Capitolo settimo
Il regime giuridico dei beni demaniali.
Guida bibliografica.
1. Le caratteristiche dei beni demaniali. La
inalienabilità.
Per la dottrina il regime giuridico della demanialità è
vario a seconda delle varie categorie di beni e non è previsto un regime
amministrativo tipico che possa essere riferimento e criterio valutativo della
demanialità. Si ravvisa, comunque una costante in detto regime che è la
extracommerciabilità (Cassese 1969, 3)
Altra dottrina ravvisa due principi di ordine generale:
l’incommerciabilità e l’inespropriabilità.
Il primo investe il profilo della indisponibilità che
consiste nella insuscettibilità di atti di alienazione, di costituzione di
diritti di godimento, di rinunzie, di usucapione: il secondo quello del diritto
di assoggettamento alla esecuzione forzata in quanto prodromica alla vendita o
alla assegnazione coattiva. Galli 1996, 348.
1.1. La non usucapibilità.
Il possesso dei beni demaniali non può giovare ai fini
dell’usucapione. Sandulli 1984, 776.
1.2. La possibilità di espropriazione.
La dottrina ritiene possibile un confronto fra l’interesse
dell’ente titolare del bene ed eventuali contrapposte esigenze, anche private
purché di rilevanza pubblica, ammettendo la possibilità di espropriazione,
ritenendo però necessaria la preventiva sdemanializzazione del bene.
La necessità della previa sdemanializzazione del bene,
senza la quale non è possibile procedere all’esproprio, pone il soggetto
espropriato in una posizione diversa da quella che assume nella vicenda
ablativa ordinaria.
L’espropriazione perde la sua unilateralità e presuppone
anche il concorso della iniziativa dell’espropriativo diretta, appunto, alla
sdemanializzazione che dipende soltanto dalla volontà dell’espropriato e non è
coercibile. Saturno e Stanzione 2002, 46.
2. L’inizio della demanialità.
Su di un punto vi è sempre stata unanimità di vedute:
l'inizio della demanialità, con conseguente perdita del bene da parte dei
privati, era riconosciuto solo nell'ambito del demanio naturale, quando la
trasformazione derivava da un evento naturale. E così il mare, con il suo
avanzare, può far spostare il lido verso terra, in modo che le proprietà ivi
esistenti perdano la loro conformazione. Il fiume che, abbandonando il vecchio
letto, ne forma altro ove prima esisteva un fondo privato, determina la
sostituzione di questo con una proprietà demaniale. Non vi era alcun contrasto
nel ritenere che i proprietari, i cui beni fossero in questo modo trasformati,
perdessero i loro diritti. La quasi totalità degli autori, inoltre, riteneva
che il proprietario, una volta privato del bene, non avesse diritto ad
indennizzo. Altra teoria, viceversa, considerava indennizzabile la perdita per
ragioni di giustizia distributiva. Zanobini, 1958, 39.
La tesi della indennizzabilità doveva successivamente acquistare maggior fondamento a seguito di varie pronunce della Corte costituzionale in ordine al disposto dell'art. 42, 3° co., cost. Pasini e Balucani, 1978, 98.
La tesi della indennizzabilità doveva successivamente acquistare maggior fondamento a seguito di varie pronunce della Corte costituzionale in ordine al disposto dell'art. 42, 3° co., cost. Pasini e Balucani, 1978, 98.
3. La cessazione della
demanialità. La sdemanializzazione.
La dottrina sottolinea che le cause del passaggio da un
regime ad un altro possono essere di carattere diverso.
I beni pubblici possono, per fenomeni naturali o per
sviluppi tecnici o
comunque per vicende storiche, perdere le caratteristiche
che li rendevano intrinsecamente pubblici, senza che ciò dipenda dal volere
della pubblica amministrazione: una striscia di terreno vicina al mare può
cessare di essere lido marino a causa delle dinamiche talassiche, una linea
Maginot può cessare di avere qualsiasi rilievo militare per cause storiche o
tecniche.
Anche in questo caso il risultato è quello del passaggio al
regime dei beni patrimoniali disponibili. Sorace 2003, n. 1.
La giurisprudenza sottolinea che nel procedimento di
cessazione della demanialità, il soggetto che ne fa esplicita richiesta
all'amministrazione, al fine di ottenere successivamente il trasferimento, in
base a strumenti di diritto comune, non è portatore di un interesse qualificato
diverso da quello alla mera definizione del procedimento. La sdemanializzazione,
infatti, non arreca in sé alcun vantaggio diretto ed immediato al richiedente e
il trasferimento del bene sdemanializzato è subordinato alla valutazione
discrezionale dell'amministrazione. Trib. sup.re acque, 23.9.2004, n. 95, FI,
2005, III, 507.
4. La sdemanializzazione degli usi civici.
Il regime giuridico degli usi civici è basato sulla
indisponibilità degli stessi da parte della collettività e dei suoi componenti
e si giustifica per la perpetuità di tale destinazione. Galli 1996, 348.
5. La legalizzazione dell’occupazione di aree demaniali.
a) Le costruzioni eseguite legittimamente.
La dottrina rileva la contraddizione nella disciplina della
decorrenza del termine di entrata in vigore del d.l. 24.6.2003, n. 143.
La norma, infatti, è stata
introdotta dalla legge di conversione, mentre il testo legislativo fa
riferimento alla data di entrata in vigore del decreto, quindi i sei mesi entro
cui deve essere presentata la domanda decorrono dalla data di entrata in vigore
del decreto 143/2003, vale a dire dal 24.6.2003. Bassani 2003, 1266.
6. b) Le costruzioni eseguite illegittimamente.
La domanda tesa ad ottenere la disponibilità dell’area deve
essere presentata entro il 31.3.2004 alla filiale dell’agenzia del demanio
territorialmente competente, accompagnata dalla documentazione relativa
all’illecito edilizio, corredata dall’attestazione di pagamento della somma
dovuta a titolo di indennità per occupazione pregressa delle aree per un
periodo non superiore alla prescrizione quinquennale secondo i parametri
definiti dalla tab. A, ex art. 32, 15° co., l. 24.11.2003, n. 326. Caruso 2003,
120.
1.
Le caratteristiche dei beni demaniali. La inalienabilità.
L’art. 823 c.c. fissa la condizione giuridica dei beni del
demanio pubblico.
1. I beni che fanno
parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di
diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi
che li riguardano.
(art. 823 c.c.).
Essi
sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti in favore di terzi,
essi, ad esempio, non sono usucapibili (Landi, Potenza e Italia 1999, 117).
Il primo attributo dei beni demaniali è l’inalienabilità.
Essi non possono essere trasferiti ad altri soggetti per cui il possesso del
bene non ha alcun effetto al fine del conseguimento della proprietà (Sandulli
1984, 775).
I
beni demaniali sono esclusi dalla possibilità di usucapione poiché non possono
appartenere ai privati (Gambaro 1995, 849).
I
beni demaniali non possono formare oggetto di contrattazione secondo gli schemi
privatistici, ma possono essere dati in godimento a terzi, compatibilmente con
le esigenze di uso pubblico, mediante provvedimenti amministrativi, ad esempio
in concessione.
E’
ammessa una doppia tutela.
Anzitutto
la tutela amministrativa di cui ci si può valere, ad esempio, nel caso di una
ordinanza di rilascio di un bene pubblico illegittimamente occupato o della
riduzione in pristino prevista per le opere pubbliche dall'art. 378, l.
20.3.1865, n. 2248, che può essere impugnata presso la giustizia
amministrativa.
Alternativamente, la pubblica amministrazione può avvalersi
dei mezzi di tutela ordinaria e privatistica a difesa della proprietà o del
possesso, su cui esercita la giurisdizione il giudice ordinario.
L'inalienabilità dei beni demaniali non è venuta meno per
effetto della disciplina di cui all'art. 35, l. 28.12.2001, n. 448.
La norma ha previsto la generale incedibilità dei beni
costituenti infrastrutture dei servizi di rilevanza industriale.
Gli enti locali non
possono cedere la proprietà degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni
destinati all'esercizio dei servizi pubblici di cui al comma 1, salvo quanto
stabilito dal comma 13.
(art. 35, l.
28.12.2001, n. 448).
Essa ha, però, ammesso la possibilità del conferimento
della proprietà di detti beni a società di capitali di cui i predetti enti
locali detengono la maggioranza, incedibile, del capitale sociale
13. Gli enti locali,
anche in forma associata possono conferire la proprietà delle reti, degli
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società di capitali di cui
detengono la maggioranza , che è incedibile: tali società pongono le reti, gli
impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori
incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata
della rete dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla
competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali. Alla società
suddetta gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del
comma 4 la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare di cui
al comma 5.
(art. 35, l.
28.12.2001, n. 448).
Tale disciplina non prevede alcuna norma specifica per i
beni demaniali ed anzi, non menzionandoli neppure, deve escludersi che abbia
introdotto una deroga alla disposizione di cui all'art. 823 c.c.
La disposizione di cui all'art. 35, l. 448/2001, ha dettato una disciplina generale dei beni destinati a pubblici servizi che, tuttavia, non vale, attesa la sua generalità, a superare le eventuali previsioni speciali relative alle singole categorie di beni tra le quali segnatamente la previsione di cui alla normativa codicistica in tema di beni demaniali.
La norma in questione ha inteso introdurre una sorta di generale limitazione alla commerciabilità dei beni destinati a pubblico servizio di proprietà degli enti locali.
La disposizione di cui all'art. 35, l. 448/2001, ha dettato una disciplina generale dei beni destinati a pubblici servizi che, tuttavia, non vale, attesa la sua generalità, a superare le eventuali previsioni speciali relative alle singole categorie di beni tra le quali segnatamente la previsione di cui alla normativa codicistica in tema di beni demaniali.
La norma in questione ha inteso introdurre una sorta di generale limitazione alla commerciabilità dei beni destinati a pubblico servizio di proprietà degli enti locali.
1.1.
La non usucapibilità.
I beni demaniali, in quanto
inalienabili ai sensi dell'art. 823, c.c., non sono suscettibili di usucapione.
Per conseguire la proprietà del
bene attraverso il possesso è necessario che prima la pubblica amministrazione
con provvedimento espresso provveda a togliere la qualità di bene demaniale
attraverso il procedimento di sdemanializzazione.
La giurisprudenza ammette la
sdemanializzazione tacita se non è vietata dalla legislazione speciale.
Un bene demaniale non
è, per sua natura, suscettibile di usucapione, salva la sdemanializzazione del
medesimo, la quale può essere anche tacita e risultare cioè nonostante la
mancanza di un formale atto pubblico di sclassificazione, da atti univoci e
concludenti, incompatibili con la volontà di conservarne la destinazione
all'uso pubblico, e da circostanze così significative da rendere inconcepibile
un'ipotesi diversa da quella che la pubblica amministrazione abbia
definitivamente rinunciato al ripristino della pubblica funzione del bene
medesimo. La relativa indagine è rimessa al giudice del merito, il cui
accertamento è insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e
giuridici.
(Cass.
Civ., sez. II, 12.11.1979, n. 5835).
Per il demanio marittimo
l’impossibilità della sdemanializzazione tacita è ribadita dall’art. 35, c.n.
La sdemanializzazione deve necessariamente avvenire
mediante un formale provvedimento del Ministro della marina mercantile, di
concerto con il Ministro delle finanze (Cass. Civ.,
sez. II, 6.12.2002, n. 17438, GCM, 2002, 2142).
Per i beni del
demanio marittimo, quale la spiaggia, da intendersi comprensiva dell'arenile, e
cioè di quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi
delle acque, restando potenzialmente idoneo ai pubblici usi del mare, la
cosiddetta sdemanializzazione non può verificarsi tacitamente, ma richiede un
espresso e formale provvedimento dell'autorità amministrativa, di carattere
costitutivo, tanto sotto il vigore dell'attuale codice della navigazione, ex
art. 35, c.n., quanto in base alla legislazione anteriore, ex art. 157,
codice della marina mercantile del 1877. Pertanto, in difetto di tale
provvedimento, l'arenile non perde la propria qualità di bene demaniale, con la
conseguenza che il possesso del medesimo da parte del privato è improduttivo di
effetti nei rapporti con l'amministrazione, ex art. 690, c.c., del 1865
e art. 1145, 1° co., c.c., e, in particolare, è inidoneo all'acquisto della
proprietà per usucapione.
(Cass. Civ., sez. I,
6.5.1980, n. 2995, FI, 1980, I, 2815).
La giurisprudenza afferma espressamente
il principio che nega la sdemanializzazione tacita per i beni del demanio
stradale.
I beni demaniali, in
quanto inalienabili ai sensi dell'art. 823, c.c., non sono suscettibili di
usucapione, in mancanza di previa sdemanializzazione. Nella specie, l'abbandono
della manutenzione, da parte di un comune, della strada che menava ad un porto
fluviale dismesso, non è di per sé causa di sdemanializzazione e, quindi, di
usucapione del bene, anche se tale abbandono è stato provocato dal fatto che
l'uso della strada, dopo la cessazione del porto, è di fatto limitato ai soli
proprietari frontistanti.
1.2.
La possibilità di espropriazione.
La dottrina ammette la possibilità di espropriazione dei
beni demaniali o patrimoniali indisponibili, che sono per loro natura
inalienabili, qualora i beni siano conformati per altre destinazioni dalla
pianificazione urbanistica:
In tale caso la
pubblica amministrazione istituisce un giudizio comparativo fra interesse
pubblico cui attualmente si provvede mediante il bene demaniale e quello che si
intende perseguire attraverso l’opera dichiarata di pubblica utilità.
(Landi, Potenza e
Italia 1999, 117).
La tutela avverso il procedimento ablatorio è
necessariamente spostata al momento conformativo dell’approvazione dello
strumento urbanistico che provvede ad attribuire la nuova destinazione al bene.
E' inammissibile il
ricorso presentato dalle amministrazioni statali contro la regione Lombardia
avente ad oggetto la procedura di espropriazione, volta all'acquisizione di
aree di appartenenza demaniale.
La mancanza di una
previa intesa tra l'amministrazione espropriante e l'amministrazione centrale,
non si può far valere se non attraverso la tempestiva impugnazione del piano
territoriale.
(Cons.
St., sez. IV, 30.1.1992, n. 129, GI, 1992, III, 1, 448).
Ai sensi dell'art.
828, 2° co., c.c., i beni del patrimonio indisponibile dello Stato non possono
essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi
che li riguardano.
Da ciò consegue che
essi non sono suscettibili di espropriazione per pubblica utilità o di
occupazione d'urgenza preordinata alla espropriazione, in contrasto con le
determinazioni assunte dalla amministrazione cui compete la cura del bene.
(T.A.R. Umbria,
21.5.1997, n. 217, RGU, 1997, 921).
L’indirizzo giurisprudenziale è confermato dall’art. 4,
d.p.r. 8.6.2001, n. 327, che prevede che ogni provvedimento ablatorio sia
subordinato ad un atto dell’autorità titolare del bene che provveda ad
eliminare la demanialità del bene. In caso contrario il procedimento ablatorio
è illegittimo anche se conforme alla destinazione di piano (Centofanti 2006,
187).
1. I beni
appartenenti al demanio pubblico non possono essere espropriati fino a quando
non ne viene pronunciata la sdemanializzazione. (L)
2. I beni
appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti
pubblici possono essere espropriati per perseguire un interesse pubblico di
rilievo superiore a quello soddisfatto con la precedente destinazione. (L)
(art. 4, d.p.r.
8.6.2001, n. 327, rett. GU, 14 9.2001, n. 214).
2. L’inizio della demanialità.
Nei beni del demanio necessario la
demanialità sorge ab origine con la stessa esistenza del bene.
Per i beni del demanio accidentale
la situazione è diversa in quanto la demanialità sorge per effetto di un
provvedimento amministrativo che la dichiara come nel caso in cui la pubblica
amministrazione rediga degli elenchi nei quali sono indicati i beni soggetti al
regime demaniale.
L’iscrizione degli elenchi non è
però decisiva ai fini dell’accertamento della demanialità.
E' principio consolidato in giurisprudenza che la
iscrizione di una strada negli elenchi formati dalla pubblica amministrazione
delle vie gravate di servitù di uso pubblico non ha natura costitutiva o
portata assoluta, ma riveste funzioni dichiarative della pretesa della
amministrazione stessa.
L'iscrizione, in definitiva, pone
in essere una presunzione di sussistenza di un diritto di godimento da parte
della collettività.
Al fine di
determinare l'appartenenza di una strada al demanio comunale, posto che
l'iscrizione nell'elenco delle strade comunali ha natura dichiarativa e non
costitutiva, sono indici di riferimento, oltre l'uso pubblico, cioè l'uso da
parte di un numero indeterminato di persone, l'ubicazione della strada all'interno
di luoghi abitati, l'inclusione nella toponomastica comunale, il comportamento
della p.a. nel settore dell'edilizia e dell'urbanistica; inoltre affinché una
strada possa rientrare nella categoria delle vie vicinali pubbliche deve
sussistere il passaggio esercitato iuris servitutis publicae da una
collettività di persone qualificate dall'appartenenza ad un gruppo
territoriale; la concreta idoneità del bene a soddisfare esigenze di carattere
generale ed un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso
pubblico, che può anche identificarsi nella protrazione dell'uso da tempo
immemorabile.
La presunzione è da considerarsi iuris tantum, ossia
superabile con la prova contraria della inesistenza di un diritto di uso o
godimento della strada da parte della collettività.
Per aversi uso pubblico su di una strada che è nata come
privata si richiede che sulla stessa il passaggio sia esercitato da una
collettività indeterminata di persone per soddisfare un pubblico generale
interesse.
Questo uso pubblico è da escludersi quando il passaggio
venga esercitato da un gruppo limitato di soggetti per esigenze di coltivazione
dei loro fondi (Cass. Civ., 16.11.1989, n. 4895).
3. La cessazione della demanialità.
La sdemanializzazione.
Il codice civile contempla la eventualità del passaggio dal
demanio pubblico al patrimonio statale o degli enti locali richiedendo, quanto
allo Stato, che esso sia dichiarato e che l'atto relativo sia pubblicato nella
Gazzetta ufficiale e, quanto agli enti locali, che il provvedimento che lo
dichiara sia pubblicato nei modi previsti dai regolamenti degli enti, ex art.
829, c.c.
1. Il passaggio dei
beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato deve essere dichiarato
dall'autorità amministrativa. Dell'atto deve essere dato annunzio nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
2. Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio dev'essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.
2. Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio dev'essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.
(art. 829, c.c.).
La dottrina sottolinea che le cause del passaggio da un
regime ad un altro possono essere di carattere diverso.
I beni pubblici
possono, per fenomeni naturali o per sviluppi tecnici o comunque per vicende
storiche, perdere le caratteristiche che li rendevano intrinsecamente pubblici,
senza che ciò dipenda dal volere della pubblica amministrazione: una striscia
di terreno vicina al mare può cessare di essere lido marino a causa delle
dinamiche talassiche, una linea Maginot può cessare di avere qualsiasi
rilievo militare per cause storiche o tecniche.
Anche in questo caso
il risultato sarà quello del passaggio al regime dei beni patrimoniali
disponibili.
(Sorace 2003, n. 1).
Gli atti in questione sono appunto dichiarativi perché il
passaggio da un regime all'altro non è l'effetto giuridico di tali atti, ma è
conseguenza comunque dello stato delle cose, che può essere determinato da un
accadimento naturale o da un mutamento di destinazione
non stabilito con un atto formale.
La sdemanializzazione tacita può essere accertata
autonomamente dal
Giudice che deve valutare i comportamenti dell’amministrazione
in rapporto al bene che si ritiene passato al regime patrimoniale.
La sdemanializzazione
di un bene pubblico, quando non derivi da un provvedimento espresso, deve
risultare da altri atti e/o comportamenti univoci della p.a. proprietaria, che
siano concludenti e incompatibili con la volontà di quest'ultima di conservare
la destinazione del bene stesso all'uso pubblico, oppure da circostanze tali da
rendere non configurabile una ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al
ripristino della funzione pubblica del bene.
Nel caso di specie si
è ritenuto che la sdemanializzazione di una strada non si poteva desumere dal
mero fatto che il bene non era più adibito, per un certo tempo, a detto uso.
Detto regime vale anche per le pertinenze dei beni
demaniali come ad esempio la casa cantoniera che, in base all'art. 24 del d.
lg. 30.4.1992, n. 285, costituisce pertinenza della strada e partecipa, quindi,
al suo carattere di demanialità quando la strada stessa appartiene ad un ente
pubblico territoriale.
La perdita del carattere demaniale della pertinenza può
essere solo l'effetto della perdita dello stesso carattere della cosa
principale.
Per costante giurisprudenza la sdemanializzazione può anche
verificarsi senza l'adempimento delle formalità previste dalle leggi in
materia, ma occorre che essa risulti da atti univoci, concludenti e positivi
della pubblica amministrazione, incompatibili con la volontà di conservare la
destinazione del bene all'uso pubblico; né il disuso da tempo immemorabile o
l'inerzia dell'ente proprietario può essere invocato come elemento indiziario
dell'intenzione di far cessare la destinazione, anche potenziale, del bene
demaniale all'uso pubblico, poiché a dare di ciò la prova è pur sempre
necessario che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti
e da circostanze così significative da rendere impossibile formulare altra
ipotesi se non quella che la pubblica amministrazione abbia definitivamente
rinunziato al ripristino della pubblica funzione del bene medesimo.
La sdemanializzazione
può avvenire anche in assenza delle formalità all'uopo previste dalle leggi in
materia, mediante comportamenti univoci e concludenti incompatibili con la
volontà di conservare la destinazione del bene all'uso pubblico. Nella specie,
la Cassazione ha precisato che l'inerzia dell'ente proprietario o il disuso da
tempo immemorabile non sono a tal fine sufficienti.
La legge speciale può disporre diversamente come, per
esempio, si
ritiene che avvenga per i beni del demanio marittimo, per i
quali la
sdemanializzazione tacita è esclusa).
Le zone demaniali che
dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi del
mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del ministro per le
comunicazioni (ora ministro per la Marina mercantile) di concerto con quello
per le Finanze.
(art.
35 c. n.).
La giurisprudenza conferma che per i beni del demanio
marittimo dello stato, la cosiddetta sdemanializzazione non può avvenire
tacitamente, ma richiede, a norma dell'art. 35 c.n., un espresso e formale
provvedimento dell'autorità amministrativa (decreto del ministero della Marina
mercantile di concerto con quello delle Finanze), con la conseguenza che, in
difetto di tale provvedimento, deve ritenersi nulla, per impossibilità
dell'oggetto, la vendita di detti beni effettuata al privato. (Cass. Civ., sez.
II, 14.3.1985, n. 1987).
4.
La sdemanializzazione degli usi civici.
L'art. 11, l. 16.6.1927, n. 1766, riguardante il riordinamento
degli usi civici, stabilisce che i terreni assegnati ai Comuni o alle frazioni
in esecuzione di leggi precedenti relative alla liquidazione dei diritti sui
quali si esercitano usi civici, saranno distinti in due categorie: a) terreni
convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente; b) terreni
convenientemente utilizzabili per la coltura agraria.
L'art. 12, l. 16.6.1927, n. 1766, soggiunge che per i terreni di cui alla lettera a) si osserveranno le norme stabilite nel capo 2° del titolo 4° del r.d. 30.12.1923, n. 3267.
L'art. 12, l. 16.6.1927, n. 1766, soggiunge che per i terreni di cui alla lettera a) si osserveranno le norme stabilite nel capo 2° del titolo 4° del r.d. 30.12.1923, n. 3267.
I Comuni e le associazioni non potranno, senza
l'autorizzazione del Ministero dell'economia nazionale e ora della Regione,
alienarli o mutarne la destinazione.
La valutazione della nuova destinazione dei terreni ad uso civico deve rappresentare un beneficio per la generalità degli abitanti, può riguardare qualsiasi tipo di interesse collettivo, di natura agricola, o di altro genere, industriale, commerciale, igienico sanitario, turistico, ambientale (Cass. civ., sez. II, 30.1.2001, n. 1307).
La valutazione della nuova destinazione dei terreni ad uso civico deve rappresentare un beneficio per la generalità degli abitanti, può riguardare qualsiasi tipo di interesse collettivo, di natura agricola, o di altro genere, industriale, commerciale, igienico sanitario, turistico, ambientale (Cass. civ., sez. II, 30.1.2001, n. 1307).
Devono essere rispettate per il procedimento di
sdemanializzazione le condizioni poste dalla legge per la completezza del
procedimento, tra cui l'assegnazione a categoria dei terreni oggetto della
richiesta di sdemanializzazione.
Il combinato disposto delle norme sopra richiamate rende evidente la necessità della previa individuazione, tra quelle indicate nell'art. 11, l. 16.6.1927, n. 1766, della categoria cui ascrivere l'area interessata dalla richiesta, proprio per poter consentire quella comparazione di interessi che la legge affida all'organo competente a promuovere il mutamento di destinazione, cioè la Regione.
Il combinato disposto delle norme sopra richiamate rende evidente la necessità della previa individuazione, tra quelle indicate nell'art. 11, l. 16.6.1927, n. 1766, della categoria cui ascrivere l'area interessata dalla richiesta, proprio per poter consentire quella comparazione di interessi che la legge affida all'organo competente a promuovere il mutamento di destinazione, cioè la Regione.
In base agli artt. 11
e 12, l. 16.6.1927, n. 1766, riguardante il riordinamento degli usi civici, la
valutazione della nuova destinazione dei terreni ad uso civico deve
rappresentare un beneficio per la generalità degli abitanti e può riguardare
qualsiasi tipo di interesse collettivo, di natura agricola, o di altro genere,
industriale, commerciale, igienico sanitario, turistico, ambientale, tuttavia
occorre che siano rispettate le condizioni poste dalla legge per la completezza
del procedimento, tra cui l'assegnazione a categoria dei terreni oggetto della
richiesta di sdemanializzazione al fine di consentire quella comparazione di
interessi che la legge affida all'organo competente a promuovere il mutamento
di destinazione, cioè la Regione.
5.
La legalizzazione dell’occupazione di aree demaniali. a) Le costruzioni
eseguite legittimamente.
L’art. 5 bis, d.l.
24.6.2003, n. 143, introdotto dalla l.
1.8.2003,
n. 212, stabilisce che le porzioni di aree appartenenti al patrimonio ed al
demanio dello stato, esclusi il demanio marittimo e le aree sottoposte a tutela
ambientale, parzialmente occupate da costruzioni legittimamente costruite entro
il 31.12.2002, siano cedute dall’Agenzia del demanio a favore del soggetto legittimato
che ne abbia fatto richiesta.
Sono richiesti due presupposti: l’esecuzione delle opere
entro il 31.12. 2002 e la loro realizzazione in conformità a titoli
legittimanti.
Il richiedente deve presentare il titolo di proprietà
dell’opera che ha causato l’occupazione di aree demaniali, il frazionamento
catastale e il provvedimento che ha autorizzato la costruzione, oltre alla
ricevuta del versamento all’erario del prezzo dell’area, determinato sulla base
della tabella allegata al provvedimento legislativo.
Nel tentativo di sanare situazioni che si trascinano da
decenni, la norma prevede che, in caso di mancata richiesta da parte del
proprietario, sia la stessa agenzia del demanio che debba promuoverne
l’acquisto, con la sanzione della maggiorazione del 15% del prezzo determinato
come visto in precedenza.
In caso di mancata adesione al prezzo comunicato si procede
all’acquisizione a titolo gratuito da parte dello Stato della porzione
dell’opera che ha sconfinato sull’area demaniale, secondo le norme dell’accessione
ordinaria stabilite dall’art. 936 del c.c., senza le soluzioni alternative ivi
previste che consentono al proprietario di scegliere se ritenere, pagandoli, i
materiali o costringere il costruttore a levarli a spese proprie.
La dottrina rileva le contraddittorietà sostanziali della
norma che avrebbe dovuto sempre sanzionare il comportamento del proprietario
che ha costruito su area demaniale. Egli, infatti, in ogni caso, anche se
possiede un titolo abilitante, ha una autorizzazione annullabile ed è soggetto
alla sanzione della demolizione.
I problemi sembrano, comunque, superati dal successivo
condono edilizio (Bassani 2003, 1266).
5. Per le opere
eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in
assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della
concessione o dell'autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla
disponibilità dell'ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni
previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l'uso del suolo su cui
insiste la costruzione. La disponibilità all'uso del suolo, anche se gravato di
usi civici, viene espressa dagli enti pubblici territoriali proprietari entro
il termine di centottanta giorni dalla richiesta. La richiesta di disponibilità
all'uso del suolo deve essere limitata alla superficie occupata dalle
costruzioni oggetto della sanatoria e alle pertinenze strettamente necessarie,
con un massimo di tre volte rispetto all'area coperta dal fabbricato. Salve le
condizioni previste da leggi regionali, il valore è stabilito dalla filiale
dell'Agenzia del demanio competente per territorio per gli immobili oggetto di
sanatoria ai sensi della presente legge e dell'art. 39 della l. 23.12.1994,
n.724, con riguardo al valore del terreno come risultava all'epoca della
costruzione aumentato dell'importo corrispondente alla variazione dell'indice
ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, al momento
della determinazione di detto valore. L'atto di disponibilità, regolato con convenzione
di cessione del diritto di superficie per una durata massima di anni sessanta,
è stabilito dall'ente proprietario non oltre sei mesi dal versamento
dell'importo come sopra determinato.
6. Per le costruzioni
che ricadono in aree comprese fra quelle di cui all'articolo 21 della legge
17.8.1942, n.1150, il rilascio della concessione o della autorizzazione in
sanatoria è subordinato alla acquisizione della proprietà dell'area stessa
previo versamento del prezzo, che è determinato dall'Agenzia del territorio in
rapporto al vantaggio derivante dall'incorporamento dell'area.
(art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, mod. art. 32, 43°
co., l. 24.11.2003, n. 326).
La giurisprudenza ha, in ogni modo, determinato che
l’amministrazione conserva la massima discrezionalità nell’emanazione
dell’assenso che può essere successivamente revocato, purché prima del rilascio
del provvedimento di condono.
Poiché
il rilascio della concessione edilizia in sanatoria per le opere edilizie
abusive eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici,
è subordinato alla disponibilità dell'ente proprietario a concedere
onerosamente, alle condizioni previste dalla normativa in vigore, l'uso del
suolo così occupato, detto ente ben può ritirare, nell'esercizio dei generali
poteri d'autotutela, l'assenso in un primo tempo rilasciato, prima che decorra
il termine per la formazione del silenzio assenso sull'istanza di condono
edilizio e, più in generale, prima della definizione del procedimento di
sanatoria.
(Cons.
St., sez. V, 4.8.2000, n. 4307, FA, 2000, 2661).
6.
b) Le costruzioni eseguite illegittimamente.
Le opere realizzate illegittimamente su aree demaniali o
appartenenti al patrimonio dello Stato, ad eccezione del demanio marittimo,
lacuale e fluviale, nonché su terreni gravati da diritti di uso civico possono
essere condonate qualora vi sia l’assenso dello Stato, per il tramite
dell’Agenzia del demanio, alla cessione in proprietà dell’area ovvero alla sua
concessione per il mantenimento dell’opera abusiva sul suolo (Bassani 2003,
1371).
La domanda è rivolta a chiedere la cessione a titolo
oneroso della proprietà dell’area se questa appartiene al patrimonio
disponibile dello Stato.
La domanda è tesa a garantire onerosamente il diritto al
mantenimento dell’opera se essa è realizzata sul suolo appartenente al demanio
ed al patrimonio indisponibile dello Stato, ex art. 32, 14° co., l. 24.11.2003,
n. 326.
La norma afferma la necessità di assicurare, anche mediante
specifiche clausole contenute negli atti di vendita o dei provvedimenti di
riconoscimento del diritto al mantenimento dell’opera, il libero accesso al
mare, con il conseguente diritto pubblico di passaggio, ex art. 32, 16° co., l.
24.11.2003, n. 326. L’atto di disponibilità è stipulato con convenzione di
cessione del diritto di superficie che può avere una durata massima di venti
anni a fronte di un canone commisurato ai valori di mercato, ex art. 32, 20°
co., l. 24.11.2003, n. 326.
Nel caso di aree soggette a vincoli, l’art. 32, 16° co., l.
24.11.2003, n. 326, richiede obbligatoriamente il parere favorevole
dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
La mancata concessione della sanatoria comporta
l’applicazione delle relative sanzioni.
7.
Per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente articolo si
applicano le sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6.6.
2001, n. 380.
(art.
32, l. 28.2.1985, n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).
Le facoltà che spettano allo Stato in quanto
proprietario precedono logicamente la ripartizione delle competenze.
Non è fondata, in riferimento agli artt. 117, 2°, 3°
e 4° e 119 cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 80, 6°
co., l. 27.12.2002, n. 289, il quale, al fine di favorire l'autonoma iniziativa
per lo svolgimento di attività, di interesse generale, in attuazione dell'art.
118, 4° co., cost., prevede che le istituzioni di assistenza e beneficenza e
gli enti religiosi che perseguono rilevanti finalità umanitarie o culturali
possono ottenere la concessione o locazione di beni immobili demaniali o
patrimoniali dello Stato, a un canone determinato ai sensi degli artt. 1 e 4,
l. 11.7.1986 n. 390, e mod.
6.
Gli inventari.
La disciplina dei beni patrimoniali indisponibili è
contenuta nel r.d. 18.11.1923, n. 2440, e nel relativo regolamento approvato
con r.d. 23.5.1923, n. 827. Essi sono assegnati in amministrazione al Ministero
delle finanze.
1. I beni immobili dello Stato, tanto pubblici, quanto
posseduti a titolo di privata proprietà, sono amministrati a cura del ministero
delle finanze, salve le eccezioni stabilite da leggi speciali.
2. I beni immobili assegnati ad un servizio governativo s'intendono concessi in uso gratuito al ministero da cui il servizio dipende e sono da esso amministrati. Tosto che cessi tale uso passano all'amministrazione delle finanze.
3. Ciascun ministero provvede all'amministrazione dei beni mobili assegnati ad uso proprio o di servizi da esso dipendenti, salve le disposizioni speciali riguardanti i mobili di ufficio.
(art. 1, r.d. 18.11.1923, n. 2440).
2. I beni immobili assegnati ad un servizio governativo s'intendono concessi in uso gratuito al ministero da cui il servizio dipende e sono da esso amministrati. Tosto che cessi tale uso passano all'amministrazione delle finanze.
3. Ciascun ministero provvede all'amministrazione dei beni mobili assegnati ad uso proprio o di servizi da esso dipendenti, salve le disposizioni speciali riguardanti i mobili di ufficio.
(art. 1, r.d. 18.11.1923, n. 2440).
I beni immobili patrimoniali assegnati ad un servizio
governativo sono invece amministrati dal ministero da cui il servizio stesso
dipende. (Resta 1963, 117).
1. A cura del ministro delle finanze deve formarsi
l'inventario dei beni immobili di pertinenza dello Stato, distinguendo quelli
destinati in servizio governativo dagli altri, e indicando gli elementi atti a
farne conoscere la consistenza ed il valore.
2. Ciascun ministro deve far compilare l'inventario dei mobili e dei materiali di spettanza dello Stato.
3. Il regolamento determinerà le norme per la formazione e la conservazione dei detti inventari.
(art. 2, r.d. 18.11.1923, n. 2440).
2. Ciascun ministro deve far compilare l'inventario dei mobili e dei materiali di spettanza dello Stato.
3. Il regolamento determinerà le norme per la formazione e la conservazione dei detti inventari.
(art. 2, r.d. 18.11.1923, n. 2440).
La dottrina distingue l’inventariazione che esprime
una modalità certificatoria di conservazione dall’uso sia esso governativo o
affidato a terzi che esprime una modalità gestoria (Colombini 1990, 4).
La giurisprudenza ha affermato che l'ente preposto
pervenga in tempi brevi alla tenuta dell'inventario che consenta non solo la
individuazione di ciascuna unità immobiliare e, per ciascuna di esse, lo stato
di utilizzazione ed il reddito prodotto, ma altresì, il recupero del
collegamento responsabilizzante tra singolo cespite ed ufficio od organo affidatario
del cespite stesso. (Corte Conti, sez. con. Enti, 18.10.1995, n. 54, RCC,
1995, fasc. 6, 92).
Il ministero che abbia in uso un terreno
appartenente al patrimonio dello Stato - assegnatogli dall'amministrazione
delle finanze - è legittimato ad agire in via di autotutela per reprimere
eventuali turbative al godimento del bene (T.A.R. Lazio, sez. I, 10.2.1987, n.
287, T.A.R., 1987, I, 845).
La giurisprudenza, in ogni caso, ritiene che l’iscrizione nell’inventario abbia solo un effetto dichiarativo ma non costitutivo della qualità di bene patrimoniale indisponibile.
La giurisprudenza, in ogni caso, ritiene che l’iscrizione nell’inventario abbia solo un effetto dichiarativo ma non costitutivo della qualità di bene patrimoniale indisponibile.
Affinché un bene non appartenente al demanio
necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali
indisponibili perché "destinati ad un pubblico servizio" ai sensi
dell'art. 826, 3° co., c.c. deve sussistere un doppio requisito: la
manifestazione di volontà dell'ente titolare del diritto reale pubblico e
perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell'ente di
destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e l'effettiva ed
attuale destinazione del bene al pubblico servizio.
Conseguentemente, nella specie, il fatto che il
terreno sia stato acquistato dal comune di Roma nel 1884 per realizzare una
"passeggiata pubblica" o parco e che sia stato iscritto
nell'inventario dei beni demaniali comunali, in difetto della concreta ed attuale
destinazione al pubblico servizio, non è sufficiente per riconoscere al bene il
carattere della indisponibilità.
E’ in corso un’attività di raccolta sistematica dei
dati relativi alle singole utilizzazioni alo scopo di costruire un archivio
centralizzato da gestirsi con sistemi elettronici con l’intento di recuperare
la consistenza dei singoli beni demaniali attraverso le informazioni relative
agli usi (Colombini 1990, 9).
7.
La denuncia di trasferimento della detenzione.
L’art.
59, t.u. beni cult., prevede come obbligatoria la denuncia di trasferimento
della detenzione di un bene culturale di proprietà di privati.
Il
bene mobile o immobile deve essere stato oggetto della dichiarazione di
interesse culturale, ex art. 13, t.u. beni cult.
1. Gli atti che trasferiscono, in tutto o in parte, a
qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di beni culturali sono
denunciati al Ministero.
2. La denuncia è effettuata entro trenta giorni:
a) dall'alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;
b) dall'acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell'ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso;
c) dall'erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. Per l'erede, il termine decorre dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari; per il legatario, il temine decorre dall'apertura della successione, salva rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile.
3. La denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni.
4. La denuncia contiene:
a) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;
b) i dati identificativi dei beni ;
c) l'indicazione del luogo ove si trovano i beni;
d) l'indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento;
e) l'indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali comunicazioni previste dal presente Titolo.
5. Si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o imprecise.
(art. 59, t.u. beni cult.).
2. La denuncia è effettuata entro trenta giorni:
a) dall'alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione;
b) dall'acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell'ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso;
c) dall'erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. Per l'erede, il termine decorre dall'accettazione dell'eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari; per il legatario, il temine decorre dall'apertura della successione, salva rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile.
3. La denuncia è presentata al competente soprintendente del luogo ove si trovano i beni.
4. La denuncia contiene:
a) i dati identificativi delle parti e la sottoscrizione delle medesime o dei loro rappresentanti legali;
b) i dati identificativi dei beni ;
c) l'indicazione del luogo ove si trovano i beni;
d) l'indicazione della natura e delle condizioni dell'atto di trasferimento;
e) l'indicazione del domicilio in Italia delle parti ai fini delle eventuali comunicazioni previste dal presente Titolo.
5. Si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste dal comma 4 o con indicazioni incomplete o imprecise.
(art. 59, t.u. beni cult.).
Alla
denuncia sono soggetti anche gli enti pubblici e le persone giuridiche private
senza fine di lucro.
Lo scopo della denuncia è quello di mettere in grado
l’amministrazione competente di ottenere la prelazione nell’acquisto del bene e
di esercitare gli ordinari controlli sulla gestione del bene; la conoscenza del
soggetto che ha acquistato è, pertanto, indispensabile.
Non basta quindi il solo controllo sull’autorizzazione
ma è necessario, per la dottrina, essere notiziati anche dell’acquisto.
A tale esigenza non può rispondere in modo
soddisfacente il controllo autorizzatorio sull’alienazione non fosse altro
perché tale verifica è antecedente ad una cessione che in concreto potrebbe
anche non seguire: è con la denuncia che vi è la certezza dell’avvenuto
trasferimento.
(Tamiozzo, 2005, 266).
La denuncia deve essere effettuata nel termine
perentorio di trenta giorni dalla data della stipula del contratto.
Non sussiste l’obbligo di provvedere alla denuncia dei
contratti di locazione stipulati prima dell’entrata in vigore del d.lg. 42/2004
che sancito l’obbligo espresso di denuncia oltre che per il proprietario anche
per il cedente la detenzione.
Il conduttore detentore di un immobile locato con un
contratto in corso alla data del 1.5.2004, che abbia omesso di farne denuncia
in violazione delle prescrizioni del t.u. 490/1999, non è più tenuto a farla in
quanto l’obbligazione della previgente normativa ha determinato il venire meno
nei suoi confronti dell’obbligo. Il proprietario dell’immobile, al quale il
t.u. 490/1999 imponeva di procedere alla sola denuncia di trasferimento della proprietà,
nel codice d.lg. 42/2004 assume anche l’obbligo di denunciare ogni contratto
che comporti la cessione della detenzione – quali ad esempio, locazione,
affitto, comodato, cessione in uso. Ovviamente solo per i contratti a partire
dal 1.5.2004, considerando che sotto la vigenza del t.u. il proprietario non
era tenuto a tale incombenza.
(Par.Min. 28.4.2004 n. 10204).
8.
La prelazione dello Stato.
Qualora
il bene sia venduto dal proprietario a titolo oneroso, il relativo contratto
tra venditore ed acquirente non si perfeziona automaticamente, perché
l'alienante deve denunciare la vendita all'ente che è titolare della facoltà di
prelazione, per metterlo a conoscenza dell'avvenuta vendita.
Come
tutti gli atti amministrativi l’atto di prelazione deve essere motivato.
L'atto, mediante il quale è esercitato il diritto di
prelazione, deve essere motivato dall'amministrazione in merito all'interesse
pubblico attuale all'acquisizione al patrimonio statale al fine della tutela
del bene e non anche allo scopo di destinare il bene stesso a sede di pubblici
uffici.
La denuncia ha una sua funzione nel macchinoso procedimento, perché dalla comunicazione della denuncia di vendita decorre il termine per esercitare la prelazione.
La
dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che il termine
indicato è perentorio. La denuncia deve essere presentata al competente Soprintendente
del luogo in cui si trova il bene che è oggetto della vendita, ex art.
59, d.lg. n. 42/2004.
Se l'ente, titolare del diritto di prelazione non lo esercita nel tempo indicato, la proprietà del bene passa definitivamente al compratore. Nel caso in cui la denuncia non sia presentata all’autorità competente la prelazione decorre dalla data della ricezione all’autorità competente.
Se l'ente, titolare del diritto di prelazione non lo esercita nel tempo indicato, la proprietà del bene passa definitivamente al compratore. Nel caso in cui la denuncia non sia presentata all’autorità competente la prelazione decorre dalla data della ricezione all’autorità competente.
La
denuncia è fatta al Ministero ma è presentata alla soprintendenza del luogo
dove si trovano i beni.
Ai
sensi dell'art. 58, d.lg. 29.10.1999, n. 490, l'atto privato di compravendita
di beni immobili sottoposti a vincolo storico deve essere notificato alla
Soprintendenza territorialmente competente e non al Ministero; in ogni caso, il
termine di 40 giorni entro il quale le amministrazioni interessate possono
esercitare il diritto di prelazione decorre dall'avvenuta notifica dell'atto
alla Soprintendenza. Entro il suddetto termine, il diritto di prelazione va
esercitato nella forma della dichiarazione della volontà di acquisto, non anche
in quella della sua comunicazione ai soggetti interessati.
(Cons. St., sez. VI, 30.9.2004, n. 6350, RGE, 2005, I,
558
Nel
caso in cui la denuncia di alienazione di castello sia diretta al Ministro e
non sia presentata al soprintendente del luogo dove si trova l'immobile, il
termine per esercitare la prelazione decorre dalla data di ricezione della
stessa denuncia da parte del soprintendente cui è stata restituita dal Ministro
e la proposta di acquisto fatta dal comune è ritualmente esercitata anche senza
la necessaria copertura finanziaria. (T.A.R. Molise, 27.3.2003, n. 296, RGE,
2003, I, 1354).
La
mancata denuncia, alla amministrazione ministeriale, del negozio traslativo
della proprietà di un bene sottoposto a vincolo comporta che la p.a. ha la
possibilità di esercitare in ogni tempo il diritto di prelazione, per il
permanere dell'obiettiva condizione di assoluta inefficacia del negozio,
conseguente alla sua mancata notifica nei modi e termini previsti dalla legge.
La
notifica, offrendo la formale conoscenza di tutti gli aspetti del concluso
negozio, ha anche lo scopo di costituire in mora l'amministrazione al fine del
tempestivo esercizio del diritto di prelazione.
La giurisprudenza prevalente afferma che l'ente che esercita la prelazione deve contemporaneamente emanare il mandato di pagamento perché il pagamento è elemento necessario per l'esercizio della prelazione; se non è stato adempiuto a tanto, la prelazione esercitata è priva di efficacia; né può essere sanata con il rimborso tardivo del prezzo, perché è ormai decorso il termine per l'esatto adempimento che è notoriamente perentorio (Cass. Civ., sez. un., 11.3.1996, n. 1950).
La
norma dell’art. 164 d.lg. 42/2004, prima rappresentata dall'art. 61, l.
1039/1939 ha superato la censura di illegittimità costituzionale.
La
tardività della prelazione ha posto, infatti, dei problemi in ordine alla
corresponsione del prezzo.
La
Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la censura poiché l’amministrazione
nell'esercitare la prelazione - anche se in ritardo per difetto di denuncia - è
sempre vincolata al prezzo di vendita fissato dal venditore ed accettato
dall’acquirente; prezzo che può eventualmente anche essere superiore al prezzo
di alienazione.
È infondata la questione di legittimità costituzionale
del disposto coordinato dagli artt. 61, 31, 32, l. 1.6.1939, n. 1089, nella
parte in cui, in mancanza di regolare denuncia dell'alienazione di bene
vincolato, consente in ogni tempo l'esercizio della prelazione statale su cose
di interesse storico - artistico al prezzo dichiarato nell'atto di alienazione,
in riferimento agli artt. 3 e 42 cost.
8.1.
La nullità degli atti di alienazione.
Teoricamente l’amministrazione può esercitare
un’azione civile per fare dichiarare la nullità degli atti di disposizione
(Tamiozzo 2005, 735).
1. Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici
in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I
della Patte seconda, o senza l'osservanza delle condizioni e modalità da esse
prescritte, sono nulli.
2. Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell'articolo 61, 2° co.
(art. 164, d.lg. 42/2004).
2. Resta salva la facoltà del Ministero di esercitare la prelazione ai sensi dell'articolo 61, 2° co.
(art. 164, d.lg. 42/2004).
Si
tratta di un’azione di nullità relativa. Essa può essere fatta valere solo dal
Ministro dei beni culturali e ambientali, il cui interesse è stato leso dalla
mancata richiesta di autorizzazione (Cass. Civ., sez. III, 12.10.1998, n.
10083).
L’azione
non può essere invece fatta valere fra le parti che hanno stipulato l’atto.
Ulteriore corollario della inalienabilità relativa e della nullità relativa, è che la nullità dell'alienazione non preclude, comunque, l'esercizio della prelazione da parte dello Stato in relazione all'atto di alienazione nullo.
Ulteriore corollario della inalienabilità relativa e della nullità relativa, è che la nullità dell'alienazione non preclude, comunque, l'esercizio della prelazione da parte dello Stato in relazione all'atto di alienazione nullo.
L'alienazione
di beni immobili di interesse storico-artistico di proprietà di ente pubblico,
come conclusa in spregio del diritto di prelazione dell'amministrazione
pubblica, non è affetta da nullità assoluta, ma da nullità relativa invocabile
dall'amministrazione stessa, legittimata, anche per i beni in oggetto,
all'esercizio della prelazione.
Successivamente a tale azione l’amministrazione per
acquisire il bene - che giustifica il suo intervento – è costretta ad
esercitare il diritto di prelazione.
Nel caso in cui l’amministrazione eserciti il suo
diritto di prelazione la sanziona della nullità degli atti di disposizione
conseguenti ai divieti di alienazione consegue direttamente.
L’accertamento del diritto di prelazione travolge
l’atto di disposizione precedente che non deve essere annullato con un'altra
eventuale azione civile.
L’amministrazione corrisponde il prezzo di acquisto
all'acquirente che può esigere gli interessi medio tempore maturati
dalla data dell’atto di trasferimento al pagamento da parte
dell’amministrazione (Corte Europea dei diritti dell’Uomo 5.1.2000).
L’intervento
regionale, infatti, esclude quel carattere di certezza che è tipico del diritto
soggettivo e fa viceversa palese la subordinazione - propria dell'interesse
legittimo - ad un interesse pubblico prevalente.
Si argomenta, ancora,
che le norme sul ristoro dei danni all'interno delle aree protette configurano
norme di azione, come si evincerebbe dalla dizione dell'art. 15, 3° e 4° co.,
della legge quadro 6.12.1991, n. 394, là dove si prevede che l'Ente Parco è
tenuto ad indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del Parco e che
il regolamento del Parco stabilisce le modalità per la liquidazione e la
corresponsione degli indennizzi.
In detto caso è
stato ritenuto che la qualificazione come diritto soggettivo o interesse
legittimo delle posizioni giuridiche configurabili a favore degli interessati
relativamente ai ristori conseguibili per i pregiudizi arrecati dalla fauna
selvatica alle colture agricole non è automaticamente correlata alla ubicazione
- all'esterno o all'interno delle zone di protezione - dei fondi danneggiati e
deve invece attribuirsi essenziale rilievo al concreto atteggiarsi della
disciplina positiva.
In applicazione di
tale criterio, deve riconoscersi la natura di diritto soggettivo - comportante
la giurisdizione del giudice ordinario - alla pretesa al risarcimento dei danni
provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica nell'ambito del Parco
lombardo della Valle del Ticino, fondata sull'art. 15 della "legge -
quadro" sulle aree protette n. 394 del 1991, che prevede, senza margini di
discrezionalità, l'obbligo dell'Ente parco di indennizzare i danni provocati
dalla fauna selvatica del parco nel termine di novanta giorni dal loro
verificarsi; né portata diversa è attribuibile all'art. 22, 6° co., della l.r.
Lombardia n. 33 del 1980 - norme di attuazione del piano territoriale di
coordinamento del parco del Ticino - che, nel disciplinare l'aspetto di finanza
pubblica, prevedendo finanziamenti regionali, ribadisce l'obbligo del Consorzio
di risarcire i danni arrecati dalla selvaggina alle colture all'interno della
fascia di silenzio venatorio (Cass. civ., Sez. U., 30.12.1998, n. 12901, GCM,
1998, 2664).
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