CAPITOLO III
LA PROTEZIONE DELLE BELLEZZE
NATURALI.
SOMMARIO: 1. La tutela delle
bellezze naturali attraverso i vincoli.
2. Il regime dei vincoli nella l.
8.8.1985, n. 431.
2.1. I beni archeologici.
3. L’autorizzazione paesistica di
cui all’art. 151, d.lg. 490/1999.
3.1. I rapporti tra
autorizzazione paesistica e concessione edilizia.
4. Il potere ministeriale di
annullamento.
5. La sospensione dei lavori.
6. Le sanzioni. La remissione in
pristino.
7. La sanzione pecuniaria
alternativa alla demolizione.
7.1. I ricorsi.
8. Costruzioni abusive in aree
demaniali.
9. Il reato di distruzione o il
deturpamento di bellezze naturali.
10. Il potere del giudice.
10.1. Gli effetti del condono
sulla contravvenzione.
11. Il concorso di reati di
deturpamento e di violazione delle norme sull’ambiente.
12. Il reato di realizzazione di
opere in zone vincolate, previsto dall’art. 20 lett. c), l. 47/1985.
13. Il reato di violazione di
norme a tutela dell’ambiente, previsto dall’art. 163, d.lg. 490/1999.
13.1. Il rilascio di
autorizzazione paesistica illegittima.
14. I soggetti attivi.
15. La sanzione applicabile.
16. Sentenza penale di condanna e
di remissione in pristino.
17. le funzioni del giudice
dell’esecuzione.
1. La tutela delle bellezze
naturali attraverso i vincoli.
Legislazione
l. 1497/1939, artt. 1, n. 1, n. 2, n. 3, n. 4, 2, 4,
7, 8, 9 - l. 431/1985, art. 1, 1 bis - d.p.r. 616/1977, artt. 81, 82 - d.lg. 490/1999, artt.
10, 140.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli
1997.
La tutela delle bellezze naturali
trova la sua fonte normativa nella l. 1497/1939, sost. d.lg. 490/1999, che
dispone un meccanismo di vincolo di interesse pubblico sulle bellezze naturali
e panoramiche, notificato con un procedimento previsto dagli artt. 10 e segg.,
l. 1497/1939, sost. artt. 10 e segg., d.lg. 490/1999 (Assini N. Mantini P.
1997, 916).
La l. 1497/1939, art. 2, sost. art. 140 e segg., d.lg. 490/1999 ha attribuito ad una apposita Commissione, istituita in ogni provincia, l’identificazione dei beni e dei luoghi di notevole interesse ambientale.
La l. 1497/1939, art. 2, sost. art. 140 e segg., d.lg. 490/1999 ha attribuito ad una apposita Commissione, istituita in ogni provincia, l’identificazione dei beni e dei luoghi di notevole interesse ambientale.
La l. 1497/1939, art. 1, sost. art. 139, d.lg. 490/1999,
prevede la possibilità di imporre vincoli speciali su singoli beni individuati
tramite appositi elenchi.
Deve ritenersi
sufficientemente motivata l'imposizione del vincolo di particolare interesse
storico e artistico, sia ai sensi dell'art. 1, per il rilevante pregio
artistico, sia ai sensi dell'art. 2, per il collegamento con la storia della
cultura della città, l. 1.6.1939, n. 1089, ove risulti accertata la sussistenza
sia dell'immedesimazione e compenetrazione dei valori storico-culturali con le
strutture materiali, nonché del collegamento dei beni e della loro
utilizzazione con gli eventi storico-culturali della città, sia del pregio
artistico del locale e di alcuni arredi in esso contenuti.
Nella specie, il
provvedimento di vincolo di particolare interesse, ritenuto legittimo, riguarda
il "Caffé Genovese" di Cagliari.
(Cons. Stato,
sez. VI, 17.2.1999, n. 170, FA, 1999, 394).
La costituzione
di un vincolo indiretto presuppone la previa adozione di un vincolo sul bene
oggetto della tutela principale, mediante formale dichiarazione dell'interesse
culturale, anche qualora lo stesso, non rientrante in una delle tipologie
nominate dall'art. 1, l. 1.6.1939, n. 1089, ma nella categoria aperta delle
cose aventi riferimento con la storia della cultura di cui all'art. 2, sia di
proprietà pubblica e già assoggettato a regime demaniale.
(Cons. Stato,
sez. VI, 2.11.1998, n. 1479, FI, 1999, III, 174).
Il vincolo
storico artistico di cui agli artt. 1 e 2, l. n. 1089 del 1939 riguarda le cose
materiali incorporanti i valori culturali che sono la ragion d'essere della
tutela e non si estende fino a comprendere la gestione commerciale o
l'esercizio artigianale di determinate attività - svolte in detti locali e/o
con detti arredi - con una interpretazione analogica fortemente restrittiva del
principio di legalità che caratterizza i poteri ablatori della pubblica
amministrazione dell'art. 11, l. n. 1089 del 1939.
Essa vieta che le
cose materiali soggette a detta tutela possano essere adibite ad usi non
compatibili con il loro carattere storico ed artistico oppure tali da recare
pregiudizio alla loro conservazione o integrità forzando la lettura e la ratio
complessiva della legge al punto da trasformare la disposizione permissiva del
godimento del proprietario in conformità di limiti di interesse generale, in un
precetto impositivo di una servitù pubblica legislativamente innominata, in
contrasto con gli artt. 42 e 43, cost.
La norma in
parola non necessita per la sua osservanza di pervenire all'imposizione di un
vincolo di destinazione d'uso che investa i locali in cui siano conservate le
cose soggette a vincolo.
(Cons. Stato, sez.
VI, 16.9.1998, n. 1266).
In sede di
imposizione dei vincoli su beni di interesse storico e artistico ai sensi degli
artt. 1, 2 e 3, l. 1.6.1939, n. 1089, l'Amministrazione è tenuta a valutare gli
interessi secondari coinvolti, compresi quelli privati, il cui sacrificio va
commisurato in relazione all'intensità di tutela del bene culturale
obiettivamente presente.
(Cons. Stato,
sez. VI, 2.9.1998, n. 1179, CS, 1998, I, 1311).
La giurisprudenza conferma che
gli effetti del vincolo cominciano a decorrere dal momento della pubblicazione
all'albo.
Premesso
che, per quanto il piano paesistico territoriale attenga ad una fase successiva
e necessaria rispetto a quella dell'imposizione del vincolo paesaggistico nella
quale solo si realizzano le esigenze concrete di programmazione e di
salvaguardia del territorio interessato dal vincolo, nell'intertempo non può
essere consentito ai privati possessori dei suoli compresi nel vincolo di
anteporre il proprio interesse privato all'edificazione.
Il vincolo
d'immodificabilità temporaneo, previsto dalla l. 29.6.1939, n. 1497, comincia a
decorrere dal momento della pubblicazione all'albo dei comuni interessati
dell'elenco delle località in esso comprese e non da quello della definitiva
approvazione.
(T.A.R. Sicilia,
sez. I, Palermo, 16.1.1998, n. 7, FA, 1998, 2557).
Al procedimento la giurisprudenza
ha ritenuto applicabile i disposti della l. 241/1990.
L'obbligo di
comunicazione di avvio di procedimento previsto dall'art. 7, l. 7.8.1990, n.
241, trova applicazione anche per i procedimenti finalizzati all'imposizione
dei vincoli di cui agli artt. 1, 3 e 21, l. 1.6.1939, n. 1089.
(T.A.R. Liguria,
sez. I, 29.6.1998, n. 292, FA, 1999, 832).
Il potere di vincolo ora spetta
alla regione (Mengoli G. C. 1997, 411).
Contro il provvedimento di
imposizione del vincolo i proprietari possono fare ricorso al Ministero, ai
sensi dell'art. 4, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 144, d.lg. 490/1999.
Il ricorso può
essere proposto solo dai proprietari, possessori o detentori di beni immobili
situati nelle zone vincolate ai sensi della legge citata; pertanto è
inammissibile il ricorso de quo prodotto da un Comune o da una
Associazione di industriali non proprietari di beni vincolati.
(Cons. St., sez. II, 17.5.1978, n. 925, RGE, 1981, I, 146).
Sulla base degli elenchi viene
ordinata la notificazione in via amministrativa della dichiarazione di notevole
interesse pubblico ai proprietari degli immobili; il che comporta la necessità
di munirsi di apposita autorizzazione rilasciata da parte della sovrintendenza
inerente ai progetti dei lavori, ai sensi dell’art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497,
sost. art. 151, d.lg. 490/1999 (Filippi M. 1996, 195).
La mancata notifica degli elenchi
ai proprietari non è stata considerata causa di illegittimità del procedimento:
E' infondata la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della l. 29.6.1939,
n. 1497, nella parte in cui non dispongono la notificazione degli elenchi di
cui ai nn. 3 e 4 dell'art. 1 della stessa legge, ai proprietari, possessori o
detentori, a qualsiasi titolo, degli immobili così come previsto per gli
elenchi delle cose di cui ai nn. 1 e 2 del medesimo art. 1, in riferimento agli
artt. 3, 24, c. 2, e 97, c. 1, della costituzione.
(Corte cost.,
28.7.1995, n. 417, FI, 1996, I, 422).
Le competenze degli organi
statali centrali e periferici inerenti alla tutela dei beni ambientali ed alle
funzioni delle Commissioni provinciali sono state delegate alle Regioni
dall’art. 82, secondo comma, lettera b) del d.p.r. 616/1977, sost. art. 151,
d.lg. 490/1999.
Le Regioni hanno emanato proprie
leggi per disciplinare l’esercizio delle funzioni loro delegate.
Alcuni compiti amministrativi
sono stati riservati agli organi regionali, altri sono stati subdelegati ai
Comuni.
Ad esempio, nella regione Emilia
Romagna la competenza al rilascio dell'autorizzazione ambientale è stata
subdelegata ai comuni dall'art. 10 della l. r. 1.8.1978, n. 26.
Del pari la l. r. Lombardia
18/1997 ha delegato ai comuni il rilascio dell'autorizzazione.
Essa in base al principio di
sussidiarietà, che impone all’ente di grado superiore di non espletare
l’attività amministrativa attribuita all’ente sotto ordinato, ha riservato alla
regione le funzioni in materia di autorizzazione ambientale per le opere di
competenza dello Stato.
2. Il regime dei vincoli nella l.
8.8.1985, n. 431.
Legislazione
d.p.r. 616/1977, art. 82, 5° co. - l. 431/1985, art. 1
ter, 1 quinquies - d.lg. 490/1999, art. 146.
Bibliografia Filippi 1996 - Centofanti 2000 -
Forlenza 2000.
La l. 8.8.1985, n. 431, art. 1,
sost. art. 146, d.lg. 490/1999 prevede tre tipi fondamentali di vincoli
(Centofanti N. 2000, 32).
Il primo concerne le zone
tassativamente elencate, quali i territori costieri, i territori contermini ai
laghi, i fiumi, le montagne, i ghiacciai, le zone di interesse archeologico.
L’elencazione proposta evidenzia
che si possono distinguere due differenti categorie di beni.
La prima comprende i beni il cui
riconoscimento è automatico.
Non vi sono difficoltà a
classificare nella categoria, ad esempio, i fiumi, le cui caratteristiche sono
evidenti.
L'ambito
di operatività dell'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, nella parte riguardante i
fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua, comprende tutte le porzioni di territorio
interessate da attività di trasformazione di natura edificatoria e ricadenti
nella fascia di protezione paesaggistica prevista per le acque fluenti
espressamente menzionate.
Tali acque devono
essere incluse in elenchi provinciali attraverso la complessa procedura
regolamentare di cui all'art. 1, r.d. 11.12.1933, n. 1775, che ha approvato il
testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici.
(Cass. pen., sez. III, 24.3.1998, n. 1091, CP, 1999, 2963).
La seconda categoria comprende
beni il cui riconoscimento presuppone un atto ricognitivo ad opera della
pubblica amministrazione.
In tal caso, come, ad esempio,
nell’ipotesi di beni di interesse archeologico, il vincolo può essere posto
solo ove sussista un idoneo atto di ricognizione da parte degli organi
competenti, che attesti il presupposto stesso per l’apposizione del vincolo:
Ai
fini dell'inclusione di una zona determinata fra quelle sottoposte al vincolo
paesaggistico di cui all'art. 1, lett. m), l. 8.8.1985, n. 431, l'attività
ricognitoria dell'interesse archeologico non può prescindere dall'effettiva
presenza di valori archeologici - ancorché non accertati attraverso
provvedimenti formali - il cui particolare rapporto con il paesaggio
costituisce la ragione della tutela prevista dalla stessa l. n. 431 del 1985.
(Cons. Stato,
sez. VI, 14.10.1998, n. 1391, RGE, 1999, I, 318).
Sebbene il
vincolo gravante sulle zone di interesse archeologico, ai sensi dell'art. 1,
lett. m), l. 8.8.1985, n. 431, abbia natura paesaggistica, e come tale sia
affidato in via diretta all'Autorità regionale, - e soltanto in sede di
controllo e vigilanza allo Stato - non è consentito che l'attività ricognitiva
dell'interesse archeologico di una zona determinata, ai fini dell'inclusione
della medesima fra quelle sottoposte a vincolo ex lege, prescinda dalla
effettiva presenza di valori archeologici, il cui particolare rapporto col
paesaggio costituisce la ratio della tutela prevista dalla l. 431/1985.
La sussistenza di
emergenze archeologiche sul territorio o, quantomeno, la accertata e notoria
possibilità che in esso si trovino reperti archeologici costituisce il
presupposto necessario e sufficiente perché una zona sia dichiarata di
interesse archeologico e, come tale, assoggettata al vincolo paesaggistico di
cui all'art. 1, lett. m), l. 431/1985.
Qualora siano
assenti gli elementi minimi necessari da cui dedurre la presenza di valori
archeologici - sia sul piano dell'effettivo rinvenimento di reperti, sia su
quello della accertata e notoria possibilità che essi si trovino su un'area
determinata - non sussistono le condizioni per l'inserimento dell'area fra le
dette zone di interesse archeologico.
(T.A.R. Toscana,
sez. III, 6.3.1996, n. 185, TAR, 1996, I, 1981).
Il secondo vincolo attiene alle
aree individuate dalle regioni e assoggettate a tutela paesaggistica fino
all’approvazione dei piani paesistici regionali (Filippi M. 1996, 201).
Tali disposizioni, fino
all'adozione dei piani paesistici regionali, impongono vincoli di
inedificabilità assoluta.
I vincoli
temporanei d'inedificabilità, di cui agli art. 1 bis e 1 quinquies, l.
8.8.1985, n. 431, sono efficaci fino alla data di effettiva adozione dei piani
paesistici regionali, anche oltre il termine, non perentorio, previsto dalla l.
n. 43/1985.
(Cons. Stato,
sez. VI, 20.10.1999, n. 1509, FA, 1999, 2147).
Il
piano paesistico - così come, per le aree assoggettate a vincoli paesaggistici,
il piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori
paesistici ed ambientali - è, rispetto al vincolo, in posizione di
sottordinazione e, rispetto all'autorizzazione paesaggistica, in posizione di
sopraordinazione.
Pertanto tale
piano, nel dettare la specifica normativa d'uso del territorio vincolato, non
può mai derogare, per porzioni di quel territorio, o per categorie di opere,
alla necessità della autorizzazione paesaggistica, perché la valutazione di
compatibilità che presiede all'autorizzazione costituisce l'effetto legale
tipico del vincolo, ed escluderla significherebbe derogare al vincolo stesso
affrancandone ambiti o interventi.
(Cons. Stato, sez.
II, 20.5.1998, n. 549, RGE, 1999, I, 792).
Nell'ambito delle
aree individuate dalle regioni, ai sensi dell’art. 1 ter della l.
8.8.1985, n. 431 e dell’art. 82, 5° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616 ai fini
dell'applicazione delle misure di salvaguardia vanno compresi anche gli
immobili in esse ricadenti, che vengono, pertanto, assoggettati ad una
temporanea inedificabilità fino all'approvazione dello strumento
programmatorio, piano paesistico e/o piano urbanistico territoriale.
(Cons. St., sez. VI, 20.9.1995, n. 941, RGA, 1996, 483).
Il vincolo è
operante a prescindere dall'adozione dei piani paesistici regionali ed è quindi
sempre necessaria l'autorizzazione paesistica per opere che possano stabilmente
alterare l'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 1.3.1991, DGA, 1992, 610).
Il terzo divieto assoluto di
edificare comprende le aree e i beni individuati nei decreti ministeriali,
cosiddetti Galassini, che hanno posto vincoli di inedificabilità prima della
legge e i cui effetti sono confermati, appunto, dalla l. 431/1985, salvo il
potere di integrare gli elenchi delle bellezze naturali.
In materia
ambientale, dopo la entrata in vigore della l. 8.8.1985, n. 431 non possono
esser individuati dallo Stato altri beni od aree, per cui sia vietata ogni
modificazione (vincolo assoluto), ex art. 1- quinquies della stessa legge, fino
all'adozione dei piani paesistici od urbanistici territoriali con valenza
paesistica.
Non vi è dubbio,
però, che il Ministro per i beni culturali ed ambientali, anche dopo la l. n.
431 del 1985, conservi il potere di integrare gli elenchi delle bellezze
naturali approvati dalle regioni, a norma dell'art. 82 comma 2, lett. a),
d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
L'imposizione di
un vincolo paesaggistico di tale tipo non comporta la dichiarazione di assoluta
immodificabilità del bene riconosciuto come bellezza naturale, ma la sola
sussistenza di un vincolo di inedificabilità relativo, cioè la possibilità di
eseguire interventi previa acquisizione dell'autorizzazione di cui all'art. 7,
l. 29.6.1939, n. 1497.
(Cass. pen. sez.
III, 3.7.1998, n. 2096, CP, 1999, 2962).
Non sono sottoposte a vincolo le
zone A e B e - limitatamente alle parti comprese nei piani pluriennali di
attuazione - le zone delimitate dagli strumenti urbanistici, ai sensi del d.m.
2.4.1968, n. 1444, e, inoltre, nei comuni sprovvisti di tali strumenti, i
centri edificati perimetrati, ai sensi dell'art. 18 della l. 865/1971.
Il divieto assoluto di
edificabilità, conseguente ai vincoli imposti dalla l. 431/1985, persiste fino
all’approvazione formale del piano paesistico regionale.
In tema di
bellezze naturali la norma eccezionale di cui all'art. 82 del d.p.r. 24.7.1977,
n. 616 dispone che il vincolo di cui all'art. 1, l. n. 431 del 1985 non si
applica alle zone A e B e - limitatamente alle parti comprese nei piani
pluriennali di attuazione - alle altre zone, come delimitate dagli strumenti
urbanistici ai sensi del d.m. 2.4.1968, n. 1444 e, nei comuni sprovvisti di
tali strumenti, ai centri perimetrati ai sensi dell'art. 18, l. 22 .10.1971, n.
865.
Essa riguarda
soltanto i vincoli imposti dall'art. 1, l. n. 431 del 1985 su intere categorie
di beni e non si applica ai vincoli imposti con provvedimenti amministrativi ai
sensi della l. n. 1497 del 1939.
(Cass. pen., sez. III, 4.6.1998, n. 7941, CP, 1999,2960).
Ai sensi
dell'art. 1 quinquies della l. 431/1985 l'operatività di tale
salvaguardia cautelare non tollera deroghe sino a quando non vengano adottati
dalle Regioni i piani paesistici previsti dal precedente art. 1 bis;
peraltro, per ritenere adottati i suddetti piani non è sufficiente la loro
materiale predisposizione, occorrendo invece che, concluso il loro processo
formativo, essi siano stati approvati e siano quindi operativi.
Ne consegue che
non avendo il Consiglio regionale della Campania provveduto ad approvare il
piano paesistico, persiste in tale Regione il divieto assoluto di edificabilità
stabilito dal ricordato art. 1 quinquies, l. 431/1985.
(Cass. pen., Sez. U., 25.3.1993, RGE, 1993, I, 973).
La giurisprudenza ha affermato
che il decreto, anche in caso di mancata pubblicazione sulla gazzetta ufficiale
vale a produrre gli effetti ordinari ossia ad identificare il bene come
bellezza naturale e a sottoporlo ad autorizzazione paesistica (Forlenza O. 2000,
n. 35, 89).
Benché
il d.m. che ha imposto il vincolo di inedificabilità assoluta debba essere
ritenuto inefficace a causa della sua mancata pubblicazione sulla gazzetta
ufficiale in data anteriore a quella di entrata in vigore della cosiddetta
legge Galasso.
Nondimeno,
in questi casi non si può ritenere altresì caducata l’autonoma dichiarazione
d’interesse ambientale contenuta nel suddetto d.m., la quale conserva piena
efficacia per quanto concerne il regime di inedificabilità relativa, che
comporta l'assoggettabilità controllo preventivo di qualsiasi intervento di
trasformazione del territorio suscettibile di arrecare pregiudizio ai beni
dichiarati di bellezza naturale.
(T.A.R.
Marche, 23.2.200, n.742, GD, 2000, n. 35, 78).
2.1. I beni archeologici.
L'assenso prestato dalla
sovrintendenza ai monumenti alla destinazione, nel piano regolatore generale,
di una zona all'edilizia residenziale non preclude l'imposizione, a distanza di
qualche anno, dei vincoli che appaiono convenienti alla tutela di interessi
storico-archeologici, precedentemente non considerati sufficientemente o non
adeguatamente protetti, sia perché la valutazione dell'amministrazione va fatta
in base a criteri suscettibili di evoluzione nel tempo, col mutare dei giudizi
di valore della collettività e di concetti (come quello di ambiente) e delle
esperienze, sia perché l'esistenza, in un piano urbanistico, di una determinata
sistemazione del bene oggetto di valutazione sotto il profilo della rilevanza
archeologica, non impedisce al ministero di far uso dei poteri che gli
competono ai sensi della l. 1 giugno 1939 n. 1089.
Consiglio Stato, sez. VI, 24
aprile 1992, n. 339
Ministero beni culturali e
ambientali c. Consorzio La Galla
Cons. Stato 1992, I,633.
Il provvedimento col quale il ministero
dei beni culturali impone vincoli alla proprietà privata a tutela di interessi
storici ed artistici richiede una motivazione succinta, dato l'ampio potere
discrezionale affidato all'amministrazione nella valutazione degli elementi di
fatto, purché l'apprezzamento finale sia nel complesso sorretto da un
"iter" logico idoneo ad inquadrare la fattispecie nell'ipotesi
prevista dalla legge; pertanto, è legittimo il decreto che pone una fascia
inedificabile a rispetto di una zona archeologica motivato con le necessità di
conservare inalterato l'ambiente circostante.
T.A.R. Marche, 28 aprile 1982, n.
231
Società Tombolini c. Ministero
beni culturali
T.A.R. 1982, I,2159 (s.m.).
L’art 21 della legge n. 1089/1939
seleziona specifiche finalità in base alle quali beni, che di per sé non sono
espressione di valori storici, artistici ed archeologici, ma versano in
rapporto di contiguità o complementarità con altri beni appartenenti alle
categorie individuate dagli artt. 1 e 2 della menzionata legge n. 1089/1939, possono
essere assoggettati a specifiche prescrizioni. Detti fini di rilievo pubblico
sono identificati: nell'esigenza di: garantire "l'integrità delle cose
immobili" soggette a vincolo diretto; prevenire il danno alla
"prospettiva" alle condizioni di "luce"; impedire
l'alterazione delle "condizioni di ambiente e di decoro".
Il provvedimento impositivo di dette misura deve, quindi, indicare, oltre ai beni oggetto delle stesso, le cose di interesse artistico o archeologico in funzione delle quali il vincolo diretto è imposto; il rapporto di complementarità fra la misura limitativa ed il fine pubblico perseguito e, segnatamente, quale fra i diversi aspetti presi in considerazione dall'art. 21 della legge n. 1089/1939 (integrità, decoro, prospettiva, condizioni di illuminamento e di ambiente) l'Amministrazione abbia inteso tutelare.
Siffatto "iter" e valutativo non si rinviene nella parte motiva dell'atto gravato, né nell'annessa relazione tecnica.
Il provvedimento impositivo di dette misura deve, quindi, indicare, oltre ai beni oggetto delle stesso, le cose di interesse artistico o archeologico in funzione delle quali il vincolo diretto è imposto; il rapporto di complementarità fra la misura limitativa ed il fine pubblico perseguito e, segnatamente, quale fra i diversi aspetti presi in considerazione dall'art. 21 della legge n. 1089/1939 (integrità, decoro, prospettiva, condizioni di illuminamento e di ambiente) l'Amministrazione abbia inteso tutelare.
Siffatto "iter" e valutativo non si rinviene nella parte motiva dell'atto gravato, né nell'annessa relazione tecnica.
Il provvedimento amministrativo
che, ai sensi dell'art. 21 l. 1 giugno 1939 n. 1089, imponga misure ed ogni
altra prescrizione a tutela dell'integrità, delle prospettive e delle
condizioni di luce, ambiente e decoro delle cose di interesse storico,
artistico ed archeologico, deve indicare: a) i beni oggetto delle stesse; b) le
cose di interesse storico archeologico ecc. in funzione delle quali il vincolo
indiretto è imposto; c) il rapporto di complementarietà fra le misure
limitative ed il fine pubblico perseguito; d) le specifiche ragioni,
segnatamente quando il provvedimento impedisce ogni utilizzazione economica del
bene vincolato, che hanno indotto l'amministrazione ad adottare le misure
interdittive.
T.A.R. Lazio, sez. II, 6 aprile
1993, n. 407
Micheli Gigotti e altro c. Min.
beni culturali e altro
T.A.R. 1993, I,1634
È legittimo il vincolo indiretto
ex art. 21 l. 1 giugno 1939 n. 1089 su area limitrofa a zona archeologica
qualora l'autorità vigilante abbia inteso proteggere, oltre al bene di
interesse storico artistico, anche l'area stessa per tutelarla da eventuali
danni alla prospettiva ovvero alla luce ad evitare che possano esserne alterate
le condizioni di ambiente e di decoro.
T.A.R. Calabria Catanzaro, sez.
I, 5 giugno 2001, n. 901
Il potere discrezionale di cui
l'Amministrazione dispone ai sensi dell'art. 21, l. 1 giugno 1939 n. 1089 nel
fissare l'ampiezza del vincolo indiretto finalizzato a costituire una fascia di
rispetto attorno al bene archeologico oggetto di tutela diretta è sindacabile
in sede di legittimità solo per macroscopica incongruenza ed illogicità;
giustificata è la scelta di istituire una fascia di rispetto a salvaguardia dei
reperti, al fine di garantirne non solo l'integrità e la visibilità, ma di
mantenerne inalterato anche l'ambiente circostante ed il decoro.
T.A.R. Sicilia Catania, sez. I,
20 maggio 2003, n. 816
Zagami e altro c. Assess. beni
culturali e altro
Foro amm. TAR 2003, 1795 (s.m.)
Le prescrizioni
imposte, ai sensi dell'art. 21 l. 1 giugno 1939 n. 1089, su beni che di per sè
non sono espressione di valori storici, artistici e archeologici, ma versano in
rapporto di contiguità o complementarietà con beni appartenenti alle predette
categorie, devono indicare il rapporto di complementarietà tra la misura
limitativa ed il fine pubblico perseguito e segnatamente quale tra i diversi
aspetti presi in considerazione dalla menzionata norma (integrità, decoro,
prospettiva, condizioni di illuminazione e di ambiente) l'amministrazione abbia
inteso tutelare.
Soc. Prima immob.
c. Min. beni culturali
Dir. e giur. agr.
1999, 125 (s.m.)
Come innanzi esposto, nelle
premesse del decreto datato 27.3.1995 è fatto richiamo al solo contenuto
precettivo dell'art. 21 della legge n. 1089/1939, senza specificare in che
misura le attività interdette sul terreno di proprietà della Società istante
potrebbero arrecare nocumento alla "visibilità, prospettiva e decoro"
dei rinvenuti reperti archeologici, di cui non è indicata l'ubicazione,
consistenza, l'elevazione sul piano di campagna, nonchè la non eludibile
necessità di mantenere punti di veduta per tutta l'estensione del terreno preso
in considerazione. Quanto al richiamo alla collocazione dei reperti in un
"ambito archeologico e paesistico di eccezionale importanza" -
enunciazione cui potrebbe collegarsi l'esigenza di preservare le condizioni di
"ambiente" in eccedenza ai luoghi di ubicazione dei reperti - nessun
elemento è indicato circa _ il rapporto di complementarità ed integrazione,
anche in relazione alle sue oggettive caratteristiche, dell'area appartenente
alla ricorrente con il sito in cui sono stati rinvenuti i depositi
archeologici.
2). Va, altresì, condiviso il secondo capo di doglianza con il quale la Soc. I. sostiene che l'imposto vincolo indiretto - preclusivo in assoluto di ogni possibilità di utilizzazione a fini economici delle aree di proprietà - non si configura improntato a criteri di congruità, ragionevolezza, cui va improntato l'esercizio del potere discrezionale tecnico conferito all'Amministrazione e la cui inosservanza si risolve in vizio per eccesso di potere l'atto gravato.
La giurisprudenza amministrativa - muovendo dal rilievo che la misura vincolistica in questione viene ad incidere su beni che di per sé non appartengono alle categorie individuate dall'art. 1 della legge n. 1089/1939, ma che rispetto agli stessi vengono a trovarsi in rapporto di complementarità e/o contiguità topografica - ha ripetutamente affermato che il potere previsto dell'art. 21 deve essere esercitato, segnatamente nelle ipotesi in cui esso si traduce in prescrizioni particolarmente gravose per i terreni interessati, secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità, così da contemperare il sacrificio imposto al privato con il fine di interesse pubblico perseguito
2). Va, altresì, condiviso il secondo capo di doglianza con il quale la Soc. I. sostiene che l'imposto vincolo indiretto - preclusivo in assoluto di ogni possibilità di utilizzazione a fini economici delle aree di proprietà - non si configura improntato a criteri di congruità, ragionevolezza, cui va improntato l'esercizio del potere discrezionale tecnico conferito all'Amministrazione e la cui inosservanza si risolve in vizio per eccesso di potere l'atto gravato.
La giurisprudenza amministrativa - muovendo dal rilievo che la misura vincolistica in questione viene ad incidere su beni che di per sé non appartengono alle categorie individuate dall'art. 1 della legge n. 1089/1939, ma che rispetto agli stessi vengono a trovarsi in rapporto di complementarità e/o contiguità topografica - ha ripetutamente affermato che il potere previsto dell'art. 21 deve essere esercitato, segnatamente nelle ipotesi in cui esso si traduce in prescrizioni particolarmente gravose per i terreni interessati, secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità, così da contemperare il sacrificio imposto al privato con il fine di interesse pubblico perseguito
2.2. I boschi. Vedi cap 11a dell'art. 7 della legge
30.12.1923, n. 3267
La nozione di "territorio
coperto da bosco", ai fini della sottoposizione a vincolo paesaggistico ai
sensi dell'art. 1 lett. g) l. 8 agosto 1985 n. 431, non può assumere una
portata riduttiva, così da farvi rientrare solo i boschi in senso
naturalistico, ma va intesa anche in senso normativo, perciò con riferimento
agli elementi idonei ad individuare il suddetto territorio ricavabili da provvedimenti
legislativi, nazionali e regionali, e da atti amministrativi generali o
particolari.
Cassazione penale, sez. III, 15
gennaio 2003, n. 18296
C.
Dir. e giur. agr. 2004, 181 nota
(MAZZA)
terreno sottoposto a vincolo
idrogeologico (contrassegnato con i mappali 2314, 2315 e 1346) aveva chiesto
all'Amministrazione provinciale di Como l'autorizzazione a mutare la
destinazione di detto terreno ai sensi dell'art. 7 della legge 30.12.1923, n.
3267, per realizzare su di esso una casa di civile abitazione.
L'Amministrazione provinciale di Como, con il decreto impugnato in primo grado, sulla base del parere sfavorevole dello Servizio Provinciale Agricoltura, Foreste e Alimentazione, ha ritenuto di non autorizzare il richiesto mutamento di destinazione in considerazione che sul terreno insisteva un bosco di alto fusto.
L'Amministrazione provinciale di Como, con il decreto impugnato in primo grado, sulla base del parere sfavorevole dello Servizio Provinciale Agricoltura, Foreste e Alimentazione, ha ritenuto di non autorizzare il richiesto mutamento di destinazione in considerazione che sul terreno insisteva un bosco di alto fusto.
Ai sensi dell'art. 40 comma 2, l.
reg. Lombardia 15 aprile 1975 n. 51, nelle zone con vincolo idrogeologico sono
vietate nuove costruzioni ed opere di urbanizzazione su tutte le aree di boschi
ad alto fusto o di rimboschimento.
L.B. c. Prov. Como e altro
Foro amm. CDS 2003, 3774 (s.m.)
scopo del vincolo idrogeologico è
quello di assoggettare determinati terreni all'obbligo della coltura boschiva
limitandone l'utilizzazione onde evitare il denudamento che può cagionare la
perdita di stabilità o turbamento del regime delle acque ( T.A.R.
Lombardia-Milano II Sez. 14/09/2000 n. 5597), ritiene il collegio di poter
condividere l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui "la tutela di
carattere idrogeologico esclude le attività di tipo edificatorio e si estende
anche agli interventi che interessano terreni non boschivi, purchè compresi
all'interno dell'area vincolata, essendo palese l'irrilevanza, ai fini delle
esigenze di tutela dianzi indicate, che la superficie assoggettata al vincolo
sia boscata ovvero priva di alberi" (Cons.St. V Sez. 28/01/1997 n. 88; T.A.R.
Emilia Romagna - Bologna II Sez. 22/07/1999 n. 384).
Ciò significa che pur in presenza di un'area più o meno estesa priva di alberi di alto fusto o di vegetazione, ma organicamente inserita nel tessuto boschivo, deve ritenersi la non estraneità di tale area rispetto ai valori di tutela delle zone boschive, con conseguente assoggettabilità al vincolo di inedificabilità (T.A.R. Toscana III Sez. 23/03/1996 n. 237).
Per quanto riguarda poi l'assenza di un pregiudizio all'assetto idrogeologico, desumibile secondo i ricorrenti dall'intensa attività edificatoria spiegatasi in zona, è agevole evidenziare come soprattutto in relazione ad un contesto ampiamente lottizzato, emerge vieppiù la necessita di rapportare l'incidenza negativa di ulteriori interventi edilizi agli scopi propri del vincolo idrogeologico.
Ciò significa che pur in presenza di un'area più o meno estesa priva di alberi di alto fusto o di vegetazione, ma organicamente inserita nel tessuto boschivo, deve ritenersi la non estraneità di tale area rispetto ai valori di tutela delle zone boschive, con conseguente assoggettabilità al vincolo di inedificabilità (T.A.R. Toscana III Sez. 23/03/1996 n. 237).
Per quanto riguarda poi l'assenza di un pregiudizio all'assetto idrogeologico, desumibile secondo i ricorrenti dall'intensa attività edificatoria spiegatasi in zona, è agevole evidenziare come soprattutto in relazione ad un contesto ampiamente lottizzato, emerge vieppiù la necessita di rapportare l'incidenza negativa di ulteriori interventi edilizi agli scopi propri del vincolo idrogeologico.
Vero è infatti che gli interessi
pubblici, tutelati rispettivamente dalla legislazione in materia di boschi e da
quella urbanistica, sono nettamente distinti ed autonomi (Cons. St. IV Sez.
03/02/1992 n. 140); nel caso di specie, tuttavia, acquista decisivo rilievo la
circostanza che la stessa autorità comunale, in sede di esame della domanda del
permesso di costruire, ne ha subordinato il rilascio alla presentazione del
"nulla-osta del dipartimento alle foreste relativo al vincolo
idrogeologico."
Pur dovendosi riconoscere che gli
interessi pubblici tutelati dalla legislazione in materia di boschi e da quella
urbanistica sono nettamente distinti ed autonomi, nel caso i cui l'Autorità
comunale, in sede di esame della domanda del permesso di costruire, ne abbia
subordinato il rilascio alla presentazione del nullaosta del dipartimento alle
foreste relativo al vincolo idrogeologico, lo stesso nullaosta diviene
presupposto di legittimità al rilascio della concessione edilizia e la sua
mancanza legittima il diniego dell'assenso edilizio.
3. L’autorizzazione paesistica di
cui all’art. 151, d.lg. 490/1999.
Legislazione l. 1497/1939, artt. 7, 9, 15 -
d.p.r. 616/1977, art. 82 - d.lg. 490/1999, artt. 151, 156.
Bibliografia Mengoli 1997.
La pianificazione paesistica
comporta come effetto che ogni intervento edilizio sull’immobile deve essere
autorizzato dall’autorità competente.
I proprietari o i detentori, a
qualsiasi titolo, di un immobile che sia soggetto a tutela a seguito di
un’apposita notifica o sia inserito negli elenchi delle località di notevole
interesse pubblico, ai sensi dell’art. 7 della l. 1497/1939, sost. art. 151,
d.lg. 490/1999, non possono, di propria iniziativa, né abbatterlo né introdurvi
modifiche tali da alterare il suo aspetto esteriore protetto dalla legge
(Mengoli G.C. 1997, 421).
Essi devono presentare i progetti
dei lavori all’organo competente previsto dalla legislazione regionale per la
concessione delle autorizzazioni o dei nulla osta.
I
provvedimenti concernenti l'autorizzazione ad edificare, prevista dall'art. 7,
l. 29.6.1939, n. 1497, devono essere adeguatamente motivati con riferimento
all'interesse pubblico alla salvaguardia paesistica di aree protette, anche nel
caso in cui tali provvedimenti siano favorevoli al privato.
(Cons. Stato,
sez. VI, 15.12.1999, n. 2073, FA, 1999, 2586).
L'autorizzazione,
ex art. 9, l. 29.6.1939, n. 1497 - alla quale è assimilabile il parere di cui
all'art. 32, l. 28.2.1985, n. 47 - deve essere adeguatamente motivata, in
considerazione di un'esigenza di serietà e ponderatezza dell'apprezzamento
espresso in una materia che involge un valore - quello paesaggistico - di
rilevanza primaria del sistema.
Detta esigenza è
preservata in presenza di un giudizio in cui le prescrizioni - di carattere
cromatico - formale per un verso, e di carattere spaziale per altro verso -
sono idonee a denotare la sintonia tra la costruzione edilizia ed il quadro
ambientale.
(T.A.R. Campania,
sez. II, Napoli, 8.5.1998, n. 1455).
Il potere di
controllo del Ministero dei beni culturali e ambientali sugli atti di
autorizzazione paesaggistica emanati dall'autorità locale, ai sensi dell'art.
7, l. 1.6.1939, n. 1497, è limitato alla legittimità degli atti stessi,
escludendosene il riesame nel merito.
(Cons. Stato,
sez. VI, 27.4.1999, n. 529, FA, 1999, 812).
La realizzazione
d'un parcheggio, che implichi la radicale trasformazione di un'area a verde
privato con l'inserzione di strutture murarie e di pavimentazione, costituisce
un intervento non meramente manutentivo o ristrutturativo e, come tale - oltre
ad essere soggetto a concessione edilizia e non alla sola autorizzazione
gratuita, qualora non ricorrano i presupposti, ex art. 9, l. 24.3.1989 n. 122 -
è altresì necessariamente sottoposto al nulla - osta ambientale, ex art. 7, l.
29.6.1939, n. 1497, qualora l'area de qua sia sottoposta al relativo
vincolo.
(Cons. Stato,
sez. V, 5.11.1999, n. 1835, FA, 1999, 2446).
L'ordinanza del
commissario liquidatore recante approvazione del progetto esecutivo del Parco
archeologico dell'area flegrea sostituisce, ad ogni effetto anche di natura
ambientale, il nulla - osta paesaggistico previsto dalla l. 29.6.1939, n. 1497,
art. 7.
(Cons. Stato,
sez. VI, 10 12.1999, n. 2070, FA, 1999, 2583).
Il potere che si
esprime nella pronuncia sulle istanze di autorizzazione, ex art. 7, l.
29.6.1939, n. 1497, è soggetto ad un ben preciso onere di adeguata motivazione,
e ciò anche in caso di provvedimenti positivi sulle ragioni di compatibilità
degli interventi progettati, considerati nella loro globalità, che incidono su
aree paesaggisticamente protette.
(T.A.R. Veneto,
sez. II, 12.8.1998, n. 1414, RGA, 1999, 364).
I progetti dei lavori che si
vogliono effettuare devono essere presentati da parte dai soggetti interessati
all’organo competente previsto dalla legislazione regionale per la concessione
delle autorizzazioni o dei nulla osta per le modifiche progettate:
Il parere della
commissione consultiva, di cui all'art. 79 della l. r. Veneto 27 giugno 1985,
n. 61, previsto per la realizzazione di opere edilizie su beni tutelati, non ha
natura di condicio iuris dell'efficacia del provvedimento sindacale, ma
costituisce un elemento indefettibile del procedimento che si conclude col
rilascio della concessione o della autorizzazione, per cui tale parere deve
precedere il rilascio dell'autorizzazione o concessione edilizia.
(Cons. St., sez. V, 14.12.1994, n. 1486, RA, 1995, 152).
Il nulla osta non è necessario di
norma per le opere di manutenzione straordinaria, ex art. 152, d.lg. 490/1999,
con le precisazioni dalla giurisprudenza.
Per gli
interventi di manutenzione straordinaria, di consolidamento statico e di
restauro conservativo, che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici, nonché per l'esercizio dell'attività
agro-silvo-pastorale che non comporti alterazione permanente dello stato dei
luoghi per costruzioni edilizie od altre opere civili, e sempre che si tratti di
attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio, non
è richiesta l'autorizzazione di cui all'art. 7, l. 29.6.1939 n. 1497.
(Cons. Stato,
sez. IV, 28.5.1999, n. 885, FA, 1999, 980).
La l. 431 del
1985 non richiede l'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di
manutenzione, di consolidamento e di restauro conservativo, che non alterino
l'aspetto esteriore degli edifici. In ogni caso comporta alterazione della
superficie esterna soltanto l’opera che ne muti in modo rilevante o essenziale
le sue caratteristiche originali, in particolare i prospetti che siano visibili
dalla generalità dei consociati. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto
l'insussistenza del reato di cui all'art. 1 sexies della l. 431 del 1985
quando il mutamento venga apportato su pareti che prospettino su cortili o aree
interne agli edifici e chiuse su ogni lato mediante due aperture e due balconi.
(Cass. pen., sez. III, 24.4.1992, CP, 1993, 666).
Il nulla osta che autorizzi opere
in contrasto con le prescrizioni dettate dal piano territoriale paesistico è
illegittimo.
E' illegittimo il
nulla osta emesso ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, il quale
autorizzi opere in contrasto con le prescrizioni dettate dal piano territoriale
paesistico, la cui funzione è proprio quella di predeterminare in astratto, e
quindi a livello normativo, i criteri, le condizioni e le modalità per il
rilascio del medesimo nulla osta.
(T.A.R. Lazio,
sez. I, 29.11.1994, n. 1852, FA, 1995, 426).
Il piano
paesistico territoriale per l'isola d'Ischia, approvato il 18.2.1943, che
prevede una zonizzazione del territorio, nel cui ambito sono contemplati
specifici indici di fabbricabilità, non ha un'efficacia di massima, ma è
immediatamente vincolante per l'attività edificatoria.
E' pertanto
illegittimo il nulla osta della soprintendenza ai monumenti che autorizzi una
costruzione in contrasto con le prescrizioni del piano, in quanto, per le
dimensioni del fabbricato, l'area disponibile è largamente inferiore a quella
richiesta.
(Cons. Stato,
sez. V, 24.4.1986, n. 236, RGE, 1987, I, 74).
I lavori non possono essere
iniziati prima che sia stata rilasciata l’autorizzazione o il nulla osta.
Essa deve essere rilasciata entro
il termine perentorio di 60 giorni.
Gli interessati, trascorso tale
termine, entro i successivi 30 giorni, possono richiedere l’autorizzazione al
Ministero, che deve pronunciarsi entro 60 giorni dal ricevimento della
richiesta, ai sensi dell’art. 82 d.p.r. 616/1977, mod. art. 151, d.lg.
490/1999.
3.1. I rapporti tra
autorizzazione paesistica e concessione edilizia.
Legislazione
l. 29.6.1939, n. 1497, art. 7 - r.d. 3.6.1940, n.
1357, art. 25, - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20 lett. c) - l. 8.8.1985, n. 431, art.
1 sexies
Bibliografia Mengoli 1997.
Il nulla osta deve
necessariamente precedere il rilascio della concessione edilizia (Mengoli G.C.
1997, 423).
L'autorizzazione
ai fini paesaggistici, richiesta dall'art. 25, r.d. 3.6.1940, n. 1357,
costituisce un provvedimento autonomo rispetto alla concessione edilizia, nei
cui confronti si pone tuttavia come condizione di efficacia, nel senso che la
concessione, pur potendo essere emanata dal sindaco ancor prima dell'adozione
del provvedimento posto a protezione del vincolo paesaggistico, diviene
efficace solo dopo il rilascio dell'autorizzazione predetta.
Ne consegue che
una concessione edilizia rilasciata in assenza dell'autorizzazione
paesaggistica non è illegittima, ma solo inefficace, sicché non è consentito
dar corso ai lavori prima della conclusione dell'intero procedimento,
configurandosi, nel caso contrario, i reati urbanistici e paesaggistici di cui
all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47 ed all’art. 1
sexies, l. 8.8.1985, n. 431.
(Cass. pen., sez. III, 1.12.1997, n. 1492).
Il nulla osta
rilasciato ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497 dalla regione,
immediatamente valido ed efficace, costituisce titolo legittimamente, sotto il
profilo paesaggistico, ai fini del rilascio della concessione edilizia e della
realizzazione delle opere assentite.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 12.10.1993, n. 1174, T.A.R., 1993, 3928).
La giurisprudenza ritiene,
inoltre, efficace l’autorizzazione paesistica solo dopo scaduto il termine di
intervento del Ministero per i beni e le attività culturali.
Poiché, secondo
quanto dispone l'art. 7, l. 8.8.1985, n. 431, l'autorizzazione paesaggistica è
sottoposta al potere di annullamento del Ministero per i beni e le attività
culturali, essa non può considerarsi efficace prima che siano decorsi sessanta
giorni dalla data in cui il provvedimento è pervenuto all'autorità tutoria.
La concessione
edilizia relativa a lavori che richiedono l'autorizzazione paesaggistica può a
sua volta dirsi efficace solo dopo il decorso di tale ulteriore termine e, allo
stesso, modo solo dopo il decorso di questo può formarsi, nel caso in cui sia
stata rilasciata un'autorizzazione espressa, il silenzio assenso su un'istanza
di concessione.
(Cass. pen., sez. III, 1.12.1997, n. 1492).
4. Il potere ministeriale di
annullamento.
Legislazione
l. 1497/1939, artt. 9,15 - l. 431/1985, art. 1, -
d.p.r. 616/1977, art. 82 - d.lg. 490/1999, artt. 10, 140.
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli
1997.
Al Ministero beni culturali è
attribuito un autonomo potere di annullamento dell'autorizzazione regionale per
l'utilizzo di beni sottoposti a vincolo ambientale, ai sensi dell'art. 82,
d.p.r. 24.7.1977, n. 616, come mod. art. 1, l. 8.8.1985, n. 431.
Tale potere s'inquadra
nell'esercizio di una funzione di vigilanza e/o controllo dell'attività
regionale.
Il
potere di annullamento spettante al Ministero per i beni e le attività
culturali nei confronti delle autorizzazioni paesaggistiche, rilasciate ai
sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, ben può essere oggetto di preventivi
condizionamenti e limitazioni in virtù di accordi stipulati dal Ministero
titolare del potere.
(Cons. Stato,
sez. IV, 16.9.1999, n. 1458, FA, 1999, 1709).
Il controllo
assegnato dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, al Ministero per i beni culturali e
ambientali in ordine alla legittimità dei nulla osta paesaggistici rilasciati
dalle amministrazioni delegate, ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, si
configura del tutto autonomo rispetto ad eventuali pareri e valutazioni espressi
dalla locale soprintendenza, ed è ancorato a parametri di sola legittimità per
il rispetto delle locali bellezze naturali.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 3.11.1998, n. 1810, FA, 1999, 2255).
Il provvedimento è sottoposto ad
un termine di decadenza di sessanta giorni dalla data della trasmissione degli
atti della soprintendenza al competente ufficio ministeriale.
Il d.m. di
annullamento degli atti autorizzativi di nuove costruzioni, ai sensi della l.
29.6.1939 n. 1497, art. 7 ed in estrinsecazione del potere di cui alla l.
8.8.1985, n. 431, art. 1, deve essere emanato e non anche comunicato al
destinatario, nel termine di sessanta giorni dalla trasmissione degli atti
della soprintendenza al competente ufficio ministeriale.
(Cons. Stato,
sez. VI, 3.6.1999, n. 737, RGE, 1999, I, 1152).
Il termine di
sessanta giorni, stabilito dall'art. 82, 9° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616, nel
testo modificato dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, entro il quale può
intervenire il decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali di
annullamento del nulla osta paesaggistico rilasciato, ai sensi dell'art. 7, l.
29.6.1939 n. 1497, dalla provincia, ancorché perentorio, attiene al solo
esercizio del potere di annullamento, restando estranea alla previsione
normativa l'ulteriore fase della comunicazione o notificazione.
(Cons. Stato,
sez. VI, 10.2.1999, n. 121, GI, 1999, 2179)
Il termine
previsto dall'art. 82, 9° co., d.p.r. 24.7.1977 n. 616, mod. dalla l. 8.8.1985,
n. 431, per l'esercizio del potere di annullamento ministeriale degli atti
autorizzatori connessi alla tutela di beni culturali e ambientali emessi in
sede periferica, decorre dalla data di ricezione della documentazione relativa
al provvedimento e non dalla ricezione di quest'ultimo, ove ne sia disposta la
separata trasmissione.
(Cons. Stato,
sez. VI, 14.7.1999, n. 956, FA, 1999, 1489).
Il
termine di sessanta giorni, di cui all'art. 82, 9° co., d.p.r. 24.7.1977, n.
616, assegnato al Ministero per i beni culturali e ambientali per
l'annullamento dell'autorizzazione regionale o delle autorità subdelegate, in
materia di costruzioni nelle zone soggette a vincolo paesaggistico, ancorché
perentorio, attiene al solo esercizio del potere di annullamento, restando
estranea alla previsione normativa l'ulteriore fase della comunicazione o
notificazione.
(Cons. Stato, A.
P., 22.7.1999, n. 20, FA, 1999, 1423).
Il relativo procedimento deve
essere conforme ai disposti della l. 7.8.1990, n. 241.
L'obbligo di
previa comunicazione dell'interessato dell'inizio del procedimento di cui
all'art. 7, l. 7.8.1990, n. 241, sussiste anche nel caso di procedimento
ministeriale preordinato all'annullamento d'ufficio del nulla osta
all'edificazione in zone di interesse paesistico, rilasciato dal sindaco ai
sensi dell'art. 7, l. 29.6. 1939, n. 1497.
(T.A.R.
Lombardia, sez. Brescia, 17.4.1999, n. 300, T.A.R., 1999, I, 2442).
Il procedimento
volto al rilascio dell'autorizzazione in sanatoria ai fini del condono edilizio
in zona soggetta a vincolo ambientale, ai sensi dell'art. 7, l. 1.6.1939, n.
1497, si configura quale procedimento instaurato ad istanza di parte e non
sussiste l'obbligo per l'amministrazione statale procedente di comunicare
l'avviso di inizio all'interessato.
(T.A.R. Campania,
sez. II, Napoli, 5.1.1999, n. 53, FA, 1999, 1875).
Il controllo ministeriale non può
comunque essere eluso dalla legislazione regionale.
La l. r. Abruzzo 27.4.1996, n.
23, che detta norme per gli impianti pubblici o di pubblico interesse, ove si
stabilisce, al comma 1 dell'art. unico, che gli impianti a rete pubblici o di
pubblico interesse "si configurano come opere di urbanizzazione e pertanto
non necessitano di conformità urbanistica e non sono soggette a concessione
edilizia, ma a semplice autorizzazione da parte delle amministrazioni comunali”
è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell'art. 3,
1° co., cost.
La l. r. Abruzzo
27.4.1996, n. 23, oggetto di impugnazione si pone in irrimediabile contrasto
con la legislazione nazionale, perché omette l’autorizzazione del Ministro per
i beni culturali e ambientali ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497.
(Corte cost.,
21.11.1997, n. 345, CS, 1997, II, 1730).
Il potere ministeriale trova un
limite nelle disposizioni degli strumenti urbanistici regionali e nelle
motivazioni che non hanno specificatamente carattere ambientale, come quelle
che attengono al processo costruttivo.
Nel caso in cui
il piano territoriale paesistico regionale preveda espressamente la possibilità
di realizzare vasche destinate all'acquacoltura è illegittimo il provvedimento
ministeriale che nega l'autorizzazione alla costruzione di un impianto, peraltro
di ridotte dimensioni, di troticoltura che sia genericamente motivato dalle
prescrizioni del piano stesso e dall'esigenza di tutelare l'ambiente
circostante.
(Trib. sup.
acque, 21.12.1995, n. 105, CS, 1995, II, 2262).
E'
illegittimo il decreto del Ministro dei beni culturali e ambientali che annulla
una concessione di costruzione rilasciata dal sindaco in zona protetta
paesisticamente e valida anche come autorizzazione, ai sensi dell'art. 7, l.
29.6.1939, n. 1497, che motivi con riferimento non ad esigenze di tutela
paesaggistica, ma a questioni di carattere edilizio - costruttivo rientranti
nella sfera di attribuzioni del Comune.
(Cons. Stato,
sez. VI, 20.11.1998, n. 1583, AUE, 1999, 609).
Nell'esercizio
del potere di annullamento delle autorizzazioni rilasciate dall'amministrazione
regionale ai sensi dell'art. 7, l. n. 1497 del 1939, l'autorità ministeriale
esercita un potere di riesame sotto il profilo della loro legittimità, ma non
può rinnovare le valutazioni discrezionali già compiute nel merito da parte
della regione.
(Cons. Stato,
sez. VI, 6.10. 1998, n. 1348, RAm, 1998, 1015).
L'avvenuta
adozione del piano urbanistico territoriale da parte della regione non sottrae,
dunque, le suddette autorizzazioni al controllo ministeriale.
(T.A.R. Friuli
Venezia Giulia, 21.5.1992, n. 289, FA, 1993, 517).
5. La sospensione dei lavori.
Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 9 -
r.d. 3.6.1940, 1357, art. 17, 2°, co. - d.p.r. 616/1977, art. 82 - d. lg.
29.10.1999, n. 490, art. 153.
Bibliografia Forlenza 2000.
Il Ministro per i beni culturali
ed ambientali - ora la regione, ex art. 82, d.p.r. 616/1977 - può disporre la
sospensione dei lavori quando essi rechino pregiudizio a beni qualificabili
come bellezze naturali, anche indipendentemente dalla loro inclusione negli
elenchi.
E'
legittimo il provvedimento con il quale viene disposta la sospensione
cautelativa dell'attività estrattiva di cava, a norma degli artt. 8 e 9 della
l. 1497 del 1939, nonostante la località in questione non sia inclusa
nell'elenco delle località panoramiche predisposto dalla commissione
provinciale e prescindendosi, altresì, da una completa ed approfondita indagine
sulla reale situazione di fatto e di diritto.
Nella specie il
provvedimento cautelare era diretto a sospendere l'attività estrattiva limitatamente
alle aree colpite da vincolo archeologico.
(Cons. Stato,
sez. VI, 30.1.1991, n. 47, RGE, 1991, I, 438).
Il potere di
inibizione di cui agli artt. 8 e 9, l. 29.6.1939, n. 1497 è soggetto al
generale onere di motivazione, proprio di tutti i provvedimenti di carattere
ablatorio, ma anche allo specifico disposto di cui all'art. 17, r.d. 3.6.1940,
n. 1357, che richiede espressamente una specifica motivazione come requisito di
legittimità dei provvedimenti cautelari.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 9.2.1988 n. 272, T.A.R., 1988, I, 734).
L’art. 9, l. 29.6.1939, n. 1497,
sost. art. 153, d. lg. 29.10.1999, n. 490, afferma che i provvedimenti di
sospensione sono revocati se nel termine di tre mesi non sia stato comunicato
all’interessato che la commissione preposta ha espresso parere favorevole alla
apposizione del vincolo che giustifica la sospensione dei lavori.
L'ordine di
sospensione dei lavori edilizi in aree sottoposte a vincolo paesistico può
essere legittimamente impartito, ai sensi dell'art. 8, l. 29.6.1939, n. 1497,
indipendentemente dall'inclusione della località nell'elenco delle zone
vincolate, nel caso in cui essi siano stati iniziati senza autorizzazione.
Quando
quest'ultima è intervenuta - e i lavori sono stati eseguiti in conformità o in
difformità di tale autorizzazione - il citato art. 8 non è applicabile e
l'ordine di demolizione può essere impartito, ai sensi del successivo art. 15,
senza che esso debba essere preceduto dall'ordine di sospensione.
(Cons. Stato,
sez. VI, 9 4.1998, n. 429, CS, 1998, I, 634).
L’art. 17, 2°, co. r.d. 3.6.1940,
1357, prevede che l’ordine di sospensione dei lavori edilizi deve essere
notificato a cura del prefetto il quale provvede alla notifica dello stesso
entro il terzo giorno dal suo ricevimento.
La dottrina conferma che si
tratta di un termine acceleratorio posto ala pubblica amministrazioni non già
di un termine perentorio per l’esercizio del potere cautelare (Forlenza O.
2000, n. 35, 90).
Il
termine di tre giorni assegnato al prefetto, dall’art. 17, r.d. 3.6.1940, 1357,
per la notifica dell’ordine di sospensione dei lavori edilizi, adottato da
organi del ministero dei Beni culturali, ha natura ordinatoria.
(T.A.R.
Marche, 23.2.200, n.742, GD, 2000, n. 35, 78).
6. Le sanzioni. La remissione in pristino.
Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 -
d.p.r. 616/1977, art. 82 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 5 - d. lg. 29.10.1999, n.
490, artt. 156, 164.
Bibliografia Centofanti 2000.
Le sanzioni previste dall’art.
15, l. 29.6.1939, n. 1497, sost. art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490, sono la
remissione in pristino dello stato dei luoghi ovvero, in caso di impossibilità,
la sanzione pecuniaria (Centofanti N. 2000, 77).
L’organo competente
all’irrogazione della sanzione è la regione, ex art. 82, d.p.r. 616/1977.
L’art. 5, l. 28.2.1985, n. 47,
prevede l’adozione dei provvedimenti sanzionatori da parte del presidente della
giunta regionale d’intesa con il Ministro dei lavori pubblici.
Per le opere che devono essere
eseguite da amministrazioni statali il Ministero può rilasciare
l’autorizzazione anche in deroga ai disposti regionali, per cui la regione non
può, senza l’assenso ministeriale, adottare i provvedimenti sanzionatori, ex
art. 156, d. lg. 29.10.1999, n. 490.
Il
sindaco non è titolare dei poteri repressivi previsti dall'art. 15, l.
29.6.1939, n. 1497 nei confronti di opere pubbliche realizzate dallo Stato.
(T.A.R. Campania,
sez. I, Napoli, 15.6.1999, n. 1649, T.A.R., 1999, I, 3487).
La Regione o
l'ente subdelegato non sono competenti ad applicare alle opere statali -
realizzate senza autorizzazione nelle località soggette a vincolo paesistico -
le sanzioni previste dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, in quanto non è stato
modificato l'art. 13 della medesima legge sull'adozione dei relativi
provvedimenti riguardanti opere pubbliche
(T.A.R. Campania,
sez. I, Napoli, 15.6.1999, n. 1649, RGE, 1999, I, 1140).
Ai sensi
dell'art. 5, l. 28 .2.1985, n. 47, spetta al Ministro dei lavori pubblici,
d'intesa col Presidente della giunta regionale, l'irrogazione della sanzione
demolitoria di cui all'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, per il caso in cui
un'opera di amministrazione statale risulti abusivamente realizzata su un'area
vincolata.
(T.A.R. Marche,
28.9.1996, n. 383, FA, 1997, 1190).
L’art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497,
sost. art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490, prevede la remissione in pristino
dello stato dei luoghi, con la demolizione delle opere non regolarmente
autorizzate e riportando i luoghi al loro stato precedente all’intervento.
La
sanzione ex art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497 è applicabile per il sol fatto della
violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi tutelati o vincolati,
indipendentemente dal fatto che sia richiesta una previa indagine circa il
pregiudizio per la bellezza d'insieme.
(Cons. Stato,
sez. V, 1.10.1999, n. 1225, FA, 1999,2063)
La demolizione
delle opere, abusivamente eseguite in spregio della tutela delle bellezze
panoramiche, costituisce sanzione propriamente preordinata al ripristino dello
stato dei luoghi turbato dalla illecita costruzione, restando nella
discrezionalità dell'amministratore applicare la sanzione patrimoniale
pecuniaria quando la lesione arrecata all'ambiente paesaggistico sia di
limitata entità, sulla base di valutazione non sindacabile nel giudizio di
legittimità.
(Cons. Stato,
sez. VI, 15.4.1993, n. 290, FA, 1993, 737).
La demolizione di
un'opera edilizia realizzata senza autorizzazione o concessione edilizia in una
zona sottoposta a vincolo paesaggistico è legittimamente ordinata se, tenuto
conto del grave pregiudizio dei valori paesaggistici, derivati dall'opera
stessa, sia stato ritenuto di non applicare, in alternativa, la sanzione del
pagamento dell'indennità contemplata dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497.
(Cons. Stato,
sez. II, 16.5.1990, n. 242, CS, 1993, I, 1046).
Al fine
dell'irrogazione della sanzione della demolizione è necessaria e sufficiente la
constatazione dell'esistenza di un contrasto tra l'opera abusiva e le
caratteristiche della zona protetta, rilevata dall'organo tecnico, non essendo
consentito all'amministrazione di valutare l'opportunità di disporre o meno la
sanzione in ragione della già avvenuta compromissione della zona stessa, con il
risultato di sostituire il proprio giudizio sul valore ambientale della zona
protetta a quello espresso nella competente sede in occasione dell'imposizione
del vincolo.
(T.A.R.
Lombardia, sez. Brescia, 22.10.1990, n. 1120, T.A.R., 1990, I, 4266).
La mancanza ovvero
l’inadeguatezza della motivazione è sufficiente per poter fare dichiarare la
illegittimità del provvedimento.
Ai
sensi dell'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, nel caso in cui l'autorità
competente in materia di tutela delle bellezze d'insieme e panoramiche -
presidente della provincia - ritenga di applicare alla costruzione realizzata
in difformità dal progetto approvato la sanzione della demolizione e
riconduzione in pristino anziché la sanzione pecuniaria alternativa deve darne
congrua motivazione.
Da questa devono
risultare le concrete ragioni della scelta, a fronte della gravità della
fattispecie lesiva, in particolare esigendosi che dal contesto del
provvedimento emerga che la riduzione in pristino costituisca l'unico rimedio
per la salvaguardia dei valori ambientali.
(T.A.R. Veneto,
sez. II, 4.6.1998, n. 839, FA, 1999, 423).
La
scelta fra la demolizione dell'opera abusiva in contrasto con le norme a tutela
delle bellezze naturali e l'applicazione della sanzione pecuniaria si fonda su
un accertamento del fatto e una valutazione dell'entità della violazione del
tutto discrezionali, tenuto tuttavia conto che, in relazione alla finalità
generale di protezione riconducibile all'art. 15 l. 29.6.1939, n. 1497, lo
scopo perseguito dalla norma è di carattere restitutorio e non meramente
afflittivo.
Esso può conseguirsi
in pieno solo attraverso la "restitutio in pristinum",
rispetto alla quale la minore sanzione della penale economica riveste carattere
del tutto accessorio ed eccezionale.
All'esercizio di
siffatta potestà si accompagna per l'Amministrazione il dovere di indicare,
nella motivazione del provvedimento di irrogazione della sanzione, le concrete
ragioni della scelta compiute a fronte della gravità della fattispecie lesiva.
(T.A.R. Emilia
Romagna, sez. I, Bologna, 11.11.1998, n. 390, T.A.R., 1999, I, 177).
Il provvedimento di demolizione
deve concedere al trasgressore un termine per l’esecuzione del provvedimento.
In caso di inadempienza si
procede d’ufficio a mezzo del Prefetto, con l’addebito delle spese sostenute,
ex art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490.
7. La sanzione pecuniaria
alternativa alla remissione in pristino.
Legislazione
l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 - d. lg. 29.10.1999, n.
490, art. 164.
Bibliografia Tricomi 2000 - Damonte 2000.
L’art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497,
sost. art. 164, d. lg. 29.10.1999, n. 490, attribuisce una scelta discrezionale
alla regione che è l’organo competente, ex art. 82, d.p.r. 616/1977, sulle
modalità relative alla repressione dell’abuso, concedendogli la facoltà di
valutare se procedere alla remissione in pristino delle opere o alla
irrogazione di una sanzione pecuniaria (Tricomi I. 2000, 37).
In
tema di costruzioni edilizie in zone soggette a vincolo paesistico, nel sistema
sanzionatorio, delineato dall'art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, per gli abusi, la
sanzione pecuniaria costituisce misura alternativa all'ordine di demolizione,
come questa finalizzata a colpire l'illecito arrecato al bene paesaggistico
sottoposto a tutela in presenza di un accertato pregiudizio arrecato al
paesaggio.
(T.A.R. Liguria
sez. I, 27.5.1999, n. 230, RGE, 1999, I, 1121).
La sanzione pecuniaria è
calcolata in una cifra pari alla maggiore somma tra danno arrecato e profitto
conseguito sulla base di una perizia di stima redatta dagli uffici regionali.
La sanzione di
cui all'art. 15, l. n. 1497 del 1939, va applicata per il solo fatto della
violazione dell'obbligo di non mutare lo stato dei luoghi, senza che sia
richiesta una preventiva indagine circa il pregiudizio arrecato alla bellezza
d'insieme.
La relativa
valutazione sul versante quantitativo non può che essere equitativa in quanto
il danno paesistico per sua natura sfugge ad una indagine articolata e minuta.
Posto che l'art.
15, l. 1497/1939, consente l'imposizione di un'indennità equivalente alla
maggior somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito, il trasgressore
non ha interesse a dedurre in giudizio l'inosservanza della disposizione di
avere l'amministrazione accertato soltanto il profitto conseguito, poiché, nel
caso in cui il danno fosse inferiore al profitto, l'indennità sarebbe
commisurabile a quest'ultimo mentre, nel caso inverso, risulterebbe un maggior
onere economico a carico del ricorrente.
(Cons. Stato,
sez. V, 1.10.1999, n. 1225, UA, 1999, 1345).
La
valutazione dell'indennità, ex art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, non può essere
che equitativa e collegata ad una stima tecnica di carattere generale,
insuscettibile d'una dimostrazione articolata ed analitica, in quanto il danno
ambientale sfugge, per sua stessa natura, ad un'indagine dettagliata e
minuziosa e, quindi, non abbisogna di una puntuale motivazione analitica circa
l'ammontare della sanzione irrogata.
(Cons. Stato,
sez. V, 1.10.1999, n. 1225, FA, 1999, 2063).
E' legittima
l'irrogazione della sanzione pecuniaria, ex art. 15, l. 29.6.1939, n. 1497, nei
confronti dell'indebita demolizione di un edificio di rilevante interesse
storico - paesaggistico, in quanto tale vicenda - eseguita nella specie in
totale difformità dell'autorizzata ristrutturazione - determina
un'irreversibile alterazione dello stato di fatto.
Il
manufatto così realizzato è insuscettibile di interventi ripristinatori come la
sua ricostruzione.
Essa è destinata
a produrre, infatti, un manufatto, comunque, diverso da quello preesistente, di
cui invece la p.a. aveva inteso conservare l'individualità o l'originalità
storica.
Nella specie,
l'ordinata ricostruzione dell'immobile non ha ripristinato lo status quo
ante, ma s'appalesa come procedimento distinto ed autonomo rispetto alla
sanzione, ex l. n. 1497 del 1939, o, come tale, a sua volta soggetto ad
accertamento della compatibilità paesaggistico - ambientale.
(Cons. Stato,
sez. V, 20.12.1999, n. 2113, FA, 1999, 2520).
L'indennità
di tipo risarcitorio del danno cosiddetto "ambientale" nell'ambito di
un procedimento amministrativo di tipo autoritativo, deve essere collegata a
criteri obiettivi di valutazione e non può richiamarsi a generici criteri
equitativi.
(T.A.R.
Lombardia, sez. Brescia, 20.1.1992, n. 9, FA, 1992, 2015).
Per un filone giurisprudenziale
la sanzione pecuniaria può essere irrogata solo qualora l’autorità regionale
dimostri l’avvenuto danno ambientale.
La
sanzione pecuniaria, ex art. 15, l. n. 1497 del 1939, ha funzione
esclusivamente risarcitoria del danno in concreto arrecato e, quindi, non può
essere irrogata allorché non vi sia stato effettivo pregiudizio al bene
tutelato.
(T.A.R. Liguria,
sez. I, 11.6.1999, n. 239, RGE, 1999, I, 1366).
I provvedimenti
sanzionatori, ex art. 15, l. 29.6.1939 n. 1497, sono comminabili solo a fronte
di movimentazioni di terreno comportanti alterazioni sostanziali dell'ambiente
naturale sottoposto a tutela paesaggistica.
Nel caso di
specie è stata esclusa tale violazione a fronte di riporto di terreno vegetale
prelevato in loco e di estirpazione di canna lacustre.
(T.A.R. Umbria,
27.5.1997, n. 224, FA, 1998, 502).
L'abusiva
estrazione - in una cava ubicata in area sottoposta a vincolo paesistico, ex
art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497 - di materiali inerti al di sotto della quota
massima di escavazione e, quindi, in eccedenza ai limiti e ai quantitativi
autorizzati, assume una duplice valenza ai fini sanzionatori per quanto attiene
alla violazione dei limiti imposti con l'autorizzazione alla coltivazione della
cava, nonché per quanto concerne la violazione delle norme poste a salvaguardia
del regime del vincolo ambientale.
Legittimamente
l'amministrazione comunale irroga, per tale fattispecie, anche la sanzione
pecuniaria prevista dall'art. 15, l. n. 1497 del 1939.
(T.A.R. Marche,
20.12.1995, n. 663, FA, 1996,2705).
La dottrina e la giurisprudenza
più recenti rilevano, invece, che l’indennità non ha funzione risarcitoria, ma
costituisce sanzione amministrativa non richiedendo, pertanto, la dimostrazione
del danno (Damonte R. 2000, 859).
L’indennità
prevista dall’art. 15, l. 1497/1939, in alternativa alla demolizione delle opere
in caso di violazione degli obblighi e ordini in materia di tutela del
paesaggio costituisce una sanzione amministrativa e non una forma di
risarcimento del danno ambientale, con la conseguenza che sarà dovuta anche in
mancanza di danno, commisurandosi in tal caso in relazione al profitto.
(Cons. Stato, sez. VI, 2.6.2000, n. 3184, RGE,
2000, 843).
L’indennità ha tutt’altra natura
rispetto all’oblazione prevista dalla l. 47/1985 sul condono.
In base all'art.
15, l. 29.6.1939, n. 1497, e alla luce del carattere innovativo dell'art. 2,
46° co., l. 23.12.1996, n. 662, l'indennità risarcitoria per le opere abusive
oggetto di condono è dovuta anche qualora sia intervenuto da parte
dell'autorità preposta alla tutela dei vincoli paesaggistici parere favorevole,
ex art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, su un'opera dannosa per l'ambiente ma ritenuta
non assolutamente incompatibile con la tutela del vincolo sulla base di una
valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti.
L'indennità
suddetta non è, invece, dovuta e gli eventuali provvedimenti in tal senso
assunti sono illegittimi, qualora il parere favorevole venga rilasciato per
un'opera che non configuri alcun danno ambientale.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 21.6.1999, n. 1531, FA, 1999, 1856).
L'indennità, di
cui all'art. 15 della l. 29.6.1939, n. 1497, è diretta a colpire la
manomissione del territorio operata dall'intervento abusivo, al fine di
reintegrare il valore patrimoniale del bene pubblico compromesso
dall'intervento dannoso, e differisce dall'oblazione, di cui all'art. 34, l.
28.2.1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le sanzioni pecuniarie legate
all'illecito urbanistico.
Legittimamente,
quindi, il provvedimento di sanatoria di una costruzione abusiva realizzata su
un'area sottoposta a vincolo paesaggistico viene condizionato al pagamento
della predetta indennità.
(Cons. Stato,
sez. II, 7.3.1990, n. 189, DGA, 1993, 442).
7.1. I ricorsi.
Legislazione l. 29.6.1939, n. 1497, art. 15 -
l. 24.11.1981, n. 689, art. 16.
Bibliografia Tricomi 2000.
Il giudice amministrativo ha la
giurisdizione sui ricorsi contro la determinazione della sanzione (Tricomi I.
2000, 38).
La sanzione
pecuniaria, irrogata dalla pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 15, l.
1497 del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali, ha carattere
alternativo rispetto a misure di tipo ripristinatorio e, pertanto, rientra
nell'area dei poteri autoritativi dell'amministrazione a tutela diretta di
interessi pubblici, con la conseguenza che la controversia rivolta a contestare
la validità ed efficacia del provvedimento applicativo di detta sanzione è
devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si ricollega
ad una posizione soggettiva di interesse legittimo.
(Cass. civ., Sez. U., 18.5.1995, n. 5473, GCM, 1995, 1025).
Per potere attivarsi in giudizio,
secondo i principi generali, il ricorrente deve avere interesse, ad esempio
avere giustificato motivo alla riduzione della sanzione.
L'art. 15, l.
29.6.1939, n. 1497, nel prevedere la sanzione pecuniaria per colui che
danneggia beni soggetti a tutela paesaggistico-ambientale, consente
l'imposizione di un'indennità pari alla maggiore somma tra il danno arrecato ed
il profitto conseguito.
Il trasgressore
non ha alcun interesse da far valere in via d'azione circa l'inosservanza di
tale regola, qualora la p.a. accerti il solo profitto conseguito, in quanto, se
il danno fosse inferiore al profitto, l'indennità sarebbe, comunque,
commisurata a quest'ultimo, mentre, nel caso inverso, risulterebbe un maggior
onere a carico di costui.
(Cons. Stato.
sez. V, 1.10.1999, n. 1225, FA, 1999,2063).
La sanzione amministrativa è
riscossa attraverso il meccanismo di cui all’art. 16, l. 24.11.1981, n. 689.
Con riguardo alla
sanzione amministrativa pecuniaria irrogata a norma dell'art. 15, l. 29.6.1939,
n. 1497, sulla tutela della bellezze naturali per costruzione realizzata senza
la prescritta autorizzazione, quando l'opposizione del privato investa la fase
della riscossione del credito, trovano applicazione le disposizioni della l.
24.11.1981, n. 689.
Attesa la
previsione di cui all'art. 12, l. 24.11.1981, n. 689, il quale, prescrivendo
che le disposizioni del capo I della stessa si osservano in quanto applicabili
e salvo che non sia diversamente stabilito per tutte le violazioni per le quali
sia comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro
ancorché non sostitutiva di una sanzione penale, rende palese l'intento del
legislatore di attribuire carattere generale alle richiamate disposizioni.
Esse comprendono
qualsiasi ipotesi di illecito amministrativo, ad eccezione delle violazioni
disciplinari, espressamente escluse, e di quelle comportanti sanzioni non
pecuniarie.
(Cass. civ., sez. I, 28.8.1997, n. 8162, RGP, 1998, 483).
Con
riguardo a sanzione amministrativa pecuniaria irrogata per un illecito a
carattere permanente, quale la costruzione realizzata senza la autorizzazione
prescritta dall'art. 7, l. 19.6.1939, n. 1497, sulla tutela delle bellezze
naturali, la prescrizione quinquennale del diritto di riscuotere le somme
dovute, prevista dall'art. 28, l. 24.11.1981, n. 689, inizia a decorrere dalla
cessazione della permanenza in applicazione della regola posta dall'art. 158, 1° co., c.p.
(Cass. civ., sez. I, 28.8.1997, n. 8162, RGP, 1998, 483).
8.
Costruzioni abusive in aree demaniali.
Legislazione
r.d. 14.4.1910, n. 639, art. 2 - l. 28.1.1977,
n. 10, art. 15, 13° co. - l. 47/1985, art. 4, 2° co., 7, 3° co. - d.p.r.
28.1.1988, n. 43, art. 69.
Bibliografia Centofanti 2000.
L’art. 15, 13° co., l. 28.1.1977,
n. 10 e l’art. 4, 2° co., l. 47/1985 disciplinano una particolare forma di
controllo sulle costruzioni abusive realizzate su aree dello Stato.
Le opere eseguite da terzi in
totale difformità dalla concessione o in assenza di essa su suoli di proprietà
dello Stato o di enti territoriali sono demolite, a cura e spese del
costruttore, entro sessanta giorni.
In caso di mancata esecuzione
dell’ordine, previa acquisizione dell’area, il comune provvede, ex art. 7, 3°
co., l. 47/1985, alla demolizione con recupero delle spese.
Il procedimento della
riscossione, disciplinato prima dall’art. 69 del d.p.r. 28.1.1988, n. 43,
quindi mediante iscrizione a ruolo è ora demandato ai concessionari secondo le
procedure civilistiche, ex art 21, d.lg. 13.4.1999, n. 112.
Qualora le opere siano solo
parzialmente difformi dalla concessione, il costruttore deve provvedere a
demolire solo le parti non rispondenti al progetto originario ovvero, nel caso
in cui esse non possano essere rimosse senza pregiudizio della parte conforme,
il comune applica una sanzione pari al doppio del valore della parte difforme.
La sanzione ivi prevista è
comminata dallo Stato o dagli altri enti territoriali interessati.
Permane il divieto di forniture
alle costruzioni prive di concessione per le aziende erogatrici di servizi
pubblici.
La l. 47/1985 dà la possibilità
di sanare anche le opere eseguite in aree vincolate, su parere delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, da rendersi entro centoventi
o centottanta giorni dalla domanda a seconda della gravità dell’abuso.
A seguito della modifica
apportata all’art. 32 della L. 47/1985 dall'art. 2, 43° co. l. 662/1996 il
parere, qualora non venga formulato nei termini perentori si intende reso in
maniera favorevole (Centofanti N. 2000, 416).
9. Il reato di distruzione o il
deturpamento di bellezze naturali.
Legislazione
cost., art. 9 - c.p., art. 734 - l. 431/1985, art. 1
sexies.
Bibliografia Mucciarelli 1987 - Conti 1997.
Il codice penale all’art. 734
punisce chiunque, mediante costruzioni, demolizioni, o in qualsiasi altro modo,
distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale
protezione dell’Autorità, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio
storico o artistico nazionale, con l’ammenda da lire due milioni a dodici
milioni.
La norma anticipa la tutela,
prevista dall’art. 9, cost., del paesaggio e del patrimonio artistico della
nazione (Conti L. 1997, 422).
La giurisprudenza propende
correttamente per una interpretazione estensiva della norma.
La distruzione o
l'alterazione del paesaggio si verifica, nell'ipotesi di costruzione o
demolizione, all'epoca della ultimazione delle dette attività. In quel momento
il danno è ormai intervenuto.
La successiva
protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai
esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo. Il reato è quindi
permanente, ma detta permanenza termina con la cessazione dei lavori.
(Cass. pen., sez. fer., 26.7.1993, CP, 1994, 2196).
L'evento della
alterazione delle bellezze naturali consiste nella diminuzione del godimento
estetico che il luogo offriva, e ciò avviene anche quando il luogo, pur
rimanendo invariato, non sia più fruibile per gli ostacoli frapposti.
Fattispecie relativa ad alterazione della Villa Comunale di Napoli, non solo
per il suo degrado in genere, ma anche perché il parco era ridotto "ad una
autorimessa pubblica, occupato da una massiccia e costante presenza di
autovetture lasciate in sosta”.
(Cass. pen., sez.
III, 10.12.1991).
Per definire il
concetto di bellezza naturale non può farsi esclusivo riferimento alla l.
29.6.1939, n. 1497, che tutela i beni paesistici quale fonte di godimento
estetico, ma, alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 9, va
considerato il bene ambientale nel suo complesso.
Ne deriva che la
tutela fornita dall'art. 734 c.p. ha per oggetto le menomazioni permanenti o le
distruzioni dell'ambiente, in tutte le sue componenti essenziali, ivi compresa
la fauna e la flora. Nella fattispecie la Corte ha ritenuto corretta
l'applicazione dell'art. 734 c.p. relativamente a ripetuti episodi di
inquinamento che avevano provocato estese morie di pesci negli allevamenti e
nel fiume, oggetto di speciale protezione paesistica.
(Cass. pen., sez. II, 19.9.1990, CP,
1992, 2186).
La contravvenzione può sussistere
solo quando l’autorità amministrativa abbia riconosciuto al sito speciale
protezione e la qualifica di bellezza naturale sia stata mantenuta nel tempo.
Nel
caso in cui risulti accertata l'esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico
interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con
esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è
configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, né quello
di cui all'art. 734, c.p., che presuppone l'imposizione di un vincolo a tutela
delle bellezze naturali e del paesaggio.
(Cass. pen., sez. III, 28.2.1997, n. 4423, CP, 1998, 1472).
Non integra la
contravvenzione di cui all'art. 734, c.p., la semplice modificazione dello
stato di un luogo sottoposto a vincolo paesaggistico, ex l. n. 1497/1939, ove
la costruzione eseguita in spregio del vincolo sia eseguita su una discarica.
Nell'enunciare il
principio di cui in massima, il decidente ha evidenziato che, essendo la
contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. reato di danno e non di pericolo,
occorre l'effettiva distruzione o alterazione delle bellezze naturali.
Il fatto non si
verifica quando i lavori abusivi siano realizzati su un luogo che non risulta
avere più alcuna caratteristica morfologica del demanio marittimo.
(Pret. Palermo,
18.7.1996, FI, 1998, II, 357).
Integra l'ipotesi
di cui all'art. 734 c.p. - che si configura come reato di danno - la condotta
di chi, in assenza delle necessarie autorizzazioni, prosegua l'attività di
escavazione in zona sottoposta a vincolo ambientale, deturpando così le
bellezze naturali dell'area.
(Pret. Roma,
20.12.1996, CP, 1997, 3200).
10. Il potere del giudice.
Legislazione
c.p., art. 734 - l. 20.3.1865, n. 2248, all. e), art.
5 - l. 47/1985, art. 20, lett. c).
Bibliografia Assini Mantini 1997 - Mengoli
1997.
La giurisprudenza inquadra il
reato fra quelli di danno; spetta al magistrato accertare in concreto il
verificarsi del danno all’ambiente.
Parte della dottrina ritiene che
il reato si perfeziona anche in presenza della autorizzazione amministrativa
(Mucciarelli F., 1987, 433).
L'accertamento
della esistenza o meno della distruzione o alterazione delle bellezze naturali
dei luoghi spetta al giudice di merito indipendentemente da ogni valutazione
della p.a., ed il relativo giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se
adeguatamente e correttamente motivato.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1998, n. 1773, CP,
1999, 3228).
Nel
contesto della previsione dell'art. 734, c.p., rientra nell'esclusivo potere
del giudice accertare se in concreto l'opera eseguita abbia distrutto,
alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo
paesaggistico, indipendentemente dalla concessione comunale e/o del nullaosta
amministrativo regionale. Detta autorizzazione amministrativa non esclude la
sussistenza della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai
rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico o della gravità
del reato, spettando unicamente al giudice penale l'accertamento del
verificarsi dell'evento concretante la contravvenzione.
In
tema di applicazione dell'art. 734, c.p., è demandato sempre al giudice penale
l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze
naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità
indipendentemente da ogni valutazione della pubblica amministrazione, della
quale il giudice dovrà con adeguata motivazione tenere conto.
Dunque, ove si
accerti che l'opera eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato
le bellezze naturali soggette al vincolo paesaggistico, il reato di cui
all'art. 734, c.p., indipendentemente dalla concessione e/o del nulla-osta
amministrativo, sarà comunque integrato a carico, contestualmente, del titolare
dei lavori ed eventualmente a carico contestuale dell'amministratore comunale
firmatario della concessione medesima.
(Pret.
Terni, 26.4.1994, RP, 1994, 771).
Essendo la
contravvenzione di cui all'art. 734, c.p., un reato di danno e non di condotta,
come lo è invece il reato previsto dall'art. 20, lett. c), l. 47 del 1985,
l'eventuale autorizzazione amministrativa emessa dall'autorità preposta alla
protezione delle bellezze naturali non produce alcun effetto in ordine alla
esistenza e valutazione del danno avendo ad oggetto la sola condotta
autorizzata dal provvedimento.
E’ demandato al
giudice penale l'accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione
delle bellezze naturali e dei luoghi soggetti alla speciale protezione
dell'autorità, indipendentemente da ogni valutazione della pubblica
amministrazione.
(Cass. pen., Sez. U., 21.10.1992, CP,
1993, 806).
L'attività di
cava, che si svolga in assenza di autorizzazione paesaggistica, consente al
magistrato penale l'accertamento circa l'alterazione del paesaggio, ex art. 734
c.p.: è questo un reato di danno, da stabilire in concreto.
(Cass. pen., sez. III, 1.7.1992, CP, 1994, 145).
In
tema di distruzione o deturpamento di bellezze naturali, va esclusa la
sussistenza dell'elemento psicologico, qualora sia stata rilasciata
l'autorizzazione paesistica.
Quando l'entità
dell'alterazione infici, per la sua enormità, la presunzione di legittimità del
nulla-osta, su cui il soggetto aveva ragione di confidare, il reato è però
ugualmente configurabile.
Il
nulla osta paesistico, concesso dalla competente amministrazione, non esclude
l'elemento psicologico del reato di cui all'art. 734, c.p., quando la buona
fede del soggetto interessato non sia configurabile a causa del manifesto
effetto deturpante dell'intervento compiuto sul bene protetto.
(Cass. pen., sez. III, 29.9.1992, CP, 1994, 927.
Le conclusioni non si possono di
certo condividere, a meno di non ipotizzare un’ipotesi di concorso nel reato
dell’autorità amministrativa che ha rilasciato l’autorizzazione.
Si registrano, però, delle
decisioni contrarie anche se l’indirizzo è minoritario.
Il
rilascio del "nulla-osta" ai fini paesaggistici in sanatoria, in cui
si asserisce che le opere realizzate non hanno recato alcun danno al paesaggio,
esclude la sussistenza del reato previsto dall'art. 734, c.p., poiché non è
dato rinvenire alcuna distruzione o alterazione delle bellezze naturali del luogo
in cui insistono le opere eseguite.
(Pret. Palermo,
22.5.1992, GM, 1992, 1306).
L'attività
del soggetto che astrattamente possa porsi in violazione dell'art. 734 del
codice penale, ma in concreto risulti debitamente autorizzata dalla competente
autorità amministrativa, non integra gli estremi della contravvenzione di cui
all'art. 734 del c.p., non soltanto per difetto dell'elemento psicologico,
bensì anche di quello materiale del reato.
(Cass. pen., sez. II, 14.3.1988, GP, 1989, II, 293).
L'art.
734, c. p., che punisce la distruzione o l'alterazione di bellezze naturali in
luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità, rinvia, quale norma in
bianco, ad atti della pubblica amministrazione per quanto attiene non solo
all'imposizione, ma anche alla gestione del vincolo ambientale.
Ne
consegue che il reato va escluso quando il comportamento del soggetto attivo
sia stato autorizzato.
Né
l'autorizzazione può essere disapplicata dal giudice penale, ai sensi dell'art.
5, l. 20.3.1865, n. 2248, all. e), che concerne solo atti incidenti
negativamente su diritti soggettivi.
(Cass. pen., sez. III, 10.2.1987, CP, 1990, I, 1287).
10.1. Gli effetti del condono sulla contravvenzione.
Legislazione l. 724/1994, art. 39, 8° co. – l. n. 47 del 1985, artt. 13, 22, 32, 38 , 2°
co. - l. 8.8.1985 n. 431, art. 1 sexies.
Bibliografia Assini
Mantini 1997.
Le opere
realizzate su immobili vincolati sono sanabili solo a condizione che l’autorità
competente si esprima con parere motivato, in base al quale l’amministrazione
comunale può rilasciare la concessione in sanatoria, ex art. 32, l. 28.2.1985,
n. 47 (Assini N. Mantini P. 1997, 755).
L’autorizzazione in sanatoria non estingue, peraltro, l’azione penale poiché la fattispecie non è stata espressamente prevista dall’art. 38, 2° co., l. 28.2.1985, n. 47, che detta i casi di estinzione del reato.
L’autorizzazione in sanatoria non estingue, peraltro, l’azione penale poiché la fattispecie non è stata espressamente prevista dall’art. 38, 2° co., l. 28.2.1985, n. 47, che detta i casi di estinzione del reato.
In materia
paesaggistica l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente
realizzato non estingue il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431,
poiché tale disposizione, diversamente da quanto stabilito dall'art. 22, l.
28.2.1985, n. 47 - che prevede l'estinzione del reato urbanistico in caso di
concessione in sanatoria - non è espressamente dettata dalla normativa.
In materia
l'art. 39, 8° co., l. 23.12.1994, n. 724, che prevede tale conseguenza
favorevole, si riferisce unicamente al cosiddetto condono edilizio e non
all'accertamento di conformità disciplinato dall'art. 13, l. n. 47 del 1985.
L'unico
effetto, che deriva dal provvedimento di sanatoria ambientale, è l'esclusione
della remissione in pristino dello stato dei luoghi, poiché l'amministrazione
ha valutato l'opera e la ha ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico
dell'area impegnata dall'opera stessa.
(Cass. pen., sez. III, 28.9.1998, n. 11914, CP,
1999, 3554).
In materia
paesaggistica l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente
realizzato non estingue il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431,
poiché questa statuizione, diversamente da quanto stabilito dall'art. 22, l.
28.2.1985, n. 47, non è espressamente disciplinata dalla normativa.
L'art. 39,
8° co., l. 23.12.1994, n. 724, che prevede tale conseguenza favorevole, si
riferisce unicamente al cosiddetto condono edilizio.
In ogni
altro caso nel quale siano eseguiti in zona vincolata interventi non
annoverabili tra quelli consentiti senza necessità di provvedimento
abilitativo, l'autorizzazione paesaggistica deve esser rilasciata prima e non
dopo l'esecuzione dei lavori.
(Cass. pen., sez. III, 20.10.1998, n. 12697, CP,
1999, 3553).
L’effetto
estintivo del reato è successivamente comminato dall’art. 39, 8° co., l. n. 724
del 1994 che tassativamente lo prescrive anche per i reati previsti dalle leggi
di tutela delle bellezze naturali, purché sussistano i requisiti fissati dalla
normativa, quali la regolare presentazione di istanza di condono entro il
termine, la realizzazione delle opere entro il 31.12.1993, il pagamento
dell'oblazione, il rilascio della concessione in sanatoria, l'autorizzazione
paesaggistica.
La
particolare fattispecie estintiva prevista dall’art. 39, 8° co., l. n. 724 del
1994 si applica anche al reato di cui all'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985 e
presuppone la presentazione di un'istanza di condono edilizio o di
"conversione" della concessione in sanatoria, ex artt. 13 e 22, l. n.
47, del 1985, in quella prevista dal capo IV della stessa legge, il pagamento
integrale dell'oblazione dovuta, il rilascio di una concessione in sanatoria,
con le caratteristiche proprie di detto capo della citata legge, e
dell'autorizzazione paesaggistica.
(Cass. pen., sez. III, 17.12.1998, n. 1150, CP,
1999, 3553).
Mentre la
concessione in sanatoria, di cui agli artt. 13 e 22, l. n. 47 del 1985, non
estingue il reato previsto e punito dall'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, la
sanatoria, ex artt. 31 ss., l. n. 47 del 1985, e 39, 8° co., l. n. 724 del
1994, è certamente applicabile alla medesima contravvenzione paesaggistica.
(Cass. pen., sez. III, 25.3.1998, UA,
1998, 1037).
La
definizione agevolata delle violazioni edilizie contemplata dalla l. n. 724 del
1994 non può avere nulla a che vedere, attesi il chiaro dettato normativo, la sedes
materiae e la ratio legis, con la concessione in sanatoria prevista
dagli artt. 13 e 22, l. n. 47 del 1985.
La
fattispecie prevista dall'art. 39, 8° co., l. n. 724 del 1994, onde produrre
effetti anche in relazione alla diversa violazione di cui all'art. 1 sexies, l.
n. 431 del 1985, presuppone:
1) la
presentazione di una istanza di condono edilizio (o di conversione della
richiesta di concessione in sanatoria, ex artt. 13 e 22 l. n. 47 del 1985),
2) il
pagamento dell'oblazione,
3) il
rilascio della concessione in sanatoria,
4)
l'autorizzazione paesaggistica.
Non è,
quindi, sufficiente a produrre gli effetti previsti dall'art. 39 la sussistenza
soltanto delle due ultime condizioni.
(Cass. pen.,
sez. III, 14.1.1998, n. 1936).
La
concessione in sanatoria, ex artt. 13 e 22, l. 28.2.1985, n. 47, estingue i
reati edilizi ed urbanistici, ma non quello ambientale - di cui all'art. 1
sexies, l. n. 431 del 1985 - avente oggettività giuridica diversa dalla mera
tutela urbanistica del territorio e condonabile solo ex lege n. 724 del
1994.
Difatti la
cosiddetta legge Galasso, a differenza della l. n. 47 del 1985, non prevede
espressamente tale effetto estintivo, che è stato introdotto solo dall'art. 39
della citata l. n. 724 del 1994, alle condizioni dalla stessa poste.
(Cass. pen., sez. III, 18.11.1998, n. 13608, RP,
1999, 560).
L'art. 39,
8° co., l. 23.12.1994, n. 724, nella parte in cui non prevede la sospensione
del processo penale per violazione degli artt. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n.
47 e 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, in pendenza dell'impugnazione in via
giurisdizionale amministrativa del provvedimento di diniego di condono edilizio
e di autorizzazione paesaggistica per opere abusive in zona sottoposta a
vincolo paesistico, non contrasta col principio di eguaglianza.
E’ diversa
la posizione di chi ha già ottenuto in sanatoria l'autorizzazione richiesta
dalla norma che prevede il vincolo, rispetto a colui che non l'abbia ottenuta o
si sia visto opporre un rifiuto, ancorché contestato in altra sede
giurisdizionale, perché il legislatore è discrezionalmente libero di fissare,
una volta individuata la causa estintiva del reato, gli effetti ed i limiti
temporali di questa in relazione allo stato dell'azione penale.
(Corte cost., 1.4.1998, n. 85, CS, 1998,
II, 502).
In tema di
cosiddetto condono edilizio, la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. è
estinta per il pagamento dell'oblazione, seguito dal rilascio della concessione
e dell'autorizzazione paesaggistica.
La natura di
reato di danno non è di ostacolo, poiché l'ampia formula utilizzata dall’art.
39, 8°co., l. n. 724 del 1994 - secondo cui occorre un'espressa autorizzazione
in sanatoria, differente dal semplice parere di cui all'art. 32, l. n. 47 del
1985 e successive modifiche ed integrazioni - rende possibile l'inclusione
della violazione de qua tra quelle estinguibili.
(Cass. pen., sez. III, 20.2.1997, n. 2420, CP,
1998, 1222).
Gli effetti
estintivi, evidentemente, non si producono se l’abuso è stato commesso dopo i
termini del 31.12.1993, fissati dal provvedimento speciale.
Qualora sia
stato commesso, successivamente alla data del 31.12.1993 – e, quindi, oltre il
termine di operatività della causa di estinzione prevista dall'art. 39, 8° co.,
l. 23.12.1994, n. 724 - il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431,
il sopravvenuto rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non comporta
l'estinzione di detto reato, salvo l'eventuale venire meno dell'obbligo di
riduzione in pristino, ove questo risulti assolutamente incompatibile con detta
autorizzazione.
(Cass. pen., sez. III, 4.2.1999, n. 441, RP,
1999, 451).
11. Il concorso di reati di deturpamento e di violazione delle norme
sull’ambiente.
Legislazione c.p., art. 15, 81, 734 - l.
1497/1939, art. 7 - l. 431/1985, art. 1 sexies - d.lg. 5.2.1997 n. 22, art. 51,
3° co.
Bibliografia D’Agostino
1991.
La
giurisprudenza si è posta il problema se le disposizioni relative ai reati di
deturpamento abbiano il carattere della generalità rispetto alle disposizioni
che reprimono la violazione delle norme sull’ambiente (D’Agostino A. 1991, II,
75).
In tal caso
si avrebbe il concorso apparente di norme con l’applicabilità della norma
speciale o, al contrario, se le norme hanno ad oggetto situazioni sicuramente
distinte, in tal caso vi sarebbe un concorso materiale di reati disciplinato
dall’art. 81 del c.p.
La
giurisprudenza ha precisato che la l. 431/1985 impone l’obbligo di richiedere
autorizzazione, prevista dall’art. 7 della l. 1497/1939, per ogni attività che
comporti modificazione ambientale.
La norma
quindi non ha carattere di specialità rispetto all’ipotesi di danneggiamento.
L’interpretazione
giurisprudenziale ha affermato sussistere il concorso di reati nelle seguenti
fattispecie.
Ai fini
dell'imposizione o del mantenimento del sequestro preventivo di una discarica
di rifiuti solidi urbani, in relazione alle ipotesi di reato di cui all'art.
51, 3° co., d.lg. 5.2.1997, n. 22 e all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431,
addebitati al sindaco di un Comune, sull'assunto della illegittimità delle
ordinanze contingibili e urgenti da lui adottate, ai sensi prima dell'art. 12,
d.p.r. 10.9.1982, n. 915 e poi dell'art. 13 del d.lg. n. 22 del 1997, il
giudice di merito - nella specie, tribunale del riesame -, non può esimersi,
nell'ambito della doverosa verifica circa la sussistenza o meno del fumus
delicti, dal prendere in esame gli elementi addotti dall'interessato a
confutazione dell'asserita illegittimità delle suddette ordinanze.
(Cass. pen., sez. III, 12.1.1999, n. 22, RP,
1999, 344).
Nell'ipotesi
in cui sia realizzato un ammasso di rifiuti in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico senza autorizzazione e con alterazione dei luoghi, concorrono tra
loro i due reati, aventi diversa oggettività giuridica, di cui all'art. 1
sexies della l. 431 del 1985, che ha di mira il corretto esercizio
dell'attività di vigilanza e controllo assegnata alla pubblica amministrazione,
e all'art. 734 del c.p., posto a tutela dell'ambiente.
(Pret.
Potenza, 10.6.1992, DGA, 1993, 495).
Sono
configurabili sia il reato di cui agli artt. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, che
quello di cui 734, c.p., nell'ipotesi in cui uno scarico di materiali sulle
rive di un torrente, protrattosi per lungo tempo, alteri lo stato delle sponde
entro la fascia di centocinquanta metri dal corso d'acqua, provocando degrado
dell'ambiente.
(Cass. pen., sez. III, 9.2.1990, CP,
1991, I, 809).
Ai fini
della sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 1-sexies della l.
8.8.1985, n. 431, in tema di tutela delle zone di particolare interesse
ambientale, non può parlarsi di inesistenza assoluta di danno ambientale solo
perché l'imputato sia stato assolto dal reato di cui all'art. 734 del c. p.
Tale reato è bensì reato di danno, ma la sua sussistenza non condiziona quella
del reato di cui all’ex art. 1-sexies della legge citata, consistente,
quest'ultimo, nella condotta di chi compie qualsiasi modificazione dell'assetto
del territorio senza autorizzazione o, il che è equivalente giuridicamente, in
essenziale difformità dalle precise prescrizioni imposte dall'atto
autorizzativo.
(Cass. pen., sez. III, 3.6.1991, CP, 1992, 2186).
La l. 431
del 1985, quando punisce lo scempio paesaggistico-ambientale, deve essere
interpretata nel senso che detto scempio non deve essere esclusivamente
realizzato con innovazioni urbanistico-edilizie o comunque di stravolgimento
dell'assetto del territorio mediante interventi modificativi fisici e
volumetrici dello stesso, potendo detto scempio realizzarsi tramite mutamento
dell'aspetto estetico e biologico di un fiume o di un lago a causa di
cambiamenti di colore dell'elemento liquido dovuti a scarichi inquinanti.
Nel caso di
specie deve essere considerato come scempio paesaggistico-ambientale, con
conseguente violazione del dettato della l. 431 del 1985, il mutamento
dell'aspetto estetico naturale di un corso d'acqua pubblico, protetto dal
vincolo paesaggistico-ambientale, in una evidente ed uniforme colorazione
biancastra provocato da presenze di manti di schiume a causa degli scarichi in
esso riversati illecitamente da un insediamento produttivo.
Il vincolo
protegge, infatti, il bene naturale nella sua integrità globale da ogni agente
degradante in senso biologico e deturpante in senso estetico.
I
responsabili rispondono, pertanto, dei reati di cui all'art. 1 sexies della l.
431 del 1985 e dell'art. 734 c.p. in concorso con i reati previsti dalla normativa
antinquinamento n. 319 del 1976 e successive modificazioni.
(Pret.
Terni, 21.9.1989, RP, 1990, 58).
Commette i
reati di cui all'art. 734 c.p. e all'art. 1 sexies, l. 431 del 1985, colui che,
mediante sbancamento, alteri le bellezze naturali, eseguendo lavori edilizi in
zona vincolata senza aver ottenuto la prescritta autorizzazione.
In queste
ipotesi non è applicabile, infatti, il principio di specialità di cui all'art.
15, c.p., stante la diversità dell'oggetto giuridico delle due fattispecie normative.
(Cass. pen., sez. II, 28.3.1988, GP,
1989, II, 478).
12. Il reato di realizzazione di opere in zone vincolate, previsto
dall’art. 20 lett. c), l. 47/1985.
Legislazione cost., art. 9 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20, lett. c).
Bibliografia Rezzonico
1996 - Mengoli 1997.
L'art. 20,
lett. c), l. 28.2.1985, n. 47, contempla due distinte figure criminose: la
lottizzazione abusiva e gli interventi edilizi in variazione essenziale, in
totale difformità o in assenza di concessione nelle zone sottoposte a vincolo
storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale.
Entrambe
sono punite con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da lire trentamilioni a
lire centomilioni (Rezzonico S. 1996, 136).
Perché
sussista il reato di
realizzazione di opere in zone vincolate è necessario che si configuri un intervento edilizio
senza concessione.
E'
configurabile il reato di cui all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47, nel
caso di attività edilizia posta in essere dopo che sia decorso il termine di
validità della concessione, senza che, a tal fine, sia necessario un formale
provvedimento amministrativo che dichiari la decadenza di detta concessione.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 2086, RP,
1998, 1127).
La
fattispecie di cui all'art. 20, lett. c), della l. 26.2.1985, n. 47, relativa
alla realizzazione di costruzioni in variazione essenziale e in totale
difformità o in assenza di concessione in zone vincolate, costituisce ipotesi
autonoma di reato rispetto a quelle di cui alle lett. a) e b) dello stesso art.
20 e non circostanza aggravante.
(Cass. pen., sez. III, 11.2.1994, CP,
1995, 1038).
Negli
immobili esistenti, ma costruiti senza concessione, fino a quando non venga
sanata la illiceità, non possono essere compiuti interventi di completamento
edilizi.
La Corte ha
ritenuto la configurabilità del reato di cui all'art. 20, lett. c), della l. 47
del 1985.
(Cass. pen.,
sez. III, 18 6.1993, CP, 1995, 157).
L’intervento,
inoltre, deve essere privo di autorizzazione paesistica, pur essendone
soggetto.
Il reato di
cui all'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985, n. 47 costituisce una fattispecie
autonoma e non una circostanza aggravante dell'ipotesi prevista dallo stesso
art. 20, lett. b).
La
disposizione sub c) prevede specifiche condotte criminose: la lottizzazione
abusiva di terreni a scopo edilizio; la violazione del vincolo storico,
artistico, archeologico, paesistico, ambientale.
Tale
illecito presenta sotto il profilo strutturale un elemento superiore rispetto a
quello di cui alla lett. b), cioè la violazione del vincolo, e tale requisito è
stato fissato dal legislatore poiché la condotta disciplinata viene ad incidere
in modo rilevante non soltanto sull'assetto del territorio, ma sull'intero
ambiente: la violazione determina un vulnus alle condizioni di vita
della popolazione ivi residente, della quale altera le condizioni soggettive ed
oggettive di vita, la cui protezione è costituzionalmente statuita dall'art. 9.
Tale
illecito comporta una lesione del paesaggio, che va considerato anche una
risorsa, non soltanto naturalistica, ma anche economica, poiché rappresenta
fonti di introiti per la collettività.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1997, n. 10392, CP,
1999, 263).
Trattandosi
di reato permanente il termine di contestazione della permanenza acquista una
importanza determinante sia ai fini della prescrizione sia ai fini della
formulazione dell’imputazione.
Nei reati
permanenti, la formulazione dell'imputazione segna in ogni caso il momento
temporale ultimo della contestazione del reato ed ogni slittamento del termine
di cessazione della permanenza necessita di una formale contestazione
integrativa da parte dell'accusa, indipendentemente dal fatto che nel capo
d'imputazione sia stata indicata la data di cessazione della permanenza o
lasciata aperta la relativa contestazione.
Fissare nel
secondo caso il momento della cessazione della permanenza in coincidenza con la
pronuncia della sentenza, violerebbe l'esclusiva attribuzione al p.m.
dell'esercizio dell'azione penale e l'obbligo di descrizione del fatto nel
decreto che dispone il giudizio, da cui discende quello dell'indicazione
precisa della collocazione temporale della condotta, per i rilevantissimi
riflessi giuridici che tale indicazione ha, non solo per l'esercizio del
diritto di difesa, ma anche sulla prescrizione e sulla successione temporale
delle norme.
Spetta
inoltre all'accusa individuare la data di cessazione della permanenza
dovendosi, in caso contrario, ritenere che essa coincida con quella della
contestazione della violazione.
Nell'affermare
il principio la Corte ha ritenuto estinto per prescrizione un reato di
violazione edilizia per il quale, nel decreto di citazione a giudizio, veniva
indicata solo la data della constatazione della violazione e non quella della
cessazione della permanenza.
(Cass. pen., sez. III, 18.9.1997, n. 11221, GP,
1999, II, 52).
13. Il reato di violazione di norme a tutela dell’ambiente, previsto
dall’art. 163, d.lg. 490/1999.
Legislazione cost., artt. 9, 42 - l. 1497/1939, art. 7 - l. 28.2.1985, n. 47, art. 20,
lett. c) - l. 431/1985, art. 1, sexies - d.lg. 490/1999, art. 163.
Bibliografia Assini
Mantini 1997 - Mengoli 1997.
L’art. 1,
sexies, l. 431/1985, sost. art. 163, d.lg. 490/1999, prevede un autonomo reato
per la violazione delle norme da essa disposte a tutela di zone di particolare
interesse ambientale, che non possono essere soggette a modificazione
territoriale prima della redazione di piani paesistici e del rilascio
dell’autorizzazione, rinviando per relationem alle sanzioni disposte
dall’art. 20, l. 28.2.1985, n. 47.
Il principio
è applicabile anche alle regioni a statuto speciale in quanto è norma di grande
riforma economico-sociale.
L'art. 1, l.
8.8.1985, n. 431 - che ha introdotto un vincolo generalizzato, discendente
dalla stessa norma di legge, per i beni appartenenti alle categorie da esso
individuate, che siano a priori determinabili per le loro caratteristiche
fisiche senza necessità dell'adozione di un atto specificativo del vincolo
stesso, penalmente sanzionato dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, e
dall'art. 20, lett. c), l. 28.2.1985 n. 47 - è applicabile anche in Sicilia in
ragione della sua natura di norma di grande riforma economico-sociale.
Fattispecie
relativa a ritenuta infondatezza di motivo di ricorso, con il quale si deduceva
violazione dell'art. 82, 5° co., d.p.r. 24.7. 1977, n. 616, come integrato
dall'art. 1, l. 8.8.1985, n. 431, sull'assunto che erroneamente la sentenza
impugnata aveva ritenuto applicabile, nella specie, tale normativa.
(Cass. pen., sez. III, 2.4.1997, n. 4389, CP,
1998, 2105).
La normativa
presuppone il rilascio obbligatorio dell’autorizzazione paesistica per potere
effettuare un intervento; che alteri lo stato dei luoghi; se esso non è stato
autorizato si ravvisa l’ipotesi di reato.
Se, però,
l’area oggetto di opere non è vincolata il reato non può configurarsi.
Il reato di
cui all'art. 1 sexies, l. 431 del 1985 è integrato da ogni intervento non
autorizzato che alteri lo stato dei luoghi.
E'
ravvisabile alterazione solo quando l'intervento muti in modo rilevante e
apprezzabile, anche sotto il profilo temporale, le caratteristiche del luogo
sottoposto alla speciale tutela ambientale.
(Cass. pen., sez. III, 10.3.1999, n. 5062, RP,
1999, 672).
La
contravvenzione di cui all'art. 1 sexies, l. 8 agosto 1985, n. 431, ha natura
di reato di pericolo ed esclude dal novero delle condotte penalmente rilevanti
soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere
i valori del paesaggio.
L'interesse
protetto dalla norma incriminatrice, pur dovendosi individuare nella tutela
prodromica del paesaggio, non può, peraltro, logicamente prescindere da una sia
pur minima possibilità di vulnus al bene tutelato.
La messa in
pericolo del paesaggio deve concretarsi pur sempre in un nocumento potenziale,
da valutarsi ex ante, oggettivamente insito nella minaccia ad esso
portata.
(Cass. pen., sez. III, 7.5.1998, n. 7147, CP,
1999, 2961).
L'art. 1
sexies, l. n. 431 del 1985, riguarda esclusivamente i vincoli posti su intere
categorie di beni dall'art. 1 della stessa legge e non invece i vincoli
ordinari posti su beni determinati con provvedimento amministrativo.
(Cass. pen., sez. III, 4.6.1998, n. 7941, UA,
1998,1149).
Nel caso in
cui risulti accertata l'esistenza soltanto di un vincolo idrogeologico
interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione abusiva, con
esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto, non è
configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, né quello
di cui all'art. 734, c.p., che presuppone l'imposizione di un vincolo a tutela
delle bellezze naturali e del paesaggio.
(Cass. pen., sez. III, 28.2.1997, n. 4423, CP,
1998, 1472).
L'interpretazione
teleologica della fattispecie incriminatrice degli artt. 1 e 1 sexies, l.
8.8.1985, n. 431 svela chiaramente che il legislatore ha voluto difendere
l'ambiente non da qualsiasi attacco, ma solo da quegli attacchi in grado
d'incidere in misura rilevante sull'oggetto della tutela
L'innalzamento
per pochi centimetri dell'ingresso di un garage non può costituire il reato in
questione.
(Pretura
Dolo, 10.2.1998, CP, 1998, 2737).
La norma ha
superato l’eccezione di incostituzionalità prodotta in relazione alla presunta indeterminatezza
dei beni soggetti a vincolo e alla presunta inadeguatezza della pena.
Sono
manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale rivolte
all’art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, sollevate in riferimento agli artt. 42,
97, 9, 25 comma 2 cost.
La ratio
della introduzione di vincoli paesaggistici generalizzati risiede nella
valutazione che l'integrità ambientale è un bene unitario, che può risultare
compromesso anche da interventi minori e che va, pertanto, salvaguardato nella
sua interezza.
La
quantificazione della pena, distinta su tre livelli, sulla base della tipologia
di condotte incriminate, risulta corrispondere ai precetti di determinatezza
della sanzione penale, soddisfacendo, anche, il canone di adeguatezza e
congruità della pena nel rapporto di proporzionalità alla tutela del bene
presidiato dalla norma.
L'accentuata
severità del trattamento trova, infine, giustificazione nella entità sociale
dei beni protetti e nel carattere generale, immediato ed interinale, della
tutela che la legge ha inteso apprestare.
(Corte cost., 17.3.1998, Ord. n. 68, GC,
1998, 711).
E'
manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 25, 9, commi 2, 3, 13 e 27
cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 ter e 1 sexies,
l. 8.8.1985, n. 431 e dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497: invero, deve
ritenersi ammissibile, sul piano costituzionale, la previsione legislativa di
reati di mero pericolo, qualora il bene tutelato, come il paesaggio, esiga
protezione anche da potenziali interventi di manomissione, conseguenti alla
mancanza di previa verifica dell'amministrazione mediante provvedimento
abilitativo per determinate attività o condotte.
(Corte cost., 8.5.1998, Ord. n. 159, RGE,
1998, I, 793. Corte cost. 22.7.1998, Ord. n. 316 GC, 1998, 2321).
Sono
manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 42, 97, 9, 25, 2° co., e 27 cost., relative all'art. 1
sexies, l. 8.8.1985, n. 431, nella parte in cui rinvia alla nozione di aree
protette quale desumibile dalla espressa elencazione normativa di cui all'art.
1, l. 8.8.1985, n. 431, che identifica i beni oggetto di tutela per categoria,
in quanto la questione è già stata risolta nel senso della manifesta
infondatezza con l'ord. n. 68 del 1998.
(Corte cost., 18.3.1999, Ord. n. 71, GC,
1999, 804).
Il reato è
stato ipotizzato nelle seguenti fattispecie.
L'obbligo di
munirsi di autorizzazione, ex art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, sussiste per ogni
alterazione dello stato dell'immobile che sia in astratto suscettibile di
arrecare pregiudizio al suo aspetto esteriore protetto dal vincolo.
Nella specie
la Corte ha ritenuto integrato il reato in caso di realizzazione di una rampa
esterna con funzione di scala antincendio.
(Cass. pen., sez. III, 4.6.1998, n. 7941, CP,
1999, 2960).
Anche un
decespugliamento, in particolare in zona protetta come un parco, costituisce
opera atta a violare la norma di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431,
perché l'eliminazione di cespugli ed arbusti costituisce violazione del vincolo
paesistico-ambientale.
Ciò tanto
più quando l'opera avviene in un parco naturale soggetto a particolare
protezione.
(Cass. pen., sez. III, 3.11.1998, n. 13358, CP,
1999, 3546).
Sulla
premessa che il reato di cui all'art 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, ha natura
formale ed ha per oggetto il preventivo controllo di ogni trasformazione del
territorio in zona sottoposta a vincolo ambientale, nessuna lesione
dell'oggetto formale può ravvisarsi quando la trasformazione territoriale non
leda l'oggetto sostanziale della tutela ambientale, o addirittura rechi
giovamento alla tutela ambientale stessa.
Questo
difetto di lesione sostanziale deve essere accertabile ictu oculi
al di là di ogni ragionevole dubbio, sicché non possa essere smentito dalla
valutazione dell'autorità tutoria.
Nella specie
la Corte ha ritenuto non integrare il reato la realizzazione di un fabbricato
in misura inferiore sotto il profilo planovolumetrico a quanto era stato
autorizzato con l'originario progetto.
(Cass. pen., sez. III, 28.1.1998, n. 3693).
Le disposizioni
vigenti che, ai sensi dell'art. 12, d.p.r. 10.9.1982, n. 915 possono essere
derogate con l'emanazione dell'ordinanza contingibile e urgente prevista dalla
medesima norma sono soltanto quelle attinenti alle forme di smaltimento dei
rifiuti, con esclusione, pertanto, fra le altre, delle disposizioni in materia
di tutela ambientale.
Resta
configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, qualora
la detta ordinanza sia stata emanata ed attuata senza la preventiva
autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
(Cass. pen., sez. III, 16.10.1998, n. 12692, RP,
1999, 181).
Integra il
reato di cui all'art. 1, sexies l. 8.8.1985, n. 431 la realizzazione di opere,
peraltro regolarmente assentite, in altro luogo dello stesso lotto oggetto di
intervento.
Ciò in
quanto, tutte le volte in cui le divergenze tra l'opera progettata e quella
realizzata siano tali, per qualità, ubicazione, destinazione, ampiezza, e per
ciascuno o più di questi parametri, da determinare un quid pluris o un quid
novi tra l'oggetto della concessione e la realtà, sussiste il reato di cui
all'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 9164, CP,
1999, 2962).
Costituisce
violazione dell'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431 la costruzione, senza
autorizzazione, di una strada interpoderale e di alcune piazzole di sosta in
zona sottoposta a vincolo e la condanna per tale illecito non è incompatibile
sul piano logico.
Vi è una
contraddittorietà della motivazione, rilevante ai fini del ricorso per
cassazione, con il proscioglimento per il reato di cui all'art. 734 c.p.,
contestato con riferimento ai medesimi fatti.
(Cass. pen.,
sez. III, 22.9.1997, n. 9965, CP, 1999, 979).
L'attività
estrattiva non autorizzata in località tutelata paesisticamente dà luogo al
reato previsto e punito, a seconda dei casi, dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985,
n. 431, ovvero dall'art. 734 c.p.
(Cons.
Stato, sez. II, 10.9.1997, n. 468, CS, 1999, I, 746.
Nell'ipotesi
in cui venga costruito un pontile sottraendo terraferma al mare, il
banchinamento così realizzato viola il vincolo imposto dall'art. 1, l.
8.8.1985, n. 431, a tutela dei territori costieri compresi in una fascia di
profondità di trecento metri dalla linea di battigia.
E',
pertanto, configurabile il reato di cui all'art. 20, lett.
c), l. 28.2.1985, n. 47.
(Cass. pen., sez. III, 26.2.1993, MPC,
1993, 35).
E'
configurabile la violazione di cui all'art. 1 sexies, l. 431 del 1985, quando
venga eseguito il totale disboscamento di una consistente area con
trasformazione in parte dell'area boschiva e con livellamento con materiale
terroso.
Dette opere
non rientrano negli interventi di taglio colturale e di bonifica da piante
infestanti, consentiti perché diretti alla conservazione e non alla distruzione
del bosco.
(Cass. pen., sez. III, 21.2.1992, RP,
1993, 732).
L'art.
1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, sost. art. 163, d.lg. 490/1999, ribadisce che le
sanzioni penali per chi esegue lavori su beni ambientali, come definiti dal
stessa legge, sono quelle previste dall’art. 20, lett. c), l. 47/1985.
Il giudice
penale attraverso la sentenza di condanna ordina la remissione in pristino
dello stato dei luoghi.
13.1. Il rilascio di autorizzazione paesistica illegittima.
Legislazione l. 1357/1940, art. 25, - l. 431/1985, art. 1 sexies - l. 28.2.1985, n. 47,
art. 20, lett. c).
Bibliografia Rezzonico
1996 - Mengoli 1997.
Il reato
sussiste qualora manchi il rilascio dell’autorizzazione paesistica, non essendo
sufficiente nelle ipotesi di aree vincolate il solo rilascio della concessione
edilizia per potere effettuare l’intervento, vedi Cap. II, n.3.
In tema di
reati edilizi, qualora la zona sia sottoposta a vincolo paesaggistico, la
relativa autorizzazione si inserisce nel procedimento di rilascio della
concessione e ne condiziona l'emanazione, assumendo il ruolo di presupposto.
Ne consegue
che la concessione è priva di efficacia qualora il sindaco l'abbia rilasciata
in assenza del cosiddetto nulla osta.
(Cass. pen., sez. III, 4.5.1998, n. 6671, CP,
1999, 2964)
L'omesso
rilascio dell'autorizzazione ai fini paesaggistici, richiesta dall'art. 25, l.
1357 del 1940, costituisce una mera irregolarità procedimentale che non rende
illegittima la concessione edilizia, ma impedisce che i lavori possano essere
iniziati senza avere ottenuto detta autorizzazione.
La
esecuzione degli stessi configura i reati urbanistici e paesaggistici di cui
agli artt. 20, lett. c), l. 47 del 1985 e 1 sexies, l. 431 del 1985.
(Cass. pen.,
sez. III, 24.3.1998, n. 1093).
Il reato può
sussistere anche se la autorizzazione è stata concessa.
In nessun
caso è possibile derogare al divieto di edificabilità derivante dall'art. 1
quinquies, l. 8.8.1985, n. 431, in assenza del prescritto piano regionale e
fuori dagli interventi tassativamente indicati dalla norma - manutenzione
ordinaria e straordinaria, consolidamento statico e restauro conservativo.
L'eventuale
rilascio di un'autorizzazione paesaggistica è completamente privo di valore dal
punto di vista dell'esclusione dell'illiceità della condotta.
Viola,
perciò, il precetto penale chi procede alla costruzione, anche provvisoria, di
una struttura idonea ad "alterare lo stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici", pur se realizzata previo rilascio di
autorizzazione sindacale - su delega regionale - ai sensi della l. 29.6.1939,
n. 1497.
L'art. 1, l.
n. 431 del 1985, prevede che siano realizzabili strutture precarie in zone
soggette a vincolo solo con riferimento a quelle strumentali all'esercizio di
attività agro-silvo- pastorali, ex art. 1, 8° co., mentre nessun riferimento
alla provvisorietà viene fatto con riferimento agli interventi urbanistico -
edilizi di diversa natura.
Nell'affermare
il principio di cui in massima la Corte ha poi escluso categoricamente che
potesse considerarsi comunque precaria una struttura, realizzata sull'isola di
Capri, creata per le rappresentazioni teatrali delle "Panatenee
pompeiane", costituita da un palcoscenico sorretto da 4 cassoni di cemento
armato collegati tra loro da un cordolo perimetrale e da una platea per posti a
sedere montata su traverse e altre strutture di cemento armato e sormontato da
tubazioni innocenti e traverse di legno, complesso destinato a rappresentazioni
teatrali da tenersi da maggio a ottobre per la durata di 15 anni.
(Cass. pen., sez. III, 28.1.1997, n. 2267, UA,
1998, 86).
Il reato
previsto dall'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, è configurabile anche nel
caso in cui la costruzione di un edificio sia stata autorizzata ed abbia avuto
inizio anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge, sempre che
a tale data la costruzione non avesse assunto dimensioni di apprezzabile
consistenza, tali da realizzare un'irreversibile modificazione del territorio,
non conciliabile con le prescrizioni cautelari imposte del legislatore, mentre
i lavori eseguiti successivamente a quella data abbiano determinato siffatta
apprezzabile consistenza.
La
Cassazione ha evidenziato la immediata operatività delle misure di salvaguardia
previste dalla l. 431 del 1985 e la necessità, ai fini di stabilire
l'applicabilità o meno del vincolo di inedificabilità a costruzioni in corso
alla data di entrata in vigore di detta legge, di verificare le proporzioni
concrete dell'attività immutativa del territorio con riferimento a tale data,
posto che è in quel momento che il vincolo paesaggistico è stato introdotto.
(Cass. pen., Sez. U., 25.3.1993, RGE,
1993, 966).
Non può
evidentemente sussistere il concorso fra il reato di cui all'art. 20, lett. c),
l. 47/1985, e quello previsto dall'art. 1, sexies, l. 431 del 1985.
La
realizzazione, in zona rientrante nel Parco dell'Alto Garda, di una baracca in
lamiera in assenza di concessione integra il reato di cui all'art. 20, lett.
c), l. 47/1985, ma non anche la fattispecie sanzionata dall'art. 1, sexies, l.
431 del 1985.
(Pret.
Brescia, 15.10.1993, GM, 1994, 357).
La
giurisprudenza ha precisato la natura di reato di pericolo.
Ai fini
della configurabilità del reato previsto dall'art. 1 sexies, l. n. 431 del
1985, è necessario che sia posta in essere una condotta comunque incidente in
maniera apprezzabile sull'assetto ambientale- territoriale.
Nel valutare
l'offensività della condotta il giudice deve tenere conto della sua incidenza
in senso fisico ed estetico sul bene protetto ed in relazione al contingente
contesto ambientale, senza trascurare la diffusività del pericolo in presenza
di una molteplicità di condotte analoghe reiterate nel tempo.
Al
contrario, in considerazione della tutela anticipata del paesaggio cui è
deputata la contravvenzione in oggetto, la ritenuta inoffensività della
condotta inerente alla carenza di danno paesaggistico appalesata dalla
autorizzazione in sanatoria è inconferente o, comunque, di secondaria
importanza.
(Cass. pen., sez. III, 22.10.1998, n. 12936, RP,
1999, 274).
Ai fini
della configurabilità del reato previsto dall'art. 1, sexies l. n. 431 del
1985, che è reato di pericolo presunto, non è necessaria l'astratta possibilità
di alterazione dello stato dei luoghi, inteso come stravolgimento integrale
della situazione pregressa, ma è sufficiente un vulnus minimo, purché
apprezzabile, del paesaggio.
Fattispecie
relativa a realizzazione, in assenza di concessione edilizia e di
autorizzazione paesaggistica, di opere di ristrutturazione edilizia di due
immobili già destinati ad uso agricolo con parziale mutamento di destinazione
d'uso.
(Cass. pen., sez. III, 17.12.1998, n. 1150, CP,
1999, 3546).
Il reato di
cui all'art. 1 sexies, l. n. 431/85, si consuma con la sola realizzazione di
lavori, attività o interventi in zone vincolate senza la prescritta
autorizzazione paesaggistica ed ha natura perciò di reato di pericolo, che
prescinde dall'alterazione concreta del paesaggio.
(Cass. pen.
sez. VI, 24.7.1997, n. 8520, CP, 1999, 256).
Il reato di
cui all'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431 non costituisce un reato di danno,
bensì di pericolo che siano compiuti interventi in aree vincolate senza
autorizzazione, a prescindere dall'esistenza di conseguenti alterazioni
permanenti.
(Cass. pen., sez. III, 24.1.1994, CP,
1995, 1964).
14. I soggetti attivi.
Legislazione l.
28.2.1985, n. 47, artt. 6, 20, lett. c) - l. 431/1985,
art. 1, sexies.
Bibliografia Assini
Mantini 1997.
Sono
responsabili di ogni inosservanza rispetto all’obbligo di eseguire le opere,
previa concessione edilizia ed autorizzazione dell’autorità preposta al
vincolo, e conformemente al provvedimento amministrativo rilasciato il committente,
titolare della concessione, il direttore dei lavori e l’assuntore dei lavori,
ex art. 6, l. 28.2.1985, n. 47 (Assini N. Mantini P. 1997, 683).
La
giurisprudenza ritiene che il proprietario, per essere soggetto alla sanzione,
deve essere a conoscenza dei lavori effettuati.
Il
proprietario dell'area costruita abusivamente, il quale sia rimasto estraneo
all'esecuzione dell'opera e non sia il committente dei lavori, non risponde del
reato di esecuzione dei lavori in assenza di concessione, di cui all'art. 20
lett. b), l. 28.2.985 n. 47, che identifica l'autore materiale del reato in
colui che esegue i lavori in assenza od in totale difformità della concessione.
Pertanto,
nel caso di costruzione effettuata da terzi senza concessione, il proprietario
dell'area è concorrente nel reato solo se riveste la qualità di committente dei
lavori, spetta a quest'ultimo, infatti, verificare la conformità dell'opera
alla concessione, a norma dell'art. 6, l. n. 47/1985, che non contempla
espressamente il proprietario fra i destinatari del precetto.
(Cass. pen., sez. III, 1.6.1998, n. 1747, RP,
1998, 1008).
Il direttore
dei lavori è responsabile dell'inosservanza delle leggi urbanistiche per
effetto della comunicazione fatta al comune, anche se materialmente non dirige
i lavori, fino a quando non comunichi all’ente locale la sua rinuncia
all’incarico.
In tema di
violazioni edilizie, la responsabilità penale del direttore dei lavori non può
escludersi in relazione alla prospettazione del carattere meramente fittizio
della prestazione, finalizzata ad un'ottemperanza soltanto formale di precetti
normativi e regolamentari, tenuto conto della rilevanza che il rapporto di
direzione dei lavori, consapevolmente assunto, acquista sul piano pubblicistico
attraverso la comunicazione di esso al comune.
(Cass. pen., sez. III, 25.11.1997, n. 460, CP,
1999, 265).
Il direttore
dei lavori è responsabile dell'inosservanza delle leggi urbanistiche, quando,
senza che abbia formalizzato le dimissioni dall'incarico ricevuto, si
disinteressi dell'esecuzione delle opere.
Infatti,
l'art. 6, l. n. 47 del 1985, nel prevedere la responsabilità del medesimo, la
esclude nella sola ipotesi in cui questi abbia contestato al committente ed
all'assuntore la violazione delle prescrizioni della concessione, fornendo al
sindaco contemporanea e motivata comunicazione.
La rinunzia
all'incarico - o le dimissioni - deve essere rigorosamente provata e risultare
ufficialmente, non essendo sufficiente un semplice accordo intervenuto tra gli
interessati.
(Cass. pen., sez. III, 16.4.1997, n. 4535, CP,
1998, 2118).
A norma
degli artt. 6 e 7 l. 28.2.1985 n. 47, sussiste a carico del proprietario
dell'immobile una presunzione di responsabilità per gli abusi edili accertati,
sicché l'interessato può sottrarsi a tale responsabilità soltanto dimostrando
la sua estraneità rispetto all'abuso commesso da altri.
(Cons.
giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 3.9.1997, n. 331, FA, 1998, 95).
L’obbligo
sancito alle amministrazioni di tutelare le zone di particolare interesse
ambientale prevede la responsabilità penale degli amministratori in concorso
con gli esecutori.
Il sindaco
che rilascia una concessione edilizia in zona vincolata concorre con il privato
richiedente nel reato di cui agli artt. 1 sexies, l. 431/1985, e 20, lett. c),
l. 47/1985.
(Pret. S.
Anastasia, 11.11.1993, GM, 1994, 355).
15. La sanzione applicabile.
Legislazione l. 28.2.1985, n. 47, art. 20, lett. c) - l. 431/1985, art. 1, sexies.
Bibliografia Assini
Mantini 1997 - Mengoli 1997.
La sanzione
applicabile è determinata con riferimento all’art. 20, l. 28.2.1985, n. 47.
Un indirizzo
giurisprudenziale decisamente minoritario ritiene che la fattispecie di
riferimento sia quella prevista dall’art. 20, lett. a), l. 28.2.1985, n. 47.
In caso di
violazione dell'art. 1-sexies della l. 431 del 1985 la sanzione applicabile è
quella dell'art. 20, lett. a), della l. 28.2.1985, n. 47, soltanto quando sia
stata posta in essere una inosservanza delle modalità esecutive
dell'autorizzazione paesistica.
Ovvero
quando la modificazione ambientale, ai sensi della l. 431 del 1985, non venga
realizzata con interventi edilizi, ma comporti egualmente un mutamento
dell'assetto territoriale, secondo le destinazioni del piano regolatore e degli
altri strumenti urbanistici e dei regolamenti locali, e del paesaggio quale
recepito nel territorio sottoposto a vincoli ambientali, può essere applicata
quale sanzione anche quella più lieve dell'art. 20, lett. a), l. 47 del 1985.
(Cass. pen.,
sez. III, 15.2.1994, RP, 1994, 1240).
La
giurisprudenza prevalente ha ravvisato applicabile il reato di cui all'art. 20,
lett. c), l. 47 del 1985.
In tema di
protezione delle bellezze naturali l'unica sanzione applicabile alle violazioni
dell'art. 1 sexies, l. n. 431 del 1985, è quella fissata dalla lett. c), art.
20, l. 47 del 1985.
L'argomento
cardine resta quello della differente sostanza e valenza del paesaggio rispetto
all'urbanistica, poiché tale diversità rende oggettivamente impraticabile ogni
trasposizione, negli illeciti penali paesistici, degli istituti tipici
dell'attività di trasformazione del territorio attraverso interventi
urbanistico-edilizi.
La l. 1497
del 1939 ed il relativo regolamento di esecuzione, con le integrazioni
introdotte dalla l. n. 431 del 1985, individuano le ipotesi in cui è necessaria
l'autorizzazione paesaggistica.
In tutte
queste ipotesi ogni intervento effettuato in carenza di tale provvedimento o in
difformità di esso, purché abbia una oggettiva possibilità di impatto sul
paesaggio, pone in pericolo il bene tutelato.
Estremamente
logica è, dunque, la previsione di un unico regime sanzionatorio, correlato
all'integrità ambientale quale bene unitario di rilevante entità sociale e
qualificato da una pena edittale certamente consistente nel minimo della sua
componente pecuniaria, ma che ha margini assai ampi di adattabilità alle più
svariate peculiarità dei casi concreti, secondo i criteri di cui all'art. 133,
c.p.
(Cass. pen.,
sez. III, 5.2.1998, n. 2704, RGE, 1999, I, 383).
L'unica
sanzione applicabile alle violazioni dell'art. 1, sexies, l. n. 431 del 1985 è
quella fissata dall’art. 20, lett. c), l. 47 del 1985.
La
differente sostanza e valenza del paesaggio rispetto all'urbanistica rende
oggettivamente impraticabile ogni trasposizione nella disciplina degli illeciti
penali paesistici degli istituti tipici di trasformazione del territorio
attraverso interventi urbanistico edilizi.
Il regime
sanzionatorio del periodo di compromissione del paesaggio, qualora venga
commisurato a quello delle violazioni urbanistico edilizie, resta
necessariamente incompleto.
Estremamente
logica è, pertanto, la previsione di un unico regime sanzionatorio, correlato
all'integrità ambientale quale bene unitario di rilevante entità sociale.
(Cass. pen., sez. III, 21.11.1997, n. 2357, CP,
1999, 1580).
In tema di
tutela del paesaggio la sola sanzione applicabile alle eterogenee violazioni
dell'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985 è quella prevista dall'art. 20 lett. c),
l. n. 47 del 1985, che è l'unico a riferirsi agli interventi eseguiti in zona
soggetta a vincolo e costituisce un'ipotesi contravvenzionale autonoma rispetto
all'art. 20, lett. a), mentre il richiamo contenuto nel citato art. 1 sexies è
solo quoad poenam.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 10433, RGE,
1999, I, 383. Cass. pen., sez. III, 31.1.1994, CP, 1995, 1605).
L'art. 1
sexies, l. 8.8.1985, n. 431, quale norma in materia ambientale, configura un
autonomo precetto; il richiamo ivi operato all'art. 20, l. 20.2.1985, n. 47, va
inteso unicamente quoad poenam; l'art. 20, l. 20.2.1985, n. 47, in
quanto norma urbanistica, contempla sub a), b), c) fattispecie incriminatrici
connotate da diverso disvalore ed aventi tutte ad oggetto condotte
caratterizzate da un'attività di trasformazione del suolo qualificabile in
senso lato come edilizia.
La sanzione
richiamata dall'art. 1 sexies non può che essere quella di cui all'art. 20,
lett. c), l. 20.2.1985, n. 47, in quanto è l'unica avente ad oggetto interventi
in zone sottoposte a vincolo paesistico.
Per la sussistenza
dell'elemento materiale del reato previsto dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n.
431, occorre un'inosservanza delle disposizioni di tale legge e dell'obbligo di
richiedere l'autorizzazione di cui all'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, che si
sia materializzata nell'esecuzione di lavori o di attività comportanti una
modificazione ambientale.
(Pret.
Alessandria, 30.3.1992, GI,, 1992, 917).
La
giurisprudenza non è univoca nel consentire, nel reato di cui all'art. 1
sexies, l. 8.8.1985 n. 431, la sostituzione della pena detentiva breve - nel
limite di tre mesi - con la pena pecuniaria.
Non è
applicabile al reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985 n. 431 il divieto
della sostituzione della pena detentiva breve, di cui all'art. 53, l.
24.11.1981, n. 689, riguardante i reati previsti dalle leggi in materia
edilizia ed urbanistica.
Infatti alla
disposizione del citato art. 53, che prevede eccezioni alla regola generale
della sostituibilità delle pene detentive brevi, deve essere data una
interpretazione restrittiva, così che il divieto non può riguardare i reati
paesaggistici, che si differenziano da quelli in materia edilizia ed
urbanistica.
(Cass. pen., sez. III, 2.7.1998, n. 10433, CP,
1999, 2640).
La
preclusione, prevista dall'art. 60, 3° co., l. 24.11.1981, n. 689, alla
sostituzione delle pene detentive brevi per i reati in materia edilizia ed
urbanistica si deve ritenere estesa anche ai reati in materia ambientale. Nella
specie, la contravvenzione di cui agli artt. 1, lett. g), e 1 sexies, l.
8.8.1985, n. 431.
Infatti, la
materia urbanistica, coincidente con l'assetto complessivo del territorio,
comprende anche la materia ambientale.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1998, n. 2950, DPP,
1999, 612).
La
giurisprudenza unanimemente non ritiene applicabile la circostanza attenuante
del danno patrimoniale di speciale tenuità alle contravvenzioni.
La
circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui
all'art. 62, n. 4 c.p. concerne soltanto i delitti e pertanto non è applicabile
alle contravvenzioni.
In
particolare non è applicabile al reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985,
n. 431, che oltretutto è un reato di pericolo e non di danno.
(Cass. pen., sez. III, 2.12.1997, n. 3010, CP,
1999, 1234).
16. Sentenza penale di condanna e di rimessione in pristino.
Legislazione c.p., art. 185, c.p.p., 444 - l. 431/1985, art. 1, sexies.
Bibliografia Mengoli
1997.
L’art. 1
sexies, l. 431/1985 prevede che con la sentenza di condanna venga ordinata la
rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato
(G.C. Mengoli 1997, 438).
La
giurisprudenza ha assimilato alla sentenza di condanna anche quella di
patteggiamento.
L'ordine di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi disposto dall'art. 1 sexies, l.
8.8.1985, n. 431, va emesso anche con la sentenza emanata a norma dell'art.
444, c.p.p., perché detto ordine non è una pena accessoria, ma ha natura di
sanzione amministrativa irrogabile dal giudice ordinario.
(Cass. pen., sez. III, 1.10.1998, n. 2470, CP,
1999, 3228).
L'ordine di
rimessione in pristino dello stato dei luoghi disciplinato dall'art. 1 sexies,
l. 8.8.1985, n. 431, avendo natura non di pena accessoria, ma di sanzione
amministrativa, la cui applicazione è una conseguenza obbligata della sentenza
di condanna, deve essere disposto anche a seguito della sentenza di
"patteggiamento", che è equiparata alla sentenza di condanna ad ogni
effetto non espressamente escluso dalla legge o che non presupponga un
accertamento cognitione plena della responsabilità penale.
A nulla
rileva che esso non abbia formato oggetto dell'accordo, trattandosi di atto
dovuto e sottratto alla disponibilità delle parti, del quale l'imputato deve
tenere conto nell'attivare la procedura alternativa in questione.
(Cass. pen.,
sez. VI, 19.12.1997, n. 3228, CP, 1999, 1233).
La sentenza
di patteggiamento che ometta di provvedere sulla rimessione in pristino è
soggetta ai normali mezzi di impugnazione.
Spetta al
p.m. dare esecuzione all'ordine di demolizione, ex art. 7, l. 28.2.1985, n. 47,
e di rimessione in pristino, ex art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n. 431, contenuto
nelle sentenze penali passate in giudicato mentre la mera presentazione di
ricorsi amministrativi e la sussistenza di diritti reali di garanzia non
costituiscono fattori ostativi all'esecuzione dell'ordine di demolizione e di
ripristino ambientale.
(Corte App.
Cagliari, 8.3.1999, RGA, 1999, 919).
La natura
della sanzione della remissione in pristino è di tipo amministrativo, non solo
per alcune analogie con la sanzione amministrativa della demolizione ma anche
perché l'art. 15, l. n. 1497 del 1939 già prevedeva la sanzione ripristinatoria
della demolizione di opere abusive sul paesaggio e la giurisprudenza
amministrativa ne aveva dichiarato esplicitamente la sua natura amministrativa
anche in ipotesi di semplici modificazioni ambientali.
L'esecuzione
del provvedimento non è raccordato con la natura della sanzione.
Il giudice
penale ha un potere autonomo conferitogli dalla legge, ex art. 655 c.p.p., a
conoscere l'esecuzione dei provvedimenti.
Spetta al
p.m., costituito presso tale giudice, di curare d'ufficio l'esecuzione dei
provvedimenti di questi.
Una diretta
attribuzione all'autorità amministrativa della competenza a curare l'esecuzione
sarebbe sostenibile solo se la legge lo prevedesse espressamente.
Non è
escluso un ruolo collaborativo con la p.a. fermo rimanendo il principio che il
ripristino debba essere curato dal p.m., adendo al giudice dell'esecuzione, ex
art. 666, c.p.p.
(Cass. pen., sez. III, 22.2.1996, n. 862, DGA,
1997, 651).
L'ordine di
rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, disciplinato
dall'art. 1-sexies, l. 431/1985, ha natura di sanzione penale, in quanto è
applicato dal magistrato ordinario, come conseguenza obbligata della sentenza
di condanna ed è espressione di un potere non meramente surrogatorio, ma
primario, esclusivo, autonomo e più ampio rispetto a quello della p.a., che è
invece limitato alla demolizione.
Detto
ordine, pur non essendo inquadrabile negli schemi pregressi, è pur sempre
sanzione penale tipica.
E', quindi,
da escludere il carattere di sanzione civile, poiché il ripristino, di cui
all'art. 185 c.p., pur se determinato dallo stato antigiuridico, prodotto dal
reato, è connesso con un diritto puramente privato, esercitato mediante
un'azione giudiziaria, anche essa privata.
E' da negare
altresì il carattere di pena accessoria, poiché per la sua configurabilità è
necessaria una specifica previsione legislativa per il principio di
tassatività.
Ne deriva
che con la sentenza di condanna deve essere, in ogni caso, ordinato il
ripristino, come statuizione consequenziale ed obbligatoria.
Nella specie
l'imputato aveva proposto ricorso avverso la sentenza, con la quale il pretore
aveva applicato la pena su richiesta delle parti, limitatamente all'ordine di
rimessione in pristino.
La Corte,
nell'affermare il suddetto principio, ha ribadito che la sentenza di
patteggiamento ha natura di pronunzia di condanna.
(Cass. pen., sez. III, 17.11.1992, CP,
1994, 1626).
L’ordine di
rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi deve essere sempre
disposto con la sentenza di condanna; l’ordine di demolizione, invece, deve
essere disposto soltanto nel caso di inerzia della pubblica amministrazione.
Il contenuto
dell'ordine di ripristino poi è molto ampio e complesso e può non coincidere
con quello impartito dalla pubblica amministrazione, ai sensi dell’art. 15, l.
29.6.1939, n. 1497, la quale, nella sede paesistica, ha facoltà o di imporre
soltanto la demolizione ovvero di chiedere il semplice pagamento di
un'indennità.
In campo
edilizio, invece, l'ordine del giudice e quello della pubblica amministrazione
hanno identica portata.
L'ordine de
quo costituisce, quindi, una nuova forma di sanzione penale con caratteri
spesso simili a quelli dell'analogo provvedimento amministrativo.
Esso non è
classificabile secondo gli schemi pregressi, ma è pur sempre conforme al
principio di legalità.
Ne deriva che
la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'eliminazione
delle conseguenze dannose e quindi al ripristino dello stato originario dei
luoghi.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1992, GI,
1994, II, 349).
17. le funzioni del giudice dell’esecuzione.
Legislazione c.p., 165 - l. 431/1985, art. 1 sexies, 2° co.
Bibliografia Mengoli
1997.
La
giurisprudenza ha ribadito la natura amministrativa della remissione in
pristino sulla quale il giudice dell’esecuzione ha la possibilità di incidere
in relazione alla situazione successivamente verificatasi, ad esempio per una
diversa prospettazione dell’autorità amministrativa o di un annullamento dei
provvedimenti di autotutela della autorizzazione paesistica (G.C. Mengoli 1997,
440).
L'art. 1,
sexies, 2° co., l. n. 431 del 1985, disciplina la rimessione in pristino quale
sanzione amministrativa comminata dal giudice penale.
La natura
della sanzione impedisce, quindi, che, sulla relativa pronuncia
giurisdizionale, si formi giudicato, con conseguente possibilità di revoca
della stessa ogni qual volta la competente autorità amministrativa si pronunci
in termini incompatibili con la permanenza della sanzione, come nel caso in cui
- in sede di sanatoria ambientale - l'opera venga ritenuta compatibile con
l'assetto paesaggistico dell'area interessata.
(Cass. pen., sez. III, 4.2.1999, n. 441, RGP,
1999, 747).
Deve
ritenersi legittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena
all'ordine di rimessione in pristino previsto dall'art. 1 sexies, l. 8.8.1985,
n. 431.
E’
sicuramente possibile l'utilizzazione del disposto dell'art. 165, c.p., rivolto
a rafforzare il ravvedimento del condannato, poiché la non autorizzata
mutazione dello stato dei luoghi, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico,
ben può comportare conseguenze dannose o pericolose.
La sanzione
specifica della rimessione ha una funzione direttamente ripristinatoria del
bene offeso e quindi si riconnette al preminente interesse di giustizia sotteso
all'esercizio dell'azione penale.
L'obbligo di
ripristino si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei
poteri della p.a. e delle valutazioni della stessa, configurandosi come
conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità
dell'interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha
dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di
particolare interesse ambientale.
(Cass. pen., sez. III, 20.2.1998, n. 4135, CP,
1999, 1233).
1. IL CONTROLLO SUI BENI AMBIENTALI
5.3.
La tutela dei beni ambientali.
La
tutela dei beni paesaggistici è affidata congiuntamente al Ministero e alle
Regioni, ex art. 132, D.L.vo 42/2004.
La
tutela ha ad oggetto i beni di interesse paesaggistico individuati dal
procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico, i beni tutelati
per legge ed i beni inseriti nel piano paesaggistico, vedi Cap. 5.1.8 e segg.
Ogni
intervento sull’immobile deve essere autorizzato dalla competente autorità. N.
CENTOFANTI, La tutela ambientale nella giurisprudenza, 2001, 27 e 34.
5.3.1. L’ordine di demolizione.
L’ordine
di demolizione è il rimedio normale per reprimere gli interventi abusivi
realizzati sui beni paesaggistici.
Non
è richiesto il preventivo ordine di sospensione dei lavori
Costituisce
motivazione sufficiente la constatazione del contrasto fra l’opera abusiva e le
caratteristiche della zona protetta.
La
demolizione delle opere, abusivamente eseguite in spregio della tutela delle
bellezze panoramiche, costituisce sanzione propriamente preordinata al
ripristino dello stato dei luoghi turbato dalla illecita costruzione, restando
nella discrezionalità dell'amministratore applicare la sanzione patrimoniale
pecuniaria quando la lesione arrecata all'ambiente paesaggistico sia di
limitata entità, sulla base di valutazione non sindacabile nel giudizio di
legittimità. (Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 1993, n. 290, in Foro amm.,
1993, 737).
La
demolizione di un'opera edilizia realizzata senza autorizzazione o concessione
edilizia, ora permesso di costruire, in una zona sottoposta a vincolo
paesaggistico è legittimamente ordinata se, tenuto conto del grave pregiudizio
dei valori paesaggistici, provocato dall'opera stessa, sia stato ritenuto di
non applicare, in alternativa, la sanzione pecuniaria. (Cons. Stato, sez. II,
16 maggio 1990, n. 242, in Cons. Stato, 1993, I, 1046).
Al
fine dell'irrogazione della sanzione della demolizione è necessaria e sufficiente
la constatazione dell'esistenza di un contrasto tra l'opera abusiva e le
caratteristiche della zona protetta, rilevata dall'organo tecnico, non essendo
consentito all'amministrazione di valutare l'opportunità di disporre o meno la
sanzione in ragione della già avvenuta compromissione della zona stessa, con il
risultato di sostituire il proprio giudizio sul valore ambientale della zona
protetta a quello espresso nella competente sede in occasione dell'imposizione
del vincolo. (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 22 ottobre 1990, n. 1120, in T.A.R.,
1990, I, 4266).
La
mancanza ovvero l’inadeguatezza della motivazione è sufficiente per poter fare
dichiarare la illegittimità del provvedimento.
Il
provvedimento di demolizione deve concedere al trasgressore un termine per
l’esecuzione dello stesso.
In
caso di inadempienza si procede d’ufficio a mezzo del Prefetto, con l’addebito
delle spese sostenute, ex art. 167, c. 3 D.L.vo 42/2004.
5.3.2. Il potere sostitutivo del dirigente regionale..
Qualora
l'autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda
d'ufficio è previsto l’intervento sostitutivo del direttore regionale
competente
Egli
può iniziare il procedimento su richiesta della medesima autorità
amministrativa ovvero direttamente in caso di inerzia dell’amministrazione
competente.
Nel
secondo caso devono essere decorsi centottanta giorni dall'accertamento
dell'illecito e deve essere previamente diffidata l’autorità competente.
Dell’avvio
del procedimento deve essere avvisato il responsabile dell’abuso,
ex art. 167, c. 3, mod. art. 1, c. 36, L.
15 dicembre 2004, n. 308.
Il termine di trenta giorni per procedere alla demolizione deve considerarsi ordinatorio.
Il termine di trenta giorni per procedere alla demolizione deve considerarsi ordinatorio.
5.3.3. La sanzione pecuniaria alternativa alla
demolizione.
L’art.
167, D. L.vo 42/2004, attribuisce alla autorità amministrativa preposta al
vincolo una scelta discrezionale sulle modalità relative alla repressione
dell’abuso sui beni ambientali, concedendole la facoltà di valutare se
procedere alla demolizione delle opere o alla irrogazione di una sanzione
pecuniaria.
La
sanzione pecuniaria rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel
caso di illeciti sostanziali, vale a dire in caso di compromissione
dell'integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali, quale è da
ritenersi il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione
preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico
oggetto di protezione. (Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6469, in Riv.
giur. ed., 2001, I, 482).
Vi è
discordanza nella giurisprudenza riguardo all’interpretazione della norma che
demanda alla discrezionalità dell’amministrazione la scelta, mentre vi è
assoluta concordanza sull’obbligo di emanare il provvedimento sanzionatorio.
Una
prima interpretazione più rigorosa vede la logica conseguenza dei provvedimenti
repressivi nella demolizione delle opere abusive, salvo la possibilità di
applicare la sanzione pecuniaria quando ricorrano particolari circostanze,
adeguatamente motivate, che escludano la necessità di procedere alla
demolizione. (Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 1972, n. 193, in Riv. giur. ed.,
1972, 775).
Una
seconda interpretazione più permissiva afferma che la sanzione pecuniaria mira
a colpire coloro che non ottemperano agli obblighi e agli ordini contenuti
nella legge stessa e va applicata anche in presenza del solo comportamento
colposo o doloso di chi ha commesso l'abuso, prescindendo dal danno ambientale.
(Cons. Stato, sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184, in Dir. e giur. agr.,
2001, 281).
Essa
costituisce non già una forma di risarcimento danni, ma una vera e propria
sanzione amministrativa. (Cons. Stato, sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5386, in Giur.
boll. legisl. tecn., 2001, 160).
Nel
caso di irrogazione della sanzione pecuniaria essa è calcolata stabilendo una
cifra pari alla maggiore somma tra danno arrecato e profitto conseguito sulla
base di una perizia di stima.
E’
pacifico il collegamento dell’indennità con criteri obiettivi di valutazione.
L'indennità
di tipo risarcitorio del danno cosiddetto ambientale, nell'ambito di un
procedimento amministrativo di tipo autoritativo, deve essere collegata a
criteri obiettivi di valutazione e non può richiamarsi a generici criteri
equitativi. (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 20 gennaio 1992, n. 9, in Foro
amm., 1992, 2015).
La
quantificazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, L. 1497 del
1939 (ed ora dall'art. 167, D.L.vo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice
dei beni culturali e del paesaggio), è determinata ai sensi dell'art. 2, D.M.
26 settembre 1997, previa apposita perizia di valutazione del danno causato
dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio
vincolato ed alla normativa di tutela vigente sull'area interessata, nonché
mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive.
Tuttavia, poiché tale quantificazione non può essere oggetto di una
dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno paesistico ad una
indagine dettagliata e minuta, la relativa valutazione può essere censurata
solo per manifesta illogicità. (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11 novembre 2004, n.
16752, in Foro amm. TAR, 2004,
3438).
In
un primo tempo la giurisprudenza, decidendo sulla legittimità del D.M. 24
settembre 1997, n. 1698900, ha affermato che l’indennità risarcitoria
presuppone l'esistenza del danno ambientale e il suo conseguente accertamento,
anche se esso non è di tale rilevanza da richiedere la demolizione delle opere
da realizzare.
E’
stato quindi dichiarato illegittimo il D.M. 26 settembre 1997 nella parte in
cui prevede l'applicazione della sanzione anche nell'ipotesi di assenza di
danno ambientale. (T.A.R. Lazio, sez. II, 21 giugno 1999, n. 1531, in Riv.
giur. ed., 2000, I, 304).
Successivamente
è stato precisato che la sanzione pecuniaria prevista dall'art. 15, L. 1497 del
1939 - ed ora dall'art. 167, D.L.vo. 22 gennaio 2004, n. 42 - è diretta a
reprimere, con effetto deterrente oltre che ripristinatorio, ogni tipo di
violazione sia sostanziale (per l'effettivo contrasto della costruzione con i
valori paesistici ed ambientali della zona) sia formale (per l'omessa
acquisizione del nulla osta paesistico).
Essa
è dovuta anche in mancanza di un concreto danno ambientale, dovendo, in tal
caso, essere commisurata al profitto conseguito. (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11 novembre 2004, n.
16752).
L’indennità
ha tutt’altra natura rispetto all’oblazione prevista dalla L. 47/1985 sul
condono.
L'indennità
è diretta a colpire l’alterazione del territorio operata dall'intervento
abusivo, al fine di reintegrare il valore patrimoniale del bene pubblico
compromesso dall'intervento dannoso, e differisce dall'oblazione di cui
all'art. 34 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che assorbe esclusivamente le
sanzioni pecuniarie legate all'illecito urbanistico.
L'art.
32, L. 28 febbraio 1985, n. 47, ha esteso la possibilità di condono anche alle
opere realizzate su aree sottoposte a vincolo previo rilascio del parere
favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
L’indennità
rimane applicabile anche nell’ipotesi di rilascio della concessione in
sanatoria.
Legittimamente,
quindi, il provvedimento di sanatoria di una costruzione abusiva realizzata su
un'area sottoposta a vincolo paesaggistico è condizionato al pagamento della
indennità di cui alla L. 1497/1939. (Cons. Stato, sez. II, 7 marzo 1990, n.
189, in Dir. giur. agr., 1993, 442).
L'ammissibilità
di un'autorizzazione paesaggistica postuma, valevole ai fini della positiva
definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell'art. 13, L. 47 del
1985, non pregiudica il residuare del potere dovere dell'autorità competente di
procedere all'applicazione della sanzione di cui all'art. 15, L. 1497 del 1939.
(Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6469, in Riv. giur. ed.,
2001, I, 481).
E’
conforme la giurisprudenza nel ritenere che sussista in tale materia la
giurisdizione del giudice amministrativo.
5.3.4.
La legislazione regionale.
Per
quanto riguarda le sanzioni amministrative a tutela del paesaggio l’art. 83, L.
R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, dispone che l'applicazione della sanzione
pecuniaria, prevista dall'articolo 167 del D.L.vo 42/2004, in alternativa alla
rimessione in pristino, è obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno
ambientale; essa, in tale caso, deve essere quantificata in relazione al
profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro.
La
dottrina nota che il principio della proporzionalità della sanzione al profitto
conseguito è di carattere speciale rispetto al principio sancito dall’art. 11,
L. 689/1981 che ritiene invece si debba - nella determinazione della sanzione
amministrativa pecuniaria - avere riguardo alla gravità della violazione,
all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o l’attenuazione delle
conseguenze della violazione nonché alla personalità dello stesso e alle sue
condizioni economiche. S. RAIMONDI, Sanzioni amministrative a tutela del
paesaggio, in Governo del Territorio, a cura di V. ITALIA, 2005,
781.
Le
sanzioni devono esse applicate dalla Commissione per il paesaggio istituita ad
hoc dall’art. 83, L. R. Lombardia 11 marzo 2005, n. 12.
5.4.
Costruzioni abusive in aree demaniali.
L’art.
14, della L. 47/1985, sost. art. 35, c. 1, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,
disciplina una particolare forma di controllo sulle costruzioni abusive
realizzate su aree dello Stato.
Le
opere eseguite da terzi in assenza di concessione, ora permesso di costruire,
su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti territoriali sono
demolite a spese del responsabile dell’abuso.
La
demolizione è eseguita a cura del comune.
Qualora
sia stata svolta un'attività edilizia abusiva su un terreno demaniale, si è in
presenza di un fatto che giustifica - senza che occorrano altre valutazioni -
l'ordine di demolizione dell'immobile abusivo. (Cons. giust.amm. Sicilia, sez.
giurisd., 14 giugno 1999, n. 280, in Giur. boll. legisl. tecn., 1999,
322).
L'art.
14, L. 28 febbraio 1985, n. 47 - che è norma speciale rispetto all'art. 7, che
in caso di inadempienza all'ordine di demolizione di opere edilizie abusive
prevede l'acquisizione dell'area di sedime – afferma che, qualora sia accertata
l'esecuzione di opere da parte di soggetti diversi dalle amministrazioni
statali in assenza di concessione, ovvero in totale o parziale difformità dalla
medesima, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici,
il Sindaco deve ordinare, dandone comunicazione all'Ente proprietario del suolo
previa diffida al responsabile dell'abuso, la demolizione e il ripristino dello
stato dei luoghi; in difetto, la demolizione è eseguita a cura del Comune ed a
spese dei responsabili dell'abuso. (T.A.R. Toscana sez. II, 3 dicembre 1997, n.
760, in T.A.R., 1998, I, 603).
Il
potere di tutela amministrativa sui beni demaniali trova la sua fonte nel c.c.
La
giurisprudenza ha affermato che è legittimo l'ordine comunale di demolizione di
opere edilizie abusive realizzate sul demanio lacuale, ancorché richiesto dalla
p.a. proprietaria del bene occupato, in quanto l'illiceità delle opere predette
impone l'intervento repressivo del comune
Il
potere d'autotutela amministrativa, ex art. 823, c. 2, c.c., per la sua
applicabilità generale, costituisce ipotesi autonoma e non conflittuale con
ogni altra regola che miri alla tutela del demanio. (Cons. Stato, sez. V, 20
aprile 2000, n. 2428, in Foro amm., 2000, 1325).
5.5.
La tutela delle aree protette da parte dell’Ente parco.
La
tutela delle aree protette è realizzata dalla L. 6 dicembre 1991, n. 394 con la
istituzione di parchi nazionali, costituiti con decreto del Presidente della
Repubblica su proposta del Ministro dell’Ambiente, sentita la regione, e
gestiti dall’Ente parco la cui composizione è espressamente prevista dalla
stessa legge.
Ogni
concessione o autorizzazione relativa ad opere all’interno del parco deve
essere sottoposta al preventivo nulla osta dell’ente.
La
giurisprudenza ha precisato che il nulla osta previsto dall'art. 13 della L. 6
dicembre 1991, n. 394, è necessario solo in presenza di una disciplina partecipata
del parco, in assenza della quale la predetta autorizzazione si risolverebbe in
un mero formalismo, essendo esclusivamente collegata alla verifica della
conformità dell'intervento progettato alle disposizioni del piano e del
regolamento del parco.
Esse
si pongono, quali strumenti fondamentali di conformazione del territorio e come
dispositivi per la composizione degli interessi globalmente presenti nell'area
protetta. (Cass. pen., sez. III, 27 giugno 1995, in Riv. pen., 1995,
1436).
L'operatività
dell'art. 13, c. 1, L. 6 dicembre 1991, n. 394, non è subordinata alla previa
approvazione del nuovo piano e del nuovo regolamento del parco, previsti dagli
articoli 11 e 12 L. 394/1991.
In
mancanza di detta approvazione occorre, infatti, fare riferimento ai piani
paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di
pianificazione di cui si fa menzione nel succitato art. 12, c. 7, L. 6 dicembre
1991, n. 394, i quali restano in vigore fino al momento della loro prevista
sostituzione con il nuovo piano. (Cass. pen., sez. III, 27 maggio 1999, n.
11537, in Cass. pen., 2001, 269).
E'
necessario il rilascio del nulla osta dell'Ente Parco anche per le opere da
realizzare all'interno di Parchi già esistenti ed in mancanza di nuovi piani
del Parco e regolamenti: l'art. 13, c. 1, L. 394 del 1991, pone, infatti, un
incondizionato obbligo di subordinare la realizzazione di impianti, opere o
interventi all'interno del Parco al preventivo nulla osta, a prescindere dalla
sussistenza di un nuovo piano e del relativo regolamento.
Una
diversa interpretazione, infatti, introdurrebbe un limite di dubbia
costituzionalità all'obbligatorietà di una legge penale, eventualmente
circoscritta ai soli Parchi retti dalle Amministrazioni più diligenti
nell'ottemperare alle disposizioni della L. 394/1991 e non operante nei
territori di tutti gli altri, perciò lasciati, anche con riguardo alle zone più
protette, alla variabile iniziativa individuale ed estemporanea di privati e di
enti locali. (Cass. pen., sez. III, 11 ottobre 1999, in Urb. app., 2000,
213).
Il
nulla-osta è regolato dal sistema del silenzio assenso, conseguentemente la
giurisprudenza ha precisato che l’art. 13 della L. 6 dicembre 1991, n. 394
prevede che il nulla-osta necessario per l'edificazione nell'ambito dei parchi
nazionali, qualora non intervenga entro il termine di 60 giorni, decorrente
dalla presentazione della domanda, si intende assentito; pertanto, è
illegittimo il provvedimento di diniego del nulla-osta adottato dall'ente parco
dopo la scadenza del detto termine. (T.A.R. Abruzzo, sez. L'Aquila, 24
settembre 1993, n. 434, in T.A.R., 1993, I, 4148).”
Il
presidente dell’Ente parco vigila sulle attività difformi dal nulla osta o
realizzate in carenza del suo rilascio, dispone l’immediata sospensione
dell’attività medesima ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino o la
ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore. In caso
di inottemperanza egli provvede all’esecuzione in danno, ai sensi dell’art. 29
della L. 394/1991.
L’art.
30, c. 2, L. 6 dicembre 1991, n. 394, prevede sanzioni pecuniarie per la
violazione delle norme emanate dagli organi di gestione che vanno da lire
cinquantamila a lire due milioni.
La
giurisprudenza costituzionale ha precisato che tali disposizioni non sono in
contrasto con lo statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige e relative
norme di attuazione, poiché i citati articoli hanno valore dispositivo e sono
quindi applicabili, nel caso di ambienti naturali di rilievo regionale, solo
allorché le regioni non vi abbiano provveduto con apposite norme. (Corte Cost.,
27 luglio 1992, n. 366, in Cons. Stato, 1992, II, 1107).
5.5.1.
Il potere di vigilanza del Ministro dell'ambiente.
La
vigilanza sulla gestione delle aree protette è esercitata per quelle terrestri
dal Ministro per l’ambiente e per le aree marine congiuntamente dal Ministro
per l’ambiente e dal Ministro per la marina mercantile.
E’
stata posta la questione di legittimità costituzionale di tale attribuzione,
per contrasto con le competenze regionali, da parte di alcune regioni a statuto
speciale.
La
Corte Costituzionale ha precisato che l'art. 21 della L. 6 dicembre 1991, n.
394, che attribuisce al Ministro dell'ambiente il potere di vigilanza, tramite
il corpo forestale, sulla gestione delle aree naturali protette di interesse
nazionale ed internazionale, non è in contrasto con lo statuto del Trentino
Alto Adige, rientrando i compiti di vigilanza ivi previsti nelle competenze
statali. (Corte Cost., 27 luglio 1992, n. 366, in Riv. giur. ed., 1992,
I, 779).
5.6.
Le acque pubbliche.
La
tutela del demanio idrico si traduce in un regime di limitazioni all’esercizio
dello ius aedificandi che è rappresentato da una normativa che precisa
le distanze da osservarsi a rispetto dello stesso. N. ASSINI E P. MANTINI,
Manuale di diritto urbanistico, 1997, 537.
L’art.
822 c.c. definisce acque pubbliche i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre
acque dichiarate pubbliche dalle leggi in materia.
L’art.
1, R.D. 1775/1933, precisa che sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti
e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo, le quali siano
destinate ad usi di pubblico e generale interesse. G. TORREGROSSA, Opere
idrauliche, in Enc. Giur., XXI, 1990, 1.
L’art.
96, del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, prevede il divieto di realizzare ogni
opera che possa limitare il libero deflusso delle acque, come, ad esempio,
piantare alberi o intraprendere qualsiasi movimento del terreno ad una distanza
inferiore a 4 metri o costruire ad una distanza dagli argini che sia minore di
10 metri.
La
norma ha lo scopo di prescrivere una fascia lungo i medesimi canali di bonifica
per consentire le normali opere di ripulitura e manutenzione. (Trib. sup.
acque, 29 aprile 2002, n. 58, in Foro Amm. CDS, 2002, 1065).
Essa,
pertanto, si applica anche se gli argini sono di natura artificiale poiché
assume rilevanza la funzione oggettiva dell’opera.
Il
R.D. 25 luglio 1904, n. 523, non fa alcuna distinzione tra argini naturali ed
artificiali.
La
norma ha retto alle censure di legittimità costituzionale in quanto la distanza
minima di quattro metri, in carenza di normativa di piano, è stata ritenuta
congrua anche quando non sia dimostrata, caso per caso, la effettiva
pericolosità. (Corte cost., 3 dicembre 1987, n. 471, in Giust. Civ.,
1987).
5.6.1. L'autorizzazione idraulica.
Il
regime delle acque pubbliche è soggetto a particolari tutele.
L’art.
96, R.D. 523/1904, prevede il divieto di realizzare opere a ridosso del piede
degli argini o delle sponde dei corsi d’acqua; mentre l’art. 97, R.D. 523/1904
elenca le opere che si devono eseguire con speciale permesso del prefetto e con
l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte. C. COSENTINO E F. FRASCA, Commento
all’art. 5, in Italia V. (a cura di) Testo unico sull’edilizia 2002,
79).
Tali
opere - indicate tassativamente - sono, fra l’altro: la realizzazione di
pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti; la
formazione di riparti a difesa delle sponde; i dissodamenti dei terreni boscati
e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti; le piantagioni a protezione dalle
alluvioni a qualsivoglia distanza dalla opposta sponda; il trasporto in altra
posizione dei molini natanti eseguiti sia con chiuse sia senza chiuse;
l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi,
torrenti e canali pubblici; l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili.
L'autorizzazione
idraulica prescritta dal T.U. 25 luglio 1904, n. 523, ha l'evidente scopo di
prevenire possibili pericoli per la corretta e regolare regolazione delle
acque. (Trib. sup.re acque, 8 maggio 2002, n. 65, in Foro Amm. CDS,
2002, 1356).
Per
quanto riguarda l’estrazione dall'alveo dei fiumi e torrenti di ghiaia e
sabbia, ai sensi dell'art. 97, R.D.. 25 luglio 1904, n. 523, la giurisprudenza
ha precisato che la concessione amministrativa è richiesta in relazione all'uso
eccezionale del bene pubblico che il privato intenda fare nel proprio
interesse.
Detto
uso comporta il pagamento di un canone ed il previo accertamento che esso non
leda i preminenti interessi pubblici attinenti alla salvaguardia del regime
delle acque, mentre la suddetta concessione non deve ritenersi necessariamente
richiesta ove l'estrazione si colleghi, con carattere di necessità, al
compimento di un'opera idraulica sul fiume o torrente. (Cass. civ., sez. I, 5
dicembre 1998, n. 12332, Giust. Civ. Mass., 1998, 2544).
5.6.2. Le sanzioni amministrative.
L’art.
2 del T.U.. 25 luglio 1904 n. 523, demanda esclusivamente all'autorità
amministrativa statale il compito di provvedere alle opere - di qualunque
natura esse siano - che possono aver relazione col buon regime delle acque
pubbliche, con la difesa e la conservazione delle sponde e con qualunque opera
realizzata entro gli alvei o contro le sponde.
Quando dette opere, usi, atti, fatti siano riconosciuti dall'autorità amministrativa come dannosi al regime delle acque pubbliche, essa sola è competente per ordinarne la modificazione, la cessazione, la distruzione.
Quando dette opere, usi, atti, fatti siano riconosciuti dall'autorità amministrativa come dannosi al regime delle acque pubbliche, essa sola è competente per ordinarne la modificazione, la cessazione, la distruzione.
La
specifica competenza statale in tema di controllo sull'esecuzione di opere che
possano incidere anche indirettamente sul regime dei corsi d'acqua non è venuta
meno con l'entrata in vigore del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, non rientrando
essa nell'ambito delle materie trasferite o di quelle delegate alle regioni.
(Trib. sup.re acque, 13 ottobre 1999, n. 117, in Cons. St., 1999, II,
1562).
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