mercoledì 3 ottobre 2012

Beni pubblici. 7. Il regime giuridico dei beni demaniali.


Capitolo settimo
Il regime giuridico dei beni demaniali.

Guida bibliografica.

1. Le caratteristiche dei beni demaniali. La inalienabilità.
Per la dottrina il regime giuridico della demanialità è vario a seconda delle varie categorie di beni e non è previsto un regime amministrativo tipico che possa essere riferimento e criterio valutativo della demanialità. Si ravvisa, comunque una costante in detto regime che è la extracommerciabilità (Cassese 1969, 3)
Altra dottrina ravvisa due principi di ordine generale: l’incommerciabilità e l’inespropriabilità.
Il primo investe il profilo della indisponibilità che consiste nella insuscettibilità di atti di alienazione, di costituzione di diritti di godimento, di rinunzie, di usucapione: il secondo quello del diritto di assoggettamento alla esecuzione forzata in quanto prodromica alla vendita o alla assegnazione coattiva. Galli 1996, 348.
1.1. La non usucapibilità.
Il possesso dei beni demaniali non può giovare ai fini dell’usucapione. Sandulli 1984, 776.

1.2. La possibilità di espropriazione.
La dottrina ritiene possibile un confronto fra l’interesse dell’ente titolare del bene ed eventuali contrapposte esigenze, anche private purché di rilevanza pubblica, ammettendo la possibilità di espropriazione, ritenendo però necessaria la preventiva sdemanializzazione del bene.
La necessità della previa sdemanializzazione del bene, senza la quale non è possibile procedere all’esproprio, pone il soggetto espropriato in una posizione diversa da quella che assume nella vicenda ablativa ordinaria.
L’espropriazione perde la sua unilateralità e presuppone anche il concorso della iniziativa dell’espropriativo diretta, appunto, alla sdemanializzazione che dipende soltanto dalla volontà dell’espropriato e non è coercibile. Saturno e Stanzione 2002, 46.


2. L’inizio della demanialità.
Su di un punto vi è sempre stata unanimità di vedute: l'inizio della demanialità, con conseguente perdita del bene da parte dei privati, era riconosciuto solo nell'ambito del demanio naturale, quando la trasformazione derivava da un evento naturale. E così il mare, con il suo avanzare, può far spostare il lido verso terra, in modo che le proprietà ivi esistenti perdano la loro conformazione. Il fiume che, abbandonando il vecchio letto, ne forma altro ove prima esisteva un fondo privato, determina la sostituzione di questo con una proprietà demaniale. Non vi era alcun contrasto nel ritenere che i proprietari, i cui beni fossero in questo modo trasformati, perdessero i loro diritti. La quasi totalità degli autori, inoltre, riteneva che il proprietario, una volta privato del bene, non avesse diritto ad indennizzo. Altra teoria, viceversa, considerava indennizzabile la perdita per ragioni di giustizia distributiva. Zanobini, 1958, 39.
La tesi della indennizzabilità doveva successivamente acquistare maggior fondamento a seguito di varie pronunce della Corte costituzionale in ordine al disposto dell'art. 42, 3° co., cost. Pasini e Balucani, 1978, 98.

3. La cessazione della demanialità. La sdemanializzazione.
La dottrina sottolinea che le cause del passaggio da un regime ad un altro possono essere di carattere diverso.
I beni pubblici possono, per fenomeni naturali o per sviluppi tecnici o
comunque per vicende storiche, perdere le caratteristiche che li rendevano intrinsecamente pubblici, senza che ciò dipenda dal volere della pubblica amministrazione: una striscia di terreno vicina al mare può cessare di essere lido marino a causa delle dinamiche talassiche, una linea Maginot può cessare di avere qualsiasi rilievo militare per cause storiche o tecniche.
Anche in questo caso il risultato è quello del passaggio al regime dei beni patrimoniali disponibili. Sorace 2003, n. 1.
La giurisprudenza sottolinea che nel procedimento di cessazione della demanialità, il soggetto che ne fa esplicita richiesta all'amministrazione, al fine di ottenere successivamente il trasferimento, in base a strumenti di diritto comune, non è portatore di un interesse qualificato diverso da quello alla mera definizione del procedimento. La sdemanializzazione, infatti, non arreca in sé alcun vantaggio diretto ed immediato al richiedente e il trasferimento del bene sdemanializzato è subordinato alla valutazione discrezionale dell'amministrazione. Trib. sup.re acque, 23.9.2004, n. 95, FI, 2005, III, 507.

4. La sdemanializzazione degli usi civici.
Il regime giuridico degli usi civici è basato sulla indisponibilità degli stessi da parte della collettività e dei suoi componenti e si giustifica per la perpetuità di tale destinazione. Galli 1996, 348.

5. La legalizzazione dell’occupazione di aree demaniali. a) Le costruzioni eseguite legittimamente.
La dottrina rileva la contraddizione nella disciplina della decorrenza del termine di entrata in vigore del d.l. 24.6.2003, n. 143.
La norma, infatti, è stata introdotta dalla legge di conversione, mentre il testo legislativo fa riferimento alla data di entrata in vigore del decreto, quindi i sei mesi entro cui deve essere presentata la domanda decorrono dalla data di entrata in vigore del decreto 143/2003, vale a dire dal 24.6.2003. Bassani 2003, 1266.

6. b) Le costruzioni eseguite illegittimamente.
La domanda tesa ad ottenere la disponibilità dell’area deve essere presentata entro il 31.3.2004 alla filiale dell’agenzia del demanio territorialmente competente, accompagnata dalla documentazione relativa all’illecito edilizio, corredata dall’attestazione di pagamento della somma dovuta a titolo di indennità per occupazione pregressa delle aree per un periodo non superiore alla prescrizione quinquennale secondo i parametri definiti dalla tab. A, ex art. 32, 15° co., l. 24.11.2003, n. 326. Caruso 2003, 120.

1. Le caratteristiche dei beni demaniali. La inalienabilità.

L’art. 823 c.c. fissa la condizione giuridica dei beni del demanio pubblico.
1. I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano.
(art. 823 c.c.).

Essi sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti in favore di terzi, essi, ad esempio, non sono usucapibili (Landi, Potenza e Italia 1999, 117).
Il primo attributo dei beni demaniali è l’inalienabilità. Essi non possono essere trasferiti ad altri soggetti per cui il possesso del bene non ha alcun effetto al fine del conseguimento della proprietà (Sandulli 1984, 775).
I beni demaniali sono esclusi dalla possibilità di usucapione poiché non possono appartenere ai privati (Gambaro 1995, 849).
I beni demaniali non possono formare oggetto di contrattazione secondo gli schemi privatistici, ma possono essere dati in godimento a terzi, compatibilmente con le esigenze di uso pubblico, mediante provvedimenti amministrativi, ad esempio in concessione.
E’ ammessa una doppia tutela.
Anzitutto la tutela amministrativa di cui ci si può valere, ad esempio, nel caso di una ordinanza di rilascio di un bene pubblico illegittimamente occupato o della riduzione in pristino prevista per le opere pubbliche dall'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, che può essere impugnata presso la giustizia amministrativa.
Alternativamente, la pubblica amministrazione può avvalersi dei mezzi di tutela ordinaria e privatistica a difesa della proprietà o del possesso, su cui esercita la giurisdizione il giudice ordinario.
L'inalienabilità dei beni demaniali non è venuta meno per effetto della disciplina di cui all'art. 35, l. 28.12.2001, n. 448.
La norma ha previsto la generale incedibilità dei beni costituenti infrastrutture dei servizi di rilevanza industriale.
Gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanto stabilito dal comma 13.
(art. 35, l. 28.12.2001, n. 448).

Essa ha, però, ammesso la possibilità del conferimento della proprietà di detti beni a società di capitali di cui i predetti enti locali detengono la maggioranza, incedibile, del capitale sociale

13. Gli enti locali, anche in forma associata possono conferire la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società di capitali di cui detengono la maggioranza , che è incedibile: tali società pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del comma 4 la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di cui al comma 5.
(art. 35, l. 28.12.2001, n. 448).

Tale disciplina non prevede alcuna norma specifica per i beni demaniali ed anzi, non menzionandoli neppure, deve escludersi che abbia introdotto una deroga alla disposizione di cui all'art. 823 c.c.
La disposizione di cui all'art. 35, l. 448/2001, ha dettato una disciplina generale dei beni destinati a pubblici servizi che, tuttavia, non vale, attesa la sua generalità, a superare le eventuali previsioni speciali relative alle singole categorie di beni tra le quali segnatamente la previsione di cui alla normativa codicistica in tema di beni demaniali.
La norma in questione ha inteso introdurre una sorta di generale limitazione alla commerciabilità dei beni destinati a pubblico servizio di proprietà degli enti locali.


1.1. La non usucapibilità.

I beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell'art. 823, c.c., non sono suscettibili di usucapione.
Per conseguire la proprietà del bene attraverso il possesso è necessario che prima la pubblica amministrazione con provvedimento espresso provveda a togliere la qualità di bene demaniale attraverso il procedimento di sdemanializzazione.
La giurisprudenza ammette la sdemanializzazione tacita se non è vietata dalla legislazione speciale.

Un bene demaniale non è, per sua natura, suscettibile di usucapione, salva la sdemanializzazione del medesimo, la quale può essere anche tacita e risultare cioè nonostante la mancanza di un formale atto pubblico di sclassificazione, da atti univoci e concludenti, incompatibili con la volontà di conservarne la destinazione all'uso pubblico, e da circostanze così significative da rendere inconcepibile un'ipotesi diversa da quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente rinunciato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo. La relativa indagine è rimessa al giudice del merito, il cui accertamento è insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici.
(Cass. Civ., sez. II, 12.11.1979, n. 5835).

Per il demanio marittimo l’impossibilità della sdemanializzazione tacita è ribadita dall’art. 35, c.n.
La sdemanializzazione deve necessariamente avvenire mediante un formale provvedimento del Ministro della marina mercantile, di concerto con il Ministro delle finanze (Cass. Civ., sez. II, 6.12.2002, n. 17438, GCM, 2002, 2142).

Per i beni del demanio marittimo, quale la spiaggia, da intendersi comprensiva dell'arenile, e cioè di quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando potenzialmente idoneo ai pubblici usi del mare, la cosiddetta sdemanializzazione non può verificarsi tacitamente, ma richiede un espresso e formale provvedimento dell'autorità amministrativa, di carattere costitutivo, tanto sotto il vigore dell'attuale codice della navigazione, ex art. 35, c.n., quanto in base alla legislazione anteriore, ex art. 157, codice della marina mercantile del 1877. Pertanto, in difetto di tale provvedimento, l'arenile non perde la propria qualità di bene demaniale, con la conseguenza che il possesso del medesimo da parte del privato è improduttivo di effetti nei rapporti con l'amministrazione, ex art. 690, c.c., del 1865 e art. 1145, 1° co., c.c., e, in particolare, è inidoneo all'acquisto della proprietà per usucapione.
(Cass. Civ., sez. I, 6.5.1980, n. 2995, FI, 1980, I, 2815).

La giurisprudenza afferma espressamente il principio che nega la sdemanializzazione tacita per i beni del demanio stradale.

I beni demaniali, in quanto inalienabili ai sensi dell'art. 823, c.c., non sono suscettibili di usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione. Nella specie, l'abbandono della manutenzione, da parte di un comune, della strada che menava ad un porto fluviale dismesso, non è di per sé causa di sdemanializzazione e, quindi, di usucapione del bene, anche se tale abbandono è stato provocato dal fatto che l'uso della strada, dopo la cessazione del porto, è di fatto limitato ai soli proprietari frontistanti.



1.2. La possibilità di espropriazione.

La dottrina ammette la possibilità di espropriazione dei beni demaniali o patrimoniali indisponibili, che sono per loro natura inalienabili, qualora i beni siano conformati per altre destinazioni dalla pianificazione urbanistica:

In tale caso la pubblica amministrazione istituisce un giudizio comparativo fra interesse pubblico cui attualmente si provvede mediante il bene demaniale e quello che si intende perseguire attraverso l’opera dichiarata di pubblica utilità.
(Landi, Potenza e Italia 1999, 117).

La tutela avverso il procedimento ablatorio è necessariamente spostata al momento conformativo dell’approvazione dello strumento urbanistico che provvede ad attribuire la nuova destinazione al bene.

E' inammissibile il ricorso presentato dalle amministrazioni statali contro la regione Lombardia avente ad oggetto la procedura di espropriazione, volta all'acquisizione di aree di appartenenza demaniale.
La mancanza di una previa intesa tra l'amministrazione espropriante e l'amministrazione centrale, non si può far valere se non attraverso la tempestiva impugnazione del piano territoriale.
(Cons. St., sez. IV, 30.1.1992, n. 129, GI, 1992, III, 1, 448).

Ai sensi dell'art. 828, 2° co., c.c., i beni del patrimonio indisponibile dello Stato non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano.
Da ciò consegue che essi non sono suscettibili di espropriazione per pubblica utilità o di occupazione d'urgenza preordinata alla espropriazione, in contrasto con le determinazioni assunte dalla amministrazione cui compete la cura del bene.
(T.A.R. Umbria, 21.5.1997, n. 217, RGU, 1997, 921).

L’indirizzo giurisprudenziale è confermato dall’art. 4, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, che prevede che ogni provvedimento ablatorio sia subordinato ad un atto dell’autorità titolare del bene che provveda ad eliminare la demanialità del bene. In caso contrario il procedimento ablatorio è illegittimo anche se conforme alla destinazione di piano (Centofanti 2006, 187).

1. I beni appartenenti al demanio pubblico non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione. (L)
2. I beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici possono essere espropriati per perseguire un interesse pubblico di rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione. (L)
(art. 4, d.p.r. 8.6.2001, n. 327, rett. GU, 14 9.2001, n. 214).


2. L’inizio della demanialità.

Nei beni del demanio necessario la demanialità sorge ab origine con la stessa esistenza del bene.
Per i beni del demanio accidentale la situazione è diversa in quanto la demanialità sorge per effetto di un provvedimento amministrativo che la dichiara come nel caso in cui la pubblica amministrazione rediga degli elenchi nei quali sono indicati i beni soggetti al regime demaniale.
L’iscrizione degli elenchi non è però decisiva ai fini dell’accertamento della demanialità.
E' principio consolidato in giurisprudenza che la iscrizione di una strada negli elenchi formati dalla pubblica amministrazione delle vie gravate di servitù di uso pubblico non ha natura costitutiva o portata assoluta, ma riveste funzioni dichiarative della pretesa della amministrazione stessa.
L'iscrizione, in definitiva, pone in essere una presunzione di sussistenza di un diritto di godimento da parte della collettività.

Al fine di determinare l'appartenenza di una strada al demanio comunale, posto che l'iscrizione nell'elenco delle strade comunali ha natura dichiarativa e non costitutiva, sono indici di riferimento, oltre l'uso pubblico, cioè l'uso da parte di un numero indeterminato di persone, l'ubicazione della strada all'interno di luoghi abitati, l'inclusione nella toponomastica comunale, il comportamento della p.a. nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica; inoltre affinché una strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche deve sussistere il passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo territoriale; la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere generale ed un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo immemorabile.

La presunzione è da considerarsi iuris tantum, ossia superabile con la prova contraria della inesistenza di un diritto di uso o godimento della strada da parte della collettività.
Per aversi uso pubblico su di una strada che è nata come privata si richiede che sulla stessa il passaggio sia esercitato da una collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico generale interesse.
Questo uso pubblico è da escludersi quando il passaggio venga esercitato da un gruppo limitato di soggetti per esigenze di coltivazione dei loro fondi (Cass. Civ., 16.11.1989, n. 4895).


3. La cessazione della demanialità. La sdemanializzazione.

Il codice civile contempla la eventualità del passaggio dal demanio pubblico al patrimonio statale o degli enti locali richiedendo, quanto allo Stato, che esso sia dichiarato e che l'atto relativo sia pubblicato nella Gazzetta ufficiale e, quanto agli enti locali, che il provvedimento che lo dichiara sia pubblicato nei modi previsti dai regolamenti degli enti, ex art. 829, c.c.

1. Il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall'autorità amministrativa. Dell'atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
2. Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio dev'essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.
(art. 829, c.c.).

La dottrina sottolinea che le cause del passaggio da un regime ad un altro possono essere di carattere diverso.

I beni pubblici possono, per fenomeni naturali o per sviluppi tecnici o comunque per vicende storiche, perdere le caratteristiche che li rendevano intrinsecamente pubblici, senza che ciò dipenda dal volere della pubblica amministrazione: una striscia di terreno vicina al mare può cessare di essere lido marino a causa delle dinamiche talassiche, una linea Maginot può cessare di avere qualsiasi rilievo militare per cause storiche o tecniche.
Anche in questo caso il risultato sarà quello del passaggio al regime dei beni patrimoniali disponibili.
(Sorace 2003, n. 1).

Gli atti in questione sono appunto dichiarativi perché il passaggio da un regime all'altro non è l'effetto giuridico di tali atti, ma è conseguenza comunque dello stato delle cose, che può essere determinato da un accadimento naturale o da un mutamento di destinazione
non stabilito con un atto formale.
La sdemanializzazione tacita può essere accertata autonomamente dal
Giudice che deve valutare i comportamenti dell’amministrazione in rapporto al bene che si ritiene passato al regime patrimoniale.

La sdemanializzazione di un bene pubblico, quando non derivi da un provvedimento espresso, deve risultare da altri atti e/o comportamenti univoci della p.a. proprietaria, che siano concludenti e incompatibili con la volontà di quest'ultima di conservare la destinazione del bene stesso all'uso pubblico, oppure da circostanze tali da rendere non configurabile una ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica del bene.
Nel caso di specie si è ritenuto che la sdemanializzazione di una strada non si poteva desumere dal mero fatto che il bene non era più adibito, per un certo tempo, a detto uso.

Detto regime vale anche per le pertinenze dei beni demaniali come ad esempio la casa cantoniera che, in base all'art. 24 del d. lg. 30.4.1992, n. 285, costituisce pertinenza della strada e partecipa, quindi, al suo carattere di demanialità quando la strada stessa appartiene ad un ente pubblico territoriale.
La perdita del carattere demaniale della pertinenza può essere solo l'effetto della perdita dello stesso carattere della cosa principale.
Per costante giurisprudenza la sdemanializzazione può anche verificarsi senza l'adempimento delle formalità previste dalle leggi in materia, ma occorre che essa risulti da atti univoci, concludenti e positivi della pubblica amministrazione, incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico; né il disuso da tempo immemorabile o l'inerzia dell'ente proprietario può essere invocato come elemento indiziario dell'intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene demaniale all'uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è pur sempre necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra ipotesi se non quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo.
La sdemanializzazione può avvenire anche in assenza delle formalità all'uopo previste dalle leggi in materia, mediante comportamenti univoci e concludenti incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico. Nella specie, la Cassazione ha precisato che l'inerzia dell'ente proprietario o il disuso da tempo immemorabile non sono a tal fine sufficienti.

La legge speciale può disporre diversamente come, per esempio, si
ritiene che avvenga per i beni del demanio marittimo, per i quali la
sdemanializzazione tacita è esclusa).

Le zone demaniali che dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del ministro per le comunicazioni (ora ministro per la Marina mercantile) di concerto con quello per le Finanze.
(art. 35 c. n.).

La giurisprudenza conferma che per i beni del demanio marittimo dello stato, la cosiddetta sdemanializzazione non può avvenire tacitamente, ma richiede, a norma dell'art. 35 c.n., un espresso e formale provvedimento dell'autorità amministrativa (decreto del ministero della Marina mercantile di concerto con quello delle Finanze), con la conseguenza che, in difetto di tale provvedimento, deve ritenersi nulla, per impossibilità dell'oggetto, la vendita di detti beni effettuata al privato. (Cass. Civ., sez. II, 14.3.1985, n. 1987).


4. La sdemanializzazione degli usi civici.

L'art. 11, l. 16.6.1927, n. 1766, riguardante il riordinamento degli usi civici, stabilisce che i terreni assegnati ai Comuni o alle frazioni in esecuzione di leggi precedenti relative alla liquidazione dei diritti sui quali si esercitano usi civici, saranno distinti in due categorie: a) terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente; b) terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria.
L'art. 12, l. 16.6.1927, n. 1766, soggiunge che per i terreni di cui alla lettera a) si osserveranno le norme stabilite nel capo 2° del titolo 4° del r.d. 30.12.1923, n. 3267.
I Comuni e le associazioni non potranno, senza l'autorizzazione del Ministero dell'economia nazionale e ora della Regione, alienarli o mutarne la destinazione.
La valutazione della nuova destinazione dei terreni ad uso civico deve rappresentare un beneficio per la generalità degli abitanti, può riguardare qualsiasi tipo di interesse collettivo, di natura agricola, o di altro genere, industriale, commerciale, igienico sanitario, turistico, ambientale (Cass. civ., sez. II, 30.1.2001, n. 1307).
Devono essere rispettate per il procedimento di sdemanializzazione le condizioni poste dalla legge per la completezza del procedimento, tra cui l'assegnazione a categoria dei terreni oggetto della richiesta di sdemanializzazione.
Il combinato disposto delle norme sopra richiamate rende evidente la necessità della previa individuazione, tra quelle indicate nell'art. 11, l. 16.6.1927, n. 1766, della categoria cui ascrivere l'area interessata dalla richiesta, proprio per poter consentire quella comparazione di interessi che la legge affida all'organo competente a promuovere il mutamento di destinazione, cioè la Regione.
In base agli artt. 11 e 12, l. 16.6.1927, n. 1766, riguardante il riordinamento degli usi civici, la valutazione della nuova destinazione dei terreni ad uso civico deve rappresentare un beneficio per la generalità degli abitanti e può riguardare qualsiasi tipo di interesse collettivo, di natura agricola, o di altro genere, industriale, commerciale, igienico sanitario, turistico, ambientale, tuttavia occorre che siano rispettate le condizioni poste dalla legge per la completezza del procedimento, tra cui l'assegnazione a categoria dei terreni oggetto della richiesta di sdemanializzazione al fine di consentire quella comparazione di interessi che la legge affida all'organo competente a promuovere il mutamento di destinazione, cioè la Regione.



5. La legalizzazione dell’occupazione di aree demaniali. a) Le costruzioni eseguite legittimamente.

L’art. 5 bis, d.l. 24.6.2003, n. 143, introdotto dalla l. 1.8.2003, n. 212, stabilisce che le porzioni di aree appartenenti al patrimonio ed al demanio dello stato, esclusi il demanio marittimo e le aree sottoposte a tutela ambientale, parzialmente occupate da costruzioni legittimamente costruite entro il 31.12.2002, siano cedute dall’Agenzia del demanio a favore del soggetto legittimato che ne abbia fatto richiesta.
Sono richiesti due presupposti: l’esecuzione delle opere entro il 31.12. 2002 e la loro realizzazione in conformità a titoli legittimanti.
Il richiedente deve presentare il titolo di proprietà dell’opera che ha causato l’occupazione di aree demaniali, il frazionamento catastale e il provvedimento che ha autorizzato la costruzione, oltre alla ricevuta del versamento all’erario del prezzo dell’area, determinato sulla base della tabella allegata al provvedimento legislativo.
Nel tentativo di sanare situazioni che si trascinano da decenni, la norma prevede che, in caso di mancata richiesta da parte del proprietario, sia la stessa agenzia del demanio che debba promuoverne l’acquisto, con la sanzione della maggiorazione del 15% del prezzo determinato come visto in precedenza.
In caso di mancata adesione al prezzo comunicato si procede all’acquisizione a titolo gratuito da parte dello Stato della porzione dell’opera che ha sconfinato sull’area demaniale, secondo le norme dell’accessione ordinaria stabilite dall’art. 936 del c.c., senza le soluzioni alternative ivi previste che consentono al proprietario di scegliere se ritenere, pagandoli, i materiali o costringere il costruttore a levarli a spese proprie.
La dottrina rileva le contraddittorietà sostanziali della norma che avrebbe dovuto sempre sanzionare il comportamento del proprietario che ha costruito su area demaniale. Egli, infatti, in ogni caso, anche se possiede un titolo abilitante, ha una autorizzazione annullabile ed è soggetto alla sanzione della demolizione.
I problemi sembrano, comunque, superati dal successivo condono edilizio (Bassani 2003, 1266).

5. Per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell'autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell'ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l'uso del suolo su cui insiste la costruzione. La disponibilità all'uso del suolo, anche se gravato di usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità all'uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie, con un massimo di tre volte rispetto all'area coperta dal fabbricato. Salve le condizioni previste da leggi regionali, il valore è stabilito dalla filiale dell'Agenzia del demanio competente per territorio per gli immobili oggetto di sanatoria ai sensi della presente legge e dell'art. 39 della l. 23.12.1994, n.724, con riguardo al valore del terreno come risultava all'epoca della costruzione aumentato dell'importo corrispondente alla variazione dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al momento della determinazione di detto valore. L'atto di disponibilità, regolato con convenzione di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta, è stabilito dall'ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento dell'importo come sopra determinato.
6. Per le costruzioni che ricadono in aree comprese fra quelle di cui all'articolo 21 della legge 17.8.1942, n.1150, il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria è subordinato alla acquisizione della proprietà dell'area stessa previo versamento del prezzo, che è determinato dall'Agenzia del territorio in rapporto al vantaggio derivante dall'incorporamento dell'area.
(art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).

La giurisprudenza ha, in ogni modo, determinato che l’amministrazione conserva la massima discrezionalità nell’emanazione dell’assenso che può essere successivamente revocato, purché prima del rilascio del provvedimento di condono.

Poiché il rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le opere edilizie abusive eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici, è subordinato alla disponibilità dell'ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalla normativa in vigore, l'uso del suolo così occupato, detto ente ben può ritirare, nell'esercizio dei generali poteri d'autotutela, l'assenso in un primo tempo rilasciato, prima che decorra il termine per la formazione del silenzio assenso sull'istanza di condono edilizio e, più in generale, prima della definizione del procedimento di sanatoria.
(Cons. St., sez. V, 4.8.2000, n. 4307, FA, 2000, 2661).


6. b) Le costruzioni eseguite illegittimamente.

Le opere realizzate illegittimamente su aree demaniali o appartenenti al patrimonio dello Stato, ad eccezione del demanio marittimo, lacuale e fluviale, nonché su terreni gravati da diritti di uso civico possono essere condonate qualora vi sia l’assenso dello Stato, per il tramite dell’Agenzia del demanio, alla cessione in proprietà dell’area ovvero alla sua concessione per il mantenimento dell’opera abusiva sul suolo (Bassani 2003, 1371).
La domanda è rivolta a chiedere la cessione a titolo oneroso della proprietà dell’area se questa appartiene al patrimonio disponibile dello Stato.
La domanda è tesa a garantire onerosamente il diritto al mantenimento dell’opera se essa è realizzata sul suolo appartenente al demanio ed al patrimonio indisponibile dello Stato, ex art. 32, 14° co., l. 24.11.2003, n. 326.
La norma afferma la necessità di assicurare, anche mediante specifiche clausole contenute negli atti di vendita o dei provvedimenti di riconoscimento del diritto al mantenimento dell’opera, il libero accesso al mare, con il conseguente diritto pubblico di passaggio, ex art. 32, 16° co., l. 24.11.2003, n. 326. L’atto di disponibilità è stipulato con convenzione di cessione del diritto di superficie che può avere una durata massima di venti anni a fronte di un canone commisurato ai valori di mercato, ex art. 32, 20° co., l. 24.11.2003, n. 326.
Nel caso di aree soggette a vincoli, l’art. 32, 16° co., l. 24.11.2003, n. 326, richiede obbligatoriamente il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
La mancata concessione della sanatoria comporta l’applicazione delle relative sanzioni.

7. Per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente articolo si applicano le sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6.6. 2001, n. 380.
(art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).













tra� ,l �k H� dei beni il solo vincolo delle leggi di contabilità e delle altre leggi disciplinanti il patrimonio mobiliare ed immobiliare statale, mentre deve escludersi che una manifestazione del potere dominicale dello Stato di disporre dei propri beni incontri i limiti della ripartizione delle competenze secondo le materie.
Le facoltà che spettano allo Stato in quanto proprietario precedono logicamente la ripartizione delle competenze.

Non è fondata, in riferimento agli artt. 117, 2°, 3° e 4° e 119 cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, 6° co., l. 27.12.2002, n. 289, il quale, al fine di favorire l'autonoma iniziativa per lo svolgimento di attività, di interesse generale, in attuazione dell'art. 118, 4° co., cost., prevede che le istituzioni di assistenza e beneficenza e gli enti religiosi che perseguono rilevanti finalità umanitarie o culturali possono ottenere la concessione o locazione di beni immobili demaniali o patrimoniali dello Stato, a un canone determinato ai sensi degli artt. 1 e 4, l. 11.7.1986 n. 390, e mod.


6. Gli inventari.

La disciplina dei beni patrimoniali indisponibili è contenuta nel r.d. 18.11.1923, n. 2440, e nel relativo regolamento approvato con r.d. 23.5.1923, n. 827. Essi sono assegnati in amministrazione al Ministero delle finanze.

1. I beni immobili dello Stato, tanto pubblici, quanto posseduti a titolo di privata proprietà, sono amministrati a cura del ministero delle finanze, salve le eccezioni stabilite da leggi speciali.
2. I beni immobili assegnati ad un servizio governativo s'intendono concessi in uso gratuito al ministero da cui il servizio dipende e sono da esso amministrati. Tosto che cessi tale uso passano all'amministrazione delle finanze.
3. Ciascun ministero provvede all'amministrazione dei beni mobili assegnati ad uso proprio o di servizi da esso dipendenti, salve le disposizioni speciali riguardanti i mobili di ufficio.
(art. 1, r.d. 18.11.1923, n. 2440).

I beni immobili patrimoniali assegnati ad un servizio governativo sono invece amministrati dal ministero da cui il servizio stesso dipende. (Resta 1963, 117).

1. A cura del ministro delle finanze deve formarsi l'inventario dei beni immobili di pertinenza dello Stato, distinguendo quelli destinati in servizio governativo dagli altri, e indicando gli elementi atti a farne conoscere la consistenza ed il valore.
2. Ciascun ministro deve far compilare l'inventario dei mobili e dei materiali di spettanza dello Stato.
3. Il regolamento determinerà le norme per la formazione e la conservazione dei detti inventari.
(art. 2, r.d. 18.11.1923, n. 2440).

La dottrina distingue l’inventariazione che esprime una modalità certificatoria di conservazione dall’uso sia esso governativo o affidato a terzi che esprime una modalità gestoria (Colombini 1990, 4).
La giurisprudenza ha affermato che l'ente preposto pervenga in tempi brevi alla tenuta dell'inventario che consenta non solo la individuazione di ciascuna unità immobiliare e, per ciascuna di esse, lo stato di utilizzazione ed il reddito prodotto, ma altresì, il recupero del collegamento responsabilizzante tra singolo cespite ed ufficio od organo affidatario del cespite stesso. (Corte Conti, sez. con. Enti, 18.10.1995, n. 54, RCC, 1995, fasc. 6, 92).
Il ministero che abbia in uso un terreno appartenente al patrimonio dello Stato - assegnatogli dall'amministrazione delle finanze - è legittimato ad agire in via di autotutela per reprimere eventuali turbative al godimento del bene (T.A.R. Lazio, sez. I, 10.2.1987, n. 287, T.A.R., 1987, I, 845).
La giurisprudenza, in ogni caso, ritiene che l’iscrizione nell’inventario abbia solo un effetto dichiarativo ma non costitutivo della qualità di bene patrimoniale indisponibile.
Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili perché "destinati ad un pubblico servizio" ai sensi dell'art. 826, 3° co., c.c. deve sussistere un doppio requisito: la manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e l'effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio.
Conseguentemente, nella specie, il fatto che il terreno sia stato acquistato dal comune di Roma nel 1884 per realizzare una "passeggiata pubblica" o parco e che sia stato iscritto nell'inventario dei beni demaniali comunali, in difetto della concreta ed attuale destinazione al pubblico servizio, non è sufficiente per riconoscere al bene il carattere della indisponibilità.

E’ in corso un’attività di raccolta sistematica dei dati relativi alle singole utilizzazioni alo scopo di costruire un archivio centralizzato da gestirsi con sistemi elettronici con l’intento di recuperare la consistenza dei singoli beni demaniali attraverso le informazioni relative agli usi (Colombini 1990, 9).


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7. La denuncia di trasferimento della detenzione.

L’art. 59, t.u. beni cult., prevede come obbligatoria la denuncia di trasferimento della detenzione di un bene culturale di proprietà di privati.
Il bene mobile o immobile deve essere stato oggetto della dichiarazione di interesse culturale, ex art. 13, t.u. beni cult.

1. Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono denunciati al Ministero.
2. La denuncia è effettuata entro trenta giorni:
a) dall'alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;
b) dall'acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell'ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso;
c) dall'erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. Per l'erede, il termine decorre dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari; per il legatario, il temine decorre dall'apertura della successione, salva rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile.
3. La denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni.
4. La denuncia contiene:
a) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;
b) i dati identificativi dei beni ;
c) l'indicazione del luogo ove si trovano i beni;
d) l'indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento;
e) l'indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali comunicazioni previste dal presente Titolo.
5. Si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o imprecise.
(art. 59, t.u. beni cult.).

Alla denuncia sono soggetti anche gli enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro.
Lo scopo della denuncia è quello di mettere in grado l’amministrazione competente di ottenere la prelazione nell’acquisto del bene e di esercitare gli ordinari controlli sulla gestione del bene; la conoscenza del soggetto che ha acquistato è, pertanto, indispensabile.
Non basta quindi il solo controllo sull’autorizzazione ma è necessario, per la dottrina, essere notiziati anche dell’acquisto.

A tale esigenza non può rispondere in modo soddisfacente il controllo autorizzatorio sull’alienazione non fosse altro perché tale verifica è antecedente ad una cessione che in concreto potrebbe anche non seguire: è con la denuncia che vi è la certezza dell’avvenuto trasferimento.
(Tamiozzo, 2005, 266).

La denuncia deve essere effettuata nel termine perentorio di trenta giorni dalla data della stipula del contratto.
Non sussiste l’obbligo di provvedere alla denuncia dei contratti di locazione stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lg. 42/2004 che sancito l’obbligo espresso di denuncia oltre che per il proprietario anche per il cedente la detenzione.

Il conduttore detentore di un immobile locato con un contratto in corso alla data del 1.5.2004, che abbia omesso di farne denuncia in violazione delle prescrizioni del t.u. 490/1999, non è più tenuto a farla in quanto l’obbligazione della previgente normativa ha determinato il venire meno nei suoi confronti dell’obbligo. Il proprietario dell’immobile, al quale il t.u. 490/1999 imponeva di procedere alla sola denuncia di trasferimento della proprietà, nel codice d.lg. 42/2004 assume anche l’obbligo di denunciare ogni contratto che comporti la cessione della detenzione – quali ad esempio, locazione, affitto, comodato, cessione in uso. Ovviamente solo per i contratti a partire dal 1.5.2004, considerando che sotto la vigenza del t.u. il proprietario non era tenuto a tale incombenza.
(Par.Min. 28.4.2004 n. 10204).


8. La prelazione dello Stato.

Qualora il bene sia venduto dal proprietario a titolo oneroso, il relativo contratto tra venditore ed acquirente non si perfeziona automaticamente, perché l'alienante deve denunciare la vendita all'ente che è titolare della facoltà di prelazione, per metterlo a conoscenza dell'avvenuta vendita.
Come tutti gli atti amministrativi l’atto di prelazione deve essere motivato.

L'atto, mediante il quale è esercitato il diritto di prelazione, deve essere motivato dall'amministrazione in merito all'interesse pubblico attuale all'acquisizione al patrimonio statale al fine della tutela del bene e non anche allo scopo di destinare il bene stesso a sede di pubblici uffici.

La denuncia ha una sua funzione nel macchinoso procedimento, perché dalla comunicazione della denuncia di vendita decorre il termine per esercitare la prelazione.
La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che il termine indicato è perentorio. La denuncia deve essere presentata al competente Soprintendente del luogo in cui si trova il bene che è oggetto della vendita, ex art. 59, d.lg. n. 42/2004.
Se l'ente, titolare del diritto di prelazione non lo esercita nel tempo indicato, la proprietà del bene passa definitivamente al compratore. Nel caso in cui la denuncia non sia presentata all’autorità competente la prelazione decorre dalla data della ricezione all’autorità competente.
La denuncia è fatta al Ministero ma è presentata alla soprintendenza del luogo dove si trovano i beni.
Ai sensi dell'art. 58, d.lg. 29.10.1999, n. 490, l'atto privato di compravendita di beni immobili sottoposti a vincolo storico deve essere notificato alla Soprintendenza territorialmente competente e non al Ministero; in ogni caso, il termine di 40 giorni entro il quale le amministrazioni interessate possono esercitare il diritto di prelazione decorre dall'avvenuta notifica dell'atto alla Soprintendenza. Entro il suddetto termine, il diritto di prelazione va esercitato nella forma della dichiarazione della volontà di acquisto, non anche in quella della sua comunicazione ai soggetti interessati.
(Cons. St., sez. VI, 30.9.2004, n. 6350, RGE, 2005, I, 558

Nel caso in cui la denuncia di alienazione di castello sia diretta al Ministro e non sia presentata al soprintendente del luogo dove si trova l'immobile, il termine per esercitare la prelazione decorre dalla data di ricezione della stessa denuncia da parte del soprintendente cui è stata restituita dal Ministro e la proposta di acquisto fatta dal comune è ritualmente esercitata anche senza la necessaria copertura finanziaria. (T.A.R. Molise, 27.3.2003, n. 296, RGE, 2003, I, 1354).
La mancata denuncia, alla amministrazione ministeriale, del negozio traslativo della proprietà di un bene sottoposto a vincolo comporta che la p.a. ha la possibilità di esercitare in ogni tempo il diritto di prelazione, per il permanere dell'obiettiva condizione di assoluta inefficacia del negozio, conseguente alla sua mancata notifica nei modi e termini previsti dalla legge.

La notifica, offrendo la formale conoscenza di tutti gli aspetti del concluso negozio, ha anche lo scopo di costituire in mora l'amministrazione al fine del tempestivo esercizio del diritto di prelazione.

La giurisprudenza prevalente afferma che l'ente che esercita la prelazione deve contemporaneamente emanare il mandato di pagamento perché il pagamento è elemento necessario per l'esercizio della prelazione; se non è stato adempiuto a tanto, la prelazione esercitata è priva di efficacia; né può essere sanata con il rimborso tardivo del prezzo, perché è ormai decorso il termine per l'esatto adempimento che è notoriamente perentorio (Cass. Civ., sez. un., 11.3.1996, n. 1950).


La norma dell’art. 164 d.lg. 42/2004, prima rappresentata dall'art. 61, l. 1039/1939 ha superato la censura di illegittimità costituzionale.
La tardività della prelazione ha posto, infatti, dei problemi in ordine alla corresponsione del prezzo.
La Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la censura poiché l’amministrazione nell'esercitare la prelazione - anche se in ritardo per difetto di denuncia - è sempre vincolata al prezzo di vendita fissato dal venditore ed accettato dall’acquirente; prezzo che può eventualmente anche essere superiore al prezzo di alienazione.

È infondata la questione di legittimità costituzionale del disposto coordinato dagli artt. 61, 31, 32, l. 1.6.1939, n. 1089, nella parte in cui, in mancanza di regolare denuncia dell'alienazione di bene vincolato, consente in ogni tempo l'esercizio della prelazione statale su cose di interesse storico - artistico al prezzo dichiarato nell'atto di alienazione, in riferimento agli artt. 3 e 42 cost.
(Corte cost., 20.6.1995, n. 269, FI, 1996, I, 807).



8.1. La nullità degli atti di alienazione.

Teoricamente l’amministrazione può esercitare un’azione civile per fare dichiarare la nullità degli atti di disposizione (Tamiozzo 2005, 735).

1. Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Patte seconda, o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli.
2. Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell'articolo 61, 2° co.
(art. 164, d.lg. 42/2004).
Si tratta di un’azione di nullità relativa. Essa può essere fatta valere solo dal Ministro dei beni culturali e ambientali, il cui interesse è stato leso dalla mancata richiesta di autorizzazione (Cass. Civ., sez. III, 12.10.1998, n. 10083).
L’azione non può essere invece fatta valere fra le parti che hanno stipulato l’atto.
Ulteriore corollario della inalienabilità relativa e della nullità relativa, è che la nullità dell'alienazione non preclude, comunque, l'esercizio della prelazione da parte dello Stato in relazione all'atto di alienazione nullo.

L'alienazione di beni immobili di interesse storico-artistico di proprietà di ente pubblico, come conclusa in spregio del diritto di prelazione dell'amministrazione pubblica, non è affetta da nullità assoluta, ma da nullità relativa invocabile dall'amministrazione stessa, legittimata, anche per i beni in oggetto, all'esercizio della prelazione.
(Cons. St., sez. VI, 21.2.2001, n. 923, FA, 2001, 590, RGE, 2001, I, 398).

Successivamente a tale azione l’amministrazione per acquisire il bene - che giustifica il suo intervento – è costretta ad esercitare il diritto di prelazione.
Nel caso in cui l’amministrazione eserciti il suo diritto di prelazione la sanziona della nullità degli atti di disposizione conseguenti ai divieti di alienazione consegue direttamente.
L’accertamento del diritto di prelazione travolge l’atto di disposizione precedente che non deve essere annullato con un'altra eventuale azione civile.
L’amministrazione corrisponde il prezzo di acquisto all'acquirente che può esigere gli interessi medio tempore maturati dalla data dell’atto di trasferimento al pagamento da parte dell’amministrazione (Corte Europea dei diritti dell’Uomo 5.1.2000).




ordinam{ ]= e �k H� Lombardo della Valle del Ticino, stabilendo che i danni arrecati dalla selvaggina alle colture agricole all'interno della fascia di silenzio venatorio saranno risarciti dal Consorzio, previo accertamento del danno, con finanziamenti regionali - si è discusso se il danneggiato abbia una posizione tutelabile avanti al giudice ordinario ovvero se, al contrario, il risarcimento sia pur sempre sottoposto ad un controllo da parte del Consorzio e ad una compatibilità con le disponibilità finanziarie erogate dalla Regione.
L’intervento regionale, infatti, esclude quel carattere di certezza che è tipico del diritto soggettivo e fa viceversa palese la subordinazione - propria dell'interesse legittimo - ad un interesse pubblico prevalente.
Si argomenta, ancora, che le norme sul ristoro dei danni all'interno delle aree protette configurano norme di azione, come si evincerebbe dalla dizione dell'art. 15, 3° e 4° co., della legge quadro 6.12.1991, n. 394, là dove si prevede che l'Ente Parco è tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del Parco e che il regolamento del Parco stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi.
In detto caso è stato ritenuto che la qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo delle posizioni giuridiche configurabili a favore degli interessati relativamente ai ristori conseguibili per i pregiudizi arrecati dalla fauna selvatica alle colture agricole non è automaticamente correlata alla ubicazione - all'esterno o all'interno delle zone di protezione - dei fondi danneggiati e deve invece attribuirsi essenziale rilievo al concreto atteggiarsi della disciplina positiva.
In applicazione di tale criterio, deve riconoscersi la natura di diritto soggettivo - comportante la giurisdizione del giudice ordinario - alla pretesa al risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica nell'ambito del Parco lombardo della Valle del Ticino, fondata sull'art. 15 della "legge - quadro" sulle aree protette n. 394 del 1991, che prevede, senza margini di discrezionalità, l'obbligo dell'Ente parco di indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco nel termine di novanta giorni dal loro verificarsi; né portata diversa è attribuibile all'art. 22, 6° co., della l.r. Lombardia n. 33 del 1980 - norme di attuazione del piano territoriale di coordinamento del parco del Ticino - che, nel disciplinare l'aspetto di finanza pubblica, prevedendo finanziamenti regionali, ribadisce l'obbligo del Consorzio di risarcire i danni arrecati dalla selvaggina alle colture all'interno della fascia di silenzio venatorio (Cass. civ., Sez. U., 30.12.1998, n. 12901, GCM, 1998, 2664).















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