Università
degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
Facoltà di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale
La pianificazione territoriale
degli impianti nucleari
Relatore:
Prof. Alberto Clini
Tesi di laurea di
Paolo Centofanti
Matr. n. 230981
Anno accademico 2009-2010
Parte prima
La
pianificazione territoriale
Capitolo
1
La
pianificazione territoriale
1. Le fonti legislative.
2. Le funzioni regionali in
materia urbanistica.
3. Il piano territoriale
regionale.
4. Il piano territoriale di coordinamento
provinciale. Le funzioni della provincia.
5. Il procedimento di
approvazione.
6. Gli effetti. La tutela.
7. Le competenze del comune in
urbanistica. Interpretazione ampliative e restrittive
7.1. Il contenuto del piano regolatore
generale.
7.2. La zonizzazione. La localizzazione.
8. La localizzazione delle opere
pubbliche
9. La localizzazione delle
infrastrutture.
Parte Seconda
Le Fonti normative della Comunità Europea
Capitolo 2
Gli indirizzi della Comunità Europea per il settore
nucleare
1. La Comunità
europea dell'energia atomica.
1.1. Il
programma indicativo per il settore nucleare. COM (2008)776.
2. La
sicurezza nucleare. COM(2008)790.
3. I rifiuti
radioattivi. COM(2008)542.
4. La rete
informativa di allarme sulle infrastrutture critiche. COM(2008)676.
5. La
procedura di infrazione alla direttiva 96/29/Euratom e alla direttiva
89/618/Euratom.
Parte terza
La
localizzazione delle centrali elettronucleari
Capitolo
3
Dalla prima localizzazione delle centrali
elettronucleari, l. 393/1975, alla legge per favorire lo sviluppo, l. 99/2009
1. Le fonti legislative. Il
percorso legislativo dei decreti delegati dalla l. 99/2009.
1.1. La localizzazione di centrali nucleari. La l. 2 agosto
1975, n. 393.
2. Il referendum popolare.
2.1. La reintegrazione degli
oneri relativi alla chiusura definitiva di centrali nucleari.
2.2. L'Autorità per l'energia
elettrica ed il gas. La determinazione delle tariffe relative ai servizi di
fornitura dell'energia elettrica.
3. La l. 14.12.2003, n.
368, Il sito unico nazionale per lo stoccaggio.
4. Le leggi regionali che
dichiarano denuclearizzato il loro territorio. La l. r. Sardegna 3 luglio 2003,
n. 8.
4.1. La l. r. Basilicata
21 novembre 2003, n. 31.
4.2. La l. r. Calabria 5
dicembre 2003, n. 26.
4.3. La l.r. Emilia
Romagna 23.12.2004, n. 26.
4.4. Il deposito nazionale per lo
smaltimento dei rifiuti radioattivi.
4.5. La Sogin. Le funzioni.
4.6. L’autorizzazione unica per
la costruzione e l'esercizio del Parco Tecnologico.
4. 7. Il Seminario nazionale sul
Parco Tecnologico. La definizione delle aree potenzialmente idonee.
4.8. L’interesse delle regioni ad
ospitare il Parco. Il potere sostitutivo.
4.9. Le misure compensative.
5. La legge per favorire lo
sviluppo l. 99/2009. La localizzazione di impianti di produzione di energia
elettrica nucleare.
5.1. Il ricorso alla Corte
Costituzionale contro l’esautoramento
degli enti locali a proposito della scelta dei siti.
6. Le modalità di adozione del ex
articolo 20 della legge n. 59 del 1997.
7. La legislazione regionale che
preclude l’installazione di impianti di produzione di energia elettrica
nucleare. L. R. Puglia 4 dicembre 2009, n. 30. L. R. Campania 21 gennaio 2010,
n. 2. L. R. Basilicata 13 gennaio 2010, n. 1.
8. Il
conflitto di attribuzione.
9. Il d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.
Capitolo
4
I decreti delegati. La certificazione dei siti.
1. L’Agenzia
per la sicurezza nucleare di cui all’art. 29 della legge 23 luglio 2009, n. 99.
Autorità amministrativa indipendente.
1.1. Le
funzioni.
2. I requisiti
degli operatori e degli impianti fissati con d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.
3.
Le caratteristiche dei siti. Lo schema di parametri per le aree idonee.
3.1. Il
segreto militare nel d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.
4.
La Valutazione Ambientale Strategica.
5. I
contenuti.
6. L’istanza per
la certificazione dei siti. Il procedimento
7.
L’intesa con la regione interessata. Il procedimento in caso di dissenso. Il
Comitato interistituzionale Ministeri - Regione.
7.1. Il potere sostitutivo.
I principi costituzionali.
Capitolo
5
L’informazione ambientale.
1. Le informazioni ambientali. La legge 8 luglio 1986, n.
349.
1.1. La natura del diritto di accesso
all’informazione ambientale.
2. La Convenzione internazionale di Aarhus del 25 giugno
1998 "sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai
processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale
3.
Il decreto legislativo 19 agosto 2005 n.195 sull'accesso del pubblico
all'informazione ambientale.
4.
La campagna di informazione nel d. lg. 15 febbraio 2010, n. 31.
Capitolo
6
La tutela.
1. Le funzioni del Ministero
dell’ambiente e degli Enti locali.
2. Le funzioni delle associazioni ambientaliste.
3.
La tutela. Il rinvio alla l. 163/2006
Parte quarta
Conclusioni
Capitolo
7
Conclusioni
Bibliografia
Parte prima
La
pianificazione territoriale
Capitolo
1
La
pianificazione territoriale
SOMMARIO:
1. Le fonti legislative. 2. Le funzioni regionali in materia urbanistica. 3. Il
piano territoriale regionale. 4. Il piano territoriale di coordinamento
provinciale. Le funzioni della provincia. 5. Il procedimento di approvazione.
6. Gli effetti. La tutela. 7. Le competenze del comune in urbanistica.
Interpretazione ampliative e restrittive 7.1. Il contenuto del piano regolatore
generale. 7.2. La zonizzazione. La localizzazione. 8. La localizzazione delle
opere pubbliche. 9. La localizzazione delle infrastrutture.
1. Le fonti legislative.
La pianificazione territoriale
trova la sua fonte legislativa nella legge urbanistica l. 17 agosto 1942, n.
1150 [1].
L’articolo 4 afferma che
la disciplina urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori territoriali,
dei piani regolatori comunali e delle norme sull'attività costruttiva edilizia,
sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti.
La pianificazione territoriale
era in un primo tempo soggetta al controllo del Ministero dei lavori pubblici
poi con l’avvento delle regioni le competenze sono state loro trasferite d.p.r.
15 gennaio 1972 n. 8 e dal d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616.
L’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n.
267, attribuisce alla provincia i compiti di programmazione territoriale.
Poi è intervenuta la modifica
della costituzione all’art. 117 con la l. cost. n 3/2001 che fissa il governo
del territorio come materia a competenza concorrente Stato Regioni.
La norma afferma che nelle
materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato
La dottrina nota anzitutto il
dato fondamentale: la sostituzione di un sistema caratterizzato dalla
competenza legislativa generale delle Regioni ad un sistema in cui invece alle
Regioni era attribuita competenza soltanto in un numero limitato di materie
creerà in Parlamento ampi spazi da riempire necessariamente con le limitate
attribuzioni residue.
In secondo luogo la constatazione
che il vero e proprio terremoto, che ha investito il potere legislativo, ha
sostanzialmente risparmiato la competenza statale nella materia urbanistica in
senso lato. Allo Stato è attribuita, infatti, legislazione esclusiva in tema di
«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali» e la
«determinazione dei principi fondamentali» per «governo del territorio», «porti
e aeroporti civili» e «grandi reti di trasporto e di navigazione». Resta fuori
la stessa attuazione delle direttive comunitarie in materia di lavori pubblici,
il che desta notevoli preoccupazioni; ma la sostituzione dell'espressione
«urbanistica» con «governo del territorio», di portata evidentemente più ampia,
giustifica un moderato ottimismo [2].
A tal punto è da inserire la
legislazione speciale che prevede il regolamento di localizzazione delle opere
pubbliche, approvato con d.p.r. 383/1994, che prevede la convocazione di una
conferenza di servizi che ha il compito di pianificare la localizzazione degli
interventi pubblici.
Per consentire la celere
realizzazione di infrastrutture e di insediamenti produttivi strategici di
interesse nazionale è stato poi approvato il d.lg. 12.4.2006, n. 163.
Le localizzazioni di ulteriori
particolari interventi sono disciplinate dalla legislazione speciale come ad
esempio la localizzazione delle centrali nucleari. L’individuazione dei siti
per detti interventi pone delicati problemi in ordine alla funzione statale di
localizzare le opere e quella regionale e comunale di pianificare il loro
territorio.
La normativa speciale trova le
fonti nella l. 2.8.1975, n. 393, che disciplina la localizzazione,
l'autorizzazione e il nulla osta alla costruzione delle centrali
elettronucleari dell'ENEL.
L’abrogazione della legge con
referendum popolare non ha eliminato tutti i problemi connessi con la
realizzazione delle centrali.
E’ ancora insoluta la questione
dell'individuazione di un sito unico nazionale per lo stoccaggio definitivo dei
residui radioattivi. La l. 14.12.2003, n. 368 deve ancora trovare attuazione
anche per i contrasti sorti con le regioni che hanno tentato di dichiarare
denuclearizzato il loro territorio impedendo il transito dei rifiuti speciali.
Su tale contesto legislativo si
innesta la l. 23.7.2009, n. 99, che delega il Governo ad adottare uno o più
decreti legislativi per riformare la disciplina della localizzazione nel
territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare e
di fabbricazione.
2. Le funzioni regionali in materia urbanistica.
Il trasferimento alle regioni
delle funzioni in materia di urbanistica e di opere pubbliche di interesse
regionale, ai sensi dell'art. 117 della costituzione, inizia col d.p.r. 8/1972.
Questo è completato dal d.p.r.
616/1977, che trasferisce alle regioni le funzioni amministrative riguardanti
l'approvazione degli strumenti urbanistici sovracomunali e di quelli generali
ed attuativi, il rilascio di concessioni urbanistiche ed in deroga ed i
provvedimenti repressivi, le competenze in materia di espropriazione per
pubblica utilità.
Con le funzioni sono trasferiti
gli uffici periferici del Ministero dei lavori pubblici: il genio civile e il
provveditorato opere pubbliche, comprese le sezioni urbanistiche istituite
presso i provveditorati.
Allo Stato è riservata la
funzione di indirizzare e di coordinare nelle linee fondamentali l'assetto del
territorio nazionale e quella di disciplinare le aree sismiche.
Le regioni hanno regolato i
contenuti del piano urbanistico regionale, dando nuovi effetti alla
programmazione territoriale ed imponendo un diverso ruolo alle amministrazioni
che operano sul territorio.
Da tali funzioni scaturiscono
effetti diversi [3].
La funzione programmatoria del
piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, province, comuni, a
adeguarsi alle sue disposizioni.
Le prescrizioni aventi
carattere esecutivo comportano di norma l’adozione delle misure di
salvaguardia.
Il piano può avere una
disciplina prevalente rispetto a quella dei vigenti strumenti urbanistici.
In tal caso, a tutela delle
disposizioni di piano, il sindaco è obbligato a sospendere ogni determinazione
sulle domande di permesso di costruire.
Il decentramento avviene a
livello provinciale poiché la pianificazione si articola attraverso il piano
territoriale di coordinamento provinciale che costituisce, a tale livello,
l'articolazione del piano territoriale regionale ed il quadro di riferimento
del piano socio-economico dell’area.
3.
Il piano territoriale regionale.
Il piano territoriale di
coordinamento costituisce atto di indirizzo della regione per il governo del
suo territorio, ex art. 5, l.
1150/1942 [4].
Effetto principale
dell’approvazione del piano è quello di imporre agli strumenti urbanistici
comunali di adeguarsi alle disposizioni in esso contenute; così, quindi, si
vieta il rilascio di provvedimenti autorizzatori in contrasto con tali
disposizioni, ex art. 6, l.
1150/1942.
Le norme del piano non possono
essere successivamente modificate dalle norme di piano regolatore.
La funzione programmatoria del
piano vincola direttamente tutti gli enti pubblici, le province, i comuni, che
devono recepire le sue disposizioni, legittimando la regione ad intervenire per
modificare gli strumenti urbanistici che non vi si adeguino.
La giurisprudenza afferma che la
regione, in sede di approvazione di piano regolatore generale o di una sua
variante, ha la facoltà di introdurre modificazioni finalizzate all'adeguamento
del piano agli standard, alla pianificazione territoriale di coordinamento,
ovvero alle esigenze della programmazione di opere pubbliche di rilievo ultracomunale,
purché tali modifiche non alterino sostanzialmente l'impostazione del piano
così come adottato dal comune [5]
.
Il piano urbanistico territoriale
non esplica direttamente la sua efficacia nei confronti delle singole proprietà
fondiarie, ma esso è esclusivamente rivolto alle amministrazioni pubbliche
territoriali che sono tenute all'adeguamento dei rispettivi strumenti
urbanistici al suddetto piano territoriale.
E’ stato affermato che il piano
urbanistico territoriale approvato con l. r. Campania 27.6.1987, n. 35 va
considerato, a tutti gli effetti, come un piano territoriale di coordinamento -
previsto dagli artt. 5 e 6 della l. 17.8.1942, n. 1150 - e si configura,
quindi, come strumento di indirizzo nonché di controllo inerente all'utilizzazione
del territorio, in grado di vincolare esclusivamente i comuni; di conseguenza
le prescrizioni urbanistiche del piano territoriale stesso non possono
ritenersi direttamente operative nei confronti dei privati ed esse non
impongono sui beni di questi ultimi vincoli immediati se non, attraverso il
recepimento del piano, quelli previsti dalla normativa urbanistica di grado
inferiore e di livello comunale [6].
Il piano, inoltre, può
legittimamente imporre vincoli di inedificabilità assoluta in presenza di particolari
e definite situazioni ambientali che si intendono tutelare: Il divieto di
edificazione nella fascia costiera di cui all'art. 519, lett. f), l. r. Puglia,
31.5.1980, n. 56, non rappresenta una misura di salvaguardia ma un vincolo
d'inedificabilità assoluta preclusivo del rilascio della concessione edilizia
fino all'adozione del piano territoriale [7].
4. Il piano territoriale di coordinamento
provinciale. Le funzioni della provincia.
Gli artt. 19 e 20, d.lg.
18.8.2000, n. 267, attribuiscono alla provincia il ruolo di ente intermedio tra
regione e comune, con funzioni di coordinamento e di programmazione economica e
territoriale ambientale [8].
Vengono attribuite alla provincia
le funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e dell’ambiente, di
tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, dei beni
culturali, della viabilità e dei trasporti, di protezione della flora e della
fauna, della caccia e della pesca, di protezione ambientale, di controllo dei
rifiuti e degli scarichi delle acque ed emissioni atmosferiche, dei servizi
sanitari.
La dottrina asserisce che la
provincia nel nuovo assetto delle autonomie locali ha occupato il posto della
regione alla quale si è sostituita nella titolarità e nell’esercizio di quasi
tutte le funzioni amministrative [9].
In particolare l’art. 20, d.lg.
18.8.2000, n. 267, conferma alla provincia i compiti di programmazione
territoriale disponendo che la provincia:
a) raccoglie e coordina le
proposte avanzate dai comuni, ai fini della programmazione economica,
territoriale ed ambientale della regione;
b) concorre alla determinazione
del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali
secondo norme dettate dalla legge regionale;
c) formula e adotta, con riferimento
alle previsioni e agli obiettivi del programma regionale di sviluppo, propri
programmi pluriennali sia di carattere generale che settoriale e promuove il
coordinamento dell'attività programmatoria dei comuni.
La provincia, inoltre, ferme
restando le competenze dei comuni ed in attuazione della legislazione e dei
programmi regionali, predispone ed adotta il piano territoriale di
coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio e,
in particolare, indica:
a) le diverse destinazioni del
territorio in relazione alla prevalente vocazione delle sue parti;
b) la localizzazione di massima
delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione;
c) le linee di intervento per la
sistemazione idrica, idrogeologica ed idraulico-forestale ed in genere per il
consolidamento del suolo e la regimazione delle acque;
d) le aree nelle quali sia
opportuno istituire parchi o riserve naturali.
I programmi pluriennali e il
piano territoriale di coordinamento sono trasmessi alla regione ai fini di
accertarne la conformità agli indirizzi regionali della programmazione
socio-economica e territoriale, art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267.
E’ sancita la competenza
programmatoria della provincia.
Le funzioni della provincia si
esercitano sia in campo economico, concorrendo a determinare il piano regionale
di sviluppo, sia in campo urbanistico, attraverso il piano territoriale di
coordinamento che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio
provinciale.
La dottrina evidenzia che il
quadro che ne risulta è quello di un piccolo (al ridotto livello provinciale)
piano regionale territoriale di coordinamento, con una più attenta
considerazione delle tematiche ambientali e della tutela del suolo ed uno stringersi
dei rapporti tra pianificazione economica e territoriale [10].
Il piano trova un limite
programmatorio negli indirizzi regionali e nel relativo piano territoriale di
coordinamento cui deve adeguarsi.
Si profila un’evidente necessaria
sovraordinazione fra la programmazione urbanistica rapportata a livello
provinciale e quella dei singoli comuni.
Ad esempio, la norma prevede che
se la provincia indica nel suo territorio delle aree a vocazione industriale o
artigianale il comune deve prenderne atto e dimensionare le sua autonomia
pianificatoria.
La norma, inoltre, dispone che la
legge regionale detti le procedure di approvazione, nonché norme che assicurino
il concorso dei comuni alla formazione dei programmi pluriennali e dei piani
territoriali di coordinamento.
Ai fini del coordinamento e
dell'approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale predisposti
dai comuni, la provincia esercita le funzioni ad essa attribuite dalla regione
ed ha, in ogni caso, il compito di accertare la compatibilità di detti
strumenti con le previsioni del piano territoriale di coordinamento.
Gli enti e le amministrazioni
pubbliche, nell'esercizio delle rispettive competenze, si conformano ai piani
territoriali di coordinamento delle province e tengono conto dei loro programmi
pluriennali, art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267.
La attribuzione alle province di
competenze in materia di pianificazione territoriale non comporta alcuna
diminuzione delle attribuzioni demandate alle regioni.
Le attribuzioni provinciali, infatti,
devono essere esercitate nel rispetto delle indicazioni programmatiche
provenienti da atti o provvedimenti regionali.
Il potere regionale di
approvazione o quanto meno di presa d’atto del piano definisce gli ordinamenti
programmatori distinguendo come principale il potere regionale cui deve
conformarsi il pianificatore provinciale e quello comunale:
La giurisprudenza ha ribadito che
il livello di programmazione territoriale provinciale è subordinato a quello
regionale.
L'art. 15 della l. 8.6.1990, n. 142,
ora modificato dall’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267, nella parte in cui
prevede che ogni provincia debba adottare un piano territoriale di
coordinamento, non esclude la subordinazione del piano provinciale alla
pianificazione regionale; l’art. 15 della l. 142/1990, pertanto, non è in
contrasto con l'art. 117 cost., perché i piani urbanistici provinciali debbono
comunque sottostare allo strumento di coordinamento costituito dal piano
regionale [11].
5. Il procedimento di approvazione.
La dottrina rileva che il potere
attribuito alle province è sottoposto al limite della partecipazione
obbligatoria dei comuni alla stesura del piano.
Sotto un profilo generale, il
piano territoriale di coordinamento della provincia incontra due limiti: a
monte della necessaria conformità dei piani agli indirizzi regionali della
programmazione socio-economica e territoriale; a valle, della necessaria
partecipazione dei comuni alla formulazione del piano partecipazione
obbligatoria dei comuni alle stesura del piano.
La legislazione regionale deve
definire minuziosamente il procedimento di approvazione del piano.
L’art. 20, 4° co., d.lg.
267/2000, prevede che la Provincia, nel redigere il piano territoriale di
coordinamento provinciale, chieda la cooperazione dei Comuni e delle Comunità
montane e la partecipazione delle organizzazioni sindacali ed economiche e
delle differenti realtà professionali, sociali e culturali [12].
La fase preparatoria acquista una
valenza fondamentale poiché, se si realizza un reale coinvolgimento delle amministrazioni
comunali, si ottiene una maggiore attenzione delle stesse alla successiva fase
di adozione e di recepimento.
I meccanismi che si accontentano
del silenzio assenso delle amministrazioni comunali senza il loro
coinvolgimento scontano, in effetti, la troppo veloce elaborazione iniziale.
La fase del deposito del piano e
della sua pubblicità acquista la valenza di permettere alle amministrazioni
interessate, soprattutto dalle varianti proposte, di formulare eventuali
osservazioni.
La legislazione regionale deve
prevedere che il piano sia adottato dalla Provincia che lo deposita presso la
propria sede e, inoltre, presso le sedi dei Comuni e delle Comunità montane
della provincia. Il deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino Ufficiale
della regione ed almeno su un quotidiano locale.
Qualora il piano proponga la
variante ad uno strumento regionale di programmazione e di pianificazione
territoriale, esso deve essere depositato anche presso l’ufficio della
Presidenza del consiglio regionale e presso le sedi delle altre amministrazioni
provinciali. L’avvenuto deposito deve essere pubblicizzato sul Bollettino
Ufficiale della regione e su un quotidiano locale, specificando lo strumento
regionale di cui si propone variante.
La dottrina ha ritenuto che, in
carenza di disposizioni legislative espresse, la partecipazione dei privati
risulti estranea ai contenuti del piano, che sono infatti diretti alle
amministrazioni comunali, pur essendo la stessa considerata ammissibile dalla
legislazione regionale.
6. L’adozione delle misure di salvaguardia.
L’adozione del piano comporta
l’immediata adozione delle misure di salvaguardia che impone la sospensione di
ogni attività che sia in contrasto col piano fino alla relativa approvazione
della regione.
Il comune è obbligato alla
sospensione di ogni determinazione su domande di permesso di costruire che
siano in contrasto con le previsioni del piano provinciale.
Il provvedimento regionale si
concretizza entro un termine normalmente prefissato, pena la decadenza delle
stesse misure.
Successivamente all’entrata in
vigore del piano, dopo l’approvazione regionale, vi è il relativo obbligo per
il comune di adeguare allo stesso il proprio strumento urbanistico.
La giurisprudenza precisa che nel
caso in cui le norme tecniche di attuazione del piano regolatore dettino per la
stessa area discipline diverse ed in apparente contrasto, l'antinomia va
risolta in via interpretativa, in base ai criteri generali, come quello per cui
la disposizione speciale prevale su quelle più generali, e con riferimento alla
ratio legis; onde l'esplicita volontà
del pianificatore comunale di non discostarsi dalle prescrizioni del piano
territoriale di coordinamento provinciale nelle aree di tutela ambientale,
senza eccezione alcuna, rende evidente che la norma costituisce espressione di
una scelta vincolante per l'interprete, tanto da non ammettere soluzioni
ermeneutiche che compromettano la necessaria conformità del piano regolatore comunale
al piano territoriale provinciale di coordinamento [13].
Il piano non è un mero programma
di iniziative economiche che non incide direttamente sulle posizioni
giuridiche, ma esso, al contrario, risulta destinato a condizionare le
disposizioni di piano tuttora vigenti attraverso le misure di salvaguardia.
In tal senso non sembra da
condividere l’orientamento della dottrina che esclude l’impugnabilità diretta
del piano.
Non è ammessa l’impugnativa del
piano territoriale provinciale in quanto non ha effetti immediati e diretti;
essa è ammessa soltanto in via incidentale in sede di impugnazione del piano
regolatore che recepisca i dettami e le previsioni del piano territoriale [14].
I comuni, il cui territorio sia
compreso in tutto o in parte nell’ambito di un piano territoriale di
coordinamento, sono tenuti ad uniformare a questo il rispettivo piano regolatore comunale, ai sensi dell’art. 6, 2°
co., l. urb.
7.
Le competenze del comune in urbanistica. Interpretazione ampliative e
restrittive
La giurisprudenza difende il
ruolo autonomo del comune anche in rapporto alla pianificazione sovraordinata.
Essa afferma che la risalente
nozione del sistema pianificatorio urbanistico come ordinato "a
cascata" e cioè in forma sostanzialmente gerarchica si pone in contrasto
con il principio costituzionale dell'autonomia degli enti territoriali, art.
118 cost., nonché con il criterio generale di riparto delle competenze in
materia urbanistica delineato dalla normativa statale.
Il principio di sussidiarietà da
un lato e la spettanza al comune di tutte le funzioni amministrative che
riguardano il territorio comunale dall'altro orientano i vari livelli di
pianificazione urbanistica secondo il criterio della competenza.
Il ruolo del comune non può
essere confinato nell'ambito della mera attuazione di scelte precostituite in
sede sovraordinata. Ciò comporta che il comune, se non può disattendere le
prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti come regione o provincia
titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i
contenuti [15].
La giurisprudenza giunge a
riconoscere al comune la possibilità di aumentare le prescrizioni a tutela del
suo territorio rispetto ai principi affermati dalla legislazione nazionale
affermando che il comune può introdurre prescrizioni urbanistiche a fini di
protezione ambientale, anche indipendentemente ed oltre le specifiche normative
di settore.
Questo potere rientra
nell'attività di pianificazione generale di competenza comunale; la tutela dei
valori paesistico-ambientali si realizza, infatti, anche attraverso la
pianificazione urbanistica e il comune, pure ai fini di tutela ambientale, può
prendere in considerazione interessi pubblici pertinenti ad altre autorità o
enti, comunque connessi alla tutela del paesaggio ma tutti incidenti sul
territorio [16] .
La contestazione della scelta
pianificatoria effettuata dall'amministrazione, non può censurare
l’apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
sia inficiato da errori di fatto o da abnormi illogicità [17].
Un indirizzo difforme ritiene che
vi sia un limite al potere pianificatorio del comune ad esempio nella
installazione delle stazioni radio base per la telefonia.
L'amministrazione comunale ha
certamente il potere di localizzare gli impianti, ma come ormai acclarato in
giurisprudenza occorre distinguere tra i criteri di localizzazione (consentiti)
ed i limiti alla localizzazione non consentiti.
E’ consentito alle regioni ed ai
comuni, ciascuno per la sua competenza, introdurre criteri localizzativi degli
impianti per l'installazione delle stazioni radio base per la telefonia Umts,
nell'ambito della funzione di definizione degli "obiettivi di
qualità" consistenti in criteri localizzativi, di cui all'art. 3, comma 1,
lettera d, ed all'art. 8, comma 1, lettera e, e comma 6 della legge quadro; non
è invece consentito introdurre limitazioni alla localizzazione.
Sono criteri localizzativi
legittimi, ancorché espressi in negativo i divieti di installazione su
ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, siccome riferiti a
specifici edifici; sono, invece , limitazioni alla localizzazione vietate i
criteri distanziali generici ed eterogenei, quali la prescrizione di distanze
minime, da rispettare nell'installazione degli impianti, dal perimetro esterno
di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da
quelle specificamente connesse all'esercizio degli impianti stessi, di
ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili
nido, nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni
storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico,
di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi.
In ultima analisi i comuni
possono legittimamente vietare l'installazione su specifici edifici e dettare
criteri distanziali concreti, omogenei e specifici. Non possono introdurre
misure di cautela distanziali generiche ed eterogenee. [18]
La giurisprudenza ha ritenuto
illegittima la disposizione delle norme tecniche di attuazione (n.t.a.) del
piano regolatore generale (p.r.g.) che individua due soli siti per
l'installazione delle stazioni radio base per la telefonia Umts in zona F, con
implicita inibitoria di diversa ubicazione in altra zona.
Ciò contrasta anzitutto con il
principio di assimilazione "ad ogni effetto" delle
"infrastrutture delle reti pubbliche di comunicazione" alle opere di
urbanizzazione, sancito dall'art. 86 comma 3, d.lg. n. 259 del 2003. Inoltre la
potestà assegnata al comune dall'art. 8 comma 6, l. n. 36 del 2001, di
disciplinare "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli
impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione a campi
elettromagnetici" deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe,
poste a presidio di interessi di rilievo pubblico ma non può introdurre un
generalizzato divieto di installazione in tutte le zone urbanistiche
identificate dal p.r.g. ad esclusione di due sole aree comprese in zona F. [19]
7.1. Il contenuto del piano regolatore
generale.
L’art. 7 della l. 1150/1942 determina il contenuto obbligatorio del piano
regolatore generale. [20]
La norma prescrive che: il piano
regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare
essenzialmente:
1) la rete delle principali vie
di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi
impianti;
2) la divisione in zone del
territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all'espansione
dell'aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da
osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare
spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad
edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse
collettivo o sociale;
5) i vincoli da osservare nelle
zone a carattere storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l'attuazione del
piano, art. 7, l. 17.8.1942, n. 1150.
Tali indicazioni sono state
disattese nella pratica, concretizzando una pianificazione rigida, poiché il
piano regolatore ha disciplinato minuziosamente l’assetto del territorio e la
pianificazione esecutiva si è trovata costretta in maglie troppo rigide. La
legge urbanistica non prevede gli elaborati che devono costituire il
provvedimento di adozione del piano da parte dell’ente locale, salvo la
relazione finanziaria.
Il rapporto fondamentale fra
programmazione e strumenti finanziari è disciplinato dall'art. 30 della l. urb.
che contribuisce a dare alle scelte di piano il necessario contenuto di
concretezza.
La norma prevede che il piano
regolatore generale, agli effetti del primo comma dell'art. 18, ed i piani
particolareggiati previsti dall'art. 13 devono essere corredati di un piano
finanziario formato dal comune e approvato, oltre che dai normali organi di
tutela, dai ministri dell'interno e delle finanze, art. 30, l. 17.8.1942, n.
1150.
Evidentemente è estremamente
improbabile riuscire a programmare economicamente, con sufficiente
autorevolezza, per un periodo di tempo illimitato, anche se la previsione
finanziaria è richiesta solo per l’acquisizione delle aree.
La dottrina afferma che: la
funzione della previsione di massima della spesa è quella di tradurre in realtà
economica e di dimostrare concretamente la possibilità di realizzazione del
piano regolatore, senza peraltro che essa costituisca oggi un elemento per
mezzo del quale deve essere dimostrata la possibilità economica del Comune di
realizzare il piano in ogni sua parte. [21]
Il dettato legislativo è stato,
comunque, minimizzato dalla giurisprudenza, che ha reso le scelte di piano
meramente programmatorie.
Essa afferma che la relazione
finanziaria di accompagnamento al piano regolatore, prevista dall'art. 30, l.
17.8.1942, n. 1150, non costituisce elemento essenziale dello stesso, ben
potendo intervenire anche successivamente, quando venga deliberata
l'espropriazione dell'area interessata dal vincolo [22].
La
legislazione regionale ha normato tale materia.
La relazione illustrativa
contiene, oltre ad una analisi del tessuto urbanistico ed edilizio esistente,
le ragioni che motivano le scelte di piano.
Vi sono esposti i motivi che
determinano la collocazione delle varie zone (quali il centro storico, le zone
di completamento, le zone di espansione, ecc.,) e la localizzazione delle
infrastrutture, dei servizi e delle principali opere pubbliche.
Le norme di attuazione dettano le
norme specifiche che regolano gli interventi in materia di urbanizzazione,
distanze, indici di edificabilità, volumetria, ecc.
La legislazione regionale ha dato
alla pianificazione comunali una disciplina che ha connotati diversi da quella
nazionale [23].
7.2. La zonizzazione. La localizzazione.
Il piano regolatore generale è lo
strumento territoriale a carattere generale che ha funzione programmatoria e
vincolante sulla destinazione delle aree, in attesa che l'amministrazione
giunga all'attuazione del piano.
Nell'esercizio di questa funzione
l'amministrazione comunale opera con
assoluta discrezionalità sulle scelte da compiere, non essendo ammesso
alcun sindacato giurisdizionale in merito alle stesse.
Queste sono censurabili solo
nella logicità e nella attendibilità degli obiettivi che anche la
pianificazione deve perseguire.
La giurisprudenza ha diviso le
prescrizioni contenute nel piano, distinguendo le zonizzazioni dalle
localizzazioni.
Sono considerate zonizzazioni
quelle prescrizioni di piano che suddividono in zone il territorio comunale ,
precisando le caratteristiche di ogni singolo
comparto [24].
La zonizzazione dell'intero
territorio comunale o di parte di esso incide su di una generalità di beni, nei
confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della
destinazione dell'intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione della sue
caratteristiche intrinseche o del rapporto (per lo più spaziale) con un'opera
pubblica [25].
Ad esempio,
vengono delimitate le zone destinate alla residenza e quelle riservate
all'industria.
Vengono inoltre determinati i
vincoli ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di quelle di carattere
storico, ambientale e paesistico, ai sensi dell'art. 7 della l. 1150/1942.
Le norme di zonizzazione hanno
natura cogente, come tutti i limiti che la pubblica amministrazione dà
all'attività dei privati, e trovano un supporto normativo nell’art. 11, l.
urb., che impone l'obbligo ai proprietari degli immobili di osservare nelle
costruzioni le linee e le prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.
La zonizzazione detta
prescrizioni a carattere programmatico che, per essere tradotte in pratica,
abbisognano di ulteriori specifiche disposizioni [26].
Le norme di zonizzazione non
hanno natura ablatoria, in quanto la pubblica amministrazione impone delle direttive
ai privati senza acquisire gli immobili che, di norma, anzi, ottengono dalle
prescrizioni di zona una rendita di posizione.
Con la localizzazione
l'amministrazione opera una scelta programmatoria gestionale indicando,
scegliendole fra quelle disponibili, le aree, non importa se edificate o meno,
su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico [27].
Come ad esempio la rete delle
principali vie di comunicazione stradale, ferroviaria e di navigazione e dei
relativi impianti, le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o
sottoposte a determinate servitù, le aree da riservare ad edifici pubblici o di
uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale
previste dall'art. 7, nn.1-3-4 della Legge urbanistica.
8. La localizzazione delle opere pubbliche
L'art. 2 della l. 537/1993 ha
consentito l'emanazione del regolamento di localizzazione delle opere
pubbliche, approvato con d.p.r. 383/1994, che prevede, in caso di difformità
delle opere dagli strumenti urbanistici, la convocazione di una conferenza di
servizi cui partecipano la regione, i comuni, le amministrazioni dello Stato
interessate, nonché gli enti tenuti ad adottare atti di intesa.
Gli effetti dell’approvazione del
progetto sono sanciti dalla norma: 4. L'approvazione dei progetti, nei casi in
cui la decisione sia adottata dalla conferenza di servizi all'unanimità,
sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le concessioni, anche
edilizie, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta, previsti da leggi
statali e regionali. In mancanza dell'unanimità si applicano le disposizioni di
cui all'art. 81, 4° co., del d.p.r. 24.7.1977, n. 616, art. 3, d.p.r. 383/1994.
Per la giurisprudenza: Il
disposto dell’art. 3, d.p.r. 383/1994, va interpretato nel senso di attribuire
all'atto di approvazione del progetto da parte della conferenza, nei casi in
cui la decisione sia adottata dalla conferenza di servizi all'unanimità, non il
mero valore di deroga agli strumenti urbanistici generali dei Comuni
interessati dalla esecuzione dell'opera pubblica, ma anche il valore di
approvazione definitiva del progetto definitivo.
Lo schema legalmente tipizzato
del procedimento prevede che tale approvazione avvenga senza che ciò comporti
la necessità di ulteriori deliberazioni del soggetto proponente e contiene un
preciso riferimento all'approvazione dei progetti una volta che l'accertamento
di conformità urbanistica abbia dato esito positivo, ex art. 14-ter della l. 241/90.
Alla conferenza deve, però,
partecipare il soggetto competente ad emettere tale volontà di approvazione.
Non rientra nello schema della
conferenza di servizi alcuna possibilità di alterazione dell'ordine delle
competenze delle amministrazioni coinvolte [28].
Nel caso di aree vincolate è
necessaria la partecipazione alla conferenza della Soprintendenza.
La giurisprudenza ha affermato
che: è illegittimo l'assenso alla localizzazione di un'opera pubblica in zona
vincolata nell'ipotesi in cui alla conferenza di servizi di cui all'art. 3,
d.p.r. n. 383 del 1994 non abbia partecipato la Soprintendenza del Ministero per
i beni e le attività culturali territorialmente competente, ai fini del riesame
di legittimità in relazione all'autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla
Regione ai sensi dell'art. 151, d.lg. 29.10.1999, n. 490.
In mancanza di approvazione
all'unanimità l’amministrazione interessata ricorre al decreto del presidente
del consiglio dei ministri, come previsto dall'art. 81, 4° co. del d.p.r.
616/1977, secondo la procedura sopra esaminata [29].
L'intesa è un provvedimento
amministrativo soggetto alle normali impugnative.
Qualora siano dei privati a
realizzare interventi in zone demaniali, essi devono munirsi di regolare
permesso di costruire, ex art. 8, t. u. ed.
Le procedure di localizzazione di
interesse di amministrazioni diverse dagli enti locali sono indicate dall'art.
55 del d.lg. 112/1998 che prevede una programmazione triennale da parte
dell’amministrazione procedente attuata con programmi da presentare annualmente
all’amministrazione locale interessata.
In caso di variazione degli
strumenti urbanistici l’opera deve essere accompagnata da uno studio sugli
effetti urbanistico territoriali e ambientali dell’opera.
9. La localizzazione delle infrastrutture. La
conferenza di servizi. L’approvazione
del progetto.
Il d.lg.
12.4.2006, n. 163, definisce il quadro normativo finalizzato alla celere
realizzazione di infrastrutture e di insediamenti produttivi strategici di
interesse nazionale sostituendo il d.lg. 20.8.2002, n. 190 [30].
Il Ministero delle Infrastrutture
è il soggetto demandato a dare impulso e coordinamento alle attività delle
amministrazioni interessate alla realizzazione delle infrastrutture, ex art. 163, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
Il progetto deve ottenere
l’approvazione del CIPE, espressa a maggioranza dei suoi componenti, che
sostituisce ogni altra autorizzazione o parere in qualunque modo denominati
L’intero programma delle
infrastrutture è soggetto ad una intesa fra Stato e regioni.
La norma afferma che:
L'approvazione dei progetti delle infrastrutture e insediamenti di cui al comma
1 avviene d'intesa tra lo Stato e le regioni nell'ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni e province autonome
interessate, secondo le previsioni della l.
21.12.2001, n. 443, e dei successivi articoli
del presente capo, art. 161, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
L'approvazione del progetto di
ogni singola opera avviene invece col consenso di tutti i soggetti interessati.
Il progetto preliminare non è
sottoposto a conferenza di servizi. Il progetto preliminare, istruito secondo
le previsioni del presente articolo, è approvato dal CIPE. Il CIPE decide a
maggioranza, con il consenso, ai fini della intesa sulla localizzazione, dei
presidenti delle regioni e province autonome interessate, che si pronunciano,
sentiti i comuni nel cui territorio si realizza l'opera. La pronuncia deve
intervenire nei termini di cui al comma che precede, anche nel caso in cui i
comuni interessati non si siano tempestivamente espressi, art. 165, d.lg.
12.4.2006, n. 163.
L'art. 165, 6° co., d.lg.
12.4.2006, n. 163, prevede una procedura tipica per il superamento del dissenso
delle amministrazioni interessate a seconda che il progetto abbia carattere
interregionale o regionale.
L'approvazione del progetto in
forza dell'art. 3, 7° co.,
d.l. n. 190 del 2002, sost. art. 165, 7° co.,
d.lg. 12.4.2006, n. 163, per la
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e
di interesse nazionale, comporta l'automatica variazione degli strumenti
urbanistici vigenti ed adottati.
L'approvazione determina, ove
necessario ai sensi delle vigenti norme, l'accertamento della compatibilità
ambientale dell'opera e perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio,
l'intesa Stato - regione sulla sua localizzazione, comportando l'automatica
variazione degli strumenti urbanistici vigenti e adottati; gli immobili su cui
è localizzata l'opera sono assoggettati al vincolo preordinato all'esproprio ai
sensi dell'articolo 10 del testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di espropriazione per
pubblica utilità, di cui al d.p.r.
8.6.2001, n. 327; il vincolo si intende
apposto anche in mancanza di espressa menzione; gli enti locali
provvedono alle occorrenti misure di salvaguardia delle aree impegnate e delle
relative eventuali fasce di rispetto e non possono rilasciare, in assenza
dell'attestazione di compatibilità tecnica da parte del soggetto aggiudicatore,
permessi di costruire, né altri titoli abilitativi nell'ambito del corridoio
individuato con l'approvazione del progetto ai fini urbanistici e delle aree
comunque impegnate dal progetto stesso. A tale scopo, l'approvazione del
progetto preliminare è resa pubblica mediante pubblicazione nel Bollettino Ufficiale
della regione (o nella Gazzetta Ufficiale) ed è
comunicata agli enti locali interessati a cura del soggetto aggiudicatore. Ai
fini ambientali, si applica l'art. 183, 6° co., art.
165, 7° co., d.lg. 12.4.2006, n. 163.
I
privati interessati e le amministrazioni coinvolte possono intervenire
nell’approvazione del progetto definitivo.
L’art. 166, d.lg. 12.4.2006, n.
163, stabilisce espressamente che, una volta avviato il procedimento di dichiarazione
di pubblica utilità, esso deve essere comunicato ai privati interessati da
parte del soggetto aggiudicatore o del suo concessionario, secondo le
disposizioni sulla partecipazione al procedimento amministrativo sancite dalla
l. 7.8.1990, n. 241.
I privati interessati
dall’attività espropriativa possono presentare osservazioni, nel termine
perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione dell’inizio del procedimento,
al soggetto aggiudicatore che le deve esaminare e che deve esprimere la propria
valutazione in merito.
Per quanto riguarda poi le
amministrazioni coinvolte e i gestori di opere interferenti, il soggetto
aggiudicatore deve aver cura di trasmettere loro il progetto definitivo.
Essi possono presentare,
motivandole, proposte di adeguamento, richieste di prescrizioni o di varianti
migliorative, senza comunque interferire con la localizzazione dell’opera.
La normativa prevede, in
riferimento alle proposte e richieste delle amministrazioni coinvolte nel
progetto definitivo, la convocazione di una conferenza di servizi,
espressamente definita come istruttoria e non come decisoria.
La norma precisa che: Il progetto
definitivo è rimesso da parte del soggetto aggiudicatore, del concessionario o
contraente generale a ciascuna delle amministrazioni interessate dal progetto
rappresentate nel CIPE e a tutte le ulteriori amministrazioni competenti a
rilasciare permessi e autorizzazioni di ogni genere e tipo, nonché ai gestori
di opere interferenti. Nel termine perentorio di novanta giorni dal ricevimento
del progetto le pubbliche amministrazioni competenti e i gestori di opere
interferenti possono presentare motivate proposte di adeguamento o richieste di
prescrizioni per il progetto definitivo o di varianti migliorative che non
modificano la localizzazione e le caratteristiche essenziali delle opere, nel
rispetto dei limiti di spesa e delle caratteristiche prestazionali e delle
specifiche funzionali individuati in sede di progetto preliminare. Le proposte
e richieste sono acquisite dal Ministero a mezzo di apposita Conferenza di
servizi, convocata non prima di trenta giorni dal ricevimento del progetto da
parte dei soggetti interessati e conclusa non oltre il termine di novanta
giorni di cui al presente comma, art. 166, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
L’attività della conferenza di
servizi è stata disciplinata dall’art. 168, d.lg. 12.4.2006, n. 163.
Anche dopo la chiusura della
Conferenza al soggetto non invitato è immediatamente trasmesso il progetto
definitivo dandogli pure la facoltà di comunicare al Ministero la propria
eventuale proposta entro il successivo termine perentorio di novanta giorni; la
proposta è trasmessa al CIPE per la eventuale integrazione del provvedimento di
approvazione.
Il Ministero delle infrastrutture, una
volta conclusa la conferenza di servizi, ha altri novanta giorni per valutare
se proposte e richieste presentate nei tempi prescritti dalle amministrazioni
coinvolte e dai gestori di opere interferenti siano compatibili. In particolare
esso deve valutare se esista un contrasto tra le proposte e le richieste
inoltrate da soggetti aventi diritto e le indicazioni vincolanti contenute nel
progetto preliminare approvato.
In seguito è formulata una
proposta al CIPE che, entro trenta giorni, approva il progetto definitivo,
anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità, con eventuali modifiche
o integrazioni.
L'approvazione del progetto
definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei componenti il
CIPE, sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque
denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti produttivi
strategici, l'esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel
progetto approvato. In caso di dissenso della regione o provincia autonoma, la
decisione viene demandata a procedure sostitutive che cercano l’intesa con la
regione interessata con le modalità previste dall'art. 165, 6° co. d.lg.
163/2006.
La procedura dopo gli opportuni
coinvolgimenti con gli enti locali finisce per essere rigidamente accentrata
nelle decisioni finali.
Gli enti locali devono di
conseguenza provvedere all'adeguamento definitivo degli elaborati urbanistici
di competenza ed hanno facoltà di chiedere al soggetto aggiudicatore o al
concessionario o contraente generale di porre a disposizione gli elaborati a
tale fine necessari, ex art. 166,
d.lg. 12.4.2006, n. 163.
[1] Testa V. Disciplina
urbanistica, 1974, 3.L’autore afferma la necessità di una funzione
direttiva nel campo urbanistico. Egli afferma che” in tanto si possono
migliorare le condizioni di esistenza degli individui in quanto si attuino e si
consolidino razionali direttive nell’organizzazione degli ambienti naturali in
cui i vari nuclei demografici hanno preso stanza”.
[2] Stella Richter P. Costituzione
nuova e problemi urbanistici vecchi, in Dir.
amm., 2001, 2-3, 387.
[3] La dottrina nota che la tendenza che più
diffusamente è emersa consiste nell’attribuire al piano regionale effetti non
solo di indirizzo e di coordinamento, tipici degli atti di direttiva, quanto
anche effetti conformativi, direttamente vincolanti le proprietà immobiliari
insistenti su alcune parti del territorio pianificato. Assini N. Mantini P. Manuale di diritto urbanistico, 1997,
204.
[4] Gorlani M. Urbanistica in generale,in Urbanistica Ediliza Espropriazione, a
cura di Italia V., 2007, 1274.
[5] T.A.R. Liguria, sez. I, 13.7.1994, n. 312, FA, 1994, 2474.
[7] Cons. St., sez. V, 28.2.1995, n. 300, in Foro Amm., 1995, 360.
[8] Bottino M. L’autorità regionale per la programmazione
territoriale, in Nuova Rassegna, 2006, 628.
[9] Gorlani M. Urbanistica,
op.cit. 2007, 1295.
[10] Breganze M. Piano territoriale di coordinamento, in Dig. Disc. Pubbl., XI, 1996, 251.
[11] Corte cost., 15.7.1991, n. 343.
[12] Camarda L. Piano territoriale di coordinamento
provinciale, in Urbanistica Edilizia
Espropriazione, 2007, 1061.
[14] Mengoli G. C. Manuale di diritto urbanistico, 2009, 104.
[18] Consiglio di Stato, sez.
VI, n. 3453/2006.
[20] L’indicazione legislativa è quella di un piano
di larga massima che incide sulle scelte fondamentali del territorio e che
rinvia per le scelte di dettaglio alla pianificazione esecutiva. Centofanti N. Diritto
di costruire Pianificazione urbanistica Espropriazione, 2010, 605.
[21] Mengoli G. C. Manuale, op. cit., 2009,
136.
[23] Ad esempio, la disciplina urbanistica della
regione Lombardia posta dalla l.r. Lombardia 11.3.2005, n. 12, disegna la
pianificazione urbanistica comunale con connotati assolutamente innovativi.
Lo
strumento di pianificazione è il piano del governo del territori.Esso è
articolato in tre atti:
a) il documento di piano; b) il piano
dei servizi; c) il piano delle regole,
art. 7, l. r. Lombardia 12/2005.
Sono atti con contenuti e valenza
diversa tra loro.
Il documento di piano non contiene
previsioni che producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli, a
differenza delle previsioni contenute nel Piano dei servizi - concernenti
le aree necessarie per la realizzazione dei
servizi pubblici e di interesse pubblico e generale - che hanno carattere
prescrittivo e vincolante.
Il piano delle regole contiene
indicazioni che hanno carattere vincolante e producono effetti diretti sul
regime giuridico dei suoli.
Per la dottrina il piano di governo del territorio -
difformemente dal piano regolatore generale disciplinato dalla legge
urbanistica nazionale - è strumento estremamente rigido solo nella fase
transitoria.
Esso consente agli organi comunali
di disciplinare le scansioni temporali di attuazione del piano prevedendo
termini molto dilatati non coniugabili con le necessità degli operatori. Sala
G. Pianificazione comunale per il governo
del territorio, in Governo del
territorio, Italia V. (a cura di) 2005, 71.
[24] Bassani M. Il piano regolatore generale, 1996, 29.
[26] Bassani M. e Italia V. Piano regolatore, in Urbanistica Edilizia Espropriazione, (a
cura di Italia V.), 2007, 995.
[27] Il vincolo di localizzazione se incide su beni determinati, in funzione
non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di
un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà
privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.
Consiglio Stato , sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4662.
[28] Consiglio
Stato, VI, 18.3.2004, n. 1443.
[29] Mengoli G. C., Manuale di diritto urbanistico 2009,
972.
[30] Centofanti N., L’espropriazione
per pubblica utilità, 2009, 527.
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