quanto documentanti l'identità delle istituzioni, ex art. 54, 2° co., lett. d), d. lg. 42/2004).

1. Sono inalienabili i beni culturali demaniali di seguito indicati:
a) gli immobili e le aree di interesse archeologico;
b) gli immobili riconosciuti monumenti nazionali con atti aventi forza di legge;
c) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche;
d) gli archivi.
2. Sono altresì inalienabili:
a) le cose immobili e mobili appartenenti ai soggetti indicati all'
articolo 10, comma 1, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, fino alla conclusione del procedimento di verifica previsto dall'articolo 12. Se il procedimento si conclude con esito negativo, le cose medesime sono liberamente alienabili, ai fini del presente codice, ai sensi dell'articolo 12, commi 4, 5 e 6 (1) ;
b) le cose mobili che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni, se incluse in raccolte appartenenti ai soggetti di cui all'
articolo 53;
c) i singoli documenti appartenenti ai soggetti di cui all'
articolo 53, nonché gli archivi e i singoli documenti di enti ed istituti pubblici diversi da quelli indicati al medesimo articolo 53;
d) le cose immobili appartenenti ai soggetti di cui all'
articolo 53 dichiarate di interesse particolarmente importante, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lettera d) (1).
3. I beni e le cose di cui ai commi 1 e 2 possono essere oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali.
4. I beni e le cose indicati ai commi 1 e 2 possono essere utilizzati esclusivamente secondo le modalità e per i fini previsti dal Titolo II della presente Parte.
(art. 54, d.l. 42/2004, mod. art. 2, 1° co. 1, lett. t), d.l. 24.3.2006, n. 156).

Anche l’utilizzo del bene deve avvenire secondo modalità che ne garantiscano la fruizione e la valorizzazione.
Ad esempio se si vuole adibire a parcheggio un’area di interesse archeologico la competente soprintendenza deve stabilire le modalità dell’intervento approvando il relativo progetto.
I beni culturali inalienabili possono essere trasferiti fra lo Stato e gli enti pubblici territoriali.


5. L’autorizzazione ad alienare.

Al di fuori delle categorie di beni culturali per cui è espressamente prevista l'inalienabilità dall'art. 54, d.lg. 42/2004, e a parte il regime provvisorio previsto sempre da tale articolo, gli artt. 55-57, predispongono per gli altri beni pubblici un regime di alienabilità controllata.
Tale controllo si concretizza nell'autorizzazione ministeriale.
La norma indica espressamente i beni del demanio soggetti ad alienazione che sono tutti i beni demaniali salvo quelli espressamente designati come inalienabili ed i requisiti a cui l’alienazione è sottoposta.

1. I beni culturali immobili appartenenti al demanio culturale e non rientranti tra quelli elencati nell'articolo 54, commi 1 e 2, non possono essere alienati senza l'autorizzazione del Ministero.
2. L'autorizzazione di cui al comma 1 può essere rilasciata a condizione che:
a) l'alienazione assicuri la tutela, la fruizione pubblica e la valorizzazione dei beni;
b) nel provvedimento di autorizzazione siano indicate destinazioni d'uso compatibili con il carattere storico ed artistico degli immobili e tali da non recare danno alla loro conservazione.
(art. 55, d.lg. 42/2004, mod. art. 2, 1° co. 1, lett. u), d.l. 24.3.2006, n. 156).
La tutela successiva all’alienazione del bene non è per questo meno garantista.
Il Codice dispone per i beni pubblici alienati una sorta di conversione automatica della verifica ex art. 12 nella "dichiarazione dell'interesse" di cui all'art. 13. L'art. 55, comma 3, infatti, rinviando al comma 7 dell'art. 12, richiama la disposizione secondo cui tale accertamento compiuto sul bene pubblico costituisce dichiarazione ai sensi dell'art. 13.
Assumono lo status di beni culturali e siano assoggettati a tutela beni immobili divenuti privati anche se non presentino quell'interesse storico-artistico particolarmente importante normalmente richiesto per essi, ma un interesse di intensità minore.

3. L'autorizzazione ad alienare comporta la sdemanializzazione dei beni culturali cui essa si riferisce. Tali beni restano sottoposti a tutela ai sensi dell'articolo 12, comma 7.
(art. 55, d.lg. 42/2004, mod. art. 2, 1° co. 1, lett. u), d.l. 24.3.2006, n. 156).
La previsione dell'art. 12, comma 7, opera con riferimento a tutti i beni sottoposti a verifica, non solo quindi per i beni culturali immobili degli enti territoriali, in quanto applicabile ai beni di tutti gli enti indicati dal primo comma dell'art. 10, d.lg. 42/2004.

Con questa disposizione, così, nessun bene culturale appartenuto ad un ente territoriale, ad un altro ente pubblico o a un ente privato senza scopo di lucro, neppure quelli meno "importanti", vengono lasciati privi di tutela e garanzia, nonostante in linea di principio essi non sarebbero stati classificati come beni culturali se la loro appartenenza fosse stata privata fin dall'origine.
(Serra, 2004, n.1)

L'art. 55, 3° co., d.lg. 42/2004. dispone che il rilascio dell'autorizzazione comporta la sdemanializzazione del bene.
La norma ricalca quanto previsto dall'art. 829 c.c., che richiede per il passaggio dei beni dal demanio al patrimonio disponibile una dichiarazione dell'autorità amministrativa.
La natura giuridica del cosiddetto atto di sdemanializzazione è stata tradizionalmente intesa come meramente dichiarativa della cessazione della volontà della pubblica amminsitrazione di utilizzare il bene destinandolo all'uso pubblico secondo la funzione che lo caratterizza (Sandulli 1984, 789).
Nella concreta destinazione, oltre che nella proprietà in capo a un ente territoriale, infatti si ravvisa l'elemento che segna l'inizio dello status della demanialità accidentale.
Il formale atto di classificazione è atto dichiarativo che si limita ad accertare tale status; altrettanto si può dire per la cessazione della demanialità, ove il provvedimento di sclassificazione è dichiarativo della volontà di direzionare l'utilizzo del bene per finalità non più propriamente demaniali.
per la particolare tipologia di beni demaniali costituita dai beni culturali la effettiva destinazione all'uso pubblico non sia l'elemento caratterizzante che ne giustifica l'inclusione in detta categoria, quanto piuttosto la funzione in sé del bene, anche se slegata dall'effettiva fruizione collettiva. In ogni caso, alla volontà di vendere il bene evidenziata dalla richiesta di autorizzazione ben può corrispondere il presupposto per la cessazione della demanialità.

Così, l'autorizzazione prevista dall'art. 55, d.lg. 42/2004, può senz'altro essere considerata come la "dichiarazione dell'autorità amministrativa" richiesta dall'art. 829 c. c.; essa produce dunque l'effetto del passaggio del bene dal demanio al patrimonio disponibile.
(Serra, 2004, n.1)

1. È altresì soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero:
a) l'alienazione dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli
articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1.
b) l'alienazione dei beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ad eccezione delle cose e dei beni indicati all'
articolo 54, comma 2, lettere a) e c).
2. L'autorizzazione è richiesta anche nel caso di vendita parziale, da parte dei soggetti di cui al comma 1 lettera b), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie.
3. Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle costituzioni di ipoteca e di pegno ed ai negozi giuridici che possono comportare l'alienazione dei beni culturali ivi indicati.
4. Gli atti che comportano l'alienazione di beni culturali a favore dello Stato, ivi comprese le cessioni in pagamento di obbligazioni tributarie, non sono soggetti ad autorizzazione.
(art. 56, d.lg. 42/2004).



6. Il procedimento di autorizzazione ad alienare.

Nella valutazione che il ministero deve compiere in ordine all'an del rilascio dell'autorizzazione, infatti, vi è un nucleo comune che riguarda tutti i beni: l'indicazione, nella richiesta, della destinazione d'uso in atto e del programma degli interventi conservativi necessari, ex art. 57, 1° co., d.lg. 42/2004.
Alla base di tale valutazione, dunque, si collocano i due aspetti maggiormente significativi per la vita di un bene culturale, la destinazione in essere e lo stato di conservazione.
Vi è invece una decisa differenziazione tra le condizioni richieste per il rilascio dell'autorizzazione riguardante i beni appartenenti ai diversi soggetti dell'ordinamento.
Per i beni culturali immobili demaniali, appartenenti cioè agli enti territoriali, le condizioni necessarie per il rilascio dell'autorizzazione alla loro vendita sono di certo le più garantistiche: si richiede infatti che vengano comunque assicurate la tutela e la valorizzazione dei beni e che il pubblico godimento cui il bene è assoggettato in costanza di proprietà da parte degli enti territoriali non sia pregiudicato in seguito all'alienazione, ex art. 55, 2° co., lett. a), d.lg. 42/2004.
E’ richiesto che l'autorizzazione ministeriale indichi positivamente le destinazioni d'uso cui può essere adibito l'immobile, specificando che tali destinazioni debbono essere compatibili con il carattere storico-artistico del bene e tali da non recare danno alla sua conservazione, ex art. 55, 2° co., lett. b), d.lg. 42/2004.
L'autorizzazione va poi chiesta per vendere i beni culturali mobili degli enti territoriali e tutti i beni culturali degli altri enti pubblici, le collezioni o serie di oggetti e le raccolte librarie degli enti pubblici non territoriali e delle persone giuridiche private senza scopo di lucro - art. 57, 4° co., d.lg. 42/2004.
Per il suo rilascio occorre che dall'alienazione non derivi danno alla conservazione e non venga menomato il pubblico godimento in essere. Si chiede poi che detti beni non rivestano interesse per le raccolte degli enti territoriali - con un collegamento di finalità con la norma che prevede l'assoluta inalienabilità di qualsiasi tipo di bene inserito in tali raccolte pubbliche, al fine di salvaguardarne l'unitarietà: art. 54, 2° co., lett. b), d.lg. 42/2004.
In ultimo, per il rilascio dell'autorizzazione all'alienazione della generalità dei beni culturali delle persone giuridiche private senza scopo di lucro si richiede che non derivi un grave danno alla loro conservazione e pubblico godimento, ex art. 57, 5° co., d.lg. 42/2004.

1. La richiesta di autorizzazione ad alienare è presentata dall'ente cui i beni appartengono ed è corredata dalla indicazione della destinazione d'uso in atto e dal programma degli interventi conservativi necessari.
2. Relativamente ai beni di cui all'
articolo 55, comma 1, l'autorizzazione può essere rilasciata dal Ministero su proposta delle soprintendenze, sentita la regione e, per suo tramite, gli altri enti pubblici territoriali interessati, alle condizioni stabilite al comma 2 del medesimo articolo 55. Le prescrizioni e le condizioni contenute nel provvedimento di autorizzazione sono riportate nell'atto di alienazione e sono trascritte su richiesta del soprintendente nei registri immobiliari.
3. Il bene alienato non può essere assoggettato ad interventi di alcun genere senza che il relativo progetto sia stato preventivamente autorizzato ai sensi dell'
articolo 21, comma 4.
4. Relativamente ai beni di cui all'
articolo 56, comma 1, lettera a), e ai beni degli enti ed istituti pubblici di cui all'articolo 56, comma 1, lettera b) e comma 2, l'autorizzazione può essere rilasciata qualora i beni medesimi non abbiano interesse per le raccolte pubbliche e dall'alienazione non derivi danno alla loro conservazione e non ne sia menomato il pubblico godimento.
5. Relativamente ai beni di cui all'
articolo 56, comma 1, lettera b) e comma 2, di proprietà di persone giuridiche private senza fine di lucro, l'autorizzazione può essere rilasciata qualora dalla alienazione non derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento dei beni medesimi.
(art. 57, d.lg. 42/2004, mod. art. 2, 1° co. 1, lett. v), d.l. 24.3.2006, n. 156).
L'autorizzazione ad alienare deve contenere le prescrizioni conformative della condotta di utilizzo del bene che l'acquirente deve rispettare.
La fruizione da parte della collettività del bene è il requisito principale.
Le prescrizioni e condizioni devono esser riportate nell'atto di alienazione e l'avente causa, quindi, vi si obbliga contrattualmente.
L'atto di alienazione è trascritto e unitamente ad esso è menzionata nella nota di trascrizione l'autorizzazione ministeriale, che costituisce requisito di validità dell'atto di vendita.
Le condizioni di utilizzo indicate dal ministero nell'autorizzazione, dunque, divengono opponibili anche ai successivi acquirenti.
In tale modo è formalmente assicurata la conformazione della condotta di utilizzo del bene da parte di qualsiasi futuro proprietario, con l'obbligatorietà di determinare le modalità di gestione del bene.
La norma non recupera dall’abrogato d.p.r. 283 del 2000, la disposizione che prevedeva l’inserimento nel contratto di alienazione di immobili già demaniali della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 1456 del codice civile che prevede che il contratto si risolve automaticamente alla sola dichiarazione della parte di avvalersi di detta clausola per il caso di inosservanza delle prescrizioni dettate dal provvedimento autorizzatorio e riguardanti le misure di conservazione del bene, gli usi incompatibili, le condizioni di fruizione pubblica.
Resta da vedere se gli uffici preposti sapranno assicurare detto controllo.
Esso sicuramente è verificabile su ogni intervento edilizio sul bene.



7. La denuncia di trasferimento della detenzione.

L’art. 59, t.u. beni cult., prevede come obbligatoria la denuncia di trasferimento della detenzione di un bene culturale di proprietà di privati.
Il bene mobile o immobile deve essere stato oggetto della dichiarazione di interesse culturale, ex art. 13, t.u. beni cult.

1. Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero.
2. La denuncia è effettuata entro trenta giorni:
a) dall'alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;
b) dall'acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell'ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso;
c) dall'erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. Per l'erede, il termine decorre dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari; per il legatario, il temine decorre dall'apertura della successione, salva rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile.
3. La denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni.
4. La denuncia contiene:
a) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;
b) i dati identificativi dei beni ;
c) l'indicazione del luogo ove si trovano i beni;
d) l'indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento;
e) l'indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali comunicazioni previste dal presente Titolo.
5. Si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o imprecise.
(art. 59, t.u. beni cult.).

Alla denuncia sono soggetti anche gli enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro.
Lo scopo della denuncia è quello di mettere in grado l’amministrazione competente di ottenere la prelazione nell’acquisto del bene e di esercitare gli ordinari controlli sulla gestione del bene; la conoscenza del soggetto che ha acquistato è, pertanto, indispensabile.
Non basta quindi il solo controllo sull’autorizzazione ma è necessario, per la dottrina, essere notiziati anche dell’acquisto.

A tale esigenza non può rispondere in modo soddisfacente il controllo autorizzatorio sull’alienazione non fosse altro perché tale verifica è antecedente ad una cessione che in concreto potrebbe anche non seguire: è con la denuncia che vi è la certezza dell’avvenuto trasferimento.
(Tamiozzo, 2005, 266).

La denuncia deve essere effettuata nel termine perentorio di trenta giorni dalla data della stipula del contratto.
Non sussiste l’obbligo di provvedere alla denuncia dei contratti di locazione stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lg. 42/2004 che sancito l’obbligo espresso di denuncia oltre che per il proprietario anche per il cedente la detenzione.

Il conduttore detentore di un immobile locato con un contratto in corso alla data del 1.5.2004, che abbia omesso di farne denuncia in violazione delle prescrizioni del t.u. 490/1999, non è più tenuto a farla in quanto l’obbligazione della previgente normativa ha determinato il venire meno nei suoi confronti dell’obbligo. Il proprietario dell’immobile, al quale il t.u. 490/1999 imponeva di procedere alla sola denuncia di trasferimento della proprietà, nel codice d.lg. 42/2004 assume anche l’obbligo di denunciare ogni contratto che comporti la cessione della detenzione – quali ad esempio, locazione, affitto, comodato, cessione in uso. Ovviamente solo per i contratti a partire dal 1.5.2004, considerando che sotto la vigenza del t.u. il proprietario non era tenuto a tale incombenza.
(Par.Min. 28.4.2004 n. 10204).


8. La prelazione dello Stato.

Qualora il bene sia venduto dal proprietario a titolo oneroso, il relativo contratto tra venditore ed acquirente non si perfeziona automaticamente, perché l'alienante deve denunciare la vendita all'ente che è titolare della facoltà di prelazione, per metterlo a conoscenza dell'avvenuta vendita.
Come tutti gli atti amministrativi l’atto di prelazione deve essere motivato.

L'atto, mediante il quale è esercitato il diritto di prelazione, deve essere motivato dall'amministrazione in merito all'interesse pubblico attuale all'acquisizione al patrimonio statale al fine della tutela del bene e non anche allo scopo di destinare il bene stesso a sede di pubblici uffici.

La denuncia ha una sua funzione nel macchinoso procedimento, perché dalla comunicazione della denuncia di vendita decorre il termine per esercitare la prelazione.
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che il termine indicato è perentorio. La denuncia deve essere presentata al competente Soprintendente del luogo in cui si trova il bene che è oggetto della vendita, ex art. 59, d.lg. n. 42/2004.
Se l'ente, titolare del diritto di prelazione non lo esercita nel tempo indicato, la proprietà del bene passa definitivamente al compratore. Nel caso in cui la denuncia non sia presentata all’autorità competente la prelazione decorre dalla data della ricezione all’autorità competente.
La denuncia è fatta al Ministero ma è presentata alla soprintendenza del luogo dove si trovano i beni.
Ai sensi dell'art. 58, d.lg. 29.10.1999, n. 490, l'atto privato di compravendita di beni immobili sottoposti a vincolo storico deve essere notificato alla Soprintendenza territorialmente competente e non al Ministero; in ogni caso, il termine di 40 giorni entro il quale le amministrazioni interessate possono esercitare il diritto di prelazione decorre dall'avvenuta notifica dell'atto alla Soprintendenza. Entro il suddetto termine, il diritto di prelazione va esercitato nella forma della dichiarazione della volontà di acquisto, non anche in quella della sua comunicazione ai soggetti interessati.
(Cons. St., sez. VI, 30.9.2004, n. 6350, RGE, 2005, I, 558

Nel caso in cui la denuncia di alienazione di castello sia diretta al Ministro e non sia presentata al soprintendente del luogo dove si trova l'immobile, il termine per esercitare la prelazione decorre dalla data di ricezione della stessa denuncia da parte del soprintendente cui è stata restituita dal Ministro e la proposta di acquisto fatta dal comune è ritualmente esercitata anche senza la necessaria copertura finanziaria. (T.A.R. Molise, 27.3.2003, n. 296, RGE, 2003, I, 1354).
La mancata denuncia, alla amministrazione ministeriale, del negozio traslativo della proprietà di un bene sottoposto a vincolo comporta che la p.a. ha la possibilità di esercitare in ogni tempo il diritto di prelazione, per il permanere dell'obiettiva condizione di assoluta inefficacia del negozio, conseguente alla sua mancata notifica nei modi e termini previsti dalla legge.

La notifica, offrendo la formale conoscenza di tutti gli aspetti del concluso negozio, ha anche lo scopo di costituire in mora l'amministrazione al fine del tempestivo esercizio del diritto di prelazione.

La giurisprudenza prevalente afferma che l'ente che esercita la prelazione deve contemporaneamente emanare il mandato di pagamento perché il pagamento è elemento necessario per l'esercizio della prelazione; se non è stato adempiuto a tanto, la prelazione esercitata è priva di efficacia; né può essere sanata con il rimborso tardivo del prezzo, perché è ormai decorso il termine per l'esatto adempimento che è notoriamente perentorio (Cass. Civ., sez. un., 11.3.1996, n. 1950).


La norma dell’art. 164 d.lg. 42/2004, prima rappresentata dall'art. 61, l. 1039/1939 ha superato la censura di illegittimità costituzionale.
La tardività della prelazione ha posto, infatti, dei problemi in ordine alla corresponsione del prezzo.
La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la censura poiché l’amministrazione nell'esercitare la prelazione - anche se in ritardo per difetto di denuncia - è sempre vincolata al prezzo di vendita fissato dal venditore ed accettato dall’acquirente; prezzo che può eventualmente anche essere superiore al prezzo di alienazione.

È infondata la questione di legittimità costituzionale del disposto coordinato dagli artt. 61, 31, 32, l. 1.6.1939, n. 1089, nella parte in cui, in mancanza di regolare denuncia dell'alienazione di bene vincolato, consente in ogni tempo l'esercizio della prelazione statale su cose di interesse storico - artistico al prezzo dichiarato nell'atto di alienazione, in riferimento agli artt. 3 e 42 cost.
(Corte cost., 20.6.1995, n. 269, FI, 1996, I, 807).



8.1. La nullità degli atti di alienazione.

Teoricamente l’amministrazione può esercitare un’azione civile per fare dichiarare la nullità degli atti di disposizione (Tamiozzo 2005, 735).

1. Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Patte seconda, o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli.
2. Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell'articolo 61, 2° co.
(art. 164, d.lg. 42/2004).
Si tratta di un’azione di nullità relativa. Essa può essere fatta valere solo dal Ministro dei beni culturali e ambientali, il cui interesse è stato leso dalla mancata richiesta di autorizzazione (Cass. Civ., sez. III, 12.10.1998, n. 10083).
L’azione non può essere invece fatta valere fra le parti che hanno stipulato l’atto.
Ulteriore corollario della inalienabilità relativa e della nullità relativa, è che la nullità dell'alienazione non preclude, comunque, l'esercizio della prelazione da parte dello Stato in relazione all'atto di alienazione nullo.

L'alienazione di beni immobili di interesse storico-artistico di proprietà di ente pubblico, come conclusa in spregio del diritto di prelazione dell'amministrazione pubblica, non è affetta da nullità assoluta, ma da nullità relativa invocabile dall'amministrazione stessa, legittimata, anche per i beni in oggetto, all'esercizio della prelazione.
(Cons. St., sez. VI, 21.2.2001, n. 923, FA, 2001, 590, RGE, 2001, I, 398).

Successivamente a tale azione l’amministrazione per acquisire il bene - che giustifica il suo intervento – è costretta ad esercitare il diritto di prelazione.
Nel caso in cui l’amministrazione eserciti il suo diritto di prelazione la sanziona della nullità degli atti di disposizione conseguenti ai divieti di alienazione consegue direttamente.
L’accertamento del diritto di prelazione travolge l’atto di disposizione precedente che non deve essere annullato con un'altra eventuale azione civile.
L’amministrazione corrisponde il prezzo di acquisto all'acquirente che può esigere gli interessi medio tempore maturati dalla data dell’atto di trasferimento al pagamento da parte dell’amministrazione (Corte Europea dei diritti dell’Uomo 5.1.2000).




ordinam{ ]= e �k H� Lombardo della Valle del Ticino, stabilendo che i danni arrecati dalla selvaggina alle colture agricole all'interno della fascia di silenzio venatorio saranno risarciti dal Consorzio, previo accertamento del danno, con finanziamenti regionali - si è discusso se il danneggiato abbia una posizione tutelabile avanti al giudice ordinario ovvero se, al contrario, il risarcimento sia pur sempre sottoposto ad un controllo da parte del Consorzio e ad una compatibilità con le disponibilità finanziarie erogate dalla Regione.
L’intervento regionale, infatti, esclude quel carattere di certezza che è tipico del diritto soggettivo e fa viceversa palese la subordinazione - propria dell'interesse legittimo - ad un interesse pubblico prevalente.
Si argomenta, ancora, che le norme sul ristoro dei danni all'interno delle aree protette configurano norme di azione, come si evincerebbe dalla dizione dell'art. 15, 3° e 4° co., della legge quadro 6.12.1991, n. 394, là dove si prevede che l'Ente Parco è tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del Parco e che il regolamento del Parco stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi.
In detto caso è stato ritenuto che la qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo delle posizioni giuridiche configurabili a favore degli interessati relativamente ai ristori conseguibili per i pregiudizi arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole non è automaticamente correlata alla ubicazione - all'esterno o all'interno delle zone di protezione - dei fondi danneggiati e deve invece attribuirsi essenziale rilievo al concreto atteggiarsi della disciplina positiva.
In applicazione di tale criterio, deve riconoscersi la natura di diritto soggettivo - comportante la giurisdizione del giudice ordinario - alla pretesa al risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica nell'ambito del Parco lombardo della Valle del Ticino, fondata sull'art. 15 della "legge - quadro" sulle aree protette n. 394 del 1991, che prevede, senza margini di discrezionalità, l'obbligo dell'Ente parco di indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco nel termine di novanta giorni dal loro verificarsi; né portata diversa è attribuibile all'art. 22, 6° co., della l.r. Lombardia n. 33 del 1980 - norme di attuazione del piano territoriale di coordinamento del parco del Ticino - che, nel disciplinare l'aspetto di finanza pubblica, prevedendo finanziamenti regionali, ribadisce l'obbligo del Consorzio di risarcire i danni arrecati dalla selvaggina alle colture all'interno della fascia di silenzio venatorio (Cass. civ., Sez. U., 30.12.1998, n. 12901, GCM, 1998, 2664).



Capitolo diciasettesimo
La giurisdizione del Tribunale delle acque

Guida bibliografica.

1. La giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche.
Il t.u. approvato con r. d. 1775/1933 sulle acque pubbliche istituisce un sistema di giurisdizione in detta materia costituito dai Tribunali regionali e dal Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Le particolarità di tali controversie, caratterizzate dalla necessità di una particolare conoscenza tecnica, ha giustificato la composizione di tali collegi nei quali sono presenti gli esperti del settore. Centofanti 2005, 293.

2. La giurisdizione del Tribunale superiore delle acque.
Il Tribunale superiore delle acque pubbliche è giudice in grado di appello di tutte le cause decise in primo grado dal Tribunale regionale, ex art. 142, r. d. 1775/1933. Centofanti 2005, 295.


1. La giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche.

La giurisdizione dei Tribunali delle acque pubbliche è divisa tra quella del Tribunale delle acque pubbliche che decide sulle controversie relative alla demanialità delle acque e quella del Tribunale Superiore delle Acque che è competente sui provvedimenti amministrativi che riguardano l'utilizzazione del demanio idrico.
Ai sensi dell'art. 140, T.U. n. 1775/1933, rientrano nella giurisdizione del Tribunale delle acque pubbliche tutte le controversie relative: a) alla demanialità delle acque; b) ai limiti dei corsi e dei bacini, loro alveo e sponde; c) alle derivazioni e utilizzazioni delle acque e relativi diritti di utenza; d) alle indennità per occupazioni ed espropriazioni occorrenti per l'esecuzione di opere idrauliche; e) al risarcimento dei danni a causa di opere idrauliche eseguite dall'amministrazione.
Le controversie che non hanno per oggetto la demanialità del bene rientrano nella giurisdizione ordinaria.
La norma di cui all'art. 140, 1° co., lett. c) del r.d. n. 1775 del 1933, non comporta la necessità di rimessione alla cognizione del giudice specializzato di tutte le controversie attinenti, direttamente o indirettamente, al regime delle acque pubbliche, presupponendo, per converso, la sola devoluzione, al detto giudice, delle specifiche controversie implicanti la necessità di particolari conoscenze extragiuridiche per la soluzione dei problemi tecnici riconnessivi, con esclusione, pertanto, di ogni questione che, non attenendo al regime delle derivazioni od utilizzazioni di acque pubbliche (e non implicando la soluzione di problemi tecnici, ma solo di tematiche squisitamente giuridiche), possa influire solo indirettamente su tale regime.

La controversia relativa al pagamento di un indennizzo per l'occupazione sine titulo di un suolo - pacificamente appartenente al demanio lacustre - ed all'occupazione di costruzioni ed opere su di esso insistenti (oltre che relativa all'accertamento della titolarità di eventuali diritti reali sui manufatti), non presupponendo la soluzione né di problemi tecnici, né di questioni circa la delimitazione dell'alveo o delle sponde del lago - ovvero l'accertamento della demanialità delle acque - deve ritenersi senz'altro devoluta alla cognizione del giudice ordinario.

Il petitum sostanziale della domanda è determinante per stabilire la competenza del giudice.
Appartengono alla competenza del giudice ordinario (nella specie, il tribunale di Catanzaro), e non a quella del tribunale delle acque pubbliche, alla stregua dell'art. 140 t.u. n. 1775 del 1933, le controversie nelle quali si discuta se un terreno, ubicato nei pressi della foce di un corso d'acqua, appartenente al demanio fluviale ovvero marittimo, sia suscettibile di usucapione, per effetto di una sdemanializzazione tacita, in difetto di uno specifico atto ad hoc della p.a., non venendo, in tal caso, in discussione la demanialità del bene, né dovendosi accertare preliminarmente se, ed entro quali limiti, il bene abbia cessato di fare parte dell'alveo del torrente.


2. La giurisdizione del Tribunale superiore delle acque.

La giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque è fissata dall'art. 143, 1° co., lett. a) del T.U. n. 1775 del 1933.
La norma, infatti, istituisce, in unico grado, un procedimento che ha il carattere di giudizio di impugnazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, contro i provvedimenti definitivi adottati dall'amministrazione in materia di acque pubbliche e, data la sua lata e onnicomprensiva previsione, si attaglia a tutti i provvedimenti amministrativi che, pur costituendo esercizio di un potere non prettamente attinente alla materia, riguardino comunque l'utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche (Cass., Sez. Un., 15.7.1999, n. 403. Cons. St., Sez. V, 3.12.2001, n. 6012).
La giurisprudenza ha affermato che in relazione al principio desumibile dall'
art. 143, 1° co., lett. a), r.d. 11.12.1933, n. 1775 - che attribuisce alla cognizione diretta del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti presi dall'amministrazione "in materia di acque pubbliche" - devono ritenersi devoluti alla cognizione del Tribunale Superiore anche i provvedimenti amministrativi che, pur incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque o ai rapporti concessori di beni del demanio idrico, attengano comunque all'utilizzazione di detto demanio idrico, interferendo immediatamente e direttamente sulle opere destinate a tale utilizzazione e, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche (Sez. Un. 26.7.2002, n. 11099).
I giudizi d’impugnazione dei provvedimenti amministrativi che attengono all’utilizzazione del demanio idrico - Cass. Civ., sez. un., 26.7.2002, n. 11099 - come appunto il provvedimento d’approvazione di una derivazione d’acque per uso idropotabile della popolazione; nonché sulle occupazioni di fondi che si rendano a tal fine necessarie - Cass. Civ., sez. un., 11.7.2000, n. 479 -; e infine sulle concessioni edilizie strettamente finalizzate alla suddetta utilizzazione delle acque - Cass. Civ., sez. un., 4.8.2000, n. 541 - sono devoluti alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque pubbliche, ex art. 143, alinea “a” del r.d. 11.12.1933, n. 1775 sulle acque pubbliche.
(Cons. St., Sez. V, 15.4.2004, n. 2146).

Rientra nella competenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie nelle quali ha giurisdizione, la controversia in tema di legittima determinazione del canone di concessione.
Nella specie, si faceva questione della determinazione del canone per l'utilizzo di porzioni di demanio fluviale (Trib. sup.re acque, 22.2.1999, n. 37, CS, 1999, II, 261).
La giurisprudenza ravvisa il discrimen, che delimita la giurisdizione del
Tribunale superiore delle acque pubbliche rispetto a quella del giudice ordinario, nell’oggetto della richiesta formulata in giudizio.

In tema di diritti esclusivi di pesca, la giurisdizione riservata al tribunale superiore delle acque pubbliche dall'art. 143, r.d. 1775/33, che non è né generale né esclusiva, è limitata in base al collegamento a fattispecie tipiche qualificate dal contenuto e dalla forma dei provvedimenti impugnati, dalla procedura richiesta per la loro emanazione e dalla autorità pubblica da cui promanano, ossia alla cognizione dei ricorsi proposti contro provvedimenti di revoca o di decadenza dei diritti su acque del demanio marittimo, fluviale, lagunare e, in genere, su ogni acqua pubblica, adottati dai ministeri competenti. Pertanto, spetta alla cognizione del giudice ordinario la causa avente ad oggetto la rimozione dell'impianto di itticoltura intensiva, installato da un privato nel tratto di mare, ove si assume esistente il diritto esclusivo di pesca derivante da antiche concessioni, rilasciate ad altro privato, perché caratterizzata dall'accertamento solo incidentale, tra le parti, dall'attuale esistenza del diritto a tutela del quale è stata chiesta la rimozione degli impianti, senza che venga in discussione alcun provvedimento amministrativo.

Del pari gli atti aventi ad oggetto le acque pubbliche non rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.

Poiché l'art. 143, 1° co., lett. a), r.d. 11.12.1933, n. 1775, attribuisce alla cognizione diretta del tribunale superiore delle acque pubbliche i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge avverso i provvedimenti adottati dall'Amministrazione in "materia di acque pubbliche", esulano dalla giurisdizione del giudice amministrativo (che può rilevarne il difetto in ogni stato e grado del processo) anche i casi in cui l'atto, pur costituendo esercizio di un potere non propriamente attinente alla materia in parola (cioè: pur incidendo su interessi più generali e diversi rispetto a quelli specifici relativi alla demanialità delle acque od ai rapporti concessori di beni del demanio idrico) attenga comunque all'utilizzazione di dette risorse, interferendo immediatamente sulle opere destinate a tale utilizzazione e, in definitiva, sul regime delle acque pubbliche.


















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